Monday, November 29, 2021

Mario Monti, la libertà di parola e le tentazioni cinesi
















Dice che "il Governo deve dosare le informazioni sulla pandemia. Con meno democrazia, rinunciando a un po’ di libertà". Ma sono pallottole per il nemico

di Mauro Suttora

HuffPost, 29 novembre 2021
 

“Stiamo combattendo una guerra contro il Covid? Allora, come in tutte le guerre, il Governo deve dosare le informazioni sulla pandemia. Con meno democrazia, rinunciando a un po’ di libertà”. Il professor Mario Monti è senatore a vita, non deve inseguire il consenso per essere rieletto. Può quindi permettersi di dire frasi simili. Senza accorgersi che proprio questa sua evocazione della censura offre pallottole al nemico: “Ecco, avevamo ragione noi, con la scusa del virus le élites instaurano la dittatura”, commentano felici i no vax.

Ero sobbalzato anch’io sul divano, la sera prima, quando Beppe Severgnini aveva espresso in tv lo stesso concetto di Monti in modo più morbido. Il professor Crisanti avanzava dubbi sulla vaccinazione dei bambini, invitando ad aspettare qualche settimana prima di iniziarla in Europa. “Gli esperti come lei dovrebbero discutere le loro differenti opinioni nei congressi e arrivare a conclusioni certe, prima di venire a seminare incertezza davanti a milioni di telespettatori. Basta con queste comunicazioni ondivaghe”, lo ha troncato Severgnini. 

Ci siamo. I nodi vengono al pettine. Di fronte al perdurare sega-nervi della pandemia, a qualcuno viene la comprensibile tentazione di imboccare la strada cinese: tutti uniti e compatti, come solo nei regimi forti si può.

Crisanti ha subito precisato: non sono contrario ai vaccini, dico solo di attendere i risultati dei test sui primi duemila bambini immunizzati in Israele. Perché gli israeliani hanno già cominciato a vaccinare i 5-12enni, così come gli statunitensi da quasi un mese. Ormai sono più di tre milioni i bambini immunizzati e non giungono notizie di problemi. Anche l’agenzia Ema europea ha detto sì.

Quindi forse all’ottimo Crisanti è scappata una sciocchezza, ma ancora più sciocco sarebbe impedirgli di esprimerla. Resiste per ora la libertà di vaccino (ed è di cattivo gusto che sia l’Austria la prima a infrangerla), perché non dovrebbe resistere la ben più importante libertà di parola? 

Fosse per le paranoie no vax, noi trent’anni fa avremmo rinunciato ai telefonini. Ricordate le proteste contro i ripetitori? Il principio di precauzione, invocato dai no-tutto di allora, oggi imporrebbe di aspettare i test sui vaccini per anni. Non le poche settimane di Crisanti. I cui dubbi, naturalmente, ora vengono sapientemente isolati dal contesto e sparati in rete (virale) dai complottisti. Pallottole per il nemico, certo. Ma qualche scritta mussoliniana “Taci, il nemico ti ascolta” resiste ancora, sbiadita, sui muri d’Italia. Vogliamo rischiare quel tipo di replay?

Mauro Suttora

Friday, November 26, 2021

Con le nuove tasse saremo considerati Paperoni guadagnando 50mila euro l'anno

di Mauro Suttora

HuffPost, 26 novembre 2021

Altro che “alleggerimento per i ceti medi”. Con la riforma fiscale saremo considerati Paperoni anche guadagnando solo 50mila euro all’anno. L’aliquota massima del 43% viene infatti abbassata a questa cifra dalla precedente soglia dei 75mila. 

L’Italia conquista così due record fra i Paesi G7: l’ultimo scaglione Irpef, quello dei ricchissimi, inizia più in basso di tutti; e l’aliquota più alta per i redditi da 50mila euro.

In Francia la soglia massima, del 45%, comincia solo dai 157mila euro. E a 50mila si paga appena il 30%, il 13% meno di noi. 

In Germania si è considerati ricchi (e tassati al 45%) oltre i 260mila euro. A 50mila l’aliquota è del 39%.

La Spagna non fa parte dei G7, ma è la più simile all’Italia: scaglione massimo con imposta anche qui del 45% a partire dai 60mila. Ma a 50mila si paga molto meno: 37%.

Gli altri Paesi G7 sono il vero paradiso dei ceti medi. Negli Usa con 50mila dollari si è tassati al 12% a livello federale, più qualche punto da ogni stato (zero in Florida, 6% a New York, 8% in California). L’aliquota massima federale, 37%, scatta a 622mila dollari.

Regno Unito, Giappone e Canada colpiscono i redditi da 50mila euro col 20%, meno della metà di noi. Le aliquote massime britannica e giapponese sono del 45%: a Londra oltre i 175mila euro (150mila sterline), a Tokyo ce ne vogliono 312mila (40 milioni di yen).

Il Canada è quello che tratta meglio i suoi Paperoni: lo scaglione massimo è solo del 33% e scatta a 150mila euro (216mila dollari canadesi).

Mauro Suttora

Wednesday, November 24, 2021

Ennio Doris, l'unico che ha abbattuto le due grandi idiosincrasie dell'amico Berlusconi

Ricordo dell'uomo che per quarant’anni ha gestito il futuro (i risparmi) di milioni di italiani 

di Mauro Suttora

HuffPost, 24 novembre 2021

Lui vedeva i tramonti, Berlusconi le albe. La villa di Ennio Doris a Porto Rotondo, appartenuta a Shirley Bassey, sta a punta Volpe e dà a ovest. La Certosa dell’ex premier, a punta Lada, guarda invece a est. E quando Silvio andava a trovare Ennio all’ora dell’aperitivo gli diceva sempre che per questo lo invidiava.

Doris è stato l’unico ad abbattere due grandi idiosincrasie di Berlusconi: quella contro le persone alte (era 1,90), e quella per il controllo totale delle sue società. Mediolanum, infatti, è l’unica joint venture in cui il Cavaliere ha accettato di stare in minoranza. È stato un bene per entrambi. A Doris, amicissimo ma a distanza di sicurezza, ha evitato i guai di Mani Pulite. E Berlusconi ha guadagnato miliardi senza impegno: un investimento d’oro. Oggi sia l’uno che l’altro sono fra i cinque uomini più ricchi d’Italia.

Si sono fatti da soli, ma Doris di più: mentre l’ex premier ha prosperato nel campo delle concessioni (edilizia, tv), e quindi ha sempre avuto bisogno di entrature politiche prima di mettersi in proprio con Forza Italia, il fondatore di Mediolanum negli anni ’60 vendeva polizze porta a porta girando in auto per il suo Veneto. Non è stato mai aiutato da nessuno, tranne una volta. 

Narra la leggenda che nel 1981 lesse le seguenti parole di Berlusconi in un’intervista: “Se qualcuno ha un’idea e vuole diventare imprenditore, mi venga a trovare. Non vada da Agnelli o De Benedetti, non lo riceveranno. Io sì, e se l’idea è buona la realizzeremo insieme”.

Doris va a trovarlo a Portofino, ed è fatta. Mediolanum ha un enorme successo, nel ’96 si quota in Borsa, e Doris ricambia il favore: fa entrare Berlusconi nel salotto buono di Mediobanca che lo snobbava.

Doris diventa famoso con lo spot in cui traccia per terra un cerchio con il bastone, pronunciando lo slogan “Una banca intorno a te”. Ma è l’unica eccezione fatta alla sua totale riservatezza, agli antipodi dall’esuberanza berlusconiana.

Una delle sue rare interviste me la diede nel luglio 2020, per i suoi 80 anni.
Era appena arrivato in Sardegna dopo il lockdown assieme ai nipotini nella montagna veneta. Aveva fatto installare una postazione per le riunioni con Zoom al primo piano della villa.

Nel salone solo la moglie Lina con un’amica. Nessuna corte glamour, come nell’altra villa. Una ventata di energia ottimista: “Grazie al virus abbiamo accelerato cambiamenti come lo smart working, che altrimenti avremmo messo anni per attuare”.

Cattolicissimo, per mezza intervista mi raccontò le gesta di Chiara Amirante e della sua comunità Nuovi Orizzonti, che beneficiava generosamente. Quest’estate gli ho proposto un replay dell’intervista, ma era già malato.
Il figlio 53enne Massimo, che guida Mediolanum da una decina d’anni, ha appena fatto realizzare dal regista Fernan Ozpetek un filmato aziendale: ‘L’uomo che inventò il futuro’. Per quarant’anni Ennio Doris ha gestito il futuro (i risparmi) di milioni di italiani.

Mauro Suttora 

Saturday, November 20, 2021

“Conte ha chiuso, i grillini esploderanno durante l’elezione del Colle”

CAOS M5S 

intervista a Mauro Suttora

www.ilsussidiario.net, 20 novembre 2021

Conte non governa più M5s, le fronde interne parlano chiaro. Di Maio farà con lui come ha fatto con Di Battista. Il Pd cerca di attrezzarsi.

 

Renzi che dal palco della Leopolda esorta il presidente Rai Fuortes a dare a Conte almeno Rai Gulp; Spadafora (suo ex ministro) che dice di Conte “troppi errori, è un leader debole che silenzia il dissenso”. L’ex premier è in crisi e ha scoperto che guidare i 5 Stelle è più difficile che stare a palazzo Chigi.

Ma il vero buco nero dello scenario politico saranno i voti pentastellati quando si tratterà di eleggere il successore di Mattarella. Nel Pd lo hanno capito e stanno affondando il colpo: Conte ha fallito, forse Di Maio farà meglio di lui. Il commento a bruciapelo di Mauro Suttora, opinionista di HuffPost, già inviato di Europeo e Oggi.

Conte appare in difficoltà. Quanto durerà?

I grillini gli esploderanno in mano a gennaio, quando si voterà sul Quirinale. Già oggi più di cento eletti, sui 300 entrati in parlamento nel 2018, non lo seguono più. E fra due mesi quelli che obbediranno alle sue indicazioni per il successore di Mattarella saranno ancora meno.

Spadafora è stato durissimo con Conte: “Sulla Rai ha sbagliato tutto”, ha detto. Che errori ha fatto?

Non si può lottizzare per anni, incassare direttori – Carboni al Tg1, Di Mare a Rai3 – e poi lamentarsi se in una lottizzazione prendi meno posti. Soprattutto se sei un movimento nato proprio per eliminare la lottizzazione dei giornalisti Rai. È come se un rapinatore protestasse perché i complici gli danno meno della sua parte di refurtiva.

Sempre Spadafora lo ha accusato di silenziare il dissenso interno. Di chi parliamo?

Dei dimaiani e dei movimentisti, due delle tre correnti in cui sono divisi i grillini. I contiani decidono tutto da soli, anche l’annuncio del boicottaggio contro la Rai è stato dato senza discuterne prima con gli altri. Ma il vero dramma, per loro, è che stiamo commentando le parole di Spadafora: uno che fra i grillini non ha mai contato niente.

Si dice che Di Maio sulla Rai abbia fatto una trattativa personale. In ogni caso senza ottenere grandi risultati. Cosa puoi dirci in proposito?

Non lo so, ma visti i risultati il Pd ha messo nel sacco sia Conte che Di Maio.

Il ministro degli Esteri che obiettivo ha? Prendere la guida di M5s dopo avere logorato Conte?

Sì, come ha già fatto con Di Battista. Sì è creato la sua corrente, è bravo, giovane, lingua sciolta, cervello fino. Occupa da due anni la poltrona più prestigiosa del governo dopo quella del premier, ha fatto inversione a U rispetto al populismo e terzomondismo grillino. Quasi non si crede che ancora nel 2019 tifasse per i gilet gialli che mettevano a ferro e fuoco Parigi contro Macron. È stato lui a inventare Conte, proponendolo prima ministro e poi premier. Ma Conte se l’è dimenticato, non gli è riconoscente. Il potere gli ha dato alla testa.

A chi risponderanno i voti dei 5 Stelle quando si tratterà di eleggere il presidente della Repubblica?

Appunto: non rispondono a nessuno. Irresponsabili, nel vero senso della parola. Nel senso che non rischiano nulla, sanno che quasi nessuno di loro verrà rieletto. Mai, in 76 anni di Repubblica, c’era stata una massa così grossa di centinaia di peones incontrollabili.

Il Pd ha bastonato Conte sulla Rai, però i 5 Stelle a Letta servono. Non è chiaro quanto gli serva Conte, a questo punto. Meglio Di Maio?

Ormai siamo arrivati al capolinea. Letta ha sbagliato a umiliare i grillini nella spartizione Rai. Quelli si sono incattiviti, perché hanno capito che in politica nessuno regala niente a nessuno. E al Pd fa comodo ogni voto che riuscirà a strappare al M5s nelle prossime elezioni.

Anche Zanda ha apostrofato chi sta guidando i 5 Stelle. Cioè Conte.

Sì, ma per i democratici è indifferente chi guidi i grillini. Conte è ancora il politico più popolare dopo Draghi nei sondaggi, sta al 40%. Però non sarà lui il candidato premier del centrosinistra, ormai il suo momento è passato.

Nasce “Alternativa” di Pino Cabras: una sorta di ex M5s più stile gialloverde. Sono contro il governo. “Il primo passo sarà non far eleggere Draghi presidente Repubblica”, hanno dichiarato. Voteranno con il centrodestra?

Extra ecclesia nulla salus: fuori dalla chiesa M5s non c’è alcuna salvezza per i grillini. Soprattutto per i carneadi come questo Cabras. L’unico ex che può sperare di raccattare un 5% è Di Battista. Gli altri si venderanno al miglior offerente: destra, sinistra, centro, è indifferente. Uno di loro ha appena resuscitato la falce e martello comunista, un altro Potere al popolo, altri ancora si aggrappano al simbolo di Di Pietro. Spariranno tutti.

Una tua previsione sul Colle?

Draghi. O la Casellati, se riuscirà a continuare a non fare parlare di sé nelle prossime settimane. Chi si espone si brucia, come nelle volate ciclistiche.

E sulla legislatura?

Se i parlamentari non perdessero la pensione se non raggiungono i quattro anni e mezzo di mandato, non ci sarebbe alcun motivo per non votare a primavera. Questo Parlamento non è più rappresentativo, i grillini e tanti altri sono solo morti che camminano: zombies.

Federico Ferraù 

Wednesday, November 17, 2021

Nessun segnale di speranza per i diritti civili a Cuba

“Inutile girarci attorno: abbiamo perso" è lo sconsolato messaggio di un dissidente


di Mauro Suttora

HuffPost, 17 novembre 2021


“Inutile girarci attorno: abbiamo perso. Molti di noi non sono riusciti neanche a uscire di casa. Altri che manifestazione! Siamo demoralizzati. Ci vorranno mesi prima di riuscire a organizzare un’altra protesta. Forse anni”. Da Cuba arriva sconsolato il messaggio di un dissidente. I cortei pacifici che lunedì avrebbero dovuto replicare dopo quattro mesi il sollevamento spontaneo di luglio sono falliti.

Il nuovo presidente Miguel Diaz-Canel, che da aprile ha rimpiazzato Raul Castro, fratello di Fidel, ha per ora sgominato la resistenza nata dalla crisi economica e dall’assenza di libertà. Ormai manca il cibo, l’elettricità va e viene con blackout di ore, i turisti sono spariti e pochi torneranno questo inverno come tutti speravano, perché la quarta ondata del virus in Europa rallenta le prenotazioni.

Perfino la sanità è crollata davanti al covid: ora la curva si è abbassata, ma fino a metà settembre i morti rasentavano i cento al giorno. Che per un Paese di undici milioni di abitanti equivalgono a 600 in Italia.

La mobilitazione nazionale era stata annunciata pubblicamente dagli oppositori con largo anticipo, cosicché il regime ha avuto il tempo per prepararsi, dispiegando tutta la forza dell’apparato repressivo collaudato in 63 anni di dittatura. I dissidenti più noti come Saily Gonzalez Velazquez sono stati bloccati in casa già il giorno prima. Yunior Garcia non ha potuto neanche affacciarsi alla finestra: i vicini ‘patrioti’ del piano di sopra gliel’hanno oscurata srotolando una grande bandiera cubana. 

Soltanto una dozzina gli arrestati, fra cui Agustin Figueroa Galindo del blog Primavera Digital e Berta Soler Fernandez, leader delle Damas de Blanco, mogli e figlie di prigionieri politici. Di bianco avrebbero dovuto vestirsi i manifestanti lunedì, scendendo nelle strade. Che invece si sono riempite di agenti in borghese e militanti del partito comunista, che a Cuba conta un milione di iscritti. Così gli oppositori hanno mestamente ripiegato su un video online in cui mostrano lenzuola bianche, e su pentole con cui battere ogni sera alle nove.

“I delatori hanno fatto il loro mestiere, e hanno spifferato i nostri piani alla polizia”, si lamenta il dissidente. “Sapevano tutto di noi: orari, punti di incontro, indirizzi dei coordinatori all’Avana e nelle altre città. Non possiamo fidarci di nessuno, le spie sono dappertutto. Possono essere i nostri amici, parenti, vicini di casa. Ormai, per essere sicuri di non essere intercettati, dobbiamo mandare i bambini a consegnare messaggi. Siamo tornati indietro di un secolo, a prima del telefono. Altro che internet e chat. Perfino se ci parliamo di persona siamo ascoltati da microspie, in casa o nei bar, e dai radar dei poliziotti all’aria aperta”.

Quindi l’unica vostra arma resta la sorpresa. “Sì, come a luglio. Ma in quel caso perdiamo il controllo, c’è violenza, gruppi di vandali si scatenano e danno la scusa ai poliziotti di intervenire con durezza. Invece ci sono due cose su cui tutti i movimenti riuniti nella piattaforma Archipielago concordano: vogliamo manifestazioni pacifiche, e niente aiuti dall’estero. Cioè dai fuoriusciti cubani in Florida: fra loro ci sono troppi fascisti”.

Chi può, scappa. Un mese fa nove giocatori di baseball cubani hanno chiesto asilo politico in Messico durante la Coppa del Mondo under 23. Sono però ancora mezzo migliaio gli incarcerati dopo i disordini dell′11 luglio. Alcuni di loro sono stati processati e colpiti con sentenze devastanti: anche trent’anni di carcere per avere sfidato la quiete del regime.

Insomma, non c’è alcun segnale di speranza per i diritti civili a Cuba. Il governo riesce a censurare perfino la parola ‘libertad’ quando appare nei messaggi delle chat, in una continua lotta fra aperture e chiusure di gruppi WhatsApp, Telegram e Facebook. Ma tutti i provider hanno l’obbligo di segnalare ogni “attività controrivoluzionaria”.

Dal Venezuela alla Cina, dalla Corea del Nord alla Birmania, dal Vietnam all’Arabia Saudita, le dittature sembrano controllare la situazione in questi ultimi anni. Anche perché quando i dittatori cadono, come Saddam e Gheddafi, non sempre il risultato è positivo in termini di ordine pubblico e sicurezza. E Cuba non fa eccezione a questa tendenza mondiale.

Mauro Suttora 

Monday, November 15, 2021

Maria Grazia Cutuli, smettete di chiamarla giovane collega



Moriva vent'anni fa, ammazzata in Afghanistan. Fino a due anni prima era solo una precaria, fra sostituzioni di maternità e contratti a termine

di Mauro Suttora

HuffPost, 15 novembre 2021

Adesso Maria Grazia Cutuli è una via di Milano, fra Lambrate e l'Ortica. Fu ammazzata in Afghanistan vent'anni fa, il 19 novembre 2001. Due suoi assassini sono stati condannati nel 2018 in Italia a 24 anni. Erano in carcere a Kabul, chissà se quest'estate i talebani li hanno liberati. 

Speriamo che nel ventennale della sua morte i giornalisti italiani non la definiscano ancora «giovane collega»: non si è più giovani a 39 anni. Quanto alla «collega», anche lì ci andrei cauto: fino a due anni prima Maria Grazia era solo una precaria, fra sostituzioni di maternità e contratti a termine.

Proprio come tutti i «martiri» della corporazione che, ha notato sarcastico il Guardian inglese, ha bisogno di «eroi» per giustificare le proprie sudditanze e frustrazioni. Giancarlo Siani, ucciso nell’85 dai camorristi, era un abusivo del Mattino di Napoli; Ilaria Alpi non era assunta dal Tg3. 

E Antonio Russo, assassinato nel 2000 in Georgia? Dimenticato perché cronista di Radio radicale, denuncia il Guardian. Eppure Russo fu l’unico giornalista al mondo che nel 1999 rimase a Pristina sfidando le deportazioni e le stragi serbe in Kosovo, ricevette premi per questo. Poi però si era intestardito a occuparsi di argomenti «a perdere» come la Cecenia, massacrata dai russi.

Con la Cutuli fu ucciso Julio Fuentes. Lo conobbi quando era a Milano come corrispondente del quotidiano spagnolo El Mundo e stava con Maria Grazia. Lui sì che potè fare il suo mestiere da «giovane». Perché, come succede nei media di tutto il pianeta tranne l’Italia, in Spagna i reporter hanno 20-30 anni. Si comincia così, andando in giro con curiosità ed energia: è il primo gradino del cursus honorum, anche poco pagato. Poi, una volta quarantenni, messa su pancetta e famiglia, ci si fissa in redazione, si incassa l’aumento e si diventa writer, editors, capiredattori, «culi di pietra».

Da noi invece accade il contrario: la nomina a inviato speciale arriva verso i 40-50 anni, cioè proprio quando la disponibilità a «consumare la suola delle scarpe» diminuisce. È capitato a Ettore Mo, il migliore di tutti, e anche alla Cutuli nominata inviata «sul campo». Santo.

Risultato: ogni volta che sono andato per guerre ho incontrato due tipi di giornalisti. C’erano gli americani, inglesi, francesi, tedeschi, spagnoli, che partivano all’alba e tornavano in albergo impolverati solo verso sera, per trasmettere i loro servizi. Poi c’era il gruppetto degli italiani, distinti e simpatici cinquantenni che distillavano preziose analisi geopolitiche ai bordi piscina, sorseggiando cocktail e controllando ogni tanto le agenzie per vedere se era successo qualcosa.

Non li biasimavo: alla loro età sarebbe stato crudele spingerli fuori, nel fango, fra le pietre, non parliamo di sacchi a pelo, i reumatismi. Uno dei più brillanti di loro, stanziato per un mese nel 1990 all’Intercontinental di Amman durante la prima guerra del Golfo, aspettando inutilmente il visto per Bagdad, riuscì a farsi confezionare due completi su misura da un sarto giordano, a spese del giornale.

Un altro, al quale l’allora mio direttore Vittorio Feltri aveva chiesto una copia di un qualsiasi giornale iracheno, per tradurlo e allegarlo al settimanale Europeo, gli rispose che non si trovavano più. Appena atterrato ad Amman feci fermare il taxi al primo incrocio, comprai da uno strillone un quotidiano stampato a Bagdad e lo spedii a Milano. «Ma qui, nell’edicola interna dell’hotel, non li vendono più», mi spiegò il grande inviato speciale, «e fuori è pericoloso uscire, da quando gli arabi hanno picchiato Lilli Gruber».

Un’altra particolarità italiana sono i posti da corrispondente estero. Siamo gli unici al mondo a non farli ruotare ogni tre anni, come capitò anche a Fuentes. La loro principale funzione, da noi, è accogliere ex direttori o caporedattori trombati, possibilmente ignari della lingua locale.

Ecco, anche di queste buffe cose parlavamo con Maria Grazia. Dei giovani giornalisti italiani costretti a marcire per anni di fronte a un computer mentre i loro coetanei dei media esteri raccontano il mondo, magari in classe economica, in bus, in treno, in alberghi non a 5 stelle, magari senza autista privato, scorta militare e traduttore al seguito. Magari in bici, come Beppe Severgnini a Pechino nel 1989 prima della strage di piazza Tian an men. E i loro colleghi «anziani» intanto facevano colazione con ambasciatori e collezione di note spese, telefonavano a mogli, amanti, e scacciavano la noia con un bicchierino o due.

Ultimamente le cose sono migliorate: a turno, ogni tanto, con cautela, anche i giovani vengono spediti fuori dalle redazioni, a prendere un po’ d’aria. A scoprire com’è fatta la realtà. «Ma ormai c’è la rete», obiettano i direttori, molti dei quali non si sono mai spinti (professionalmente) oltre Milano e Roma. Fanno bene: si diventa direttori così in Italia, mica cercando notizie a Peshawar o a Cinisello Balsamo. Anche perché, scriveva il collega Benjamin Franklin, «le notizie sono solo quelle che dispiacciono a qualcuno. Tutto il resto è pubblicità». La Cutuli lo aveva capito, e per questo era considerata una rompicazzo tremenda. Altro che «giovane collega», valorosa postuma.

Mauro Suttora

Sunday, November 07, 2021

Adesso a Renzi infiliamogli anche una videocamera nel bagno






Il Fatto pubblica l'estratto conto del leader di Italia viva, precisando: nulla di illecito. E allora, dov’è la notizia? Ma soprattutto, dov’è lo scandalo? 

di Mauro Suttora

HuffPost, 6 novembre 2021


Adesso vogliamo vedere anche il fascicolo sanitario di Matteo Renzi. Come vanno le sue analisi? Ha pagato i ticket? O li ha addebitati alla sua fondazione Open, il mascalzone?

Benvenuti nell’era della trasparenza totale. Il partito che la propugnava, il grillino, è sparito, come sostiene Di Battista: la nuova gestione Conte ha smesso di urlare ‘onestà‘, i suoi parlamentari non ‘rendicontano’ più i loro stipendi. Ma il guardonismo resiste. Oggi Il Fatto ha pubblicato l’estratto conto dell’ex premier: tutte le entrate percepite dal giugno 2018 al marzo 2020 presso la filiale della sua banca al Senato.

A scanso di querele, il giornale precisa: nulla di illecito. Sono gli incassi di due anni per il nuovo (secondo) lavoro di Renzi, dopo la sua estromissione da palazzo Chigi nel 2017: conferenziere internazionale, da 20 a 50mila euro per ogni discorso. Più i 653mila di Lucio Presta per il famoso documentario su Firenze. Totale, sui due milioni.

Un bel prendere, come diciamo a Milano. Ma tutto dichiarato: il 730 di Renzi del 2020 infatti indica un reddito di un milione, quello precedente 800mila.

E allora, dov’è la notizia? Ma soprattutto, dov’è lo scandalo? Da nessuna parte. Lo precisano perfino gli inquirenti, che però depositando gli atti di una delle ben tre inchieste aperte su Renzi non hanno resistito ad allegare questa succulenta lista della spesa. O della serva, visto che “gli incassi dell’ex premier non sono oggetto di indagine”.

Insomma, eccoci servito un bel buco della serratura dentro cui gli odiatori di Renzi possono soddisfarsi guardando, spiando, sospettando. Bastano i soliti nomi a eccitarci: Arabia Saudita, Benetton, banche. Sì, al senatore piace la dittatura di Riad, un po’ come a Prodi e a tanti altri piace quella di Pechino. La famiglia “assassina del ponte Morandi” (cit. 5 stelle) ha versato 20mila a Renzi, probabilmente per l’ennesimo speech, ma chissà che non sia un altro “rapporto contrattuale fittizio” su cui aprire una quarta inchiesta, dopo quella sul documentario di Presta. 

E le banche, oh, le banche. Peggio: i 147mila euro dalla società di gestione del risparmio Algebris, sicuramente speculativa visti gli ottimi rendimenti sbandierati. Dai, Matteo, confessa: è una tangente, va bene che sei un chiacchierone, ma quanti discorsi avresti fatto per pigliare tutti ’sti soldi?

Non ricordiamo estratti di conti correnti privati pubblicati su Fanfani, Leone, Andreotti, Forlani, Craxi, Berlusconi. Eppure metà Italia detestava anche loro. 

Non vediamo inchieste sulle tante fondazioni che affollano il sottobosco politico, organizzando convegni e viaggi per quasi tutti i parlamentari di destra e sinistra. Possibile che solo quella di Renzi abbia violato la legge sui finanziamenti ai partiti?

Ma soprattutto: com’è che un politico valutato al 2-3% attira tanta strabiliante attenzione? Dicono che sia perché è stato lui a far cadere gli ultimi due governi, e a far installare Draghi. E allora cosa aspettiamo? Infiliamogli pure una videocamera nel bagno.

Mauro Suttora 

Friday, November 05, 2021

Da Zeno a Puzzer: quanto sei matta, cara Trieste

Piccolo campionario di strampalati triestini, dal 1874 a oggi. Magia della città di frontiera

di Mauro Suttora

HuffPost, 5 novembre 2021

Trieste si sta confermando serbatoio inesauribile di personaggi originali. Gli ultimi sono i portuali, che installati all’avanguardia del movimento nopass hanno regalato al Friuli-Venezia Giulia il record di contagi, ricoverati e rianimazioni covid.

Il loro capo Stefano Puzzer ha combinato casini, si era messo a trattare per conto dei novax senza autorizzazione, ha dovuto dimettersi, è andato a Roma, ma lo hanno cacciato anche da lì con un daspo.

Quanto al neofascista Fabio Tuiach, già consigliere comunale di Forza Nuova, il virus lo ha infettato. “Colpa degli idranti”, ha detto convinto. “Ho preso freddo durante lo sgombero, ho avuto 39 di febbre, ma era solo un’influenza. Il Covid esiste solo nella mente degli ipnotizzati”. L’anno scorso esprimeva un’altra teoria: “Il virus è una punizione divina per i froci”. Naturalmente tutti i talk show sono corsi a intervistarlo, ma lui non ha ‘spaccato’: solo qualche balbettio con un rosario in mano.

Fatto sta che Trieste ha attirato refrattari al vaccino da tutta la penisola. Un po’ come i legionari dannunziani nel 1919 per l’impresa di Fiume, o gli ultimi irredentisti nel 1954 quando il capoluogo giuliano tornò all’Italia dopo la guerra e il purgatorio del Territorio libero. Altra ribalta nazionale nel 1978: il Melone inaugurò l’era delle liste civiche, anticipando di un decennio il localismo della Lega.

Non è quindi la prima volta che questa stupenda città di frontiera ci regala ‘soggettoni’ da film. Il giornalista e scrittore Pietro Spirito ha appena pubblicato il libro ‘Gente di Trieste’ (ed. Laterza), in cui racconta una dozzina di incredibili vicende.

Quella di Carl Weyprecht, per esempio, che nel 1874 stava per diventare il primo esploratore a conquistare il polo Nord. Ma la sua nave si arenò nel ghiaccio, e dopo un blocco di due anni rimase incagliata sulla banchisa, inutilizzabile a otto metri di altezza. Weyprecht e i suoi marinai istriani dovettero abbandonarla e tornare mestamente indietro. Ma furono accolti con tutti gli onori perché avevano scoperto un grande arcipelago: la Terra di Francesco Giuseppe, che intitolarono appunto al loro imperatore austroungarico.

Altri eccentrici avventurieri partiti da Trieste furono nel 1948 Glauco Gaber e tre compagni su una scialuppa a vela e motore di sette metri che, dopo una traversata atlantica di un anno e mezzo, li fece approdare a Buenos Aires. Accolti dal presidente argentino Peron e da folle festanti, propagandarono l’italianità di Trieste, allora rivendicata dalla Jugoslavia.

Nel 1943 un prigioniero di guerra triestino, Felice Benuzzi, beffò le guardie inglesi che lo tenevano prigioniero in Africa dopo la caduta dell’Etiopia, e fuggì per scalare i 5mila metri del vicino monte Kenya. Poi ritornò imperturbabile nel campo d’internamento: un mese di cella di rigore, ma grande ammirazione in Gran Bretagna, dove nel dopoguerra il suo libro divenne un bestseller.
Sono tanti i triestini strampalati raccontati da Spirito. Forse il più incredibile è stato Rodolfo Maucci, costretto dai nazisti a dirigere il quotidiano locale Il Piccolo nel 1944-45, durante l’occupazione tedesca. Lui non voleva, era solo un critico musicale e notista politico, ma i nuovi padroni lo individuarono come il più adatto a guidare il giornale in quel periodo drammatico.

Maucci era disperato, sapeva che le sorti della guerra erano segnate, e che dopo la sconfitta dei nazifascisti avrebbe pagato il suo collaborazionismo. Allora escogitò una furbizia per scamparla: ogni giorno, metodicamente, nascondeva o attutiva le cronache e i titoli più sfacciatamente propagandistici, per confezionare un giornale per quanto possibile equilibrato.

Naturalmente questa sua fronda non sfuggì ai fascisti e nazisti più fanatici, che cercarono varie volte di cacciarlo. Ma un illuminato capo tedesco dell’Ufficio propaganda lo protesse per un anno e mezzo, impedendo l’arresto di Maucci e il suo probabile internamento in qualche lager nazista.

Nel maggio 1945 arrivarono i partigiani jugoslavi e chiusero Il Piccolo. Incarcerarono il protettore tedesco, che morì prigioniero a Lubiana. Non fecero in tempo ad arrestare Maucci, ma lui non fece in tempo ad assaporare la libertà: due giorni dopo la liberazione di Trieste da parte dei soldati neozelandesi e inglesi morì d’infarto a 55 anni.

Dallo Zeno di Svevo ai matti liberati da Basaglia negli anni ’70, sono tante le persone borderline che hanno affollato questa città di confine. Non per nulla confine in inglese si traduce ‘border’. Anche i personaggi dei romanzi di Tomizza appaiono divisi in due, con le loro vite a cavallo della frontiera istriana. Insomma, il destino sghembo di Trieste è segnato nella sua storia e geografia. Perciò i triestini ora osservano i pittoreschi novax accampati in piazza Unità con curiosità atavicamente tollerante.

Mauro Suttora

Monday, November 01, 2021

Clima: Greta, il frigo di Rita Pavone e un altro bla bla bla



Cinesi, russi e indiani cominciano a conoscere il benessere e non si adeguano. Che fare: dichiarargli guerra? 

Mauro Suttora



HuffPost, 1 novembre 2021

Successo o fallimento di Draghi? Il ‘suo’ vertice G20 di Roma ha deciso che per frenare il riscaldamento globale gli stati dovranno pareggiare le emissioni di anidride carbonica “entro o vicino alla metà del secolo”.

Cade la data del 2050, cui restano impegnate solo Europa e Usa. Cina e Russia promettono 2060, l’India non indica obiettivi.

Il solito “blablabla”, come accusa Greta Thunberg? “Speranze disattese”, ammette il segretario Onu Antonio Guterres. “Abbiamo fatto passi avanti”, si accontenta il presidente Usa Joe Biden.

Come sempre, la verità sta nel mezzo: “Dobbiamo capire le ragioni dei Paesi emergenti”, ha spiegato Draghi. Fornendo un esempio concreto: “La Cina produce metà dell’acciaio mondiale con centrali a carbone, la transizione ecologica non è facile”.

Soprattutto, non è facile convincere la Cina a ridurre le sue emissioni, che rappresentano il 30% del totale mondiale. L’intera Unione europea, per dire, è solo all′8%. Inutile, quindi, abbassare i nostri gas serra se nel resto del mondo si continua a inquinare. Usa, Russia e India sono responsabili per il 26%.

“Ci vuole equilibrio fra gli interessi dei fornitori e dei consumatori di risorse energetiche”, avverte la vecchia volpe Sergei Lavrov, ministro degli Esteri russo. Tradotto: Mosca basa il proprio benessere sull’export di petrolio e gas, le energie rinnovabili la danneggiano. Quindi solare ed eolico possono aspettare. Intanto, vi aumentiamo le bollette del gas.

Quanto all’India, il suo miliardo e 400 milioni di abitanti sono il triplo degli europei, ma consumano e inquinano meno di noi. Colpevoli o virtuosi?

Nella sua autobiografia scritta con Emilio Targia, Rita Pavone ricorda che il primo frigo in famiglia arrivò nel 1962. Anche Gianni Morandi ha appena raccontato a Maurizio Costanzo che fino a quella data a Monghidoro avevano solo la ghiacciaia.

Ecco, cari Greta e principe Carlo. Cosa diciamo ai miliardi di cinesi, indiani e africani che non hanno ancora il frigo in casa? Che per la salvezza del pianeta devono rinunciare a questo ‘lusso’? E anche all’auto, e all’aria condizionata?

Europa e Usa trent’anni fa hanno trovato conveniente far lavorare i cinesi al posto nostro. Abbiamo delocalizzato, quindi ora in Cina si produce per noi. E si inquina, proprio come a Sesto San Giovanni mezzo secolo fa. Il nostro pil, invece, si basa su attività ad alto valore aggiunto, ‘pulite’, leggere, sostenibili, a bassa impronta ecologica: finanza, turismo, arte, moda, enogastronomia.

Insomma, facciamo i ricchi con le emissioni degli altri. Che miracolo doveva quindi compiere Draghi, per “avere successo” al vertice? Minacciar guerra a Cina, Russia e India?

La verità è che siamo tutti sulla stessa barca. Anzi, sulle stesse gigantesche navi portacontainer in fila negli oceani e a Suez per portarci tutte le merci made in China (con emissioni incorporate) che allietano la nostra vita. Paghiamo un frullatore 30 euro invece dei 100 che ci costerebbe se fosse prodotto qui, a chilometro zero.

I cinesi sono i novax del cambiamento climatico: basta un 20% di refrattari al vaccino, o alla riduzione dei gas serra, per impedire al resto del mondo di raggiungere il risultato auspicato. Il nostro auspicio è quindi che Greta e il principe Carlo organizzino la prossima manifestazione verde non a Glasgow, ma a Pechino.

E magari ricominciamo tutti a parlare di sovrappopolazione, principale causa delle emissioni antropiche.

Mauro Suttora