Il suicidio del regista riapre il dibattito sulla "dolce morte"
Oggi, 8 dicembre 2010
di Mauro Suttora
«Se fosse legale l’eutanasia, Monicelli sarebbe morto in modo più dignitoso», ha commentato l’oncologo Umberto Veronesi. «Ha scelto il suicidio, ha scelto di buttarsi dal balcone», ha detto la deputata radicale Rita Bernardini, «e dovremmo riflettere su come alcune persone che non ce la fanno più sono costrette a lasciare la vita, anziché poter morire, magari con i propri cari accanto, con il metodo della “dolce morte”».
Le ha replicato Paola Binetti (Udc): «Basta con gli spot pro-eutanasia partendo da episodi di uomini disperati. Monicelli era stato lasciato solo da famiglia e amici. Il suo è un gesto tremendo di solitudine, non di libertà». Walter Veltroni: «Mario ha vissuto e non si è lasciato vivere. Ha deciso di andarsene». E il presidente Giorgio Napolitano: «Rispettiamo l’ultima manifestazione della sua forte personalità, un estremo scatto di volontà».
Il dibattito sull’eutanasia era già ripreso dopo i discorsi della vedova di Piergiorgio Welby e del padre di Eluana Englaro nel programma tv di Roberto Saviano e Fabio Fazio, i quali poi non hanno accettato le repliche richieste dai gruppi cattolici «pro-vita» sostenendo: «Noi non siamo pro-morte».
I fautori dell’eutanasia (dal greco eu, dolce, e tanatos, morte) preferiscono definirsi, come negli Stati Uniti, «pro-scelta»: il diritto individuale di scegliere, in caso di malattie terminali (il cancro del 95enne Monicelli), paralisi fisica totale (Welby) o coma profondo (Englaro), se anticipare la propria morte evitando inutili sofferenze.
In teoria sul rifiuto dell’accanimento terapeutico sono d’accordo anche i cattolici. Ma la legge che introduce il «testamento biologico» (con cui ciascuno di noi potrebbe decidere in anticipo che fare nel caso finisse in coma irreversibile) è bloccata da mesi in Parlamento. I cattolici, infatti, non ritengono che l’alimentazione e la ventilazione forzata siano forme di accanimento.
Così, non resta che la soluzione praticata da un dolente Clint Eastwood nel suo film Million Dollar Baby, quando stacca la spina (il tubo) alla giovane pugile. Di notte, di nascosto: si fa ma non si dice.
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Wednesday, December 15, 2010
Wednesday, January 27, 2010
Emma Bonino e Renata Polverini
LAZIO, LA DISFIDA DELLE RAGAZZE
Chi sono (davvero) le due donne che si contendono Roma
Da una parte c'è la sindacalista di Destra spesso apprezzata anche dalla Sinistra. Dall'altra, la radicale valorizzata da Berlusconi. Ecco le protagoniste delle Regionali
di Mauro Suttora
Oggi, 27 gennaio 2010
La sede del suo sindacato, l'Ugl, è in via Margutta, la strada più chic di Roma. Come se a Milano i metalmeccanici stessero in via Montenapoleone. Ma non è l' unico miracolo compiuto da Renata Polverini, capa dell'Unione generale del lavoro (l'ex Cisnal neofascista). Milena Gabanelli, in Report, ha formulato dubbi sul numero reale dei suoi iscritti. La Ugl ne vanta più di due milioni. Qualcuno mormora che a questa cifra bisognerebbe togliere uno zero. E lei, Renata, non smentisce: «Non fatemi parlare, ne avrei di cose da raccontare...», minaccia. Come dire: così fan tutti, controllate anche i cinque milioni di iscritti alla Cgil, i quattro della Cisl, i due della Uil. Con tanto di moltiplicazione di poltrone (e stipendi) nei consigli di amministrazione Inps e di tutti gli altri enti dove ai sindacati spettano posti.
Il palazzo di via Margutta è di proprietà, come l'attiguo Hotel de Russie, dei conti Vaselli: palazzinari in affari per centinaia di milioni con il Comune di Roma. Uno di loro è stato condannato a quattro anni come complice di Ciancimino, e ha latitato per tre anni. Il canone d' affitto all'Ugl non è noto, ma potrebbe diventare fonte di conflitto d'interessi se Renata Polverini fosse eletta governatrice.
Emma Bonino, invece, di iscritti ne ha solo 200: tanti erano quelli al suo partito radicale a metà gennaio. C'è da dire che la tessera va rinnovata ogni anno e costa parecchio: 200 euro. Ma i numeri non sono mai stati un problema per lei e Marco Pannella. Anche con tremila iscritti e solo il tre per cento dei voti, negli ultimi quarant' anni hanno cambiato l' Italia: divorzio, aborto, obiezione di coscienza, diritti gay, nucleare, finanziamento pubblico ai partiti... Ora lottano per il testamento biologico, sull' onda dei casi di Piero Welby ed Eluana Englaro.
Il periodo d'oro di Emma (così la chiamavano tutti, finché la sua omonima Marcegaglia è diventata presidente Confindustria: ora bisogna specificare) è stato dal 1994 al '99, quando fu commissaria europea ai Diritti umani. Andò in Afghanistan nel '97, quando nessuno si preoccupava di al Qaeda e talebani. Ci litigò subito, loro la arrestarono. Per dieci anni ammonì invano sulle stragi nella ex Jugoslavia, finché la Nato dovette intervenire in Kosovo. Tutto il mondo la lodò, l'Economist scrisse addirittura che era stata la migliore commissaria Ue. Risultato: il governo italiano non le rinnovò il mandato. Altrimenti ci sarebbe lei ora sulla poltrona del Segretario generale Onu, al posto dell'incolore Ban Ki Moon.
«E pensare che in Europa l'ho mandata io, peccato ora averla contro», sospira Silvio Berlusconi. È vero: sedici anni fa, quando fu premier la prima volta, la preferì a (indovinate chi?) Giorgio Napolitano, anche lui in lizza per Bruxelles. Poi però nel ' 99 Silvio s'ingelosì perché alle Europee la Bonino pigliò l'8 per cento dei voti (con punte del 18 nelle città del Nord, secondo partito dopo Forza Italia). E le stroncò la carriera, insultandola come «protesi di Pannella».
Così i radicali si ributtarono a sinistra, dov' erano già stati fino agli anni ' 80, e nel 2006 Romano Prodi nominò Emma ministro delle Politiche comunitarie. Oggi la Bonino è vicepresidente del Senato, e sta simpatica a tutti: dagli industriali a Rifondazione comunista, dalle sorelle Fendi ai profughi uiguri del Turkestan cinese. Sarà un po' difficile per lei occuparsi di Frosinone dopo aver volato per vent' anni fra Il Cairo e New York. Ma a sinistra nessun altro se l'è sentita di candidarsi nel Lazio dopo lo scandalo trans di Piero Marrazzo.
Oltre all'inedito duello fra donne, quel che è incredibile è che la Polverini e la Bonino si stimano. Quindi, una volta tanto, niente risse sul nulla, e molta concretezza. Entrambe sono «trasversali», parola assai quotata nella Casta politica: di solito è sinonimo d' inciucio o trasformismo (oggi a destra, domani a sinistra, e viceversa). Nel loro caso, invece, è ammirazione sincera quella che gli avversari provano per le due «ragazze». Anche perché la Polverini si dichiara di destra, «ma socialista e antiliberista»: non per nulla, il Msi si chiamava Movimento «sociale». Per lei voteranno i diseredati delle borgate romane, ma forse non tutti i forzitalioti perché è finiana.
LIBERISTA DI SINISTRA
La Bonino, viceversa, anche se candidata della sinistra è liberista (contro l'articolo 18 ha promosso un referendum) e filo-Stati Uniti. Ma Paolo Ferrero (Rifondazione) dice: «Emma ci piace». Prima don na a capo di u n sindacato in Europa, la frangetta di Renata assomiglia a quella di un altro volto emergente della politica italiana: Debora Serracchiani, parrocchia opposta (democratica). Di solito le riunioni e le trattative sindacali vanno avanti per ore, fino a notte fonda. La Polverini ha introdotto una nuova regola: tutti a casa entro le cinque. Per non escludere le donne, con i figli che tornano da scuola. Un piccolo accorgimento che vale quanto un'intera legge per le pari opportunità. Insomma, quella fra Polverini e Bonino sarà una sfida tra due vere femministe.
Mauro Suttora
Figlia di sindacalista
RENATA POLVERINI
Nata a Roma nel 1962, sua madre era sindacalista Cisnal nel supermercato Sma dove lavorava. Cresciuta in collegio a Focene (Roma). Sposata senza figli, ha sempre lavorato come funzionaria Cisnal, il sindacato vicino al Msi che nel ' 95 si trasforma in Ugl. Nel 2006 diventa segretaria dell' Ugl, prima donna in Europa a guidare un sindacato nazionale. Vicina a Gianfranco Fini, è criticata dal Giornale di Feltri, ma appoggiata dall'Udc di Casini.
STA CON FINI, MA LE PIACE D' ALEMA
Renata Polverini, 47 anni, a una manifestazione Ugl al Circo Massimo. Ha seguito Gianfranco Fini nello sdoganamento dell' estrema destra. Ma le piace anche D' Alema (Pd): «È strutturato, dimostra ciò che pensa».
EMMA BONINO
Nata nel 1948 a Bra (Cuneo) da una famiglia di agricoltori. Nubile, laureata alla Bocconi, abortisce e finisce in carcere con Adele Faccio. Da sempre con i radicali, è entrata in Parlamento nel '76 in jeans e zoccoli da femminista. Due anni dopo con Adelaide Aglietta fa passare la legge sull' aborto. Eurodeputata dal 1979, è stata commissaria Ue. Si è battuta contro la fame nel mondo, per il tribunale Onu, contro l'infibulazione e per i diritti delle donne arabe.
COPPIA (POLITICA) CON PANNELLA
Emma Bonino, 61, con Marco Pannella, 79. La Bonino è una dei pochi radicali rimasti fedeli al capo. Tutti gli altri (Rutelli, Capezzone, Teodori, Quagliariello) se ne sono andati. Nel '99 l' exploit: 8 per cento alle Europee.
Chi sono (davvero) le due donne che si contendono Roma
Da una parte c'è la sindacalista di Destra spesso apprezzata anche dalla Sinistra. Dall'altra, la radicale valorizzata da Berlusconi. Ecco le protagoniste delle Regionali
di Mauro Suttora
Oggi, 27 gennaio 2010
La sede del suo sindacato, l'Ugl, è in via Margutta, la strada più chic di Roma. Come se a Milano i metalmeccanici stessero in via Montenapoleone. Ma non è l' unico miracolo compiuto da Renata Polverini, capa dell'Unione generale del lavoro (l'ex Cisnal neofascista). Milena Gabanelli, in Report, ha formulato dubbi sul numero reale dei suoi iscritti. La Ugl ne vanta più di due milioni. Qualcuno mormora che a questa cifra bisognerebbe togliere uno zero. E lei, Renata, non smentisce: «Non fatemi parlare, ne avrei di cose da raccontare...», minaccia. Come dire: così fan tutti, controllate anche i cinque milioni di iscritti alla Cgil, i quattro della Cisl, i due della Uil. Con tanto di moltiplicazione di poltrone (e stipendi) nei consigli di amministrazione Inps e di tutti gli altri enti dove ai sindacati spettano posti.
Il palazzo di via Margutta è di proprietà, come l'attiguo Hotel de Russie, dei conti Vaselli: palazzinari in affari per centinaia di milioni con il Comune di Roma. Uno di loro è stato condannato a quattro anni come complice di Ciancimino, e ha latitato per tre anni. Il canone d' affitto all'Ugl non è noto, ma potrebbe diventare fonte di conflitto d'interessi se Renata Polverini fosse eletta governatrice.
Emma Bonino, invece, di iscritti ne ha solo 200: tanti erano quelli al suo partito radicale a metà gennaio. C'è da dire che la tessera va rinnovata ogni anno e costa parecchio: 200 euro. Ma i numeri non sono mai stati un problema per lei e Marco Pannella. Anche con tremila iscritti e solo il tre per cento dei voti, negli ultimi quarant' anni hanno cambiato l' Italia: divorzio, aborto, obiezione di coscienza, diritti gay, nucleare, finanziamento pubblico ai partiti... Ora lottano per il testamento biologico, sull' onda dei casi di Piero Welby ed Eluana Englaro.
Il periodo d'oro di Emma (così la chiamavano tutti, finché la sua omonima Marcegaglia è diventata presidente Confindustria: ora bisogna specificare) è stato dal 1994 al '99, quando fu commissaria europea ai Diritti umani. Andò in Afghanistan nel '97, quando nessuno si preoccupava di al Qaeda e talebani. Ci litigò subito, loro la arrestarono. Per dieci anni ammonì invano sulle stragi nella ex Jugoslavia, finché la Nato dovette intervenire in Kosovo. Tutto il mondo la lodò, l'Economist scrisse addirittura che era stata la migliore commissaria Ue. Risultato: il governo italiano non le rinnovò il mandato. Altrimenti ci sarebbe lei ora sulla poltrona del Segretario generale Onu, al posto dell'incolore Ban Ki Moon.
«E pensare che in Europa l'ho mandata io, peccato ora averla contro», sospira Silvio Berlusconi. È vero: sedici anni fa, quando fu premier la prima volta, la preferì a (indovinate chi?) Giorgio Napolitano, anche lui in lizza per Bruxelles. Poi però nel ' 99 Silvio s'ingelosì perché alle Europee la Bonino pigliò l'8 per cento dei voti (con punte del 18 nelle città del Nord, secondo partito dopo Forza Italia). E le stroncò la carriera, insultandola come «protesi di Pannella».
Così i radicali si ributtarono a sinistra, dov' erano già stati fino agli anni ' 80, e nel 2006 Romano Prodi nominò Emma ministro delle Politiche comunitarie. Oggi la Bonino è vicepresidente del Senato, e sta simpatica a tutti: dagli industriali a Rifondazione comunista, dalle sorelle Fendi ai profughi uiguri del Turkestan cinese. Sarà un po' difficile per lei occuparsi di Frosinone dopo aver volato per vent' anni fra Il Cairo e New York. Ma a sinistra nessun altro se l'è sentita di candidarsi nel Lazio dopo lo scandalo trans di Piero Marrazzo.
Oltre all'inedito duello fra donne, quel che è incredibile è che la Polverini e la Bonino si stimano. Quindi, una volta tanto, niente risse sul nulla, e molta concretezza. Entrambe sono «trasversali», parola assai quotata nella Casta politica: di solito è sinonimo d' inciucio o trasformismo (oggi a destra, domani a sinistra, e viceversa). Nel loro caso, invece, è ammirazione sincera quella che gli avversari provano per le due «ragazze». Anche perché la Polverini si dichiara di destra, «ma socialista e antiliberista»: non per nulla, il Msi si chiamava Movimento «sociale». Per lei voteranno i diseredati delle borgate romane, ma forse non tutti i forzitalioti perché è finiana.
LIBERISTA DI SINISTRA
La Bonino, viceversa, anche se candidata della sinistra è liberista (contro l'articolo 18 ha promosso un referendum) e filo-Stati Uniti. Ma Paolo Ferrero (Rifondazione) dice: «Emma ci piace». Prima don na a capo di u n sindacato in Europa, la frangetta di Renata assomiglia a quella di un altro volto emergente della politica italiana: Debora Serracchiani, parrocchia opposta (democratica). Di solito le riunioni e le trattative sindacali vanno avanti per ore, fino a notte fonda. La Polverini ha introdotto una nuova regola: tutti a casa entro le cinque. Per non escludere le donne, con i figli che tornano da scuola. Un piccolo accorgimento che vale quanto un'intera legge per le pari opportunità. Insomma, quella fra Polverini e Bonino sarà una sfida tra due vere femministe.
Mauro Suttora
Figlia di sindacalista
RENATA POLVERINI
Nata a Roma nel 1962, sua madre era sindacalista Cisnal nel supermercato Sma dove lavorava. Cresciuta in collegio a Focene (Roma). Sposata senza figli, ha sempre lavorato come funzionaria Cisnal, il sindacato vicino al Msi che nel ' 95 si trasforma in Ugl. Nel 2006 diventa segretaria dell' Ugl, prima donna in Europa a guidare un sindacato nazionale. Vicina a Gianfranco Fini, è criticata dal Giornale di Feltri, ma appoggiata dall'Udc di Casini.
STA CON FINI, MA LE PIACE D' ALEMA
Renata Polverini, 47 anni, a una manifestazione Ugl al Circo Massimo. Ha seguito Gianfranco Fini nello sdoganamento dell' estrema destra. Ma le piace anche D' Alema (Pd): «È strutturato, dimostra ciò che pensa».
EMMA BONINO
Nata nel 1948 a Bra (Cuneo) da una famiglia di agricoltori. Nubile, laureata alla Bocconi, abortisce e finisce in carcere con Adele Faccio. Da sempre con i radicali, è entrata in Parlamento nel '76 in jeans e zoccoli da femminista. Due anni dopo con Adelaide Aglietta fa passare la legge sull' aborto. Eurodeputata dal 1979, è stata commissaria Ue. Si è battuta contro la fame nel mondo, per il tribunale Onu, contro l'infibulazione e per i diritti delle donne arabe.
COPPIA (POLITICA) CON PANNELLA
Emma Bonino, 61, con Marco Pannella, 79. La Bonino è una dei pochi radicali rimasti fedeli al capo. Tutti gli altri (Rutelli, Capezzone, Teodori, Quagliariello) se ne sono andati. Nel '99 l' exploit: 8 per cento alle Europee.
Tuesday, January 23, 2007
Veglia per Welby
Ti condannano a vivere, caro Piero
Welby stremato dopo una sentenza che allunga la sua agonia.
"Non ce la facciamo più", ci dice la moglie Mina dopo la beffa del tribunale di Roma, che riconosce al malato terminale il diritto di morire, ma pretende una nuova legge per poter sospendere la respirazione artificiale
di Mauro Suttora
Oggi, 18 dicembre 2006
"Non ce la facciamo più". Questo è l' unico messaggio che arriva da casa Welby dopo la sentenza del tribunale di Roma. La giudice Angela Savio, salomonica, è riuscita a dare allo stesso tempo ragione e torto a Piergiorgio, il malato terminale che da anni invoca la morte. Welby ha ragione, sentenzia il magistrato, perché il diritto di ogni persona a farsi curare nel modo che ritiene più opportuno è stabilito dalla legge suprema dello Stato: la Costituzione. Ma ha anche torto, e quindi non può fare interrompere le cure dai medici, perché manca una legge che "tuteli concretamente" questo diritto. In soldoni: Welby può teoricamente farsi staccare il ventilatore artificiale col tubo che gli permette di respirare. Ma chi compie questa azione verrà accusato di omicidio, rischiando quindici anni di carcere secondo il codice penale fascista ancora in vigore.
Per protestare contro questi arzigogoli i i radicali hanno organizzato veglie per Welby in 50 città italiane ed europee (Londra, Bruxelles, Mosca). "Ormai non so più che cosa dire, Mauro, mi sento spremuta come un limone. Non abbiamo più parole, né io né Piero", mi dice Mina Welby, moglie di Piergiorgio, nel pomeriggio di domenica 17 dicembre. L' appuntamento è per le 15 e 30, ma contrariamente alle scorse settimane dalla casa del rione Don Bosco ora "esce" quasi solo silenzio.
È incredibile come questo piccolo appartamento al sesto piano di un palazzo anni Cinquanta della periferia sud di Roma, vicino a Cinecittà, sia diventato negli ultimi tre mesi il cuore dell' Italia politica. Era l' inizio dell' autunno quando Welby si è trasformato nel "caso Welby", soltanto perché il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano gli aveva usato la cortesia di rispondere pubblicamente a una sua lettera aperta, in cui per l' ennesima volta Piero chiedeva l' eutanasia ("Come in Olanda, come in Svizzera").
E adesso, a fine autunno, dopo centinaia di pagine su tutti i giornali, copertine di settimanali, un libro (il suo, titolato "Lasciatemi morire"), decine di dibattiti tv, centinaia di dichiarazioni di politici, medici ed esperti, siamo al punto di prima: Piero non è padrone della propria vita, non può decidere se vivere o morire dopo 45 anni di distrofia muscolare. Nessuno vuole esaudire la richiesta di questo paziente impaziente dopo quasi mezzo secolo di sofferenze.
Nell' appartamento che il marito aveva scelto perché luminoso, sua madre Luciana, 86 anni, lo ha visto spegnersi anno dopo anno, mese dopo mese, giorno dopo giorno. Non fanno entrare quasi nessuno, lei e la nuora (Gugliel)Mina, coscienziosa e severa come la sudtirolese che è. Le poche immagini ritrasmesse in Tv da tre mesi sono quelle di Odeon, della trasmissione di Gianfranco Funari che riuscì a entrare a settembre. Poi basta. Idem per foto e giornalisti: gli ammessi nell' appartamentino si contano sulle dita di una mano. Nessun ministro in visita: alle richieste, gentile ma inflessibile, Mina risponde sempre: "Piero è troppo stanco, stanotte non ha dormito". Perfino Marco Pannella e i radicali dell' associazione Coscioni, Piero e Mina preferiscono sentirli al telefono. Mina teme le infezioni.
Ma Piero è collegatissimo col mondo, ascolta sempre radio radicale, guarda la Tv, si fa leggere da Mina tutte le dichiarazioni di ogni politico. Si è commosso sentendo Giorgio Albertazzi leggere alcune pagine del suo libro alla veglia in Campidoglio. Si arrabbia e si deprime ogni volta che lo insultano, che insinuano che si farebbe strumentalizzare. "Mi trattate come Aldo Moro, non volete rispettare la mia volontà", ha scritto. La guerra di Piero va avanti. "Non per molto, non ce la facciamo più", ripete Mina.
Di là, nella stanzetta oltre il minuscolo ingresso, c'è lui. Steso nel letto dove rischia piaghe da decubito, e dove viene il fisioterapista tre volte alla settimana per muovergli braccia e gambe inerti. Fino ad aprile Piero riusciva a spostare ancora qualche dito, e così poteva scrivere sul computer scambiando messaggi perfino scherzosi con gli amici del suo forum su Internet. Ora non più, anche quest' ultimo filo che lo teneva aggrappato al mondo e alla vita si è spezzato. "Per lui è stato un durissimo colpo", ci dice Mina, "è entrato in depressione, da allora vuole solo morire".
"Per fortuna, mio marito scelse un piano così alto: almeno dalle finestre entra la luce, si vedono il sole e il cielo", ci ha detto la signora Luciana seduta sul divano del soggiorno l' ultima volta che siamo andati a trovarli. Il padre di Piero si fece assegnare questo appartamentino riservato ai dipendenti pubblici. Era scozzese, da giovane era stato giocatore professionista di calcio, era sceso nei campi di serie A alla fine degli anni Venti con la Roma di Attilio Ferraris e Fulvio Bernardini.
Ottant' anni dopo, per uno strano scherzo del destino, si chiama Bernardini (Rita) anche la segretaria dell' unico partito, il radicale, che dal 2002 ha preso a cuore la tremenda richiesta di Piero Welby. È scozzese questo strano cognome che interpella le coscienze di tutti gli italiani. Apparentemente estraneo alla tradizione cattolica, e infatti c' erano solo due valdesi alla veglia per Welby: il ministro della Solidarietà Paolo Ferrero (Rifondazione comunista) e la pastora Maria Bonafede, moderatrice dei valdesi, unica donna a capo di una Chiesa.
Quattro chilometri a nord di casa Welby c'è il Vaticano, con il Papa che ammonisce quasi quotidianamente: "L' eutanasia è omicidio". Due chilometri a nord c'è il Parlamento, con i parlamentari cattolici che ribadiscono: "Eutanasia, mai". Ma qui, sul divano a fiori di casa Welby, c' è la mamma di Piero, ultraottantenne, cattolicissima che allarga le braccia dicendo: "Che dobbiamo fare ?". E che cosa avrebbe fatto sua sorella, la zia di Piero, madre superiora di un importante ordine di suore, che ha visto il nipote diagnosticato di distrofia a 16 anni, con il medico che prevedeva: "Non arriverà a vent' anni"?
Alle pareti del salotto sono appesi tutti i quadri dipinti da Piero finché le sue dita riuscivano a muovere un pennello. Mamma Luciana tira fuori orgogliosa due album traboccanti di foto: sono quelle che Piero scattava a fiori, farfalle e insetti finché le sue mani riuscivano a fare clic su una macchina fotografica. Poi si alza, va verso il comò, apre due cassetti e ci regala un po' di presine coloratissime: "Le facevo all' uncinetto, le davo a un negozio di casalinghi qua sotto che me le vendeva. Ma ormai non le vuole più nessuno". Mamma Luciana allarga le braccia sul divano, sfogliando gli album con le foto delle farfalle. L' autunno di Welby è finito. Ora comincia l' inverno.
Mauro Suttora
Welby stremato dopo una sentenza che allunga la sua agonia.
"Non ce la facciamo più", ci dice la moglie Mina dopo la beffa del tribunale di Roma, che riconosce al malato terminale il diritto di morire, ma pretende una nuova legge per poter sospendere la respirazione artificiale
di Mauro Suttora
Oggi, 18 dicembre 2006
"Non ce la facciamo più". Questo è l' unico messaggio che arriva da casa Welby dopo la sentenza del tribunale di Roma. La giudice Angela Savio, salomonica, è riuscita a dare allo stesso tempo ragione e torto a Piergiorgio, il malato terminale che da anni invoca la morte. Welby ha ragione, sentenzia il magistrato, perché il diritto di ogni persona a farsi curare nel modo che ritiene più opportuno è stabilito dalla legge suprema dello Stato: la Costituzione. Ma ha anche torto, e quindi non può fare interrompere le cure dai medici, perché manca una legge che "tuteli concretamente" questo diritto. In soldoni: Welby può teoricamente farsi staccare il ventilatore artificiale col tubo che gli permette di respirare. Ma chi compie questa azione verrà accusato di omicidio, rischiando quindici anni di carcere secondo il codice penale fascista ancora in vigore.
Per protestare contro questi arzigogoli i i radicali hanno organizzato veglie per Welby in 50 città italiane ed europee (Londra, Bruxelles, Mosca). "Ormai non so più che cosa dire, Mauro, mi sento spremuta come un limone. Non abbiamo più parole, né io né Piero", mi dice Mina Welby, moglie di Piergiorgio, nel pomeriggio di domenica 17 dicembre. L' appuntamento è per le 15 e 30, ma contrariamente alle scorse settimane dalla casa del rione Don Bosco ora "esce" quasi solo silenzio.
È incredibile come questo piccolo appartamento al sesto piano di un palazzo anni Cinquanta della periferia sud di Roma, vicino a Cinecittà, sia diventato negli ultimi tre mesi il cuore dell' Italia politica. Era l' inizio dell' autunno quando Welby si è trasformato nel "caso Welby", soltanto perché il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano gli aveva usato la cortesia di rispondere pubblicamente a una sua lettera aperta, in cui per l' ennesima volta Piero chiedeva l' eutanasia ("Come in Olanda, come in Svizzera").
E adesso, a fine autunno, dopo centinaia di pagine su tutti i giornali, copertine di settimanali, un libro (il suo, titolato "Lasciatemi morire"), decine di dibattiti tv, centinaia di dichiarazioni di politici, medici ed esperti, siamo al punto di prima: Piero non è padrone della propria vita, non può decidere se vivere o morire dopo 45 anni di distrofia muscolare. Nessuno vuole esaudire la richiesta di questo paziente impaziente dopo quasi mezzo secolo di sofferenze.
Nell' appartamento che il marito aveva scelto perché luminoso, sua madre Luciana, 86 anni, lo ha visto spegnersi anno dopo anno, mese dopo mese, giorno dopo giorno. Non fanno entrare quasi nessuno, lei e la nuora (Gugliel)Mina, coscienziosa e severa come la sudtirolese che è. Le poche immagini ritrasmesse in Tv da tre mesi sono quelle di Odeon, della trasmissione di Gianfranco Funari che riuscì a entrare a settembre. Poi basta. Idem per foto e giornalisti: gli ammessi nell' appartamentino si contano sulle dita di una mano. Nessun ministro in visita: alle richieste, gentile ma inflessibile, Mina risponde sempre: "Piero è troppo stanco, stanotte non ha dormito". Perfino Marco Pannella e i radicali dell' associazione Coscioni, Piero e Mina preferiscono sentirli al telefono. Mina teme le infezioni.
Ma Piero è collegatissimo col mondo, ascolta sempre radio radicale, guarda la Tv, si fa leggere da Mina tutte le dichiarazioni di ogni politico. Si è commosso sentendo Giorgio Albertazzi leggere alcune pagine del suo libro alla veglia in Campidoglio. Si arrabbia e si deprime ogni volta che lo insultano, che insinuano che si farebbe strumentalizzare. "Mi trattate come Aldo Moro, non volete rispettare la mia volontà", ha scritto. La guerra di Piero va avanti. "Non per molto, non ce la facciamo più", ripete Mina.
Di là, nella stanzetta oltre il minuscolo ingresso, c'è lui. Steso nel letto dove rischia piaghe da decubito, e dove viene il fisioterapista tre volte alla settimana per muovergli braccia e gambe inerti. Fino ad aprile Piero riusciva a spostare ancora qualche dito, e così poteva scrivere sul computer scambiando messaggi perfino scherzosi con gli amici del suo forum su Internet. Ora non più, anche quest' ultimo filo che lo teneva aggrappato al mondo e alla vita si è spezzato. "Per lui è stato un durissimo colpo", ci dice Mina, "è entrato in depressione, da allora vuole solo morire".
"Per fortuna, mio marito scelse un piano così alto: almeno dalle finestre entra la luce, si vedono il sole e il cielo", ci ha detto la signora Luciana seduta sul divano del soggiorno l' ultima volta che siamo andati a trovarli. Il padre di Piero si fece assegnare questo appartamentino riservato ai dipendenti pubblici. Era scozzese, da giovane era stato giocatore professionista di calcio, era sceso nei campi di serie A alla fine degli anni Venti con la Roma di Attilio Ferraris e Fulvio Bernardini.
Ottant' anni dopo, per uno strano scherzo del destino, si chiama Bernardini (Rita) anche la segretaria dell' unico partito, il radicale, che dal 2002 ha preso a cuore la tremenda richiesta di Piero Welby. È scozzese questo strano cognome che interpella le coscienze di tutti gli italiani. Apparentemente estraneo alla tradizione cattolica, e infatti c' erano solo due valdesi alla veglia per Welby: il ministro della Solidarietà Paolo Ferrero (Rifondazione comunista) e la pastora Maria Bonafede, moderatrice dei valdesi, unica donna a capo di una Chiesa.
Quattro chilometri a nord di casa Welby c'è il Vaticano, con il Papa che ammonisce quasi quotidianamente: "L' eutanasia è omicidio". Due chilometri a nord c'è il Parlamento, con i parlamentari cattolici che ribadiscono: "Eutanasia, mai". Ma qui, sul divano a fiori di casa Welby, c' è la mamma di Piero, ultraottantenne, cattolicissima che allarga le braccia dicendo: "Che dobbiamo fare ?". E che cosa avrebbe fatto sua sorella, la zia di Piero, madre superiora di un importante ordine di suore, che ha visto il nipote diagnosticato di distrofia a 16 anni, con il medico che prevedeva: "Non arriverà a vent' anni"?
Alle pareti del salotto sono appesi tutti i quadri dipinti da Piero finché le sue dita riuscivano a muovere un pennello. Mamma Luciana tira fuori orgogliosa due album traboccanti di foto: sono quelle che Piero scattava a fiori, farfalle e insetti finché le sue mani riuscivano a fare clic su una macchina fotografica. Poi si alza, va verso il comò, apre due cassetti e ci regala un po' di presine coloratissime: "Le facevo all' uncinetto, le davo a un negozio di casalinghi qua sotto che me le vendeva. Ma ormai non le vuole più nessuno". Mamma Luciana allarga le braccia sul divano, sfogliando gli album con le foto delle farfalle. L' autunno di Welby è finito. Ora comincia l' inverno.
Mauro Suttora
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