di Mauro Suttora
Contro la tirannia dei talebani, come le donne iraniane contro quella degli ayatollah. Un canto dalle origini misteriose che ormai è l’inno di resistenza in tutto il mondo (solo in Italia ci si litiga sopra)
Huffingtonpost.it, 5 settembre 2024
E con l'Afghanistan ha fatto l'en plein. La nostra canzone Bella Ciao è diventata indiscutibilmente l'inno per la libertà più celebre del mondo, dopo che perfino le ragazze afghane lo hanno adottato per protestare contro l'ultimo decreto dei talebani.
Due settimane fa il loro capo Hibatullah Akhundzada ha promulgato 35 articoli che vietano alle donne di avventurarsi fuori casa da sole: perfino sui bus devono essere accompagnate da un tutore. Ma, soprattutto, non possono più parlare nei luoghi pubblici. Né leggere ad alta voce. E men che meno cantare.
Si è scatenata allora la loro rivolta. Che si sparge nel mondo tramite i social, con il canto collettivo di Bella Ciao tradotto nella lingua pashtun.
La fortuna internazionale del brano è abbastanza recente. Ma non c'è manifestazione politica degli anni 2000 che non l'abbia scelta come propria bandiera. Dai turchi contro il presidente Erdogan ai curdi di Kobane, dai greci antiUe ai Fridays for Future verdi, fino ai francesi colpiti dagli attentati al Bataclan, agli argentini, o alle giovani iraniane torturate dagli ayatollah.
Al successo planetario ha contribuito la serie spagnola La casa di carta, trasmessa da Netflix. E poi il remix del dj di Marsiglia Hugel, che dal 2018 ha ottenuto solo su YouTube 200 milioni di visualizzazioni. Così Bella Ciao ha soppiantato tutti gli altri canti da manifestazione: Marsigliese, Internazionale, Blowin' in the Wind, Imagine.
Una bella soddisfazione per noi italiani. Che però non ne conosciamo le origini. Inno della Resistenza antifascista? Falso. "Non l'abbiamo mai cantata", assicurò Giorgio Bocca. Al quale però la cantarono i compagni partigiani al suo funerale nel 2011.
Perché nel frattempo Bella Ciao era stata adottata dagli antifascisti, a ogni 25 aprile. Pare che la canzone sia stata presentata per la prima volta fuori d'Italia a un Festival internazionale dei giovani comunisti a Praga nel 1947: un successone.
Ma ancora negli anni '50 le raccolte degli inni della Resistenza la ignoravano. La data spartiacque è il 1964, quando l'orecchiabilissimo ed entusiasmante motivo fu presentato al colto festival di Spoleto dal gruppo folk Canzoniere Italiano.
Da allora ogni corteo di sinistra in Italia l'ha intonata a squarciagola, con tanto di battimani nel ritornello. Ma anche i democristiani, dopo il congresso che elesse segretario il partigiano Benigno Zaccagnini nel 1975.
Personalmente ricordo i cortei di noi liceali udinesi che negli anni '70 la cantavamo quando arrivavamo all'altezza di viale Ungheria, i cui alti palazzi producevano un fantastico effetto rimbombo (poi urlavamo anche "Ce n'est qu'un debut, continuons le combat!", che però la cadenza friulana trasformava in un incomprensibile "Senné Zandegù...", dal nome di un famoso campione di ciclismo).
Ma allora, se all'inizio non era un canto partigiano, da dove viene Bella Ciao? La prima melodia simile fu incisa nel 1913 da un musicista tzigano, e in effetti l'atmosfera è quella dei brani yiddish: un po' slavi, un po' ebraici, sicuramente europei orientali.
Nella valanga di ricostruzioni storiche non mancano le canzoni delle mondine, i partigiani della Maiella e le musiche dalmate. Con annesse dispute su diritti d'autore, accuse di plagio e appropriazioni indebite. Ma alla fine nessun autore né paroliere riconosciuto: una canzone popolare appartiene al popolo.
Forse è giusto che sia così. Le origini dei miti hanno da essere un po' nebulose, altrimenti si perde l'alone del mistero che crea la leggenda. E magari ci si riduce ad attribuire a Yoko Ono il testo della splendida Imagine del povero John Lennon.