Thursday, July 18, 2024

In piazza contro il detenuto Toti. Schlein e Conte si trasformano in Maramaldo












I grillini hanno infettato di forcaiolismo gli ex odiati piddini. Avvertite Trump e Biden: tenetevi lontani da Genova, i vostri finanziamenti da privati per centinaia di milioni passerebbero guai un po' più grossi di quella miseria di 70mila euro contestati al governatore

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 18 luglio 2024

Se aspettavano qualche giorno, potevano manifestare nell'anniversario della battaglia di Gavinana (Pistoia), 3 agosto 1530. Quella in cui il morente capo fiorentino Francesco Ferrucci disse a Maramaldo: "Vile, tu uccidi un uomo morto”.

In piazza De Ferrari a Genova l'intera sinistra italiana protesta contro Giovanni Toti, in custodia cautelare per corruzione da due mesi e mezzo. Il trio dinamico Elly Schlein-Giuseppe Conte-Nicola Fratoianni ha trovato un potente avversario contro cui misurarsi: il presidente della Liguria. Lui non può rispondere, gli arresti domiciliari vietano di comunicare con l'esterno dalla sua casa di Ameglia (La Spezia). 

Insomma, Toti è già mezzo morto. Ma la manifestazione nazionale vuole affrettarne il decesso politico, pretende immediate dimissioni. Colpevole, innocente? Chissà. Si saprà forse nel 2031, visti i tempi dei magistrati genovesi: il ponte Morandi crollò sei anni fa, il processo di primo grado durerà almeno un altro anno.

Che crolli anche la giunta Toti e si vada subito a nuove elezioni, grida la piazza. Il voto a scadenza naturale è già previsto nel 2025, lui ha detto che non si ricandiderà. E comunque dopo due mandati non può più. Niente da fare: "C'è fretta in me, c'è urgenza. Vorrei una cosa qualsiasi, ma presto", diceva il poeta Henri Michaux.

Accusa l'opposizione: "In Liguria tutto è bloccato". Si difende la maggioranza: "Tutto va avanti, c'è un presidente facente funzioni". Dice Carlo Calenda, che sta in mezzo: "Abbiamo chiesto spesso che Toti se ne andasse. Ma non ora, su spinta della magistratura". Quanto ai comitati dei cittadini di sinistra contro le grandi opere, non sanno se protestare o festeggiare questa presunta paralisi. 

A memoria, non ricordiamo maramaldesche manifestazioni per le dimissioni di politici agli arresti. Bettino Craxi si dimise da segretario Psi prima delle monetine. Roberto Formigoni finì in carcere nel 2019, sei anni dopo essersi dimesso da presidente della Lombardia, e soprattutto dopo una sentenza definitiva.

La condanna di Toti è invece già definitiva per i manettari di piazza De Ferrari. I grillini hanno infettato di forcaiolismo gli ex odiati piddini. Eppure i giudici del riesame escludono che il presidente ligure possa inquinare le prove. Rimane agli arresti solo perché potrebbe reiterare il reato. E con sillogismo da Comma 22 la procura sostiene che lo farà ancora, proprio perché non ha ancora capito quel che ha fatto: sollecitare e accettare contributi per la sua attività politica. Cioè quel che fanno normalmente i politici in tutte le democrazie. 

Avvertite Trump e Biden: tenetevi lontani da Genova, i vostri finanziamenti da privati per centinaia di milioni passerebbero guai un po' più grossi di quella miseria di 70mila euro contestati a Toti.

Wednesday, July 10, 2024

Perché uno Yamal non potrebbe mai giocare nella nazionale italiana



di Mauro Suttora


Il fenomeno spagnolo di 16 anni da noi non avrebbe la cittadinanza, in quanto figlio di due immigrati da Marocco e Guinea. E forse nemmeno il "gemello" Nico Williams, che di anni ne ha 21, ma stando ai tempi della nostra burocrazia probabilmente starebbe ancora aspettando il rilascio del passaporto


Huffingtonpost.it, 10 luglio 2024


Non volete lo 'ius soli'? Cambiamo nome, chiamiamolo 'ius sportis', che magari il generale Vannacci non se ne accorge. Così potremo accogliere sul serio e far diventare subito italiani migliaia di under 18 che ci regaleranno decine di medaglie in tutti gli sport.

Perché si parla tanto di mancanza di talento nella nazionale di calcio, giovani, vivai e blablabla, ma da noi uno come il sedicenne Lamine Yamal - padre marocchino e madre della Guinea - non avrebbe i requisiti per ottenere la cittadinanza, e dunque non potrebbe giocare. Senza il suo gol la Spagna non avrebbe battuto la Francia 2-1, conquistando la finale degli Europei.

 

E forse nemmeno l'altro fenomeno spagnolo Nico Williams, genitori del Ghana, quello che tre settimane fa ha umiliato i nostri azzurri dribblandoli platealmente. Perché di anni ne ha 21, e nonostante i termini della legge italiana indichino tre anni come limite massimo per l'ottenimento della cittadinanza una volta maggiorenni, spesso i tempi per i figli degli immigrati sono più lunghi.


Fra due settimane iniziano le Olimpiadi a Parigi. Marcell Jacobs riuscirà a difendere l'oro vinto quattro anni fa nei cento metri? Ce lo auguriamo tutti, anche quelli così preoccupati per i "tratti somatici  del tipico italiano". Ma se non dovesse farcela, ecco apparire miracolosamente dietro di lui il comasco 25enne Chituru Ali. Che un mese fa ha entusiasmato l'Italia intera agli Europei di atletica, apparendo dal nulla e agguantando l'argento a soli tre centesimi dal vincitore Marcell. 


È stato commovente, da brivido, vederli poi festeggiare insieme, sventolando felici in pista il loro e nostro grande tricolore. Anche un po' buffo il giorno dopo leggere un comunicato del comitato regionale del Coni Lombardia inneggiante ai due campioni "lombardi". Certo, Marcell è di Desenzano (Brescia) e Chituru è cresciuto fra mille difficoltà ad Albate (Como): papà sparito come quello di Marcell, mamma ri-emigrata in Svizzera, lui abbandonato a famiglia affidataria. Insomma, la vittoria sveglia istinti non solo nazionalisti, ma perfino regionalisti.

 

La magica coppia Jacobs-Ali ha poi ripetuto la doppietta a Turku, in Finlandia, questa volta entrambi sotto i dieci secondi di buon auspicio olimpico. Ma nell'atletica leggera da tempo ormai è un tripudio di colori di pelle e di bandiera, che si mischiano allegramente per la disperazione dei ringhiosi avversari della sostituzione etnica: Paesi una volta bianchissimi e biondissimi come Danimarca o Svizzera che non hanno mai vinto una medaglia nella loro storia, e che invece ora se la battono alla pari con i mitici giamaicani e neri Usa grazie ai loro velocisti/e di colore.

 

Insomma, per tornare al calcio: chiudere di nuovo le frontiere agli stranieri come dopo la Corea 1966, per dare più spazio ai nostri giovani? Ma i giovani 'stranieri' li abbiamo già fra noi: valorizziamo loro, strappandoli con lo sport al teppismo delle babygang e a certa sottocultura rap. Certo, il razzismo è una brutta bestia. Me ne accorsi in un albergone sulla spiaggia a Torre Canne (Brindisi) nel 2018. Finale dei mondiali di calcio Francia-Croazia. Davanti alla tv quasi tutti i pugliesi tifavano per i croati. Non capivo, chiesi perché. "È Africa contro Europa", mi spiegarono senza vergogna.

 

Ora che tutte le squadre troppo pallide, quelle dell'Est e l'Italia, sono state eliminate dagli Europei, i tifosi sovranisti si rassegnino: da Mbappè a Bellingham, gli assi del calcio hanno tratti somatici per loro irritanti. Inoltre, in politica tifano a sinistra e addirittura osano dichiararlo pubblicamente. Così ai nostri fascioleghisti non resta che consolarsi per la sconfitta della "Francia africana" che ha schifato Marine Le Pen. Fingendo che anche la Spagna non sia trainata dalla nuova generazione multietnica degli Yamal e Nico Williams.

Tuesday, July 09, 2024

La volpe e l'urna. O di come la legge elettorale del vicino è sempre la più bella

di Mauro Suttora

I conservatori britannici guardano con invidia il doppio turno alla francese, che avrebbe limitato la sconfitta, mentre la destra francese sogna il maggioritario d'Oltremanica, che l'avrebbe spinta alla vittoria. I politici vogliono da sempre un'unica cosa: il sistema che meglio gonfia i propri voti. E in Italia in questo siamo campioni del mondo

Huffingtonpost.it, 9 luglio 2024

La sera del 4 luglio i verdi inglesi non credevano ai loro occhi: seggi quadruplicati. Al tradizionale collegio di Brighton ne hanno aggiunti altri tre: il centro di Bristol, il Nord Herefordshire e perfino la valle del fiume Waveney nel Suffolk.

Tre giorni dopo invece sono stati i lepeniani in Francia a strabuzzare gli occhi: nonostante il 37% dei voti hanno racimolato solo un quarto degli eletti e sono finiti ultimi fra le tre coalizioni. Cosicché ora i francesi di destra sognano il sistema elettorale britannico uninominale maggioritario ma a turno unico, che non permette il trucco delle "desistenze"; mentre i conservatori inglesi rimpiangono il metodo di elezione francese, che avrebbe limitato il loro disastro con parallelo trionfo di laburisti, liberali e perfino ecologisti. 

Per i perdenti, la legge elettorale del vicino è sempre la più bella. Ma anche in Italia i risultati di Londra e Parigi provocano subbuglio. Adesso Giorgia Meloni è terrorizzata dai ballottaggi, che come in Francia unirebbero tutte le opposizioni contro di lei. La ministra delle Riforme Maria Elisabetta Casellati promette di risolvere magicamente la questione con un metodo misto maggioritario-proporzionale. 

In realtà i politici vogliono da sempre un'unica cosa: la legge elettorale che meglio gonfia i propri voti. Cosicché dopo mezzo secolo di stabilità i nostri sistemi hanno cominciato a cambiare con velocità vorticosa: fra Mattarellum (1993), Porcellum (2005) e Rosatellum (2017), ogni transeunte maggioranza avverte il bisogno e il diritto di cucirsi addosso un metodo su misura. 

Noi proviamo noia e nausea appena si ode la parola "legge elettorale". E astensione al 51%. L'ideale per i nemici della democrazia sarebbe la legge Acerbo, che cent'anni fa regalava alla prima lista che superasse il 25% il 66% degli eletti. Una distorsione degna del famoso bar degli Specchi incurvati nel centro di Frascati, che ingrassano i magri e assottigliano i ciccioni. Risultato: fu applicata una sola volta, e poi vent'anni di Mussolini. 

Oggi per confezionare il metodo elettorale perfetto basta fare l'opposto di quel che dice Sergei Lavrov, ministro degli esteri di Putin. Disperato per la sconfitta della sua favorita Marine Le Pen, si è scagliato contro il doppio turno, che secondo lui "manipola la volontà degli elettori". Ballottaggi forever, allora? Per la verità le due democrazie più longeve del pianeta, Regno Unito e Stati Uniti, praticano felicemente il turno unico da due secoli e mezzo, non hanno mai sentito il bisogno di cambiar legge elettorale, e guarda caso sono gli unici grandi stati immuni da totalitarismi. La Quinta repubblica francese funziona bene da due terzi di secolo, la Germania da tre quarti.

Quindi forse la soluzione per noi è semplice: abolire il ministero delle Riforme istituzionali, perché le istituzioni se vogliono essere stabili e perciò prestigiose vanno riformate il meno possibile. Teniamoci la legge elettorale che c'è, con i suoi pro e i suoi contro. E soprattutto non tediateci più con dibattiti su rappresentatività vs. governabilità. 

Monday, July 01, 2024

Lui è più antisemita di me

La non geniale strategia di Piantedosi davanti ai piccoli nazi meloniani: “E allora la sinistra?”. Antisemiti di destra e di sinistra viaggiano su binari paralleli: facendoli incontrare, commisurandoli, si deraglia

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 1 luglio 2024

Ma perché, perché? Perché il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi si mette a compilare classifiche sull'antisemitismo, e stabilisce che quello di sinistra è peggio di quello di destra?

A chiunque in politica dovrebbe essere vietato pronunciare queste parole: "E allora?" e "Ben altro". Il ministro invece è riuscito a infilarle entrambe commentando i saluti e slogan nazi dei giovani meloniani. Che "certo, sono deprecabili e vanno condannati senza riserve". Ma che secondo lui, dalla sua prospettiva di tutore dell'ordine pubblico, sono meno gravi dei cortei e disordini antisraeliani con cui i proPal/estinesi riempiono le nostre strade dopo i massacri del 7 ottobre 2023. 

Da due decenni sociologi e linguisti analizzano i fenomeni del "benaltrismo" e del "eallorismo". Piaghe planetarie, infatti in inglese si dice "whataboutism". Si tratta della fallacia logica in cui cade chi non può contestare un argomento indiscutibile, e allora cerca di demolirlo o almeno diminuirlo contrapponendo attenuanti ed esimenti fuori tema. 

Il paragone truffaldino, e il ministro lo sa bene data la sua età, non nasce con le baruffe social. Leggendarie rimangono le risposte in automatico dei comunisti alle accuse di mancanza di libertà nei regimi dell'Est: "E allora il Cile? E allora il Vietnam?" 

Con il nuovo secolo in Italia sono diventate proverbiali le obiezioni "E allora le foibe?", "E allora i marò?" e "Guardate Bibbiano" opposte dai polemisti da bar di destra o grillini alle proprie malefatte.

Ma lei, ottimo Piantedosi, proprio lei con il suo status di ministro tecnico e quindi al di sopra delle parti nonostante il nome Matteo, perché cede a scorciatoie dialettiche degne di un Napalm51 crozziano? 

Certo, i nazistelli meloniani non hanno finora bruciato bandiere di Israele in pubblico, né sfilato in turbolenti cortei. Ma nelle proteste per Gaza non abbiamo visto un braccio teso hitleriano né svastiche, che a qualcuno mettono più paura dei frusti pugni chiusi da centro sociale. 

Gli opposti estremismi sono spesso simmetricamente uguali. Ma gli antisemitismi di destra e sinistra corrono su binari paralleli. Facendoli incrociare commisurandoli, si deraglia.

Monday, June 24, 2024

Croazia, Modrić e mia nonna




















Il campione è dalmata come era lei, che proprio cent'anni fa lasciò Sebenico e poi riuscì a diventare profuga due volte nella stessa vita

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 25 giugno 2024
  
Bellissima l'immagine tv del campione Luka Modrić da Zara - mio eroe, perché intelligente e quindi apparentemente svogliato e trotterellante come Gianni Rivera, celando letali accelerazioni fulminee - il quale per la tensione si mangia la maglietta in panchina, trenta secondi prima che l'Italia con un gol al 97° minuto elimini la sua Croazia dall'Europeo di calcio.

Modrić è dalmata come mia nonna Laura Matcovich, la quale proprio cent'anni fa lasciò la sua Sebenico perché era arrivata la Jugoslavia. Che poi giunse, comunista e non solo slava, pure nell'isola di Lussino, dove mia nonna si era rifugiata e sposata con il comandante di nave Roberto Suttora, orgogliosamente capohornista (i capitani doppiatori di capo Horn non erano tantissimi, sulle rotte Fiume-Liverpool-Perth).

Così 80 anni fa mia nonna riuscì a diventare profuga due volte nella stessa vita: record condiviso solo con certi sfortunati bisprofughi palestinesi (1948 e 1967). La prima volta era fuggita troppo vicino, perciò la seconda evitò Trieste e scappò con mio padre e mio zio bambini più lontano, nelle repubbliche marinare: prima a Venezia e poi a Genova, da dove partiva mio nonno.

Negli anni Ottanta del Novecento, verso la fine della sua vita che andava col secolo, la mia nonna Matcovich, a vent'anni irredentista anti-austriaca che aspettò entusiasta avvolta nel tricolore sulla banchina del porto di Sebenico le navi italiane arrivate per liberare la Dalmazia, maturò un'irresistibile nostalgia per l'impero asburgico: era fiera che sulla sua carta d'identità fosse scritto che era nata in Austria-Ungheria, e non in Italia o Jugoslavia, come indicato sui documenti degli altri 350mila profughi dalmati e istriani del 1944-48.

Infatti, dopo aver sperimentato l'Italia fascista e la Jugoslavia comunista, giunse alla conclusione che tutto sommato fosse meglio, o meno peggio, l'impero multinazionale, interetnico e cosmopolita in cui era cresciuta.

Quando volevo far arrabbiare mia nonna, per scherzo le mandavo cartoline indirizzate a Laura Matković: con la kappa e la 'pipa' sulla c, come nella grafia croata di Luka Modrić. Il quale fu profugo pure lui: da bambino, durante la nuova guerra civile jugoslava negli anni '90. La sua famiglia scappò a Zara dal villaggio dell'entroterra in cui viveva. I serbi ammazzarono suo nonno Luka.

Nell'ultrasinistra disastrata è il turno di Ilaria Salis

La neoparlamentare si dice fiera di occupare case popolari, togliendole ai fessi che ne hanno diritto, ma che aspettano anni in graduatoria perché rispettano la legge. Dopo il diritto alla (sua) casa proclamerà il diritto alla cena, riesumando i gloriosi espropri proletari di mezzo secolo fa nei supermercati

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 24 giugno 2024

Particolarmente sfortunata, l'estrema sinistra italiana. Da una decina d'anni si affida a personaggi esterni imbarazzanti: Ingroia, Tsipras, Soumahoro, Salis. Nel 2013, non potendo più presentarsi alle politiche col proprio nome (Rifondazione comunista) dopo il disastro di cinque anni prima (caduta Prodi, zero eletti), si ribattezzò lista Ingroia come il pm palermitano antimafia Antonio. Secondo flop, quorum mancato. 

Dopo la trombatura Ingroia si consolò con incarichi di sottogoverno siciliano, rimediando una condanna a 1 anno e 10 mesi per peculato e un'altra per danno erariale a 145mila euro. Poi ha cambiato di nuovo mestiere, diventando avvocato di Gina Lollobrigida. Ma ha continuato a collezionare percentuali da zero virgola ad ogni elezione, con liste variopinte. 

Un altro rabdomante della politica era Alexis Tsipras, premier greco che voleva uscire dall'euro. Al suo nome si aggrapparono i rifondaroli per le europee 2014, eleggendo affidabili eurodeputati esterni come Barbara Spinelli. La quale invece di uscire dall'euro uscì dal partito, tenendosi tutti gli euro del proprio stipendio (18mila mensili) che avrebbe dovuto versare in minima parte al partito. Anche Tsipras è finito nel nulla, assieme al suo ministro delle Finanze Yannis Varoufakis. Su Soumahoro e la bellissima moglie non occorre soffermarsi. 

Ora è il turno di Ilaria Salis, che già ci delizia con elogi della delinquenza. Si dice fiera di occupare case popolari, togliendole ai fessi che ne hanno diritto, ma che aspettano anni in graduatoria perché rispettano la legge. 

Dopo il diritto alla (sua) casa la simpatica Tortora dei poveri proclamerà il diritto alla cena, riesumando i gloriosi espropri proletari di mezzo secolo fa nei supermercati. Il diritto alla mobilità, rubando bici e auto nonché evitando il biglietto su bus e treni. Ma soprattutto il diritto alla vacanza, andando a occupare resort al mare e b&b in montagna. 

Tuesday, June 11, 2024

Calenda e Renzi non fanno eccezione: la vocazione ad autodistruggersi dei partiti di centro è storia

Dal Partito d'Azione al Psdi, al Pli, fino a Mario Segni: nel 1994 rifiutò l'appoggio di Silvio Berlusconi per candidarsi premier

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 11 giugno 2024 

Chi si stupisce per la stupidità politica che ha fatto buttare al macero i 1.650.000 voti di Stati Uniti d'Europa e Azione ignora la storia italiana degli ultimi 80 anni. I partitini di centro infatti hanno sempre fatto a gara nell'autodistruggersi.

Cominciò il glorioso partito d'Azione, che sembrava destinato a grandi cose, imbottito com'era di capi partigiani, padri della patria e intellettuali: dal primo premier dell'Italia liberata Ferruccio Parri a Norberto Bobbio e Piero Calamandrei. Non fece neanche in tempo a presentarsi al voto nel 1948: era già defunto dopo il fiasco elettorale del 1946 (1,5%).

Molti azionisti, seguendo Ugo La Malfa, si trasferirono nel riesumato partito Repubblicano. Il quale in realtà non aveva più ragione di esistere, essendo stato raggiunto il suo scopo sociale con la nascita della Repubblica il 2 giugno 1946. Eppure continuò a vivacchiare per quasi mezzo secolo al 3% sotto la guida capricciosa di La Malfa. Anche il livello del Pri era inversamente proporzionale ai suoi consensi, quindi altissimo: regalò all'Italia ministri di valore come Bruno Visentini e Giovanni Spadolini. 

Sempre in tema di monumenti viventi, ecco poi il Psdi (Partito socialdemocratico) meritoriamente fondato nel 1947 dal futuro presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Era l'epoca in cui non solo il Pci ma anche il Psi stavano col dittatore sovietico Stalin. Fu doveroso quindi per i socialisti amanti della libertà scindersi dai compagni 'frontisti' di Pietro Nenni. 

Ma neanche codesta nobile scelta fu premiata dagli elettori, che relegarono il Psdi al 4%. "Colpa del destino cinico e baro", fu la famosa lamentela di Saragat, refrattario ad autocritiche e dimissioni quanto oggi Matteo Renzi e Carlo Calenda.

Il terzo partitino laico della Prima repubblica era il Pli. Che aveva dominato la politica italiana dal 1861 al 1922, e quindi tutti si aspettavano una sua rinascita dopo il fascismo. I liberali furono subito premiati con le prime due presidenze della Repubblica: Enrico De Nicola e Luigi Einaudi. Però commisero errori su errori: Benedetto Croce li fece sciaguratamente votare monarchia al referendum; poi si allearono con i qualunquisti (criptofascisti); infine, nel 1954, il neosegretario Giovanni Malagodi ridusse il Pli a una succursale degli industriali privati di Confindustria. 

Perciò i liberali di sinistra se ne andarono per fondare il partito radicale: Ernesto Rossi, Mario Pannunzio e i giovani Eugenio Scalfari e Marco Pannella. Ma anche i radicali caddero subito nel vizio tipico dei centristi: litigare perennemente, innanzitutto al loro interno e poi con gli altri centristi. Anzi, è raro perfino trovare un centrista che vada d'accordo con se stesso.

L'autolesionismo dei centristi ha sempre impedito loro di unirsi: preferivano spaccarsi fra filo-Dc, filo-Pci e filo-Psi. Però allora non c'erano tagliole del 4% a impedirne il velleitarismo. Quindi si accontentavano dei loro minuscoli 3%, che garantivano comunque poltrone di sottogoverno: qualche ministro di serie B, sottosegretari, assessori.

 

L'errore supremo del centrista sbadato fu, nel 1994, quello di Mario Segni: rifiutò l'appoggio di Silvio Berlusconi per candidarsi premier. Da allora, col bipolarismo, o di qua o di là: per i centristi solo qualche fiammata (lista Emma Bonino nel 1999, Mario Monti nel 2013) e tanti dolori, come ieri. 

Saturday, June 01, 2024

Vale per Meloni come per Salis: non disturbate troppo la Storia

Consiglio non richiesto a entrambe che, a due settimane di distanza, si sono proclamate "dalla parte giusta della Storia". Invidio tanta sicurezza

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 1 giugno 2024

"Sono dalla parte giusta della Storia", ha proclamato Giorgia Meloni al comizio di piazza del Popolo. Ohibò, è la seconda volta in pochi giorni che risuona tanto orgoglio. Perché anche Ilaria Salis due settimane ci aveva assicurato di sentirsi in quel posto lì: assieme ai Giusti della Storia.

Invidio alle due gentili signore tanta sicurezza. Entrambe felici delle loro scelte politiche, anche se opposte.

Giorgia con la sua fede fascista, ma ora dopo aver lavato i panni in Matteotti approdata definitivamente a quella postfascista. Numero uno in Italia e da due giorni anche in Europa: l'Economist la piazza in copertina al centro della nuova trinità continentale. Attorniata da Ursula e Marine, ma quelle solo a mo' di ancelle.



Ilaria con la sua passione antifascista, che l'ha spinta fino a Budapest per patire sicuramente due ingiustizie: carcere per più di un anno senza processo, manette a mani e piedi.

Quanto alla terza questione, la più importante, sarà un processo a decidere su quale parte del codice penale (e non della Storia) si è collocata Salis. Giusta se verrà assolta, sbagliata se giudicata colpevole di aver manganellato un fascista.

Temo invece che per qualcuno sia comunque commendevole "lottare" contro i fascisti. Loro stavano indiscutibilmente dalla parte sbagliata della Storia. Contrastarli con qualsiasi mezzo? Certo che no. La violenza è esclusa. Ma dipende. Ho sentito dire in tv da Bianca Berlinguer che erano "guaribili in soli otto giorni" le ferite inferte al fascista ungherese dal commando antifascista cui Salis è accusata di essersi aggregata.

Ho visto l'impressionante video dell'assalto. Mi ha ricordato le migliaia di aggressioni con cui i nostri fascisti spaccavano la testa coi manganelli ai rossi negli anni '20 di un secolo fa (Matteotti fu solo una delle tante vittime). Replicate poi mezzo secolo fa, negli anni '70, da ulteriori bastonate reciproche fra altre squadracce di rossi e neri.

E già lì la "parte giusta della Storia" era svanita. Perché il "fascismo degli antifascisti", come lo chiamava Marco Pannella, risultava equivalente a quello dei legittimi proprietari del marchio. Magari con chiavi inglesi al posto dei manganelli.

Figurarsi oggi: Fareed Zakaria, uno dei più lucidi politologi del mondo, nel suo nuovo libro certifica che rossi/neri, sinistra/destra, comunismo/fascismo è una contrapposizione ormai inservibile. Non spiega più i conflitti contemporanei. E da tempo: trent'anni fa il serbo Slobodan Milosevic fu il primo a essere definito "fasciocomunista". Aggettivo che ora si addice a tanti: Vladimir Putin, Xi Jingping, il Kim coreano, il dittatore cubano, il mezzo dittatore venezuelano.

Qualche antifascista un po' fané inorridisce per la condanna gemella dell'Europarlamento nel 2019: nazifascismo e comunismo entrambi totalitarismi del secolo scorso. E via di archivio, si sperava. Pratica chiusa col nuovo millennio.

Invece no: c'è sempre qualche nostalgico che riesuma "parti giuste della Storia" su cui piazzarsi fiero. Fresche quanto i cristiani/musulmani a Roncisvalle, palpitanti quanto i cattolici/protestanti a La Rochelle, attuali quanto guelfi/ghibellini, capuleti/montecchi, rivoluzionari/vandeani, irredentisti/austriaci, e via contrapponendo.

Care Giorgia e Ilaria, un sommesso e non richiesto consiglio: non disturbate troppo la Storia. Che offre posti belli e brutti, ma soprattutto intercambiabili. Ultimamente va più Vico di Hegel, difficile "dare un senso a questa storia", come canta il nostro massimo filosofo Vasco. Figurarsi poi addentrarsi nel giusto o sbagliato. Lo diranno solo i risultati concreti.