Ti condannano a vivere, caro Piero
Welby stremato dopo una sentenza che allunga la sua agonia.
"Non ce la facciamo più", ci dice la moglie Mina dopo la beffa del tribunale di Roma, che riconosce al malato terminale il diritto di morire, ma pretende una nuova legge per poter sospendere la respirazione artificiale
di Mauro Suttora
Oggi, 18 dicembre 2006
"Non ce la facciamo più". Questo è l' unico messaggio che arriva da casa Welby dopo la sentenza del tribunale di Roma. La giudice Angela Savio, salomonica, è riuscita a dare allo stesso tempo ragione e torto a Piergiorgio, il malato terminale che da anni invoca la morte. Welby ha ragione, sentenzia il magistrato, perché il diritto di ogni persona a farsi curare nel modo che ritiene più opportuno è stabilito dalla legge suprema dello Stato: la Costituzione. Ma ha anche torto, e quindi non può fare interrompere le cure dai medici, perché manca una legge che "tuteli concretamente" questo diritto. In soldoni: Welby può teoricamente farsi staccare il ventilatore artificiale col tubo che gli permette di respirare. Ma chi compie questa azione verrà accusato di omicidio, rischiando quindici anni di carcere secondo il codice penale fascista ancora in vigore.
Per protestare contro questi arzigogoli i i radicali hanno organizzato veglie per Welby in 50 città italiane ed europee (Londra, Bruxelles, Mosca). "Ormai non so più che cosa dire, Mauro, mi sento spremuta come un limone. Non abbiamo più parole, né io né Piero", mi dice Mina Welby, moglie di Piergiorgio, nel pomeriggio di domenica 17 dicembre. L' appuntamento è per le 15 e 30, ma contrariamente alle scorse settimane dalla casa del rione Don Bosco ora "esce" quasi solo silenzio.
È incredibile come questo piccolo appartamento al sesto piano di un palazzo anni Cinquanta della periferia sud di Roma, vicino a Cinecittà, sia diventato negli ultimi tre mesi il cuore dell' Italia politica. Era l' inizio dell' autunno quando Welby si è trasformato nel "caso Welby", soltanto perché il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano gli aveva usato la cortesia di rispondere pubblicamente a una sua lettera aperta, in cui per l' ennesima volta Piero chiedeva l' eutanasia ("Come in Olanda, come in Svizzera").
E adesso, a fine autunno, dopo centinaia di pagine su tutti i giornali, copertine di settimanali, un libro (il suo, titolato "Lasciatemi morire"), decine di dibattiti tv, centinaia di dichiarazioni di politici, medici ed esperti, siamo al punto di prima: Piero non è padrone della propria vita, non può decidere se vivere o morire dopo 45 anni di distrofia muscolare. Nessuno vuole esaudire la richiesta di questo paziente impaziente dopo quasi mezzo secolo di sofferenze.
Nell' appartamento che il marito aveva scelto perché luminoso, sua madre Luciana, 86 anni, lo ha visto spegnersi anno dopo anno, mese dopo mese, giorno dopo giorno. Non fanno entrare quasi nessuno, lei e la nuora (Gugliel)Mina, coscienziosa e severa come la sudtirolese che è. Le poche immagini ritrasmesse in Tv da tre mesi sono quelle di Odeon, della trasmissione di Gianfranco Funari che riuscì a entrare a settembre. Poi basta. Idem per foto e giornalisti: gli ammessi nell' appartamentino si contano sulle dita di una mano. Nessun ministro in visita: alle richieste, gentile ma inflessibile, Mina risponde sempre: "Piero è troppo stanco, stanotte non ha dormito". Perfino Marco Pannella e i radicali dell' associazione Coscioni, Piero e Mina preferiscono sentirli al telefono. Mina teme le infezioni.
Ma Piero è collegatissimo col mondo, ascolta sempre radio radicale, guarda la Tv, si fa leggere da Mina tutte le dichiarazioni di ogni politico. Si è commosso sentendo Giorgio Albertazzi leggere alcune pagine del suo libro alla veglia in Campidoglio. Si arrabbia e si deprime ogni volta che lo insultano, che insinuano che si farebbe strumentalizzare. "Mi trattate come Aldo Moro, non volete rispettare la mia volontà", ha scritto. La guerra di Piero va avanti. "Non per molto, non ce la facciamo più", ripete Mina.
Di là, nella stanzetta oltre il minuscolo ingresso, c'è lui. Steso nel letto dove rischia piaghe da decubito, e dove viene il fisioterapista tre volte alla settimana per muovergli braccia e gambe inerti. Fino ad aprile Piero riusciva a spostare ancora qualche dito, e così poteva scrivere sul computer scambiando messaggi perfino scherzosi con gli amici del suo forum su Internet. Ora non più, anche quest' ultimo filo che lo teneva aggrappato al mondo e alla vita si è spezzato. "Per lui è stato un durissimo colpo", ci dice Mina, "è entrato in depressione, da allora vuole solo morire".
"Per fortuna, mio marito scelse un piano così alto: almeno dalle finestre entra la luce, si vedono il sole e il cielo", ci ha detto la signora Luciana seduta sul divano del soggiorno l' ultima volta che siamo andati a trovarli. Il padre di Piero si fece assegnare questo appartamentino riservato ai dipendenti pubblici. Era scozzese, da giovane era stato giocatore professionista di calcio, era sceso nei campi di serie A alla fine degli anni Venti con la Roma di Attilio Ferraris e Fulvio Bernardini.
Ottant' anni dopo, per uno strano scherzo del destino, si chiama Bernardini (Rita) anche la segretaria dell' unico partito, il radicale, che dal 2002 ha preso a cuore la tremenda richiesta di Piero Welby. È scozzese questo strano cognome che interpella le coscienze di tutti gli italiani. Apparentemente estraneo alla tradizione cattolica, e infatti c' erano solo due valdesi alla veglia per Welby: il ministro della Solidarietà Paolo Ferrero (Rifondazione comunista) e la pastora Maria Bonafede, moderatrice dei valdesi, unica donna a capo di una Chiesa.
Quattro chilometri a nord di casa Welby c'è il Vaticano, con il Papa che ammonisce quasi quotidianamente: "L' eutanasia è omicidio". Due chilometri a nord c'è il Parlamento, con i parlamentari cattolici che ribadiscono: "Eutanasia, mai". Ma qui, sul divano a fiori di casa Welby, c' è la mamma di Piero, ultraottantenne, cattolicissima che allarga le braccia dicendo: "Che dobbiamo fare ?". E che cosa avrebbe fatto sua sorella, la zia di Piero, madre superiora di un importante ordine di suore, che ha visto il nipote diagnosticato di distrofia a 16 anni, con il medico che prevedeva: "Non arriverà a vent' anni"?
Alle pareti del salotto sono appesi tutti i quadri dipinti da Piero finché le sue dita riuscivano a muovere un pennello. Mamma Luciana tira fuori orgogliosa due album traboccanti di foto: sono quelle che Piero scattava a fiori, farfalle e insetti finché le sue mani riuscivano a fare clic su una macchina fotografica. Poi si alza, va verso il comò, apre due cassetti e ci regala un po' di presine coloratissime: "Le facevo all' uncinetto, le davo a un negozio di casalinghi qua sotto che me le vendeva. Ma ormai non le vuole più nessuno". Mamma Luciana allarga le braccia sul divano, sfogliando gli album con le foto delle farfalle. L' autunno di Welby è finito. Ora comincia l' inverno.
Mauro Suttora
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