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Thursday, October 10, 2024

Come si manganella l’uomo di sinistra che pubblica un post filoisraeliano

Ricordate Marco Boato? Su Facebook condivide il pensiero di una donna araba che si sente libera perché vive in Israele. Reazioni (anche da compagni di partito e affini): assetati di sangue, colonialisti, gente di m., servo dei razzisti, servo dei suprematisti e così via.

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 10 ottobre 2024

Povero Marco Boato. Monumento vivente dell'ecologismo, a 80 anni è presidente dei verdi italiani, resuscitati grazie al 7% alle europee in Avs (Alleanza verdi sinistra). Fondatore di Lotta continua nel 1968, sei legislature alle spalle, la prima con i radicali nel 1979: in totale 60 anni di politica.

Sempre attivissimo, ieri ha pubblicato su Facebook questo post: “Sono una donna araba, posso andare all’università, posso essere una dottoressa, posso candidarmi per una carica, perché io vivo in Israele”.

È stato subissato di insulti, anche da parte di compagni di partito, tanto che ha risposto: “A questo post, non mio ma semplicemente da me condiviso, vedo che sono seguiti oltre 150 commenti. Qualcuno/a ha chiesto di rimuoverlo, cosa che mi guardo bene dal fare, anche se il tenore insultante nei miei confronti di qualche commento mi indurrebbe a farlo. Ognuno/a ha detto la sua, attribuendo a questo semplice post intenzioni fuorvianti e allargando la discussione oltre ogni misura. Sono per la libertà di pensiero e di parola e ripudio ogni forma di censura, anche di eventuale auto-censura.

Certo che questo clima di odio mi fa orrore. Si invoca la pace, ma si usano parole di guerra. Per questo ho evitato di intervenire ulteriormente. Mi dispiace per qualche amico/a che evidentemente non lo capisce. Non vorrei essere diventato anch’io un ‘nemico’ per qualcuno/a, ma mi sottraggo a questa dinamica per me inaccettabile. Rispetto”.

Ecco un florilegio dei commenti ricevuti.

Anna Merlino: “Che persone orrende hai cooptato in questo post, Marco Boato: il peggio del razzismo coloniale, negazionisti dell’orrore, gente che gode ad eliminare fisicamente un’intera popolazione, accecati dalla loro presunta superiorità. Che gente di m.”.

“Sempre assetati di sangue, ma vi rilassate ogni tanto? Vi piace così tanto fare i colonialisti? Sono più di 70 anni che martoriate un’intera area, in nome di un non precisato diritto divino. Basta!”.

Valeria Manna: “Mi domando proprio perché abbia pubblicato una pubblicità così assurda di Israele. Davvero”.

Anna Merlino bis: “Evidentemente la pensa proprio così, si scoprono cose nuove, anche se condivido la militanza nello stesso partito, resto stupita dalla vera natura di certi ‘compagni’”.

Chiara Santacroce: “Ti rendi conto che hai postato una boiata, che in questo momento è persino criminale (come lo Stato di Israele)? Sì? Allora levala, va”.

Stefano Apuzzo, già deputato verde, candidato Avs alle europee 2024: “Marco, fallo per la tua lucidità e onestà intellettuale, leva sta merda!”.

“[Questa donna] può anche essere massacrata impunemente dall’esercito suprematista bianco e fascio sionista, con tutti i suoi figli e figlie piccole, in Gaza, Cisgiordania, Libano, Iraq, Siria, Iran. Può anche essere considerata una sub umana, cittadina di serie C nello Stato teocratico, razzista e colonialista d'Israele!”.

Cesare Manca: “Come sei caduto un basso Marco Boato vergogna”.

Rita Barbieri, ex assessore municipale Sel a Milano: “Post penoso e stupido! Ma alla sua età ha ancora bisogno di accreditarsi come servo dell’impero suprematista e razzista? Spero in una risposta a tono dalle donne palestinesi”.

Danilo Zappitelli: “Si deve far perdonare il suo passato. Anche lui tiene famiglia. Da lotta continua a famiglia continua”.

Maria Teresa Murgia: “Sei un influencer di Israele per caso?”

Tuesday, June 11, 2024

Calenda e Renzi non fanno eccezione: la vocazione ad autodistruggersi dei partiti di centro è storia

Dal Partito d'Azione al Psdi, al Pli, fino a Mario Segni: nel 1994 rifiutò l'appoggio di Silvio Berlusconi per candidarsi premier

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 11 giugno 2024 

Chi si stupisce per la stupidità politica che ha fatto buttare al macero i 1.650.000 voti di Stati Uniti d'Europa e Azione ignora la storia italiana degli ultimi 80 anni. I partitini di centro infatti hanno sempre fatto a gara nell'autodistruggersi.

Cominciò il glorioso partito d'Azione, che sembrava destinato a grandi cose, imbottito com'era di capi partigiani, padri della patria e intellettuali: dal primo premier dell'Italia liberata Ferruccio Parri a Norberto Bobbio e Piero Calamandrei. Non fece neanche in tempo a presentarsi al voto nel 1948: era già defunto dopo il fiasco elettorale del 1946 (1,5%).

Molti azionisti, seguendo Ugo La Malfa, si trasferirono nel riesumato partito Repubblicano. Il quale in realtà non aveva più ragione di esistere, essendo stato raggiunto il suo scopo sociale con la nascita della Repubblica il 2 giugno 1946. Eppure continuò a vivacchiare per quasi mezzo secolo al 3% sotto la guida capricciosa di La Malfa. Anche il livello del Pri era inversamente proporzionale ai suoi consensi, quindi altissimo: regalò all'Italia ministri di valore come Bruno Visentini e Giovanni Spadolini. 

Sempre in tema di monumenti viventi, ecco poi il Psdi (Partito socialdemocratico) meritoriamente fondato nel 1947 dal futuro presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Era l'epoca in cui non solo il Pci ma anche il Psi stavano col dittatore sovietico Stalin. Fu doveroso quindi per i socialisti amanti della libertà scindersi dai compagni 'frontisti' di Pietro Nenni. 

Ma neanche codesta nobile scelta fu premiata dagli elettori, che relegarono il Psdi al 4%. "Colpa del destino cinico e baro", fu la famosa lamentela di Saragat, refrattario ad autocritiche e dimissioni quanto oggi Matteo Renzi e Carlo Calenda.

Il terzo partitino laico della Prima repubblica era il Pli. Che aveva dominato la politica italiana dal 1861 al 1922, e quindi tutti si aspettavano una sua rinascita dopo il fascismo. I liberali furono subito premiati con le prime due presidenze della Repubblica: Enrico De Nicola e Luigi Einaudi. Però commisero errori su errori: Benedetto Croce li fece sciaguratamente votare monarchia al referendum; poi si allearono con i qualunquisti (criptofascisti); infine, nel 1954, il neosegretario Giovanni Malagodi ridusse il Pli a una succursale degli industriali privati di Confindustria. 

Perciò i liberali di sinistra se ne andarono per fondare il partito radicale: Ernesto Rossi, Mario Pannunzio e i giovani Eugenio Scalfari e Marco Pannella. Ma anche i radicali caddero subito nel vizio tipico dei centristi: litigare perennemente, innanzitutto al loro interno e poi con gli altri centristi. Anzi, è raro perfino trovare un centrista che vada d'accordo con se stesso.

L'autolesionismo dei centristi ha sempre impedito loro di unirsi: preferivano spaccarsi fra filo-Dc, filo-Pci e filo-Psi. Però allora non c'erano tagliole del 4% a impedirne il velleitarismo. Quindi si accontentavano dei loro minuscoli 3%, che garantivano comunque poltrone di sottogoverno: qualche ministro di serie B, sottosegretari, assessori.

 

L'errore supremo del centrista sbadato fu, nel 1994, quello di Mario Segni: rifiutò l'appoggio di Silvio Berlusconi per candidarsi premier. Da allora, col bipolarismo, o di qua o di là: per i centristi solo qualche fiammata (lista Emma Bonino nel 1999, Mario Monti nel 2013) e tanti dolori, come ieri. 

Thursday, October 19, 2023

Autodenuncia, processo, assoluzione: la surreale vita di Marco Cappato



Ormai i pronunciamenti della magistratura non fanno più notizia: uno dopo l’altro, stabiliscono che l’eutanasia non è reato. Ma la legge non arriva. Così un’azione politica per sollevare l’assurdità della situazione l’ha resa ancora più assurda

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 19 ottobre 2023

Ormai non fa più notizia. Anche la procura di Firenze ha chiesto l’ennesima archiviazione per Marco Cappato. Il leader radicale si era autodenunciato per avere aiutato un 44enne di San Vincenzo (Livorno), malato di sclerosi multipla, ad andare in Svizzera dove è morto col suicidio assistito.

I pm di Milano recentemente non hanno ritenuto un reato l’aiuto di Cappato a Romano, 82enne ex giornalista e pubblicitario all’ultimo stadio di Parkinson, e a Elena Altamira, 69enne veneta malata terminale di cancro.

Il problema però è che l’eutanasia in Italia rimane illegale. La Corte costituzionale anni fa ha invitato il parlamento a emanare una legge che la regolamenti. Ma i partiti sia di destra che di sinistra non hanno il coraggio di affrontare l’argomento. Nonostante i sondaggi diano l’80 per cento degli italiani favorevoli alla “buona morte”, i cattolici presenti in Pd, Forza Italia, FdI e Lega bloccano ogni decisione.

Così si prosegue nel limbo dell’incertezza. E continua la commedia del povero Cappato che per sollecitare una legge pratica la disobbedienza civile, si autoincolpa per evidenziare l’assurdità della situazione. Niente da fare. Come era successo per divorzio e aborto, l’eutanasia viene praticata di nascosto ogni giorno nei nostri ospedali. Ma senza regole precise si rischiano abusi.

La scorciatoia è quella del “suicidio assistito”, che dopo il caso di dj Fabio è legale per chi è affetto da malattie irreversibili, soffre pene fisiche o psicologiche intollerabili ed è pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli. Il che però esclude proprio chi ne avrebbe più bisogno, e cioè le migliaia di anziani che per demenza senile o Alzheimer non possono più decidere.

Ma anche per chi ha i requisiti la burocrazia è lunga e insostenibile: un’apposita commissione regionale deve valutare ogni singola richiesta per accedere alla somministrazione del farmaco di fine vita. Se la commissione accerta la sussistenza di tutti i requisiti indicati dalla sentenza della Corte costituzionale verrà scelto il farmaco più appropriato. Ma non è finita, perché poi c’è anche un comitato etico che deve dare il suo parere. Insomma, mesi e anni di attesa.

Così chi ha i mezzi va in Svizzera. Ma chi lo aiuta può essere sempre incriminato per istigazione al suicidio.

Come ipocriti struzzi, i pochi contrari all’eutanasia fanno finta di non vedere quel che succede normalmente, seguendo l’unica regola del buonsenso, in ospedali e rsa. Parlano di “difesa della vita” e accusano Cappato di essere un “angelo della morte”.

Sta succedendo anche in questi giorni a Monza e in Brianza, dove domenica si vota per il seggio da senatore lasciato da Silvio Berlusconi. Cappato è candidato per il centrosinistra, Adriano Galliani per il centrodestra. Che accusa l’esponente radicale di non essere un vero liberale: ma la libertà di disporre del proprio corpo fino alla fine è un diritto civile fondamentale. Perfino il sindaco del Pd non sa se voterà Cappato o si asterrà. Eutanasia e droga legale fanno paura, nonostante la realtà smentisca gli scrupoli ideologici e religiosi.

Così i “difensori della vita” preferiscono che siano i magistrati, e non i politici, a stabilire regole provvisorie. E Galliani scappa da ogni dibattito, ma per farsi propaganda regala, secondo il metodo Achille Lauro, astucci della sua squadra di calcio del Monza ai bambini brianzoli.

Saturday, September 24, 2022

Elogio dell'astensione. So già chi vince: io

Storia di un radicale che nella vita ha votato di tutto e stavolta non vuole votare niente, senza sensi di colpa e finalmente in maggioranza. E che propone di tagliare seggi in proporzione al numero di astensionisti 

di Mauro Suttora

Huffpost, 24 settembre 2022 

Per la prima volta dopo quasi mezzo secolo vincerò le elezioni. Il mio partito risulterà primo, supererà Meloni e Letta, si installerà ben oltre il 25%. Poi noi astenuti faremo approvare una legge per completare l'opera: il numero degli eletti si ridurrà in proporzione ai votanti. Astensione di un quarto degli elettori? Trecento deputati invece di quattrocento, 150 senatori al posto di 200. L'unico modo per contare qualcosa, per fare veramente male.

Byebye Bonino: ti ho sempre votata dal 1979, appena maggiorenne, e i radicali mi piacevano già da prima. Ora non più, inutili cespugli del pd abbonati al 2%. Beautiful losers, direbbe Leonard Cohen. Nelle amministrative, dove Pannella non si presentava, ho votato via via tutti i partiti di protesta: verdi e Dp negli anni '80, Lega e Di Pietro nei '90, anche Grillo alle comunali di Roma 2008 (preferenza Paola Taverna). Una volta ho scelto perfino An: Riccardo De Corato, il miglior vicesindaco di Milano, piantumò un sacco di alberi con la Moratti. Insomma, non ho pregiudizi. 

Inaffidabile? No, laico e pragmatico. Antipolitico? Macché, semmai anarchico, la politica mi appassiona. Qualunquista? No, come tutti ho ideali e idiosincrasie ben precise. Sceglierei Calenda, per esempio, se non fosse filonucleare e per l'aumento delle spese militari. Meloni se non fosse fascista (chissà se le tireranno lo scherzo di far nascere il suo governo il 28 ottobre, nel centenario della Marcia su Roma). Fratoianni e Rizzo se non fossero comunisti. Paragone se non avesse fatto carriera da giornalista leghista solo grazie alla politica, e da politico grillino solo grazie al giornalismo: ora è al terzo riciclo.

Novax e putiniani li escludo automaticamente, quindi niente Salvini e M5s (Conte con l'aggravante del reddito di divananza). Di Forza Italia mi dà noia soprattutto il familismo: perché candidare la Fascina, quasi moglie di Berlusconi, o la pur splendida Patrizia Marrocco, ex di suo fratello Paolo? Vado troppo sul personale? Sì, preferisco le singole persone ai partiti: voterei l'ex magistrato Nordio o l'ex ministro degli Esteri Giulio Terzi (l'unico severo con Cina e Iran) seppur proposti dai Fratelli d'Italia. 

Resta il Pd. Nel mio collegio milanese c'è Misiani, brava persona. Come Letta. Poi però vedo i pd in tv, e mi urtano i nervi: Casini catafratto di legislature, la moglie di Martelli, quella di Franceschini probabilmente responsabile della sua orrenda frangetta giovanilista. In più l'ottimo ministro della Cultura, emigrato a Napoli per farsi eleggere (nella sua Ferrara non ce la fa), era in prima fila alla liquefazione del sangue di San Gennaro, assieme ad altri miracolati come Di Maio. Una scena da terzo mondo.

Ho parlato poco di contenuti? Datemi un partito liberale e la mia crocetta sarà sua. Un La Malfa, un Ciampi, un Padoa Schioppa, un Draghi. Rigore di bilancio, legalità, garantismo, prestigio, serietà fino alla mestizia. 

Nella repubblica degli Escartons (1343-1713), a cavallo tra Francia e Piemonte, il console quando veniva eletto doveva depositare una cauzione personale di 200 scudi. Se dopo un anno il bilancio andava in rosso, li perdeva. Altrimenti li recuperava con gli interessi. Con una regola così, correrei subito in cabina elettorale. Se no, resto fra gli apoti: quelli che non se la bevono, come Prezzolini scrisse nel settembre 1922 sulla Rivoluzione liberale di Gobetti. 

Sunday, July 31, 2022

I due mandati grillini sono una barzelletta. Imparino dai radicali

Da sempre nelle democrazie il divieto di ricandidarsi è considerato il principale antidoto alle incrostazioni di potere. Gli ultimi che in Italia hanno provato a limitare la durata dei politici, prima di Grillo, li facevano ruotare a metà mandato

di Mauro Suttora

Huffpost, 31 Luglio 2022  


Altro che due mandati. Gli ultimi che in Italia hanno provato a limitare la durata dei politici al potere, prima di Grillo, li facevano ruotare a metà mandato. Due anni e mezzo, e poi via. 

Dieci anni è troppo, inutile e crudele. Troppo, perché due lustri sono un'eternità; inutile, perché come dimostrano i grillini quasi tutti trovano trucchi per continuare; crudele, perché dopo un tempo così lungo è un'agonia tornare al precedente lavoro (Vito Crimi era dovuto emigrare da Palermo a Brescia per fare fotocopie in tribunale) o reperirne uno nuovo. 

Una suora divorzista, un obiettore antimilitarista, un intellettuale omosessuale e un avvocato garantista: questi furono i deputati che nel 1976 i radicali scelsero per subentrare a metà mandato ai loro primi quattro eletti (Pannella, Bonino, Mellini e Adele Faccio). Erano arrivati secondi nelle preferenze: suor Marisa Galli, Roberto Cicciomessere, Angelo Pezzana e Franco De Cataldo. Cominciarono da subito a frequentare Montecitorio come deputati supplenti: aiuto prezioso che raddoppiava le forze, visto che non esistevano ancora i portaborse.

La mossa dei radicali ebbe particolare risonanza, perché già allora montava la polemica contro l'inamovibilità dei politici di carriera: in particolare dei democristiani, da trent'anni al governo senza interruzione. Le turnazioni radicali a metà mandato proseguirono nelle legislature successive, tanto che Pannella alla fine si ritrovò una pensione notevolmente decurtata.

Anche i verdi all'inizio promisero la rotazione a metà mandato. Ma dei consiglieri regionali e comunali eletti nel 1985 pochi mantennero l'impegno: fra gli altri Michele Boato in Veneto e Nanni Salio a Torino (dopo un solo anno). Spesso i verdi, per dimostrare il loro disinteresse verso le poltrone, si candidavano in ordine alfabetico. Quindi quasi sempre ottenevano più preferenze quelli con cognome A o B. I quali però alla scadenza dei due anni e mezzo non lasciavano la carica, nonostante l'assoluta casualità della loro elezione. 

Uno dei casi più spiacevoli avvenne a Milano. Non solo i consiglieri comunali Antoniazzi e Barone nel 1987 non si dimisero, ma vennero nominati assessori dal furbo sindaco socialista Pillitteri, che formò così la prima giunta rossoverde d'Italia.

Erano tempi duri per gli eletti di movimenti 'alternativi' che cedevano alle lusinghe del potere: vidi un assessore verde lasciare la sua auto blu a un isolato dall'assemblea di partito cui doveva partecipare, e arrivare a piedi per non farsi notare. I grillini odierni invece ci hanno messo poco ad adeguarsi.

Da sempre nelle democrazie il divieto di ricandidarsi è considerato il principale antidoto alle incrostazioni di potere. 2500 anni fa Atene e Roma stabilirono in un anno la durata di arconti e consoli, oggi i presidenti Usa e francesi hanno limiti di otto e dieci anni. Ma il record di velocità appartiene ai priori della repubblica di Firenze: a casa dopo soli due mesi.

Mauro Suttora


Sunday, December 19, 2021

La libertà di non vaccinarsi non è un diritto civile

I novax si comportano da free-riders: evasori a sbafo. Come i portoghesi che non pagano il biglietto su tram e treni. I quali circolano lo stesso, tanto pagano gli altri

di Mauro Suttora

HuffPost, 19 dicembre 2021

Libertà, libertà. E i libertari che ne pensano, della libertà di vaccinarsi invocata dai novax?

Libertari in Italia significa radicali, Pannella, Bonino. Sono stati loro a ottenere la libertà di divorziare, abortire, obiettare al servizio militare, praticare la fecondazione assistita. Sono sempre loro anche oggi a chiedere, con gli imminenti referendum, libertà di fumare cannabis e di decidere sulla fine della propria vita (eutanasia).

È radicale pure Davide Tutino, il professore di storia e filosofia che a Roma è diventato il primo obiettore di coscienza contro l’obbligo vaccinale a scuola, perdendo lo stipendio. Una disobbedienza civile in piena regola. Lo abbiamo conosciuto giovedì sera a Piazzapulita (La7), dove si è guadagnato i complimenti di tutti per la pacatezza del suo argomentare.

Ma Pannella cosa direbbe sui vaccini, se non fosse scomparso cinque anni fa? Tutino ha riesumato l’unica occasione in cui si espresse sull’argomento: un convegno radicale nel 1995 a Genova sulla proposta di obbligo vaccinale per i bambini (attuato nel 2017 dalla ministra Lorenzin). Ascoltati i relatori, fra cui un giovane professor Bassetti e il pioniere novax Gianpaolo Vanoli, Pannella disse che era scettico sul ruolo dello stato come “tutore della salute pubblica”. Ovvio per un libertario, ma lontano dalle fiammeggianti intemerate di un Ivan Illich o Michel Foucault.

Difficile comunque ricorrere all’ipse dixit, data la differenza del contesto: un quarto di secolo fa non c’era l’attuale emergenza planetaria. Cosicché oggi i radicali sono, come tutti, schierati in stragrande maggioranza per vaccini e greenpass. 

Tuttavia, il dilemma obbligo/libertà sui vaccini interpella inevitabilmente i libertari. Perché l’intromissione dello stato è evidente. Finché si sperava nell’immunità di gregge, non c’erano problemi: lo spazio per un 10-20% di refrattari era garantito. Ma le varianti hanno cambiato il gioco, e con omicron nessuno più sembra preoccuparsi di salvaguardare neanche una microscopica minoranza di obiettori al vaccino.

Dura da accettare per i radicali, abituati a opporsi alle solidarietà nazionali in nome delle emergenze, dal terrorismo in poi. “Né con questo stato, né con le br”, disse Sciascia (prima dell’omicidio Moro).

E oggi? “Né vax, né novax?” Impossibile, per il partito illuminista di Luca Coscioni, della libertà e fiducia nella scienza, della ricerca sulle cellule staminali, contro gli opposti oscurantismi: “No Vatican, no Taliban”, fu lo slogan pannelliano nel 2005, era pre-Bergoglio.   

E allora? A indirizzare i libertari, ecco l’abc dell’etica laica: l’imperativo categorico di Kant. Ovvero: ogni tua azione sia valida come legge universale.

Quindi coloro che non si vaccinano, come l’ottimo Tutino, immaginino un mondo in cui tutti seguano il loro esempio. È un comportamento replicabile? No. Perché tutti possono divorziare, abortire, far figli in vitro, fumarsi una canna o ricorrere all’eutanasia senza danneggiare gli altri. Non vaccinarsi invece danneggia: seppur in misura minima, se si crede agli scetticismi novax. Quindi la libertà di non vaccinarsi non è un diritto civile.

Insomma, i novax possono esistere solo in quanto rimangono al 5%. Se fossero di più avremmo 50 milioni di morti, non 5. Certo, il vaccino fa entrare lo stato nella nostra vita. Peggio, per un libertario: nel nostro corpo. Ma, anche ammettendo che le immunizzazioni possano essere rischiose o inutili, i novax si comportano da free-riders: evasori a sbafo. Come i portoghesi che non pagano il biglietto su tram e treni. I quali circolano lo stesso, tanto pagano gli altri. 

Questa si chiama irresponsabilità. E fa a pugni con il principio di legalità, ovvero lo stato di diritto. Che è la base della nostra convivenza civile. Ma anche la stella polare di tutti i libertari che praticano la disobbedienza civile. Perché Gandhi e Luther King si appellavano proprio alla legge e alla certezza del diritto, non a una generica ‘libertà’ populista e ribellista. Sulle orme di Antigone, denunciavano ingiustizie e discriminazioni. E pagavano scrupolosamente con arresti e carcere il prezzo delle proprie azioni dirette nonviolente, che violavano leggi da loro considerate sbagliate. Come hanno sempre fatto Pannella e i radicali. E oggi anche Tutino, seppure per una causa fallace.

Mauro Suttora 

Friday, February 08, 2019

Parla la sovranista che ha sfidato Emma Bonino

PRIMA INTERVISTA A PAOLA RENATA RADAELLI: "MOLTI DI NOI SONO RIMASTI NEL PARTITO +EUROPA ANCHE DOPO LE ESPULSIONI".
E DUE SONO ADDIRITTURA STATI NOMINATI DIRIGENTI DALLA CORRENTE DI TABACCI

di Mauro Suttora

La Verità, 6 febbraio 2019

Pirata o piranha? L’hanno accusata di avere assaltato +Europa, il partitino di Emma Bonino, con centinaia di iscritti all’ultimo minuto per ribaltare i risultati del suo primo congresso.
Una 'scalata ostile sovranista’: così è stata definita la sua candidatura a segretaria con tanto di lista di candidati, tutti sconosciuti ai boniniani, a dirigenti e militanti della formazione europeista.

“Volevamo soltanto portare avanti le nostre idee dentro al partito, che si dichiarava aperto a tutti”, dice ora a La Verità Paola Renata Radaelli, che parla per la prima volta della sua iniziativa.

Una provocazione?
“No. Io e altre persone abbiamo preso sul serio lo statuto di +Europa, che permetteva di iscriversi e candidarsi fino a dieci giorni prima del congresso del 27 gennaio a Milano. E lo abbiamo fatto, pagando online 50 euro a testa”.

Ma signora, come pensavate di essere accettati in un partito dove nessuno vi aveva mai visto? Era uno scherzo?
“No, le ripeto che eravamo in buona fede”.

Però vi siete iscritti in massa, cosa vietata dallo statuto.
“Altre adesioni collettive sono state accettate nelle scorse settimane. Perché loro sì e noi no?”

Perché gli ex democristiani di Bruno Tabacci hanno fondato +Europa un anno fa assieme ai radicali della Bonino. Anzi, se non le avessero offerto il loro simbolo, lei non sarebbe neanche riuscita a raccogliere le firme per le elezioni del 4 marzo, in cui ha preso il 2,6% ed eletto quattro parlamentari in coalizione col Pd. Mentre voi gravitate nel centrodestra.

“Chi l’ha detto?”
Lei si candidò alle amministrative in Liguria. E il suo capolista era nel partito di Gianpiero Samorì, alleato di Berlusconi.

“Anche Della Vedova, segretario di +Europa, è stato nel centrodestra in passato. Io ora sono solo la segretaria dell’Unavi, l’Associazione nazionale vittime di reati che si batte per la loro tutela. Volevo portare le nostre lotte anche in Europa. Per esempio, una petizione con 25mila firme”.

La vostra lista si chiamava ‘In Europa sì, ma non così’. E in una foto lei abbraccia Salvini.

“Unavi è apartitica, e ci sono mie foto con politici di tutti i partiti. Per esempio Orlando, l’ex ministro pd della Giustizia”.

Quindi lei non è sovranista?
“Se sovranismo vuol dire stare dalla parte delle vittime, sì. Ma nel nostro programma c’era scritto chiaro che siamo europeisti. In Europa, per cambiarla”.

Dicono così anche leghisti e grillini, i principali avversari di +Europa.
“Non sono vicina a loro. La foto con Salvini è di prima che diventasse segretario”.

Cos’ha votato alle ultime politiche?
“È un fatto privato”.
Ma come, non voleva buttarsi in politica?
“Io non mi butto da nessuna parte”.

Cosa pensa della Bonino?
“La stimavo per le battaglie su divorzio e aborto”.
E ora?
“Mi ha cacciato senza neanche sentirmi”. Perché non le ha telefonato lei?
“Al congresso avremmo potuto parlarci”.
E di Tabacci che pensa?
“Non lo conosco”.

Fatto sta che vi hanno espulsi in 190, ridandovi i soldi.
“I nostri erano molti meno”.
Ma lei ha parlato con qualche dirigente di +Europa?
“Mi ha telefonato l’amministratrice Silvia Manzi chiedendomi i motivi delle nostre adesioni. Poi ci ha radiato, con la scusa che alcune provenivano dallo stesso indirizzo di posta elettronica”.

Però molti sono riusciti a rimanere. Due sono stati addirittura eletti dirigenti: Roberto Baldi e la lucana Isabella Gentile. Prima erano in lista con lei, ora sono passati nella lista di Tabacci.
Quanti eravate in tutto?
“Non glielo dico”.
E perché?
“…”
Quindi dentro +Europa è rimasta una vostra quinta colonna di ‘dormienti’?
“Se usa questi termini la saluto”.

Chi erano i suoi candidati?
“Amici di tutta Italia”.
Di che tipo?
“Persone incontrate negli anni”.
Ma li conosceva tutti personalmente? “Certo che no, non potevo convincere centinaia di persone a iscriversi. Alcuni amici hanno portato altri amici”.

Come Matteo Riva, il quarto nella sua lista che poi ha avuto un abboccamento anche con la corrente di Della Vedova? Sapeva che era un dirigente tabacciano?
“No”.

Ora i radicali accusano i democristiani di Tabacci di avere ‘cammellato’ iscritti al congresso per vincerlo: decine di persone cui avrebbero pagato tessera e viaggio in pullman, soprattutto dal sud.
“Quindi vede che il vero problema non ero io”.
Mauro Suttora


Sunday, August 13, 2017

Radicali: Spadaccia media fra Bonino e pannelliani

di Mauro Suttora

Libero, 13 agosto 2017


Cosa faranno i radicali alle politiche? Accreditati di un 2%, possono risultare preziosi sia per Renzi che per Berlusconi.

Emma Bonino si sta muovendo con Marco Cappato e il sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova per una lista Forza Europa, che potrebbe attrarre Mario Monti e altri centristi laici come il ministro Calenda. 
A seconda della legge elettorale, si presenteranno soli, apparentati al Pd, o contratteranno posti nella lista Pd come nel 2008.

Ma da due anni i radicali sono spaccati. La rottura fra la Bonino e Marco Pannella si è estesa dopo la morte di quest'ultimo nel maggio 2016 a tutti i boniniani e pannelliani: da una parte l'ex ministra degli Esteri, Gianfranco Spadaccia, Cappato, Mario Staderini, Roberto Cicciomessere; dall'altra Maurizio Turco, Rita Bernardini e Sergio D'Elia.


Questi ultimi controllano il Prntt (Partito radicale nonviolento transnazionale transpartito), la cui lunghezza del nome è inversamente proporzionale al numero degli iscritti: se non arriveranno a 3mila entro la fine dell'anno, hanno deciso di sciogliersi.


I boniniani invece sono riuniti in Radicali italiani (segretario Riccardo Magi), che hanno appena compiuto l'exploit di raccogliere 30mila firme per un referendum che mette in gran difficoltà la sindaca grillina di Roma Virginia Raggi: togliere all'Atac il monopolio del trasporto pubblico nella capitale.

Cappato guida l'Associazione Coscioni per l'eutanasia e la libertà della scienza. E la buonista Bonino è attiva soprattutto nella campagna pro-immigrati Ero Straniero.

Anche i transnazionali macinano politica: hanno appena concluso una Carovana di mezzo mese in Sicilia per i loro tradizionali obiettivi sulla giustizia: amnistia, indulto, no all'ergastolo, separazione delle carriere fra magistrati inquirenti e giudicanti.

Un garantismo che in teoria potrebbe avvicinarli al centrodestra. Ma loro negano qualsiasi prospettiva elettorale.

Ora qualcuno cerca un rammendo fra le due fazioni. Spadaccia, 82 anni, grande vecchio radicale (ex segretario e parlamentare, per decenni braccio destro di Pannella), ha mandato una lettera a Turco & co. annunciando la propria iscrizione (200 euro annui), ma chiedendo l'apertura di un dibattito interno e spazi su radio radicale: "Quali obiettivi ci diamo di fronte alla crisi della democrazia liberale e dello stato di diritto, il dissolvimento dell'Unione Europea e il travolgimento dei diritti umani?"


Con Spadaccia, tendono la mano ai separati in casa una trentina di boniniani. E sul fronte opposto, l'altro grande vecchio radicale Angiolo Bandinelli, 90 anni, ha già rotto con l'estremismo antiboniniano di dirigenti come Turco e Valter Vecellio (la Bernardini è più possibilista).


Sullo sfondo c'è la partita per Radio radicale, che finora è rimasta neutrale dando spazio a tutti, ma che Turco ora vuole ridurre sotto il proprio controllo.

E la radio riceve 10 milioni annui di soldi pubblici come organo di partito e trasmettitrice delle sedute parlamentari.

Mauro Suttora

Wednesday, December 19, 2012

Ma quando si vota?


di Mauro Suttora

Oggi, 19 dicembre 2012


Mancano soltanto 45 giorni al 3 febbraio, data fissata dal Tar per le elezioni regionali del Lazio, ma non si sa ancora nulla. Si voterà, non si voterà? «Richiami nei prossimi giorni», rispondono sconsolati al ministero degli Interni. In nessun Paese di democrazia occidentale era mai successo un disastro del genere. Siamo nell’incertezza più assoluta.

Sono in ballo quattro elezioni: le politiche nazionali (Camera e Senato), più le regionali in Lombardia, Lazio e Molise. Per nessuna di queste, a pochissime settimane dal voto, è fissata una data. Per i partiti già rappresentati in Parlamento e nei tre consigli regionali, poco male: presenteranno le liste dei candidati anche all’ultimo minuto.

Ma tutti gli altri (Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, i Radicali di Marco Pannella ed Emma Bonino, Verso la Terza Repubblica di Luca Cordero di Montezemolo, La Destra di Francesco Storace ed altri) devono raccogliere moltissime firme. Per le Politiche addirittura 160 mila. Impossibile che ce la facciano. L’unico senza problemi sembra Grillo: ai suoi banchetti c’è la fila per sottoscrivere.

E pensare che, per legge, la raccolta firme dovrebbe iniziare sei mesi prima. Ma la regola salta in caso di voto anticipato. E questo è il caso di tutte e quattro le elezioni. Le politiche arrivano due mesi prima la scadenza naturale (aprile) per non accavallarsi con il voto per il nuovo presidente della Repubblica. 

L’unica cosa sicura, adesso, è che andremo alle urne in febbraio. Naturalmente la soluzione più logica è che si voti nello stesso giorno dappertutto: risparmio di soldi per lo stato e di tempo per i cittadini. Ma per gli azzeccagarbugli la semplicità non è una virtù. Possiamo solo sperare che prima o poi il Consiglio dei ministri si svegli e decida. Deve  comunque farlo, prima di Natale. Altrimenti si slitta a marzo.     

Monday, February 07, 2011

I radicali salvano Berlusconi

Pannella stangherà i pm per conto del Cav

Sempre in bilico fra destra e sinistra, il leader radicale promette nove voti al premier

di Mauro Suttora

Libero, 7 febbraio 2011

Se Silvio Berlusconi cerca l'elisir della giovinezza, meglio Marco Pannella di Ruby. L’ottantunenne leader radicale esibisce l’energia di un ventenne, in questi giorni. Con la sua coda di cavallo bianca da capo indiano, è felice per essere tornato a fare notizia. E che notizia: sarà lui a nominare il prossimo ministro della Giustizia. Se Alfano diventerà coordinatore unico del Pdl, di fatto delfino di Berlusconi, il candidato potrebbe essere un «tecnico d’area radicale»: Mario Patrono, consigliere Csm di area socialista negli anni ‘90. Il quale in via Arenula si occuperà dei tre argomenti che stanno a cuore a Pannella: carceri, separazione delle carriere e responsabilità civile dei magistrati (referendum vinto nell’87 sull’onda del caso Tortora, ma depotenziato da legge poco applicata).

In cambio, nelle votazioni topiche Berlusconi avrà nove voti in più: i sei radicali alla Camera, e i tre senatori. Difficile per Emma Bonino seguire Marco anche in questo suo ultimo giro di valzer: lei è vicepresidente del Senato, in quota centrosinistra. Con qualche obbligo in più verso chi l’ha eletta, quindi. Ma se Fini ha fatto il salto della quaglia, può farlo anche lei in direzione opposta. Magari astenendosi, oppure con qualche provvidenziale assenza. Già adesso Emma risulta fra i senatori meno presenti. Gli altri parlamentari radicali obbediranno, come sempre. Anche quelli col mal di pancia.

Sbaglia chi carica il «tradimento» radicale di significati politici. Come sempre, Pannella agisce soprattutto in base a umori personali. Gli dà fastidio che Bersani lo snobbi. Mentre lo hanno galvanizzato i due incontri personali con Berlusconi, e poi quello con Alfano.

Il premier è in difficoltà? In Pannella scatta immediatamente l’istinto della crocerossina: «Io ti salverò», gli promette hitchcockianamente. Lo aveva fatto anche con Craxi nel ‘93: «Consegnati, fatti incarcerare, stai in prigione qualche settimana, e alla fine verrai liberato a furor di popolo». Con tutti i parlamentari inquisiti di Tangentopoli, Marco si era dimostrato accogliente. Li aveva combattuti per trent’anni, democristi e socialisti, ma di fronte alla procura di Milano li aveva difesi, respingendo il voto anticipato che li privava dell’immunità: «Riuniamoci all’alba, resistiamo».

Anche adesso, gli piace apparire come il «salvatore». È tornato a fare il consigliere di Berlusconi, come ai bei tempi del ‘94-96, quando i radicali si allearono a Forza Italia. Poi una rottura parziale, quando non raggiunsero il quorum e rimasero fuori dal Parlamento per dieci anni (1996-2006). E una rottura totale nel 2000, dopo che la lista Bonino conquistò il 14 per cento al nord alle europee, ma Berlusconi la liquidò come «protesi di Pannella».

I radicali sono sempre stati in bilico fra destra e sinistra. Liberisti in economia, ma libertari sui diritti civili. Portafogli a destra, cuore a sinistra. Sessant’anni fa Pannella cominciò nella corrente di sinistra del partito liberale con Eugenio Scalfari. Assieme fondarono il partito radicale nel ‘55, per separarsi sette anni dopo: Scalfari guardava al Psi, Pannella al Pci.

Fino al ‘92 i radicali sono rimasti a sinistra. Poi hanno svoltato a destra organizzando referendum liberisti con la Lega Nord, cui aderì anche Berlusconi. Il ritorno a sinistra è del 2006, dopo il fallimento del referendum sulla fecondazione assistita. Si allearono con i socialisti, riesumarono il simbolo della Rosa nel pugno, ma non andarono oltre il tre per cento. Nel 2008 Veltroni rifiutò di l’”apparentamento” con loro (come con Rifondazione), costringendoli a un’umiliante contrattazione di posti all’interno delle liste Pd. Ancor peggio l’anno dopo, quando Franceschini li cancellò anche dall’Europarlamento alzando la soglia-ghigliottina al 4 per cento.

L’orgoglioso Pannella non ha dimenticato gli affronti degli «imbecilli del loft», e ora gliela fa pagare.
Con Bersani i rapporti sono rimasti agrodolci fino a poche settimane fa. Il capo Pd ha incontrato Pannella prima del 14 dicembre, quando già c’erano le avvisaglie del cambiamento con i primi abboccamenti dei radicali col centrodestra. Si è sorbito due ore di incontro, in cui ha parlato quasi sempre Pannella. Ma i radicali ce l’hanno con lui perché non li ha appoggiati nella loro battaglia contro le firme false di Formigoni alle regionali della Lombardia la scorsa primavera. «E quando cerchiamo di parlare di giustizia con il Pd, come interlocutori troviamo solo magistrati», si lamenta il deputato radicale Marco Beltrandi.

Ora una cosa è sicura: alle prossime elezioni sarà difficile che il Pd offra nove seggi ai radicali. Fa niente: Pannella li otterrà dal Pdl. Si ritroverà con Daniele Capezzone, suo delfino fino al 2007. E a chi lo accusa di trasformismo, risponde sorridendo: «Omnia immunda immundis. Io lotto per il bene del Paese».

Wednesday, September 29, 2010

Roma: metro senza stazioni

Incredibile: nella futura linea C cancellate quasi tutte le fermate in centro 

Oggi, 22 settembre 2010

 di Mauro Suttora

Trenta chilometri di coda la scorsa settimana sul Raccordo anulare. Ma l’inferno, per chi vuole muoversi a Roma, è quotidiano. I pendolari non sanno più se rassegnarsi a passare ore in auto, o farsi schiacciare come sardine in metro e nei bus durante le ore di punta. Urgentissime, quindi, nuove linee di metro. 

Adesso però la capitale stabilisce un nuovo record da Guinness: una metropolitana senza stazioni. 
La nuova linea C, infatti, nel suo tratto centrale da piazza Venezia a Ottaviano (quartiere Prati), ha eliminato tre delle quattro fermate previste: Largo di Torre Argentina, Chiesa Nuova e piazza Risorgimento. 

 «Così per ben due chilometri da Piazza Venezia a San Pietro, lungo tutta via del Plebiscito e corso Vittorio, non ci saranno stazioni», dice Mario Staderini, segretario dei Radicali, il primo a denunciare la sparizione delle fermate dal progetto. «Proprio la zona più centrale di Roma, con piazza Navona, il Pantheon e Campo de’ Fiori, non sarà servita».

 Anche Beppe Grillo dieci giorni fa si è accorto della questione, e ha ospitato sul suo sito un’intervista all’architetto Paolo Gelsomini.
 
 Ma non è questione di destra o sinistra. Infatti la società Roma Metropolitane, che sta realizzando la terza linea, è controllata dal Comune. E questo nel 2008 è passato dalla sinistra del sindaco Walter Veltroni alla destra di Gianni Alemanno. 

Com’è potuto accadere questo svarione? E c’è possibilità di rimedio? La società Roma Metropolitane spiega che la fermata Argentina era saltata già due anni fa per il ritrovamento di reperti archeologici. E che la recente scomparsa della fermata Chiesa Nuova, un chilometro più avanti verso il Tevere, è dovuta all’instabilità del terreno, scoperta dopo sondaggi. 

 Il problema è che tutta Roma ha sottoterra qualche reperto archeologico. Quindi, se si rimane prigionieri della smania conservazionista, non si può scavare da nessuna parte. Addio metropolitane, anche la futura linea D. 
E chi se ne importa se i reperti rimarranno comunque sepolti, perché non si possono certo abbattere le case per «valorizzarli» come fece Mussolini con i Fori Imperiali.

 «Senza le fermate in centro la metro C serve a poco», dice Staderini, «sarebbe come se a Milano sparissero tutte le stazioni sulla linea rossa da Cadorna a Palestro. Sul prolungamento della linea B, poi, è stata abolita la fermata Nomentana, che serviva un quartiere popolatissimo. E nel progetto della linea D è già sparita quella di piazza San Silvestro, nodo fondamentale per i capolinea dei bus e perché serve tutta la zona di Montecitorio, piazza Colonna, fontana di Trevi e Tritone».

 «La linea C è l’opera pubblica più costosa attualmente in costruzione in Italia, dai due miliardi e messo previsti è passata a cinque miliardi, contro i quattro e mezzo del ponte di Messina. Ma senza quelle stazioni non ha senso», dice l’architetto Gelsomini sul blog di Grillo.

 «Nelle zone abitate la distanza fra le fermata delle metropolitane dev’essere al massimo un chilometro», conferma a Oggi Edoardo Croci, professore all’università Bocconi ed esperto di trasporti, «perché gli utenti non possono camminare più di mezzo chilometro per raggiungerle. E occorre che ci siano nodi di corrispondenza con tram e bus». 

 Proprio a questo servirebbe la fermata soppressa a largo Argentina, dove il capolinea del jumbotram 8 da Monteverde e Trastevere porta in centro decine di migliaia di persone. Che troverebbero agevole proseguire il viaggio con la metropolitana. 

 La linea C è in progetto dal 1992. Doveva essere pronta per il 2011, ma non lo sarà prima del 2018. Speriamo che almeno una fermata in centro venga ripristinata. 
 Mauro Suttora

Monday, March 01, 2010

Radicali e popolo viola

GARANTISTI O GIUSTIZIALISTI?

di Mauro Suttora

Libero, 28 febbraio 2010

Che c’entrano Emma Bonino e Marco Pannella con il «popolo viola»? Che ci facevano ieri i radicali in piazza a Roma assieme ai cascami dell’ultrasinistra, ai residuati comunisti, alle tricoteuses che da quindici anni sognano la ghigliottina per Silvio Berlusconi?

Davvero la politica impone inversioni a U così spregiudicate? La Bonino si sente veramente così a corto di voti, per l’elezione in Lazio fra un mese, da dover corteggiare una frangia di piazza che è sempre stata, da quando i radicali esistono, agli antipodi del loro garantismo?

Si può dire che il partito radicale sia nato, come ragione sociale, assieme alla tutela dei diritti degli inquisiti. Sono passati 41 anni dal gennaio 1969, quando organizzarono la loro prima polemica “controinaugurazione” dell’anno giudiziario di fronte al “Palazzaccio” di giustizia di Roma. Invitarono magistrati e avvocati, ma soprattutto semplici cittadini danneggiati dalla giustizia. Segretario radicale era allora l’avvocato Mauro Mellini (poi deputato per dieci anni), che assieme al collega Giuseppe Ramadori, anch’egli dirigente del partito, fondò il gruppo “Rivolta giudiziaria”. Precursori: la corrente “Magistratura democratica” non era ancora nata.

Pannella faceva controinformazione sul caso di Aldo Braibanti, un intellettuale condannato a nove anni per plagio ed emarginato perché anarchico e omosessuale. Fu subito incriminato per diffamazione dei giudici. Ne nacque un caso nazionale: con il capo radicale solidarizzarono Pier Paolo Pasolini ed Elsa Morante. Alla fine il reato di plagio venne cancellato dal codice penale.

Dagli anni ’70 la magistratura è stata costantemente nel mirino dei radicali e dei loro referendum contro reati d’opinione, legge Reale, ergastolo, codici e tribunali militari. Walter Chiari e Lelio Luttazzi, incarcerati per droga nel 1970, furono difesi da Pannella, che nel ’75 effettuò la sua prima fumata di spinello in pubblico. Una lotta andata avanti fino ad oggi: alle prossime elezioni il leader radicale non si può presentare perché ha perso i diritti politici passivi (farsi eleggere alle amministrative) a causa della condanna per «cessione di droga» subita con la deputata Rita Bernardini.

Ma tutte le battaglie per i diritti civili (divorzio, aborto, obiezione di coscienza al servizio militare) possono essere considerate affermazioni della libertà individuale contro l’intromissione di stato, leggi, carabinieri, manette e giudici nella vita privata dei cittadini. Finché negli anni ’80 arrivò la campagna per Enzo Tortora, eletto eurodeputato nell’84, e quella conseguente per la «giustizia giusta», con il referendum vittorioso per la responsabilità civile dei giudici.

Il garantismo di Pannella non è mai stato peloso. Ha rasentato l’autolesionismo quando ha difeso i diritti dei parlamentari inquisiti in Tangentopoli, e perfino del boss calabrese Piromalli. E gli ha fatto definire «prostituzionale» la Corte costituzionale, oltre che «cupola della mafia partitocratica».

Viene tristezza quindi adesso nel vedere il libertario Pannella assieme a Paolo Flores D’Arcais (che come direttore della rivista Psi Mondo Operaio prendeva soldi da Craxi), ai giustizialisti e agli altri «amici di Spatuzza», il mafioso che sputazza accuse non provate contro Berlusconi. Perché i radicali sono sempre stati girondini, mai girotondini. Rivoluzionari sì, ma di centro: contro gli opposti estremismi giacobini e vandeani.

Mauro Suttora

Precisazione della signora Rossana Luttazzi, moglie di Lelio:

Gentile Signor Mauro Suttora,
mi è stato segnalato oggi sul Suo blog un articolo sui "radicali".
Ad un certo punto Lei scrive: ".....e Lelio Luttazzi incarcerati per droga".

Vede, quando si trattano argomenti tanto delicati, bisognerebbe fare uno sforzo in più, e documentarsi, rimanere nel vago non aiuta nessuno. Nel 1970 mio marito fu arrestato con un'accusa infondata di detenzione e spaccio di droga. Fu un errore giudiziario! Lo sanno tutti! Forse una delle prime vittime " illustri" del grande orecchio delle intercettazioni.. come ha ben scritto Susanna Tamaro sul "Corriere della Sera" di venerdì 26 febbraio 2010.

Chi legge "incarcerati per droga" e basta, secondo Lei, che cosa deve pensare?? E allora non è meglio chiarire un po' di più se proprio si vuol fare il nome di mio marito?

La pregherei di chiarire nel Suo blog "il concetto".

Nel ringraziarLa Le porgo cordiali saluti
Rossana Luttazzi

Se Lei vuole, può ricopiare questa mia rettifica e inserirLa nel Suo blog.


Mia risposta inviata alla signora Luttazzi:

Gentile signora,
lei completamente ha ragione. Ovviamente suo marito era perfettamente innocente, e così come per Enzo Tortora, che ho citato poco dopo come altro beneficiario del benemerito garantismo di Pannella, non ho neanche sentito il bisogno di precisarlo.
Ho sbagliato? Può darsi, ma non volevo appesantire l'articolo aggiungendo l'avverbio "ingiustamente".

Io personalmente sono antiproibizionista, non dovrebbe proprio esserci reato (come per altre droghe tipo alcol o tabacco). Ma capisco che dia fastidio a suo marito essere tirato in ballo ancora 40 anni dopo per un "reato" mai commesso!

Me lo saluti molto, quando ero piccolo ascoltavo sempre Hit Parade a pranzo, e ho avuto il piacere di rivederlo in teatro con Fiorello.

Mi scusi per il disturbo, aggiungerò questa sua lettera al mio blog, per quel che può servire. Proprio leggendo l'articolo della Tamaro mi era tornata in mente la sua vicenda

Cordiali saluti

Tuesday, January 23, 2007

Veglia per Welby

Ti condannano a vivere, caro Piero

Welby stremato dopo una sentenza che allunga la sua agonia.
"Non ce la facciamo più", ci dice la moglie Mina dopo la beffa del tribunale di Roma, che riconosce al malato terminale il diritto di morire, ma pretende una nuova legge per poter sospendere la respirazione artificiale

di Mauro Suttora

Oggi, 18 dicembre 2006

"Non ce la facciamo più". Questo è l' unico messaggio che arriva da casa Welby dopo la sentenza del tribunale di Roma. La giudice Angela Savio, salomonica, è riuscita a dare allo stesso tempo ragione e torto a Piergiorgio, il malato terminale che da anni invoca la morte. Welby ha ragione, sentenzia il magistrato, perché il diritto di ogni persona a farsi curare nel modo che ritiene più opportuno è stabilito dalla legge suprema dello Stato: la Costituzione. Ma ha anche torto, e quindi non può fare interrompere le cure dai medici, perché manca una legge che "tuteli concretamente" questo diritto. In soldoni: Welby può teoricamente farsi staccare il ventilatore artificiale col tubo che gli permette di respirare. Ma chi compie questa azione verrà accusato di omicidio, rischiando quindici anni di carcere secondo il codice penale fascista ancora in vigore.

Per protestare contro questi arzigogoli i i radicali hanno organizzato veglie per Welby in 50 città italiane ed europee (Londra, Bruxelles, Mosca). "Ormai non so più che cosa dire, Mauro, mi sento spremuta come un limone. Non abbiamo più parole, né io né Piero", mi dice Mina Welby, moglie di Piergiorgio, nel pomeriggio di domenica 17 dicembre. L' appuntamento è per le 15 e 30, ma contrariamente alle scorse settimane dalla casa del rione Don Bosco ora "esce" quasi solo silenzio.

È incredibile come questo piccolo appartamento al sesto piano di un palazzo anni Cinquanta della periferia sud di Roma, vicino a Cinecittà, sia diventato negli ultimi tre mesi il cuore dell' Italia politica. Era l' inizio dell' autunno quando Welby si è trasformato nel "caso Welby", soltanto perché il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano gli aveva usato la cortesia di rispondere pubblicamente a una sua lettera aperta, in cui per l' ennesima volta Piero chiedeva l' eutanasia ("Come in Olanda, come in Svizzera").

E adesso, a fine autunno, dopo centinaia di pagine su tutti i giornali, copertine di settimanali, un libro (il suo, titolato "Lasciatemi morire"), decine di dibattiti tv, centinaia di dichiarazioni di politici, medici ed esperti, siamo al punto di prima: Piero non è padrone della propria vita, non può decidere se vivere o morire dopo 45 anni di distrofia muscolare. Nessuno vuole esaudire la richiesta di questo paziente impaziente dopo quasi mezzo secolo di sofferenze.

Nell' appartamento che il marito aveva scelto perché luminoso, sua madre Luciana, 86 anni, lo ha visto spegnersi anno dopo anno, mese dopo mese, giorno dopo giorno. Non fanno entrare quasi nessuno, lei e la nuora (Gugliel)Mina, coscienziosa e severa come la sudtirolese che è. Le poche immagini ritrasmesse in Tv da tre mesi sono quelle di Odeon, della trasmissione di Gianfranco Funari che riuscì a entrare a settembre. Poi basta. Idem per foto e giornalisti: gli ammessi nell' appartamentino si contano sulle dita di una mano. Nessun ministro in visita: alle richieste, gentile ma inflessibile, Mina risponde sempre: "Piero è troppo stanco, stanotte non ha dormito". Perfino Marco Pannella e i radicali dell' associazione Coscioni, Piero e Mina preferiscono sentirli al telefono. Mina teme le infezioni.

Ma Piero è collegatissimo col mondo, ascolta sempre radio radicale, guarda la Tv, si fa leggere da Mina tutte le dichiarazioni di ogni politico. Si è commosso sentendo Giorgio Albertazzi leggere alcune pagine del suo libro alla veglia in Campidoglio. Si arrabbia e si deprime ogni volta che lo insultano, che insinuano che si farebbe strumentalizzare. "Mi trattate come Aldo Moro, non volete rispettare la mia volontà", ha scritto. La guerra di Piero va avanti. "Non per molto, non ce la facciamo più", ripete Mina.

Di là, nella stanzetta oltre il minuscolo ingresso, c'è lui. Steso nel letto dove rischia piaghe da decubito, e dove viene il fisioterapista tre volte alla settimana per muovergli braccia e gambe inerti. Fino ad aprile Piero riusciva a spostare ancora qualche dito, e così poteva scrivere sul computer scambiando messaggi perfino scherzosi con gli amici del suo forum su Internet. Ora non più, anche quest' ultimo filo che lo teneva aggrappato al mondo e alla vita si è spezzato. "Per lui è stato un durissimo colpo", ci dice Mina, "è entrato in depressione, da allora vuole solo morire".

"Per fortuna, mio marito scelse un piano così alto: almeno dalle finestre entra la luce, si vedono il sole e il cielo", ci ha detto la signora Luciana seduta sul divano del soggiorno l' ultima volta che siamo andati a trovarli. Il padre di Piero si fece assegnare questo appartamentino riservato ai dipendenti pubblici. Era scozzese, da giovane era stato giocatore professionista di calcio, era sceso nei campi di serie A alla fine degli anni Venti con la Roma di Attilio Ferraris e Fulvio Bernardini.

Ottant' anni dopo, per uno strano scherzo del destino, si chiama Bernardini (Rita) anche la segretaria dell' unico partito, il radicale, che dal 2002 ha preso a cuore la tremenda richiesta di Piero Welby. È scozzese questo strano cognome che interpella le coscienze di tutti gli italiani. Apparentemente estraneo alla tradizione cattolica, e infatti c' erano solo due valdesi alla veglia per Welby: il ministro della Solidarietà Paolo Ferrero (Rifondazione comunista) e la pastora Maria Bonafede, moderatrice dei valdesi, unica donna a capo di una Chiesa.

Quattro chilometri a nord di casa Welby c'è il Vaticano, con il Papa che ammonisce quasi quotidianamente: "L' eutanasia è omicidio". Due chilometri a nord c'è il Parlamento, con i parlamentari cattolici che ribadiscono: "Eutanasia, mai". Ma qui, sul divano a fiori di casa Welby, c' è la mamma di Piero, ultraottantenne, cattolicissima che allarga le braccia dicendo: "Che dobbiamo fare ?". E che cosa avrebbe fatto sua sorella, la zia di Piero, madre superiora di un importante ordine di suore, che ha visto il nipote diagnosticato di distrofia a 16 anni, con il medico che prevedeva: "Non arriverà a vent' anni"?

Alle pareti del salotto sono appesi tutti i quadri dipinti da Piero finché le sue dita riuscivano a muovere un pennello. Mamma Luciana tira fuori orgogliosa due album traboccanti di foto: sono quelle che Piero scattava a fiori, farfalle e insetti finché le sue mani riuscivano a fare clic su una macchina fotografica. Poi si alza, va verso il comò, apre due cassetti e ci regala un po' di presine coloratissime: "Le facevo all' uncinetto, le davo a un negozio di casalinghi qua sotto che me le vendeva. Ma ormai non le vuole più nessuno". Mamma Luciana allarga le braccia sul divano, sfogliando gli album con le foto delle farfalle. L' autunno di Welby è finito. Ora comincia l' inverno.

Mauro Suttora

Thursday, May 17, 2001

Recensione di Pannella & Bonino spa

Recensione del libro Pannella & Bonino, storia dei radicali di Mauro Suttora (ed.Kaos, 2001)

di Guido Vitiello

17 Maggio 2001

"Corrusco": che qualcuno l'abbia scambiato per "corrucciato" mi pare un lapsus imperdibile e una "felix culpa", una colpa provvidenziale. Corrusco lo si dice di un'armatura lampeggiante, di una corazza che scintilla al sole. Non è sinonimo di "luminoso", che può indicare una luce che sprigiona dall'interno. Piuttosto, è un attributo della pura superficialità.

Un libro senz'anima, infatti. Suttora si inebria paganamente delle superfici, e non ci offre altro. Pura epidermide radicale stesa al sole. Solo che quello che per molti è un motivo di biasimo ("tratta Pannella come Flavia Vento", ha detto fra gli altri Capezzone) a me pare il punto di forza del libro di Mauro. Che su di me ha avuto un effetto liberatorio. Vedere simultaneamente Pannella da tutti i punti di vista - quelli alti e quelli triviali, grandezze e  miserie, chiacchiere e concioni - come ce lo  mostrerebbe un pittore cubista: è un trip psichedelico degno dello spot di Toscani per le passate regionali.

Ripercorrendo in fast forward e con un montaggio parossistico la storia radicale di questi trent'anni mi sono liberato per sempre del fantasma di Pannella,  dello sterile dilemma Pannella sì/Pannella no, della querelle sulla classe dirigente, di tutte le molto sagge e molto responsabili tirate dei molto venerabili professori ex radicali... e proprio per questo mi disinteresso della questione delle "dimissioni", che mi pare un po' (chiedo scusa a Mauro) una teodorata, un  wishful thinking banalotto da politologo del Corriere.

Il libro invece ha una leggerezza e una specie di saggezza non premeditata che vi invito a riconsiderare. Non leggetelo col sussiego con cui sfogliereste, dal barbiere, un numero di Novella 2000. Non è una storia, non è un saggio critico, non è nemmeno cronaca giornalistica: se voleva esserlo, ha mancato il bersaglio. E' piuttosto come quella rivista di moda e amenità che Mallarmé compilava con accanimento certosino e con l'idea di star scrivendo cose di straordinaria importanza. E come tale va letto.
Perché reclamare un libro "profondo"? "Superfici. Superfici di superfici su superfici. (...) L'abisso è il risucchio di una pianura. Perché adorare un risucchio?" (Il pendolo di Foucault). In fondo, direbbe Nietzsche, "Pannella esiste solo come fenomeno estetico".

Saturday, November 22, 1986

Armi Italia-Iran

ROTTA DI COLLUSIONE

Traffici proibiti. Irangate: la vera storia della vendita di armi USA all' Iran

Un mercantile danese che parte da Israele e arriva a Bandar Abbas . Un armatore che utilizza per i viaggi che scottano il porto italiano di Talamone (Grosseto) . Un sindacalista di Copenaghen racconta tutto

dal nostro inviato a Copenhagen Mauro Suttora

Europeo, 22 novembre 1986

Cala la notte sul golfo di Aqaba. La nave danese Morsoe si avvicina al porto israeliano di Eilat a luci spente. E scortata da una motovedetta militare con la stella di Davide . A sinistra , il Sinai egiziano ; a destra , le basse coste della Penisola Saudita . Arrivata nel porto , la nave viene ispezionata attentamente dai soldati israeliani saliti a bordo . Alcuni uomini rana si tuffano per controllare la chiglia . Poi , in silenzio , cominciano le operazioni di carico .

Sono 26 i container che vengono stivati sulla Morsoe : pesano in tutto 460 tonnellate . I marinai danesi non possono metter piede a terra : c' e' solo un rapido rifornimento di viveri . Dopo poche ore , prima dell' alba , Eilat e' gia' lontana , e la Morsoe naviga nel mar Rosso . Direzione : sud . Destinazione : Bandar Abbas , principale porto dell' Iran .

La Morsoe non arrivera' mai a Bandar Abbas . La nave che attracca il 21 ottobre nel porto dell' ayatollah Ruhollah Khomeini ha cambiato nome : adesso si chiama Solar . Sui 26 container e' stata cancellata ogni indicazione . E anche l' equipaggio ha dovuto nascondere tutte le tracce del passaggio in Israele : via i piccoli adesivi " Jaffa " dalle arance , perfino il latte e' stato travasato dai cartoni con le scritte ebraiche in anonime bottiglie di plastica .

Cosi' la Morsoe/Solar puo' portare a termine la sua missione . Ed e' una missione incredibile : la nave danese infatti ha trasportato armi da Israele all' Iran . Cioe' fra due paesi che ufficialmente sono nemici mortali : non passa giorno senza che qualche imam di Teheran invochi l' annientamento dello Stato d' Israele , mentre Gerusalemme accusa l' Iran di finanziare , assieme alla Libia e alla Siria , i terroristi mediorientali (vedere l' intervista al nuovo premier israeliano Yitzhak Shamir a pag . 50) .

" Ci sono stati almeno altri nove viaggi di questo tipo su navi danesi da un anno a questa parte , a partire dal settembre 1985 " , rivela Jesper Ravn , giornalista dell' agenzia di stampa nazionale della Danimarca , che ha indagato sulla vicenda . La verita' sui reali traffici della Morsoe/Solar l' ha spifferata un membro dell' equipaggio il 6 novembre scorso . Il proprietario , Finn Poulsen , non ha potuto negare l' evidenza . E perche' avrebbe dovuto , comunque ? Non e' illegale vendere armi all' Iran , tranne che per gli Stati Uniti che hanno decretato un embargo . Non siamo nel 1979 , quando la Morsoe Solar , che allora si chiamava Hanne Trigon , violo' l' embargo decretato dall' Onu contro l' esportazione d' armi in Sud Africa (vedere il riquadro a pag . 11) .

Dal 1980 , da quando e' iniziata la guerra Iran Irak , il flusso di armi e' incessante , da tutta Europa : non passa settimana senza che porti specializzati in export bellico , come l' italiano Talamone , lo spagnolo Santander , il francese Cherbourg o il belga Zeebrugge , non vedano partire qualche cargo per il golfo Persico . Solo dal porto italiano , secondo i radicali , sarebbero partiti in sei anni 60 carichi di armi . Adesso pero' la piccola e pacifica Danimarca e' diventata il terminale di uno scandalo internazionale . E allora andiamo a Copenaghen per capirne di piu' sulla " iranian connection " che sta scuotendo l' America .

" Cosa portano mai i nostri uomini da Israele all' Iran , quando fino a un anno fa dallo Stato ebraico non usciva neanche una patata in quella direzione ? " , si e' chiesto Henrik Berlau , vicepresidente del potente sindacato dei marittimi danesi (5500 iscritti) . La risposta gli e' arrivata in questi giorni : Israele ha girato all' Iran grossi quantitativi di armamenti made in Usa . E il prezzo pagato dagli Stati Uniti per tentare di ottenere la liberazione degli ostaggi americani in mano agli hezbollah , gli integralisti islamici benedetti da Teheran .

Ma questa svolta sotterranea nella politica del presidente Ronald Reagan non e' affatto piaciuta ai combattivi marinai danesi . I quali il pomeriggio del 30 ottobre sono passati all' azione . Altra nave danese , la Marie Th . , lunga 67 metri , otto membri di equipaggio , di proprieta' della compagnia Svendborg Enterprise . Era a Belfast il 30 settembre , a Lancaster il 9 ottobre , a Gibilterra pochi giorni dopo . A meta' ottobre arriva a Talamone , e li' imbarca quattro container zeppi di munizioni . Ma i marinai vengono a sapere che la meta finale del viaggio e' l' Iran , e si rifiutano di proseguirlo . Sono rimpiazzati da altri uomini fatti arrivare in fretta e furia da Rotterdam , fra cui quattro africani di Capo Verde disposti a tutto pur di guadagnare un po' .

Al sindacato risulta che anche il comandante della nave , Joergen Thusen , si sia ribellato , ma la compagnia , interpellata dall' Europeo , nega e lo da' tuttora a bordo . La Marie Th . lascia l' Italia per il Pireo , porto di Atene , da dove parte in direzione est il 25 ottobre . Ma , cinque giorni dopo , colpo di scena : il ministero dell' Industria e della Marina di Copenaghen ordina alla nave di non proseguire il viaggio verso Bandar Abbas . Perche' ?

" Siamo stati noi ad avvertire il ministro " , spiega il sindacalista Berlau , " del fatto che i marinai correvano un grande pericolo : ci e' giunta infatti notizia che gli iracheni controllavano gli spostamenti della nave , sapevano che cosa trasportava , e che probabilmene l' avrebbero ' ' neutralizzata' ' una volta fuori dal Mediterraneo , nel mar Rosso o nell' oceano Indiano " .

Ma come fanno gli iracheni (o gli iraniani ) a controllare i rifornimenti per il nemico fin dai porti europei ?
" Non e' difficile " , risponde Berlau . " Basta che tengano d' occhio quei 4 5 porti strategici per il traffico d' armi , come Talamone o Cherbourg , e che poi aspettino le navi a Suez o negli stretti di Bab el Mandeb e Hormuz . Non dimentichiamo che durante la guerra Iran-Irak e' stata colpita finora la stessa quantita' di tonnellaggio mercantile di tutta la Seconda guerra mondiale " .

Cosi' la Marie Th . ha dovuto scaricare i quattro container imbarcati a Talamone nel porto israeliano di Ashdod , sulla costa mediterranea . " Era la loro destinazione in ogni caso " , precisano gli armatori . Invece secondo il sindacato il carico bellico proveniente dall' Italia sarebbe stato parcheggiato temporaneamente in Grecia . In ogni caso , dopo una breve sosta nel porto greco di Laurium , venerdi' 7 novembre la Marie Th . e' ripartita da Milos per la Francia .

Il clamore suscitato in Danimarca da questa vicenda ha gia' provocato dei risultati concreti : questa settimana il Parlamento danese si riunisce e , con ogni probabilita' , approvera ' una legge che vieta alle navi di Copenaghen di trasportare materiale bellico a paesi in guerra . " Quello che ci ha profondamente irritato " , spiega Henrik Berlau , " e' che gli Stati Uniti si siano serviti dei nostri marinai , cioe' di cittadini di un paese alleato , come inconsapevoli soldati per i loro sporchi traffici " .

Ma , a parte le preoccupazioni per l' incolumita' dei marinai danesi , quali prove avete che le armi caricate in Israele facciano parte del " pacchetto " americano ? Berlau tira fuori dal cassetto alcuni ritagli stampa , e ci mostra una notizia dello scorso luglio apparsa su tutti i giornali tedeschi : " A Monaco di Baviera la polizia della Germania occidentale ha arrestato un certo Henry Kamaniecky , cittadino tedesco israeliano , che aveva in tasca un contratto di forniture militari firmato da Israele e dall' ambasciata iraniana a Bonn per un valore di 700 milioni di corone danesi (circa 140 miliardi di lire italiane) . Il trasporto doveva avvenire attraverso la Jugoslavia " .

A questo pezzo del puzzle se ne aggancia subito un altro : il particolare , citato da diversi marinai danesi , che la Morsoe Solar e altre navi , implicate nel traffico fra Eilat e Bandar Abbas , una volta raggiunta Eilat aspettavano al largo , nel golfo di Aqaba , anche per due o tre settimane . " Cioe " , spiega ancora Berlau , " l' equivalente del tempo che sarebbe stato necessario per attraversare il canale di Suez , entrare nel Mediterraneo , raggiungere un porto jugoslavo e tornare indietro . Perche' , ufficialmente , il trasporto non toccava Israele : partiva dalla Jugoslavia e arrivava direttamente in Iran " .

E quest' ultima spedizione interrotta della Marie Th . ? Che probabilita' ci sono che dentro a quei quattro container imbarcati a meta' ottobre a Talamone ci fossero non armi fabbricate in Italia , ma sofisticati pezzi di ricambio made in Usa ? " Molte " , risponde Berlau . " I nostri marinai , bene o male , sanno quello che trasportano . E poi , una nave come la Marie Th . , in grado di caricare 1200 tonnellate di merce , non puo' permettersi , normalmente , di viaggiare vuota dall' Inghilterra fino all' Italia , come ha fatto . Quelle navi non stanno vuote neanche un giorno . Si vede che il trasporto del carico imbarcato a Talamone e' stato pagato profumatamente , tanto profutamente da coprire ogni mancato guadagno . Quando le missioni sono ' ' speciali' ' , come verso il Sud Africa , i prezzi salgono anche quattro cinque volte oltre i livelli normali " .

Alla compagnia Svendborg affermano di avere noleggiato per sei mesi la Marie Th . a un' altra societa' danese , la Orsleff di Copenaghen , e di non conoscere quindi esattamente la natura delle merci trasportate : " Comunque " , dicono , " se i container sono stati imbarcati a Talamone sicuramente si trattava di materiale bellico . E non possiamo escludere che fosse americano . Chi sa tutto e' l' agente che ha in mano gran parte delle spedizioni da Talamone . Perche' non vi rivolgete a lui , al signor Egisto Fanciulli ? " .

Il signor Fanciulli smentisce in anticipo tutto : " Voi giornalisti pubblicate solo frottole " . Va bene , allora ci aiuti lei a trovare la verita' . Cosa c' era in quei quattro container imbarcati sulla Marie Th . ? " Non erano container , erano quattro cassette piccole " . Ma dentro cosa c' era ? Armi italiane o americane ? " Macche' armi , da Talamone non partono armi " . Suvvia , signor Fanciulli , abbiamo parlato con gli armatori . " Non c' erano armi , c' era materiale bellico . Ma non sono tenuto a dirvelo " . Pezzi di ricambio ? " No , munizioni . . . Io comunque non vi dico nulla , rivolgetevi all' autorita' competente " .

L' autorita' competente a Talamone e' tantissima : ci sono i doganieri , la guardia di finanza , i carabinieri , i funzionari del ministero della Difesa e quelli del ministero per il Commercio estero . Ognuno con i suoi bolli e i suoi timbri . " E noi siamo in regola " , assicura Fanciulli , che pero' custodisce il suo segreto : " Non sono tenuto a dirvi niente . Buonasera " .

Ricapitolando : diverse navi danesi che negli ultimi mesi hanno trasportato di nascosto armi da Israele all' Iran . I marittimi danesi che mettono i bastoni fra le ruote . " Niente di piu' facile allora " , ragiona Berlau , " che per sviare i sospetti dopo le nostre denunce delle scorse settimane gli americani non utilizzino piu' , come porto d' imbarco , solo Israele , ma anche paesi terzi " . Inoltre , e' provato che un' altra nave della stessa compagnia della Marie Th . , la Else Th . , fra maggio e agosto di quest' anno ha trasportato 3500 tonnellate di armi in quattro viaggi da Eilat a Bandar Abbas .

Quindi , anche se fosse vero che i quattro container di materiale bellico caricati in Italia sulla Marie Th . dovevano andare nel porto israeliano di Ashdod e non in Iran , come afferma la Svendborg (Bandar Abbas sarebbe stata , secondo loro , la destinazione di un ulteriore carico imbarcato in Grecia dalla stessa nave) , questo non garantisce che dopo un breve tragitto via terra Ashdod Eilat anche il prezioso carico di Talamone non sia finito nelle mani degli uomini di Khomeini . " E non e' finita qui " , promette combattivo Berlau . " Conosciamo altre navi danesi implicate nel traffico con l' Iran di cui non possiamo svelare nome e itinerario perche' sono ancora in zona pericolosa , oltre Suez . E poi non ci sono solo le navi e i marinai danesi , a questo mondo . Cosa fanno le navi da trasporto di altre nazionalita' ? "

Mauro Suttora