Wednesday, September 28, 2022

Referendum-farsa? Putin si metta in coda, qui in Italia siamo maestri

Siamo nati sul 99% dei plebisciti risorgimentali dal 1859 al 1870. Perché le consultazioni popolari che ratificano conquiste territoriali già avvenute sono sempre una truffa. E anche in Francia ne sanno qualcosa

di Mauro Suttora

HuffPost, 28 settembre 2022

Vladimir Putin esulta per il 97% del suo referendum farsa nell’Ucraina occupata? Poteva far meglio: l'Italia nacque sul 99% dei plebisciti risorgimentali dal 1859 al 1870. Perché le consultazioni popolari che ratificano conquiste territoriali già avvenute sono sempre una truffa. E spesso non occorrono neanche minacce plateali, come i mitra spianati da Putin per stanare in casa gli ucraini riluttanti a votare. 

Ne "Il Gattopardo" il sindaco di Donnafugata, interpretato nel film da Paolo Stoppa, annuncia il risultato del plebiscito sull'unione della Sicilia all'Italia nel 1860: "Iscritti 515, votanti 512. Sì 512, No zero". Eppure tal Ciccio Tumeo assicura: "Io avevo votato no. E quei porci in municipio s'inghiottono la mia opinione, la masticano e poi la cacano via trasformata come vogliono loro".

Con questi metodi noi italiani abbiamo preso, ma anche perso. Nell’800 si usava così. Nizza, regalata nel 1860 da Cavour a Napoleone III in cambio della Lombardia, nel referendum confermativo diede ai francesi 6.921 Sì, con solo undici No. Ma il vero voto i nizzardi lo espressero coi piedi negli anni seguenti, quando un quarto di loro si trasferì in Italia.

Pochi ricordano che nel 1871, aizzati dal loro concittadino Giuseppe Garibaldi dopo la sconfitta di Napoleone III a Sedan, scatenarono i Vespri nizzardi. La neonata Terza Repubblica francese aveva infatti indetto le prime libere elezioni dopo l'impero, stravinte in città col 90% dalle liste filoitaliane contro l'annessione. 

Ma, alla faccia di libertà e democrazia, a Parigi prevalse ancora il nazionalismo: mobilitazione di diecimila soldati, occupazione di Nizza, chiusura del giornale pro-italiano "Il Diritto", incarcerazione dei patrioti italiani. La popolazione reagì, assalì la prefettura e ne ruppe le finestre a sassate gridando "Viva l’Italia, viva Garibaldi!”. Su un cartello fu issata la scritta "Inri: I nizzardi ritorneranno italiani". Ma dopo tre giorni di scontri e molti feriti e arresti, le cariche di cavalleria francesi ebbero la meglio.

Il 13 febbraio 1871 al deputato Garibaldi, che si era fatto eleggere nella nuova Assemblea nazionale francese convocata a Bordeaux, fu addirittura impedito di parlare. E lui si dimise da deputato con queste amare parole: “Ho sempre saputo distinguere la Francia dei preti dalla Francia repubblicana, che sono venuto a difendere a Digione con la devozione di un figlio”. Ma l’unico a difenderlo fu Victor Hugo.

Dopo i Vespri furono allontanati da Nizza gli ultimi irredentisti reduci dal Risorgimento italiano (era nizzardo anche Augusto Anfossi, comandante nelle Cinque giornate di Milano, ucciso sulle barricate). Si rafforzò la francesizzazione nell’ex provincia di Nizza sabauda, furono chiusi tutti i giornali in lingua italiana, si completò la cancellazione degli antichi toponimi locali. Ne fecero le spese perfino i cognomi: tanti Bianchi divennero Leblanc, e i Del Ponte Dupont.

Replay dopo la Seconda guerra mondiale con Briga e Tenda. I tedeschi fuggono dall’alta val Roja il 24 aprile 1945, le due cittadine sopra Ventimiglia vengono liberate dai partigiani italiani. Ma due giorni dopo arrivano a Tenda cento soldati algerini (francesi) che li disarmano, dando loro sei ore di tempo per andarsene.

Si tiene un plebiscito con schede prestampate: appare solo il sì all’annessione. L’unico modo di opporsi è votare scheda bianca, altrimenti si perde il diritto alla preziosa tessera annonaria, indispensabile per mangiare. I risultati sono favorevoli alla Francia: a Briga 976 sì e 39 schede nulle; a Tenda 893 favorevoli e 37 astenuti.

Un mese dopo giungono a Tenda gli americani e ripristinano l’amministrazione italiana, che però viene subito rovesciata dai francesi. La tensione è alle stelle. Ci vuole un accordo apposito a Caserta tra Francia e alleati per risolvere la situazione. Il 10 luglio 1945 il reggimento tiratori algerini deve lasciare l’alta Roja. Il Governo italiano a quel punto commette l’errore di invitare i cittadini contrari alla Francia a lasciare le proprie case. Anche Briga e Tenda, quindi, sperimentano il loro piccolo esodo, come in Istria: sono 42 le famiglie che se ne vanno da Briga (su un migliaio di abitanti), 90 da Tenda (su duemila). Nei mesi successivi altre cento famiglie abbandonano il territorio conteso.

Nell’aprile 1946 una commissione di otto membri (due per ogni Paese vincitore: Usa, Urss, Gran Bretagna e Francia) descrive una maggioranza pro-francese a Briga, mentre a Tenda prevalgono gli italiani, fra i quali gli immigrati che lavorano nelle centrali idroelettriche. Ma ormai il destino dell’alta Roja è segnato: gli alleati accettano le richieste francesi, in cambio di forniture elettriche all’Italia per quindici anni. La cessione di Briga e Tenda è appoggiata soprattutto dal ministro degli Esteri sovietico Molotov.

Un nuovo referendum il 12 ottobre 1947 dà la quasi unanimità alla cessione: 2603 sì, 137 nulli, 218 no. Un migliaio di italiani sfollati che tornano per votare vengono però bloccati alla galleria di Tenda. Si ripete, insomma, la farsa vista a Nizza quasi un secolo prima: plebisciti pilotati, intimidazioni, propaganda sfrenata. Certo, l’Italia paga l’attacco vigliacco di Benito Mussolini alla Francia del giugno 1940, con l’annessione di Mentone. Ma in fatto di referendum truffaldini Putin non ha inventato nulla.

Saturday, September 24, 2022

Elogio dell'astensione. So già chi vince: io

Storia di un radicale che nella vita ha votato di tutto e stavolta non vuole votare niente, senza sensi di colpa e finalmente in maggioranza. E che propone di tagliare seggi in proporzione al numero di astensionisti 

di Mauro Suttora

Huffpost, 24 settembre 2022 

Per la prima volta dopo quasi mezzo secolo vincerò le elezioni. Il mio partito risulterà primo, supererà Meloni e Letta, si installerà ben oltre il 25%. Poi noi astenuti faremo approvare una legge per completare l'opera: il numero degli eletti si ridurrà in proporzione ai votanti. Astensione di un quarto degli elettori? Trecento deputati invece di quattrocento, 150 senatori al posto di 200. L'unico modo per contare qualcosa, per fare veramente male.

Byebye Bonino: ti ho sempre votata dal 1979, appena maggiorenne, e i radicali mi piacevano già da prima. Ora non più, inutili cespugli del pd abbonati al 2%. Beautiful losers, direbbe Leonard Cohen. Nelle amministrative, dove Pannella non si presentava, ho votato via via tutti i partiti di protesta: verdi e Dp negli anni '80, Lega e Di Pietro nei '90, anche Grillo alle comunali di Roma 2008 (preferenza Paola Taverna). Una volta ho scelto perfino An: Riccardo De Corato, il miglior vicesindaco di Milano, piantumò un sacco di alberi con la Moratti. Insomma, non ho pregiudizi. 

Inaffidabile? No, laico e pragmatico. Antipolitico? Macché, semmai anarchico, la politica mi appassiona. Qualunquista? No, come tutti ho ideali e idiosincrasie ben precise. Sceglierei Calenda, per esempio, se non fosse filonucleare e per l'aumento delle spese militari. Meloni se non fosse fascista (chissà se le tireranno lo scherzo di far nascere il suo governo il 28 ottobre, nel centenario della Marcia su Roma). Fratoianni e Rizzo se non fossero comunisti. Paragone se non avesse fatto carriera da giornalista leghista solo grazie alla politica, e da politico grillino solo grazie al giornalismo: ora è al terzo riciclo.

Novax e putiniani li escludo automaticamente, quindi niente Salvini e M5s (Conte con l'aggravante del reddito di divananza). Di Forza Italia mi dà noia soprattutto il familismo: perché candidare la Fascina, quasi moglie di Berlusconi, o la pur splendida Patrizia Marrocco, ex di suo fratello Paolo? Vado troppo sul personale? Sì, preferisco le singole persone ai partiti: voterei l'ex magistrato Nordio o l'ex ministro degli Esteri Giulio Terzi (l'unico severo con Cina e Iran) seppur proposti dai Fratelli d'Italia. 

Resta il Pd. Nel mio collegio milanese c'è Misiani, brava persona. Come Letta. Poi però vedo i pd in tv, e mi urtano i nervi: Casini catafratto di legislature, la moglie di Martelli, quella di Franceschini probabilmente responsabile della sua orrenda frangetta giovanilista. In più l'ottimo ministro della Cultura, emigrato a Napoli per farsi eleggere (nella sua Ferrara non ce la fa), era in prima fila alla liquefazione del sangue di San Gennaro, assieme ad altri miracolati come Di Maio. Una scena da terzo mondo.

Ho parlato poco di contenuti? Datemi un partito liberale e la mia crocetta sarà sua. Un La Malfa, un Ciampi, un Padoa Schioppa, un Draghi. Rigore di bilancio, legalità, garantismo, prestigio, serietà fino alla mestizia. 

Nella repubblica degli Escartons (1343-1713), a cavallo tra Francia e Piemonte, il console quando veniva eletto doveva depositare una cauzione personale di 200 scudi. Se dopo un anno il bilancio andava in rosso, li perdeva. Altrimenti li recuperava con gli interessi. Con una regola così, correrei subito in cabina elettorale. Se no, resto fra gli apoti: quelli che non se la bevono, come Prezzolini scrisse nel settembre 1922 sulla Rivoluzione liberale di Gobetti. 

Friday, September 23, 2022

Berlusconi, Putin e il formato Paperissima



Da Vespa pronuncia la più strabiliante e scassata difesa dello Zar. Poi qualcuno dei suoi andrà alla Farnesina… Come cantava il suo amato Aznavour, bisogna sapere quando è il momento di lasciare la tavola

di Mauro Suttora 

HuffPost, 23 settembre 2022  

Se fosse un vescovo, Berlusconi da undici anni sarebbe un felice pensionato. Da cardinale, sei anni fa lo avrebbero interdetto dall'entrare nella cappella Sistina per eleggere il Papa in conclave. Invece lui, convinto di valere assai più di un Papa, giovedì compie 86 anni, come Ratzinger quando si dimise. Ma continua a imperversare. Per la crudele gioia di Crozza e, lo confessiamo, anche nostra: ormai lo guardiamo in tv solo allo scopo di aspettare la sua prossima gag. 

Come in Paperissima, ieri sera ce ne ha regalata una lunghissima. Per due minuti da Vespa ha pronunciato la più strabiliante difesa di Putin mai udita in questi sette mesi di guerra. Poverino, Vlad è stato costretto da quei cattivoni di russi del Donbass ad attaccare, per difenderli dagli ucraini che li stavano sterminando. "Quindicimila morti" sarebbero le vittime filorusse in otto anni nel Donbass. Cifra totalmente campata in aria che ormai neppure i più scatenati propagandisti putiniani osano agitare, visto che nelle guerre metà dei morti stanno da una parte e metà dall'altra. Chi è il complessista che ha infilato questa fake nel briefing per l'intervento più importante di Berlusconi in tutta la campagna elettorale? 

Perché finché si scherza si scherza, ma seppur con un misero 6-8% Forza Italia si appresta a governare l'Italia, e alla Farnesina qualche sottosegretario berlusconiano approderà.

E poi via con le amenità, come le "persone perbene" con cui Putin avrebbe voluto sostituire Zelensky al governo ucraino. Oppure i soldati russi che inopinatamente si sono sparpagliati per tutta l'Ucraina, mentre io dottor Vespa li avrei concentrati su Kiev.

L'altra sera Berlusconi era invece scivolato durante un'intervista alla sua Rete4. Ha detto freudianamente "interessi di conflitto" invece di "conflitto di interessi", colpa trentennale per lui impronunciabile.

Di sicuro prima o poi i politicamente corretti introdurranno anche il reato di gerontofobia. Negli Usa esiste già, lo chiamano 'ageism': proibito scherzare sulle papere degli anziani. Per ora, tuttavia, noi birichini possiamo liberamente sghignazzare sugli svarioni dei nostri adorati nonni con dentiera.

Non che l'età conti granché: Kissinger a 99 anni sembra più lucido del 79enne Biden. E nel 1963 i democristiani tedeschi dovettero ricorrere a un piccolo golpe per rimuovere da cancelliere l'imperterrito 87enne Adenauer.

Questa settimana le due attrici più belle del mondo compiono 88 anni. Ma Sophia Loren e Brigitte Bardot intelligentemente non si mostrano più, altrimenti rischiano di lollobrigidizzarsi.

Allo splendido Silvio, cui ormai siamo affezionati proprio in virtù della sua veneranda età, ci permettiamo di consigliare un ripasso dell'Ecclesiaste, pregno di bimillenaria saggezza: "Per ogni cosa c'è una stagione". Se leggere lo annoia, chieda a Marta o a Licia di mettere sul giradischi (pardon, nella playlist) una delle più belle canzoni dei Byrds: 'Turn! Turn! Turn!'. È in inglese, purtroppo. Ma lo stesso concetto è espresso magistralmente in francese da Aznavour: "Il faut savoir". Quand'è il momento devi sapere lasciar la tavola, ritirarti senza tornare. 

Sunday, September 18, 2022

La fiaba del mago Conte e della Capitanata



Storia di un orto politico coltivato con soldi pubblici

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 18 Settembre 2022

“C’era una volta un bianco castello fatato, un grande mago l'aveva stregato per noi”, gorgheggiava il compianto Jimmy Fontana nel 1968. La canzone era ‘La nostra favola’, e oggi un’altra fiaba sta avvolgendo le contrade della provincia di Foggia. Il mago si chiama Giuseppe Conte: da premier ha beneficiato il suo collegio elettorale con 280 milioni di soldi pubblici. La pioggia d’oro si chiama Cis (Contratto istituzionale di sviluppo) Capitanata (nome borbonico del foggiano). 

Ah, bei tempi quelli dell'agosto 2019: negli stessi giorni in cui Salvini si suicidava al Papeete, il previdente Conte salì in auto col fidato Casalino e andò a Foggia per gettare le basi del suo futuro politico. Mitica la conferenza stampa con cui annunciò il cospicuo regalo ai compaesani. Al suo fianco due personaggi ormai scomparsi dalla scena pubblica: Barbara Lezzi, grillina pugliese, ministra per il Sud, e Domenico Arcuri, allora sconosciuto ma potente ad di Invitalia, munifico salvadanaio parastatale, che poi Conte premiò con la nomina a commissario Covid (cariche entrambe sottrattegli dal perfido Draghi). Già allora l'ex premier compì il primo miracolo, raddoppiando pani e pesci: "Sono 280 milioni, ma arriveranno a 560 grazie all'effetto moltiplicatore". Felici per il mezzo miliardo immaginario, tutti gli amministratori locali applaudirono bipartisan.

Il paese natale di Conte Volturara Appula, 416 abitanti, ha beneficiato di 45 milioni: più di centomila euro a testa. Per sistemare la statale Fortorina d'accesso, ma anche per una pista ciclabile fino al lago di Occhito. Questo è il progetto più poetico: "È un’area a forte vocazione turistica, grazie alle risorse culturali e ambientali proprie del lago. Il progetto sarà in grado di attuare e suggerire una serie di interventi che abbiano la capacità, nel loro insieme, di configurarsi come supporto infrastrutturale strategico del sistema socio-economico".

Inarrestabili, i cantori di Invitalia aggiungono: "L'utilizzo del lago di Occhito ha il vincolo di conservare e incrementare il grado di naturalità del territorio interessato, per permettere lo spostamento al loro interno delle popolazioni animali e vegetali [piante semoventi?, ndr], prevedendo, ove necessario, interventi di riqualificazione e ricostruttivi con metodi e tecniche dell’ingegneria naturalistica e dell’architettura del paesaggio. L’obiettivo è contrastare i processi di frammentazione del territorio e l’aumento del grado di funzionalità ecologica e dei livelli di biodiversità del mosaico paesistico regionale".

Benvenuti in paradiso, insomma. Ma la magia aumenta in un paesino confinante con Volturara: Celle di San Vito, 162 abitanti, il più piccino della Puglia. Qui, alla modica cifra di un quarto di milione per un 'Parco laboratorio dell'immaginario' più 175mila euro per 'L'isola che non c'è', ecco "tre percorsi tematici per i bambini, con l’intento di creare uno spazio ricreativo e aggregativo mai pensato prima sul territorio, fondato sulla Fiaba e sulle sue molteplici dimensioni: culturali, storiche, educative, psicopedagogiche, antropologiche. Il Parco, rivolto ai bambini e agli adolescenti con lo scopo di renderli consapevoli dell’esistenza di lingue diverse, si avvale di tour 'esperienziali', in modo da formare un gruppo di giovani locali per valorizzare le attività e sviluppare concrete possibilità di sviluppo turistico nel Comune stesso. Il primo percorso tematico è la Casa con Mago Merlino (fiaba bretone), adibita a laboratorio delle scienze con simpatici esperimenti da fare con i bambini; il secondo è la Casa Kirikù e la strega Karabà (fiaba africana), adibita a laboratorio multiculturale, delle relazioni e delle emozioni e contro ogni forma di violenza, bullismo. Infine la Casa-Laboratorio di lingua francoprovenzale a cura di esperti madrelingua, ovvero qualificati in lingua e cultura francoprovenzale". Celle San Vito infatti fu fondata secoli fa da soldati angioini, ed è tuttora isola francofona.

Ma scendiamo dall'Appennino dauno verso la costa foggiana. Ecco lo “Slow tourism fra le salicornie” (asparagi di mare, che crescono anche in zone salmastre): 62mila euro per conservare, ripristinare e migliorare alcune zone umide minori fra Manfredonia e Zapponeta, indimenticata patria di Nicola di Bari. Sempre a Manfredonia, un milione e 189mila euro per il parcheggio della basilica di Siponto, "cardine dell'architettura romanica pugliese". E al comune di Stornarella non vuoi concedere 383mila euro per la “viabilità rurale”, e all’isola di San Domino nelle Tremiti 863mila per ripavimentare le strade del villaggio Pescatori?

Quasi tre milioni di euro a Lucera per lo Stupor Mundi, fortezza sveva; a Foggia 875mila euro per restaurare il palazzo d'Avalos, più una ventina di inopinati milioni alla Masseria Giardino, rudere in mezzo al nulla; un milione e mezzo per gli scavi archeologici di Ordona.  

Fortunatamente ci sono finanziamenti più prosaici ma utili come le fogne di Carapelle (mezzo milione), il depuratore di Foggia (8,6 milioni), l'acquedotto del Gargano (sei milioni), il porto di Mattinata (dieci milioni) o il mercato ortofrutticolo di Foggia (due milioni).

In realtà la parte del leone dei 43 progetti del Cis Capitanata la fanno i 75 milioni per lo stabilimento foggiano di Leonardo (non dite ai grillini che è il nostro massimo produttore ed esportatore di armamenti), i 56 milioni per il turismo sanitario religioso della Fondazione Padre Pio a San Giovanni Rotondo, altro paese beneficiato dalla presenza giovanile di mago Conte, e decine di milioni per strade e svincoli. Ma vedremo il 25 settembre se ai foggiani è piaciuto anche l'aspetto fiabesco dell'orto politico coltivato dall'ex premier con denari nostri. 

Monday, September 12, 2022

La guerra lunga può diventare una trappola per Zelensky

Non è mai positivo quando i conflitti si trascinano a lungo. C'è una costante che li accomuna: la psicopatologia collettiva dei combattenti. Colpisce indiscriminatamente, si creano aspettative e frustrazioni difficilmente gestibili dopo il ritorno alla vita civile

di Mauro Suttora 

Huffingtonpost.it, 12 Settembre 2022 

Nella primavera 2011 guardavo i ragazzi sul lungomare di Bengasi. Tornavano dai combattimenti contro i soldati di Gheddafi a Sirte, trasportati su pickup con mitragliatrice. Da qualche settimana i libici si erano ribellati al loro dittatore, e quei giovani con divise raffazzonate erano corsi volontari a sfidare la morte, coraggiosi. Al loro rientro in città erano giustamente accolti da eroi: esibivano orgogliosi i kalashnikov recuperati nelle caserme abbandonate dai militari regolari. Come capita a tutti i ventenni, piaceva loro far colpo soprattutto sulle ragazze. 

Sappiamo com'è andata a finire: da dieci anni la Libia è in preda all'anarchia. Molti di quei ragazzi sono rimasti arruolati nelle milizie che perpetuano la guerra civile. Affascinati dallo status garantito dalla divisa, esaltati dal machismo, riluttanti a tornare nel triste trantran della vita precedente: studio, lavoro? Che fatica, che noia.

Per questo non è mai positivo quando le guerre si trascinano a lungo. Neanche in Ucraina. C'è infatti una costante che le accomuna: la psicopatologia collettiva dei combattenti. La quale non cambia molto fra vincitori e vinti, aggrediti e aggressori. Perché le conseguenze negative di una guerra prolungata colpiscono entrambi i fronti. Col tempo, si creano aspettative e frustrazioni difficilmente gestibili dopo il ritorno alla vita civile.


Sono state scritte biblioteche sulle esiziali conseguenze della prima guerra mondiale nella psiche delle masse smobilitate nel 1919, dopo cinque lunghi anni. I reduci italiani furono fra le principali cause del fascismo, le insoddisfazioni tedesche ci regalarono Hitler. Le vittorie sono sempre mutilate, le sconfitte sempre umilianti. La via d'uscita è facilmente la mistica dell'uomo forte. Gli ex combattenti diventano disadattati, disabituati alla pace. 

I mujaheddin afghani plasmati dalla resistenza antisovietica negli anni 80 hanno prodotto Osama Bin Laden e i talebani. Quando la guerra s'incancrenisce, l'unica stabilizzazione che si ottiene è quella del nemico. I tre quarti di secolo dei campi profughi palestinesi, con quattro generazioni cresciute nel mito della violenza, oggi promettono solo ulteriori decenni di odio. Che ha contagiato anche la controparte israeliana.

Egualmente, il Kosovo liberato 23 anni fa ha ancora bisogno del peacekeeping Nato, e si scopre ai bordi della legge quasi quanto la Serbia di Milosevic. Dal 2020 il suo eroe nazionale Hashim Thaci, che l'ha governato prima come capo militare, poi da premier e presidente, langue in una cella dell'Aja a poche centinaia di metri da quella dove si suicidò Milosevic nel 2006: entrambi accusati di crimini di guerra. 

Ma anche le più avanzate Croazia e Slovenia, accolte nella Ue e nell'euro (Zagabria fra quattro mesi), conservano piccole incrostazioni nazionaliste che impediscono loro di sciogliere una comica disputa sulle reciproche acque territoriali davanti a Trieste.

Insomma, le scorie del militarismo sono sempre difficili da smaltire. Anche nelle nostre democrazie. Nel 1960 fu proprio un ex generale, il presidente Usa Eisenhower, ad ammonirci contro il pericolo del 'complesso militare industriale': la perversa alleanza fra industria bellica e alte gerarchie delle forze armate, che per forza d'inerzia spinge ad aumentare le spese per armamenti. 

Pochi anni dopo il dramma del Vietnam gli diede ragione. Ma allora la reazione dei giovani statunitensi spinse alla pace e all'abolizione della leva. Paradossalmente invece, tanto più una guerra è di popolo, popolare, percepita come giusta (e la resistenza ucraina lo è), tanto più alti sono i rischi di un'escalation delle rivendicazioni. 

Perciò Zelensky è sicuramente un eroe, ma gli auguriamo di smettere al più presto la sua maglietta mimetica. Altrimenti diventerà lui stesso prigioniero di un revanscismo illimitato che impedirà la pace. Se oserà dire l'ovvio, e cioè che la Crimea e quel quarto di Donbass invasi dalla Russia nell'ormai lontano 2014 sono trattabili, verrà accusato di tradimento dai militaristi ucraini. Rischierà la fine di Rabin o Gandhi: assassinati non da nemici, ma da fanatici della propria parte. Induriti e impazziti a causa di guerre troppo lunghe. 

Saturday, September 03, 2022

Pochette rossa la trionferà. La quarta formidabile trasformazione di Conte Zelig

Presi dall'ascesa della Meloni, c'eravamo dimenticati del populismo di sinistra. Poi arriva il leader M5s nell'ultima indimenticabile interpretazione: il Masaniello pacifista

di Mauro Suttora

HuffPost.it, 3 settembre 2022    

Si chiamerà Coltano il luogo della riscossa grillina? Il 14 settembre in questo paesino vicino a Pisa si terrà una manifestazione nazionale contro la costruzione di un centro addestramento dei carabinieri. Il mondo pacifista si è mobilitato contro il progetto, finanziato a marzo dal Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) e previsto inizialmente dentro il parco di San Rossore. Ma neanche ora che è stato spostato e riqualificherà stalle abbandonate ridotte a ruderi, senza consumo di suolo, gli antimilitaristi lo accettano. In prima fila a protestare ci saranno Giuseppe Conte e tutto lo stato maggiore del Movimento 5 stelle, che ha riscoperto il fascino del populismo. 

Pochi giorni fa Paolo Mieli sul Corsera si stupiva di come nessun partito sembri più innalzare le bandiere del no alla guerra in Ucraina, che solo cinque mesi fa infiammò il nostro dibattito pubblico. Detto fatto: ecco Conte riempire il vuoto, e proporsi come il Melenchon italiano. Perché mentre tutto il mondo osserva stupito l'affermarsi in Italia del populismo di destra, lanciato verso il governo, c'eravamo quasi dimenticati che il populismo può stare anche a sinistra. E che non rimarrà confinato ai verdi estremisti di Fratoianni e Bonelli, al comunista Rizzo o a Italexit di Paragone.

Chi meglio di Conte per interpretare questo nuovo ruolo? La parte che si accinge a recitare è infatti la quarta in quattro anni. Tutte diverse, ma coperte con efficace versatilità dal facondo politico pugliese. Prima l'alleanza gialloverde di destra con la Lega; poi il suo opposto, a sinistra col Pd; quindi la fase moderata della 'responsabilità' sotto Draghi; infine l'agitazione contro le spese militari e la difesa del reddito di cittadinanza. L'ennesima svolta sembra pagare, nei sondaggi. Non più sotto il 10%, i grillini si sono issati a tallonare il 13% leghista. E a chi lo accusa di trasformismo l'Avvocato del popolo (il popolo, appunto) replica soave: "Siamo coerenti con il nostro no all'aumento del bilancio bellico chiesto dalla Nato". 

Già in primavera questa mossa solitaria del M5s gli permise di ammiccare alla maggioranza assoluta degli italiani, contrari all'aumento. Ma allora eravamo nel pieno dell'aggressione di Putin all'Ucraina, e di fronte alle fosse comuni di Bucha la necessità dell'aiuto militare a Kiev s'imponeva. Ora invece, con lo stallo dopo mezzo anno di guerra e soprattutto col terrore per il gas e l'inflazione, è facile fare demagogia: ma come, volete spendere per la guerra invece di aiutare i cittadini? Volete aprire una nuova base militare a Coltano, proprio di fronte a quella Usa di Camp Darby?

Come tutti i populisti, Conte non entra nel merito: ai carabinieri servono veramente 70 ettari per addestrare i propri reparti speciali e cinofili? Può darsi di sì, oppure che bastino meno ettari. Bisogna intaccare la pineta di San Rossore? Certo che no, e infatti il progetto è stato sposato. Non si possono utilizzare le tante caserme vuote? Certo che sì. Ma il 14 settembre lo slogan dei pacifisti sarà: "Nessuna nuova base in nessun posto". 

Così ha insegnato Peron: slogan semplici e chiari. Egualmente per il reddito di cittadinanza: non ha "abolito la povertà", non fa funzionare meglio i Centri lavoro, premia i pigri. Ma come manna dal cielo funziona egregiamente. E la carità statale al popolo non costa niente ai politici. Anzi, Evita è diventata un'eroina del popolo. Di destra, di sinistra? Che importa. L'Argentina, fino ad allora uno dei Paesi più ricchi del mondo, dopo il peronismo ebbe il bilancio sfasciato per sempre. Perché quando i populisti sventolano il motto "nessuno deve rimanere indietro", troppo spesso è capitato che tutti lo siano rimasti. O quasi tutti: certo non quelli ai quali è  bastato cambiare immatricolazione al proprio jet privato, per continuare a volare felici.