Tuesday, September 19, 2023

Scoop! Scoop! Scoop! Rettiliani e terrapiattisti: ecco i prossimi ospiti del programma di Foa

di Mauro Suttora 

Dopo la glorificazione di Vannacci e l'intervista al luminare dei NoVax, proponiamo in esclusiva i nani e le ballerine che il conduttore Rai proporrà ai sui ascoltatori (ARTICOLO IRONICO)

Huffingtonpost.it, 19 settembre 2023 

Scoop! Scoop! Scoop! Siamo in grado di rivelarvi chi saranno gli ospiti delle prossime puntate di 'Giù la maschera', nuovo programma di Marcello Foa in onda ogni mattina dalle nove alle dieci su Rai Radio1. Per bilanciare la presenza di Massimo Citro della Riva, il medico novax sospeso dall'Ordine che oggi ci ha informato non solo sull'inutilità dei vaccini antiCovid, ma sulla loro dannosità, domani sarà invitato il professor Minimo Nitro della Spiaggia, che rivelerà il nome del vero assassino di John Kennedy 60 anni dopo Dallas.

Gettata la maschera, finalmente un programma Rai che ci regala "persone, fatti e notizie alla ricerca della Verità", quella con la V maiuscola come Vendetta, come il quotidiano di Maurizio Belpietro e come la PraVda, glorioso organo del partito comunista dell'Unione Sovietica. Basta con l'emarginazione dei cospirazionisti: sempre sul sito Rai l'ottimo Foa promette di "raggiungere il pubblico, sempre più numeroso, che mostra disaffezione nei confronti sia dei partiti, sia della stampa mainstream". Quindi via a personaggi offstream, controcorrente.

Dopodomani ci sarà l'avvocato Salmoni, noto per aver nuotato sfidando il Po al contrario: partito da Porto Tolle, ha raggiunto a bracciate il Monviso. E naturalmente giovedì sarà il turno del nuovo guru bastiancontrario italiano: il generale Roberto Vannacci, già glorificato da Foa al debutto del programma sette giorni fa. Leggerà il suo libro 'Oirartnoc la odnoM' sillabandolo proprio così, cominciando dalla fine, per rendere più genuine le sue lodi a "icorf e irgen".

"Leggendo come gli immigrati arabi, da destra a sinistra, dimostrerò che non ho nulla contro di loro", preannuncia Vannacci. Gran finale settimanale venerdì con gli esperti più equilibrati sulla guerra in Ucraina: il sociologo Alessandro Orsini, la filosofa Donatella Di Cesare e il rettore Tomaso Montanari. In collegamento da Mosca Iuri Poloniov, autore del libro 'L'Uccidente uccide'.

Gli ascoltatori di Radio1 apprezzano già la nuova trasmissione. Non notano alcuna differenza con quella precedente, eliminata per far spazio all'ex presidente Rai: il programma comico con le battute di Luca Bottura e Marianna Aprile.

La prossima settimana sono già in scaletta Massimo Mazzucco, il complottista-principe italiano che ha scoperto la messinscena delle Torri Gemelle, i negazionisti dello sbarco sulla Luna e una delegazione terrapiattista. Poi spazio al rettiliano padano Matteo Lombroeus, il quale studiando i tratti dei loro volti ha dimostrato l'inconfutabile appartenenza di Mario Draghi e George Soros alla propria specie. 

Né si trascureranno gli altri campioni del 'fake ma vero': avversari delle scie chimiche emesse dagli aerei, dei pedofili che hanno provocato l'attacco di Vladimir Putin contro Kiev, del Nuovo ordine mondiale finanziario guidato da Bill Gates che proprio ieri guarda caso con un articolo sul Financial Times ha ricominciato ad attaccare l'Italia, dei tunisini e africani che in complotto congiunto con ong e governi francese e tedesco invadono l'Italia proprio ora che governa il centrodestra (perché non lo hanno fatto col centrosinistra? Ragionateci sopra).

Per finire con una puntata tutta dedicata ai sempreverdi Protocolli dei Savi di Sion. Protesta Claudio Messora, padrone della tv complottista Byoblu: "Con programmi come quello di Foa la Rai mi fa concorrenza sleale. Voglio anch'io una parte del canone trattenuto nelle bollette".


Wednesday, September 13, 2023

L'orsa Fuortes. Abbattuti e salvati: serve un Tar anche per il San Carlo















di Mauro Suttora

Lissner rimesso al suo posto da un giudice, ma si annunciano ricorsi e controricorsi. Finirà come per i plantigradi, condannati e graziati ogni settimana dalle carte bollate (arriverà un tribunale che farà l’orsa F36 amministratore delegato)

Huffingtonpost.it, 13 settembre 2023

In contemporanea un giudice trentino salva dall'abbattimento l'orsa F36 e uno napoletano condanna alla disoccupazione Carlo Fuortes, disarcionandolo dalla sovrintendenza del teatro San Carlo di Napoli. Cosicché a noi, distratti e superficiali scrollatori di notizie, può capitare di cortocircuitare, confondendo la plantigrada con l'irsuto ex amministratore delegato Rai.

Anche perché questa è la terza orsa ad affollare le cronache estive. Prima la JJ4, catturata in Trentino dieci giorni dopo aver ucciso un escursionista. Poi l'abruzzese Amarena, ammazzata dal proprietario del pollaio dove si era avventurata. Infine la trentina F36, che in agosto ha assalito (senza conseguenze) turisti troppo vicini al suo cucciolo. Pure con loro avvengono grotteschi ribaltamenti di senso. Duemila persone sfilano per la povera Amarena in Abruzzo, auspicando una pena da omicidio umano per il suo killer. Erano solo 800, invece, alla fiaccolata per Andrea Papi, il runner ucciso da JJ4. 

"L'incontro con un uomo non giustifica l'uccisione dell'orsa", ha sentenziato il Tar di Trento. Né la necessità di risarcire Fuortes dopo la sua cacciata dalla Rai giustifica la defenestrazione del suo predecessore al San Carlo, Stéphane Lissner. Che infatti è stato reintegrato dalla giudice del lavoro. 

Particolarmente cavilloso ma plateale è il trucco con cui a maggio il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano aveva fatto fuori il prestigioso Lissner per far posto a Fuortes. Poiché l'ex sovrintendente francese dell'Opéra parigina e della Scala milanese aveva appena compiuto 70 anni, ecco un bel decreto su misura, 'contra personam', che inventava il pensionamento coatto per i sovrintendenti ultrasettantenni. E quattro giorni dopo - guarda caso - arrivano le dimissioni di Fuortes, presidente Rai inviso al nuovo governo di centrodestra, che accetta lo scambio con Napoli. 

Ora, fra teatri dell'opera e opere buffe e tragiche di orse affamate, spaventate, assassine o assassinate, la surreale situazione è questa: F36 e Fuortes in libertà, JJ4 imprigionata in un recinto ma non verrà giustiziata, il fucilatore di Amarena già giustiziato mediaticamente dagli animalisti, Lissner che riconquista i suoi due anni residui di contratto fino al 2025 (mezzo milione di euro). Mentre ai genitori di Papi non resta che ricordarlo sulla sua tomba.

 "Non possiamo accusare gli orsi di fare gli orsi", dicono in coro Wwf, Lav, Lac. Né possiamo accusare i politici di fare i politici, inventando sentieri inverosimili per eliminare gli avversari a spese dei contribuenti. 

Quanto ai magistrati, uno di loro a Brescia ha appena affermato che neanche i maschi islamici bengalesi che picchiano le mogli sono accusabili di continuare a essere se stessi, facendo i mariti maneschi: la loro natura li assolve. E pazienza se si sono trasferiti da Dacca alla Lombardia, in una cultura diversa. 

Anche gli orsi trentini in fondo li abbiamo importati dalla Slovenia, così come Lissner dalla Francia. E l'ottimo Fuortes prima o poi troverà un'altra sistemazione, dopo il suo sfortunato pendolarismo Napoli-Roma. Magari un Tar ora lo nomina capo del Parco nazionale d'Abruzzo, e insedia un'orsa al San Carlo: tanto, ormai decidono quasi tutto i magistrati. Confidiamo in un loro intervento anche per abbassare le rate dei mutui ingiustamente raddoppiate. 

Wednesday, September 06, 2023

L'estate in cui Vannacci fa rima con Catenacci


di Mauro Suttora


Acci Tour. Il grottesco Vannacci gira l'Italia in cerca del suo popolo. Nulla da noi sfugge all'operetta, anche se l'operetta è morta da un secolo

Bisogna avere almeno 50 anni per ricordarsi di Ermanno Catenacci. Era un ex federale fascista, personaggio fantastico inventato da Giorgio Bracardi per il programma radio 'Alto gradimento' di Renzo Arbore, che negli anni '70 spopolò all'ora di pranzo.


Huffingtonpost.it, 6 settembre 2023


Facile, quasi automatico per noi boomers accostarlo al nuovo Acci, suffisso del generale che ha movimentato le chiacchiere estive. Ma che minaccia di proseguire anche in autunno, perché Acci junior ora si è imbarcato in un tour di presentazioni del suo libro. Debutto in Versilia e seconda tappa l'altra sera a Cagliari, visto che lo Schopenauer della destra era in vacanza nella vicina Costa Rei.


Nulla in Italia sfugge all'operetta, anche se l'operetta è morta da un secolo. Sostituita dal cabaret, e poi da Arbore e Zelig, Crozza e Gialappa's. È questo divertente spettacolo ad attendere gli "astanti", così Acci chiama i discepoli che accorrono per conoscerlo di persona. Non hanno dovuto fare la fatica di entrare in libreria, luogo per molti di loro esotico, allo scopo di acquistare la summa filosofica acciana. Essa infatti si compra online, e in quasi centomila hanno versato venti euro ad Amazon in meno di un mese. 

I conti sono presto fatti: poiché le royalties dei libri autopubblicati stanno sul 50%, il generale Acci veleggia attorno al milione di incassi. Rapido come la Folgore. E infatti ringrazia di cuore i giornalisti di Repubblica, Matteo Pucciarelli, e Corsera, Aldo Cazzullo, che lo hanno creato come personaggio sollevando il suo caso.


Il pubblico acciano è ben disposto ad ascoltarlo, comodamente seduto nell'ora dei borborigmi postprandiali. Dopo salamelle e birrette arriva il momento del ruttino, e contemporaneamente ecco affacciarsi il generalissimo sul palco. Spiega la prima delle sue due massime perle: "Ho scritto che la bravissima Egonu non è la tipica italiana? Anche le mie figlie, che sono qui in prima fila, non sembrano le tipiche sarde".

Gelo del pubblico cagliaritano, disorientato perché le battutacce di Acci hanno spesso un doppio senso: la campionessa di pallavolo era stata infilzata per il colore della pelle, ma con l'aggravante sottintesa delle sue scelte sessuali saffiche. Due bersagli in uno.

Quanto al classico "Amici omosessuali non siete normali", Acci si vanta di avere gestito senza problemi soldati gay nelle sue truppe in giro per il mondo, dall'Afghanistan all'Iraq. E chi lo accusa sarebbe un quaraquaqua, qualsiasi cosa voglia dire.


È in queste dolci sere di tarda estate che si dipana la precoce campagna elettorale di Acci. Chissà se l'11 settembre qualche sventurato "sinistroide" lo accosterà a quell'altro generale in Cile, di cui quest'anno ricorre l'anniversario a cifra piena, mezzo secolo dal golpe.

Macché Pinochet: con Acci e i suoi accini, così come con Grillo e i grillini, il buffo al massimo si stempera nel ridicolo. Sarebbe grave promuoverlo a grave, facendogli così un ulteriore regalo dopo la rimozione dal comando dall'Istituto geografico militare: una naftalina da cui un uomo d'azione 54enne (quindi giovane) come lui è volentieri evaso.


Quanto ai seguaci, lo plebisciteranno all'Europarlamento, convinti di avere trovato finalmente il loro massimo maitre-à-penser. Altro che Tolkien o Ezra Pound, Céline (chi, Dion?) o Evola, Buttafuoco o Veneziani: troppo pensierosi e contorti, loro vogliono il sano e semplice buonsenso qualunque di Acci. 

Peccato solo che il 90enne Bracardi non abbia più l'età per effettuare una clamorosa rentrée, riesumando la sua stentorea macchietta. "Acci tua", urlerebbe. 

Tuesday, August 22, 2023

Viva la diversità, abbasso la normalità



Se bacchettiamo il generale bacchettone, trasformandolo in vittima ululante alla censura, in provocatore contro il "Mondo al contrario", rischiamo di regalargli il fascino di Franti

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 22 agosto 2023

Ho letto per curiosità il libro del generale Roberto Vannacci. Tutti criticano la sua frase "I gay non sono normali". Lui ci mette cinque pagine per arrivare a questa conclusione, consultando le stime sulla percentuale di gay nei vari Paesi, pare sotto il 5%. Certo, tutto dipende dal valore che si dà alla parola "normale". Se la "norma" fosse quella stabilita o praticata dal 95%, i gay sarebbero "anormali". Ma questo il generale non lo scrive, suonerebbe offensivo.

Nel 1974, quando cominciai a frequentare la sede del partito radicale a Udine, i ragazzi del Fuori (Fronte unitario omosessuale rivoluzionario italiano) erano invece orgogliosi di essere 'diversi', rivendicavano la loro 'non normalità'. Se qualcuno li avesse definiti normali, lo avrebbero insultato. "Diversi ma non perversi", era lo slogan del leader radicale Marco Pannella e del fondatore del Fuori Angelo Pezzana. Era mezzo secolo fa. Il mio nonno liberale (anzi, da laico illuminato votava più a sinistra: per il repubblicano Ugo La Malfa) definiva i gay "pederasti, invertiti, degenerati". 

Nel mio liceo ero l'unico radicale. Questo bastava perché alcuni compagni buontemponi mi prendessero in giro mettendosi spalle al muro quando mi incrociavano, dicendo "Occhio al culo, arriva il 'fenulli' (finocchio in friulano, ndr)". I radicali non hanno mai fatto campagna per il matrimonio gay. Una volta chiesi a Pannella perché. "Il matrimonio etero non ci interessa, perché dovremmo batterci per estenderlo agli omosessuali?".

Insomma, forse perché i gay radicali (cioè quasi tutto il movimento gay prima dell'Arcigay) si consideravano anche rivoluzionari, le nozze erano fuori dal loro orizzonte. Non avevano ansia di accettazione, anzi detestavano ogni "omologazione", concetto pasoliniano che era la loro (e nostra) stella polare. 

È morto da poco Francesco Alberoni. Per comprendere la parabola dei gay ci soccorre la sua descrizione del passaggio inevitabile dei movimenti dalla fase di stato nascente a quella di istituzione. Tutti i movimenti di liberazione, dagli omosessuali alle femministe, dai neri d'America agli antimilitaristi, hanno seguito lo stesso percorso. Dopo il riconoscimento hanno voluto posti in parlamento, cattedre universitarie, finanziamenti pubblici, spazi politici. Il potere, insomma. Perché va bene la controcultura degli anni 60-70 e i figli dei fiori, ma "flowers have no power", come ammonì Herbert Marcuse. Così, per esempio, perfino Martin Luther King fu contestato da Malcolm X e accusato di 'ziotommismo' dalle Pantere Nere che ne contestavano il cauto riformismo con sponda nei presidenti John Kennedy e Lyndon Johnson. 

Oppure, si parva licet componere magnis, ricordo personalmente la degenerazione del movimento antimilitarista in Italia dopo la conquista del diritto all'obiezione di coscienza contro il servizio militare nel 1972. Nacque la Loc (Lega obiettori di coscienza), che fatalmente smise di contestare le spese militari, cioè di "fare politica", riducendosi a sindacato degli obiettori. Normalizzata. 

Questo a sinistra. Ma anche a destra si ripetono a cent'anni di distanza le stesse dinamiche, ogni volta che i rivoluzionari entrano nelle istituzioni, e ancor più quando conquistano il potere. Le ghette che Benito Mussolini per la prima volta indossò per ricevere dal re l'incarico di primo ministro equivalgono alla soggezione di Giorgia Meloni nei confronti di Joe Biden e Ursula von der Leyen. 

Nel 1923 i sansepolcristi protestarono inutilmente per l'imborghesimento del fascismo; oggi, sempre si parva..., non sarà un Gianni Alemanno a rinfocolare la fiamma nel cuore di Giorgia. E allora, figurarsi Guido Crosetto, che fascista non è mai stato: ci ha messo tre secondi a far liquidare il generale della Folgore e il suo linguaggio, appunto, da caserma.

Il povero Vannacci tutto sommato nelle sue 350 pagine autopubblicate (un po' da pezzente: neanche un editore ha trovato?) si è limitato a mettere insieme la paccottiglia che i giornali di centrodestra e i talk di Rete4 ci ammanniscono ogni giorno. Ma viene impiccato per due o tre scivolate semantiche. E quella sui gay, paradossalmente, è massimamente rivelatrice. Perché dice di più sulla normalizzazione degli omosessuali che non su quella dei fascisti.  

Mezzo secolo fa i perbenisti stavano a destra e gli scostumati (altra parola desueta) che li scandalizzavano si collocavano a sinistra. L'odioso 'Signor Censore' della canzone di Edoardo Bennato era un democristiano clericale. Oggi è il contrario: nell'era della suscettibilità (copyright Guia Soncini) a offendersi per la parola "anormale" reclamando sanzioni è la sinistra. 

Il problema è che se bacchettiamo il generale bacchettone, trasformandolo in vittima ululante alla censura, in provocatore contro il 'Mondo al contrario' (titolo del suo libro), rischiamo di regalargli il fascino di Franti. La stessa aura da ribelle che avvolgeva Pannella e che mi attrasse quindicenne, curioso allora come oggi, in quella sede radicale piena di 'diversi' a Udine. Anche se io, a dire il vero, cercavo più che altro belle ragazze femministe. Poco importa se normali o anormali.

Wednesday, August 09, 2023

Addio smart working. Anche Zoom rinnega le riunioni su Zoom

Si torna a lavorare in presenza e il paradosso è servito: anche la regina delle videoconferenze saluta le videoconferenze e riconvoca i suoi in ufficio, se non li ha già licenziati

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it , 9 agosto 2023

È finita un'era. Perfino Zoom, la società californiana diventata simbolo del lavoro a distanza durante la pandemia, ora chiede ai propri dipendenti di tornare in ufficio: "Quelli che abitano entro 50 miglia (80 km, ndr) dalla sede si presentino a lavorare di persona almeno due giorni alla settimana".

Addio smart working. Tutte le aziende del mondo stanno riducendo il lavoro flessibile da casa. Diminuiscono le riunioni online su Zoom, che infatti sta pagando il prezzo maggiore di questo ritorno alla presenza fisica: in febbraio ha licenziato 1.300 dipendenti, uno su sette. Il suo fondatore e a.d. Eric Yuan si è ridotto del 98% lo stipendio: da mezzo milione a 10mila dollari annui (poco male, gli restano tre miliardi di patrimonio personale). 

Un tempo le ere (geologiche) duravano 30mila anni. Quelle storiche duravano 2-300 anni: alto medioevo, rinascimento, età industriale. Adesso dopo tre anni le annunciatissime "nuove ere" risultano già obsolete. Nel 2020 tutti a festeggiare, pur fra i lutti del virus: si poteva lavorare da casa. Ecco finalmente, se non la mitica liberazione dal lavoro, almeno l'abolizione degli snervanti tragitti casa-ufficio. Il lockdown permetteva a chi lavora col computer di starsene tranquillo in famiglia, grazie all'unico ausilio di una linea wi-fi e a occasionali riunioni su Zoom. 

E invece, "la festa appena cominciata è già finita", come cantava Sergio Endrigo vincendo Sanremo. Noi ci illudevamo di aver vinto sullo stress da pendolari, e mai pensavamo che solo 36 mesi dopo avremmo dovuto difendere con accanimento lo smart working piovutoci addosso col covid, un po' per caso e un po' per disgrazia o fortuna, a seconda dei casi. Perché c'è anche una minoranza che detesta lavorare da casa: appartamenti troppo piccoli o bui, vicini troppo rumorosi, coniugi fastidiosi, figli felici ma invadenti.

Inutile negarlo, c'è anche chi ne ha approfittato: "Sono nella mia villa in Sardegna", mi telefona ogni tanto un amico. "Ah, beato te, già in ferie?" "No, smart working". Lavoro agile, anzi agilissimo.

Cosicché ora le trattative sindacali si combattono sui giorni in più o in meno da lavorare a casa. Di solito ci si incontra a metà: molte aziende come Zoom concedono un "approccio ibrido strutturato", un po' in sede, un po' a domicilio. Anche perché alcune hanno approfittato per risparmiare sugli affitti: scrivanie e interi piani tagliati, molti impiegati non dispongono più di un tavolo personale e quindi i turni sono obbligatori. 

Il dietrofront sul ritorno a casa ha coinciso poi con l'esplosione del costo dei mutui. Fino a un anno fa tutti a cercare abitazioni più grandi, più belle, nel verde: la nuova stanzialità necessitava di più stanze. E chi se ne importava se si finiva lontano dal centro città: la nuova era smart, intelligente, non prevedeva più centri. Se la connessione è buona, ci si può collegare anche da un atollo del Pacifico. 

Illusi. Ora il mercato immobiliare è tornato alla briglia corta. È resuscitato il guinzaglio della vicinanza all'ufficio, o almeno al metrò, alla stazione, allo svincolo autostradale. E prima di traslocare in una casa nuova si consultano i tassi dei mutui, si maledice la Christine Lagarde della Bce, e alla fine spesso tocca rinunciare. 

Felicissimi invece i capuffucio rimasti allo stadio anale freudiano. La loro mania e smania di controllo diretto sui Fantozzi sottoposti viene ripristinata dal ritorno in sede. "È l'occhio del padrone a ingrassare il vitello", si giustificano. In realtà le misurazioni sulla produttività a distanza o in presenza non sono univoche. Ma certo quel consigliere comunale grillino milanese che si collegò nudo a una riunione Zoom mentre faceva la doccia a casa, ignaro di essere visto, non potrà ripetere il suo exploit.

 

Thursday, August 03, 2023

Caro Briatore, ma pure lei considera diffamatorio essere indicati come clienti del Twiga?



In un’intervista al Corriere giustifica la querela mossa da Boccia al Foglio: “Se hanno scritto il falso, fa bene”. Ma, anche se è falso, non è infamante: almeno lui dovrebbe pensarlo e dirlo

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 3 agosto 2023

Inarrivabile Flavio Briatore. Oggi sul Corriere della Sera dice all'intervistatrice Candida Morvillo che Francesco Boccia, presidente dei senatori pd, ha fatto bene a querelare il quotidiano Il Foglio per averlo indicato come frequentatore del Twiga. Ma come: lo stesso proprietario dello stabilimento balneare di Marina di Pietrasanta (Lucca) considera diffamatorio essere accostati al suo locale?

Contestualizziamo. Daniela Santanchè, ministra del Turismo e senatrice di Fratelli d'Italia, indagata per bancarotta e falso in bilancio, subisce un dibattito parlamentare con la richiesta di dimissioni da parte delle opposizioni. Per difendersi contrattacca: "Quanti di quelli che ora mi accusano sono stati miei ospiti al Twiga?"


La perfida Santanchè non fa nomi, ma il superperfido Foglio scrive che a quel punto molti senatori si sono voltati verso l'abbronzatissimo Boccia. Il quale fa subito partire un comunicato stampa del gruppo per annunciare vie legali.

Vera o falsa, la frequentazione del Twiga non dovrebbe apparire disdicevole. Soprattutto per il suo proprietario, al quale Santanchè ha girato metà della propria quota di proprietà dopo la nomina a ministro (l'altra metà è andata al suo compagno Dimitri Kunz). E invece Briatore, che noi ammiriamo perché riesce a far pagare cento ai ricchi cose che costano dieci, favorendo così la redistribuzione del reddito tanto invocata a sinistra, sembra dar ragione a chi considera tutte le sue creazioni, dal Billionaire al Twiga (che significa 'giraffa' in swahili), sentine di dubbia fama.

L'eterno dibattito ricchi/poveri si arricchisce così di un ulteriore avvincente capitolo. Il furbo Menenio Agrippa 2.500 anni fa riuscì a convincere i plebei di essere indispensabili quanto i patrizi. Però i primi erano come le gambe del corpo umano, i secondi lo stomaco. Poi, da Spartaco a Marx, i poveri si sono incattiviti contro lo stomaco che si limita a magnare, mentre agli altri organi tocca lavorare.

Da un quarto di secolo invece abbiamo il filosofo Flavio che teorizza la trinità "làcciori, fescion e glemor" come nuovo orizzonte interclassista. A giudicare dalle frotte di giovani neoproletari (mille € al mese) che proprio in queste notti, come ogni agosto, buttano nel suo Billionaire di Porto Cervo i risparmi di un anno, ha ragione lui.

In mezzo restano i politici. Ricchi o poveri? Devono vergognarsi per una cena chez Briatore e Santanchè a Forte dei Marmi, o esibirla come hanno fatto gli spregiudicati Maria Elena Boschi e i suoi due scudieri renziani poche sere fa?

La risposta all'ineffabile Piero Fassino, che sventola in aula i suoi miseri 4.700 € mensili netti. Dimenticando gli altri 10mila di fringe benefit che fanno il benessere di un parlamentare. Ma, come direbbe il maitre-à-penser di Monte Carlo, Versilia, Costa Smeralda e Dubai, le inibizioni sono "cose da poveri". 

Quindi, caro Boccia, vai a spendere allegramente da Briatore i tuoi soldi, invece di sperperarli in avvocati. E porta pure tua moglie: è perennemente invitata anche lei sotto i suoi ombrelloni da mille € al giorno e nelle splendide serate "fudenbeveregg".


Wednesday, August 02, 2023

Basta fake news. Sarkozy non "attaccò" la Libia

Nell'ultimo decennio la propaganda non solo dei 5 stelle, ma anche dei sovranisti di Lega e FdI, degli estremisti di sinistra e perfino di qualche sprovveduto berlusconiano, ha incolpato la Francia di aver eliminato il dittatore libico per fare un dispetto all'Italia. Notizia falsa

di Mauro Suttora
Huffingtonpost.it , 2 agosto 2023

Mi arrendo, hanno vinto i grillini. Oggi perfino il Corriere della Sera, con un editoriale in prima pagina dell'ottimo Federico Rampini, sostiene che l'Italia fu "vittima di una scellerata decisione francese, quella di Nicholas Sarkozy che nel 2011 ebbe un ruolo determinante per l'attacco militare contro Gheddafi".
Nell'ultimo decennio la propaganda non solo dei 5 stelle, ma anche dei sovranisti di Lega e FdI, degli estremisti di sinistra e perfino di qualche sprovveduto berlusconiano, ha incolpato la Francia di aver eliminato il dittatore libico per fare un dispetto all'Italia. Fake non solo infondata, ma probabilmente inventata e sicuramente amplificata dai canali Telegram putiniani.
Sarkozy non "attaccò" la Libia. Semplicemente, il 17 marzo di dodici anni fa promosse la risoluzione numero 1973 dell'Onu, assieme a Usa, Regno Unito e Lega Araba, per proteggere i civili di Bengasi che si erano sollevati contro il dittatore nel quadro delle Primavere arabe. Risoluzione accettata anche da Russia e Cina, che si astennero e non misero il veto.
Dopo le cacciate del presidente tunisino Ben Ali e dell'egiziano Hosni Mubarak era arrivato il turno di Gheddafi. Il quale però, più coriaceo, non esitò a inviare i suoi tank contro la folla della capitale cirenaica. Era questione di ore.
Per evitare una strage tipo Srebrenica o Ruanda fu lo scrittore francese Bernard-Henry Lévy a pressare il riluttante Sarkozy affinché facesse dichiarare dall'Onu una No fly zone sulla Libia. E il presidente francese a sua volta dovette faticare per convincere quello Usa Barack Obama, il quale dopo i fiaschi di George Bush jr in Afghanistan e Iraq non voleva altri coinvolgimenti esteri.
Ma gli Stati Uniti erano gli unici con la capacità tecnica di far rispettare con i suoi aerei la No fly zone sulla Libia. Quindi Obama accettò malvolentieri, con l'assicurazione che non ci sarebbero stati "boots on the ground" per i soldati Usa, niente interventi terrestri.
Perciò è falsa la vulgata grilloputiniansovranista di un Sarkozy giustiziere di Gheddafi. All'implementazione della risoluzione Onu sulla Libia partecipò un'ampia coalizione di Paesi, comprese le pacifiste Svezia e Norvegia.
La prova che la Francia non ha approfittato della cacciata di Gheddafi a scapito dell'Italia, d'altronde, è arrivata negli anni successivi. La francese Total non ha mai spodestato la nostra Eni come maggior estrattore di petrolio e gas in Libia. E oggi a Tripoli e Bengasi spadroneggiano milizie libiche, turchi, i russi di Wagner: chiunque, tranne i francesi.
Detto questo, fu un errore far cadere Gheddafi? Col senno di poi, forse sì. Però in quei giorni concitati fu non solo legittimo, ma doveroso proteggere i civili libici insorti spontaneamente contro un satrapo sanguinario che li opprimeva da 42 anni.
Ero lì in quei giorni, come giornalista. Sembrava che la Libia potesse autogovernarsi. Professionisti, ingegneri, medici, avvocati, molti tornati dall'esilio, si impegnarono nell'amministrazione provvisoria. Che però dopo qualche mese fu spazzata via da islamisti, militari e cosche tribali.
Si dice: almeno Gheddafi manteneva l'ordine e impediva il traffico dei clandestini verso l'Italia. Ma condannare un intero popolo a subire la dittatura pluridecennale di uno squilibrato non era possibile. Il tirannicidio è giustificato perfino dalla Chiesa cattolica. E sarebbe stato razzista bollare un Paese come non abbastanza maturo per la democrazia.
Neanche in Tunisia ed Egitto d'altronde è finita benissimo, dopo le primavere speranzose del 2011. La democrazia tunisina oggi è minacciata da un presidente autoritario e dalla crisi economica. E il Cairo si è rassegnato ai muscoli di Abdel Al Sisi dopo qualche anno di leggiadra follia dei Fratelli musulmani, così simili ai grillini quanto a incompetenza nel governare.

Insomma, Sarkozy ha tante colpe e le sta pure pagando. Ma basta, per favore, con la frottola di un suo complotto anti-italiano in Libia.