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Friday, December 07, 2012

Grillo: parlano gli antipartito del passato


di Mauro Suttora
Sette (Corriere della Sera), 7 dicembre 2012
Il Movimento 5 stelle non è il primo a voler «fare politica in modo pulito». Ecco l'opinione su Grillo dei leader dei movimenti «antisistema» degli ultimi 40 anni.  

MARIO CAPANNA (SESSANTOTTINI)
«Grillo mi è istintivamente simpatico, perché ci mette la faccia ed è molto documentato. Deve aver letto almeno due miei libri, sicuramente Coscienza globale. Ogni movimento allo stato nascente gode di un carisma temporaneo. Il problema è la durata. Durante la democrazia diretta assembleare del ’68 i leader dovevano meritarsi la loro qualifica giorno per giorno, nel confronto diretto con centinaia e migliaia di studenti. Oggi nella democrazia telematica manca il contatto diretto con i cuori e le menti. 
In rete circola una gran quantità di ciarpame. Casaleggio stesso dice che il web non è innocente, e teorizza il ruolo degli “influencer”. Grillo è sicuramente un “innovatore”: ora deve dimostrare di essere anche un “rinnovatore”. 
Lui unico controllore del marchio, lui che parla senza contraddittorio in rete e nei comizi: nel ’68 sarebbe stato inconcepibile, le assemblee erano luogo di confronto anche aspro, ma di dialogo. Oggi invece si rischia il solipsismo, si chiede solo di credere e aderire. Mi sorprende il modo in cui fa rispettare le regole del suo movimento, con diktat inappellabili».

MARCO PANNELLA (RADICALI)
«Il movimento grillino non è armato di esperienza. Siamo pronti a mettere a sua disposizione la nostra. Anche noi vogliamo un processo di Norimberga contro la partitocrazia degli ultimi 60 anni».
Marco Pannella vede Grillo adottare molte battaglie dei radicali, ma commettere errori come quello dei referendum contro i finanziamenti pubblici ai giornali del 2008: firme insufficienti, mezzo milione di sottoscrizioni al macero.
«Grillo sbaglia se rifiuta il dialogo, perché rischia di andare a sbattere politicamente e di subire la rivolta dei suoi stessi grillini. Se non passa da un piano monologante a dialogante, anche nell'online, con la sua scelta di impiccare tutto e tutti rischia di restarci lui, e di portare gli altri con sé. Senza soprattutto fare proposte, se non demagogiche e improvvisate, poco costruttive. 
Da Grillo attendo una politica che invece di centrare tutto sulla perversione degli avversari appoggi iniziative concrete, come facciamo noi da sempre. C'è il rischio che i candidati del Movimento 5 stelle riprendano il suo monologo perché sono stati formati a copiare con parole diverse le sue filippiche. Grillo ripete le stesse cose che i fascisti dicevano contro i parlamentari: tutti corrotti, tutti pezzi di m... Ma così non costruisce nulla».

GRAZIA FRANCESCATO (VERDI)
«Conosco Grillo da quando ero presidente del Wwf, e lui negli anni ’90 si avvicinava ai temi ecologisti. Il suo movimento nasce dalla voglia di buona politica. Io però non amo la mera protesta: slogan come “tutti a casa” o “tutti cretini e delinquenti” sono rozzi e sbagliati, ma soprattutto depistano dai veri problemi. Mi ricordano il Berlusconi “ghe pensi mi” di vent’anni fa. 
Noi verdi invece non volevamo capi carismatici, anche se avevamo personaggi di grande carisma come Alex Langer. Ma proprio lui ammoniva che il potere, il seggio elettivo, è come una centrale nucleare che emette radiazioni e rende dipendenti da piccoli e grandi privilegi. Per questo Michele Boato e molti altri praticarono la rotazione a metà mandato, dopo due anni e mezzo. Io stessa sono stata in Parlamento solo due anni, non ho il vitalizio e ho rifiutato il doppio incarico di presidente dei verdi (oggi sono in Sel). 
È importante che gli eletti abbiano un proprio lavoro al quale tornare: non devono essere costretti a dire sempre sì al capo per mancanza di alternative. Spero che dentro al M5S si sviluppi il senso critico: dalla protesta urlata occorre passare alla cultura della complessità. L’ecologia politica è nata 40 anni fa, ma vedo che i problemi sono sempre gli stessi».

GIANCARLO PAGLIARINI (LEGHISTI)
«Voterò Grillo: anche se sbaglia, non potrà fare peggio di tutti gli altri. A meno che non salti fuori qualcosa di veramente nuovo, come Oscar Giannino. Anche Umberto Ambrosoli, candidato del centrosinistra in Lombardia, non mi dispiace. Ma alcuni amici mi assicurano che nel Movimento 5 stelle ci sono ragazzi perbene e preparati che non hanno mai fatto politica, oltre a professionisti che lavorano. 
Come nella Lega Nord vent’anni fa. Io nel 1990 ero revisore dei conti in una multinazionale, stavo per emigrare in Nuova Zelanda. Mi avvicino alla Lega, e nel giro di quattro anni mi ritrovo ministro del Bilancio. E pensare che per la mia poltrona c’era gente che scalpitava da decenni e avrebbe ucciso la nonna… 
Sono rimasto in Parlamento fino al 2006, poi sono stato uno dei pochi a lasciare la Lega spontaneamente, senza venire espulso da Bossi. Ma nei movimenti di rottura come noi e il M5S sono necessari capi duri: chi fa il civile e l’educato non trova spazi nel monopolio della casta. Bossi era uno che scriveva sui muri e sui ponti. Leggo sempre il blog di Grillo, è fatto bene. Ma senza il federalismo neanche lui andrà da nessuna parte».
Mauro Suttora

La democrazia secondo Grillo

VITA QUOTIDIANA NEL MOVIMENTO 5 STELLE RACCONTATA DA UN GIORNALISTA CHE SI È ISCRITTO E PARTECIPA ALLE ATTIVITA'

di Mauro Suttora

Sette (Corriere della Sera), 7 dicembre 2012

Maledetto neon. Quello nella sala sotterranea dell'albergo La Rotonda di Saronno (Varese), dove il 18 novembre partecipo alla conferenza regionale lombarda del Movimento 5 Stelle (M5S), è squallido quanto la luce bianca da obitorio che quarant’anni fa mi fece scappare dalla mia prima riunione politica, al ginnasio di Bergamo.

Sono un "grillino". Qualche mese fa mi sono "registrato" nel portale di Beppe Grillo: un po' per simpatia personale, un po' per curiosità professionale. È gratis, basta mandare la scansione di un documento. E ora eccomi qua a fare la vita del militante semplice, anzi del "cittadino attivo" come si dice in grillese. 

Quasi tutta l'attività del movimento si svolge online, questa è una delle rare riunioni in cui ci si incontra di persona. Delusione: poche donne e giovani, maggioranza di maschi 40-50enni. Siamo 200, molti sono attirati dalla possibilità di candidarsi alle regionali lombarde anticipate del 10 marzo.

Per fortuna Grillo ha ristretto la candidatura alle politiche a chi era già in lista nelle elezioni passate: un giusto riconoscimento agli ante-marcia, per evitare l'assalto degli opportunisti. Alle regionali invece possono candidarsi tutti i registrati al 30 settembre. Risultato: lo hanno fatto in oltre 300 per gli 80 posti da consigliere regionale lombardo. 

Perché questa valanga? Anche se gli eletti M5S si ridurranno lo stipendio da 11mila a 2.500 euro netti mensili, sono soldi appetibili per molti: un affare da 600mila lordi in dieci anni, visto che un'altra regola di Grillo è il limite di due mandati per gli eletti. Questo tetto sembra a tutti l'antidoto perfetto per evitare la professionalizzazione dei «portavoce del movimento» (come vengono definiti pudicamente gli eletti): «Massimo dieci anni e poi fuori dai c…», ribadisce sempre il simpatico Beppe.

«Ma lo sapete che gli eletti radicali e verdi trent'anni fa ruotavano a metà mandato?», provo a proporre. «Erano quattro volte più "democratici" di noi. A casa dopo due anni e mezzo, sostituiti dai primi dei non eletti. Se vogliamo evitare la nascita di un'altra casta dobbiamo fare così anche noi, perché dopo dieci anni di politica a tempo pieno è quasi impossibile tornare al lavoro di prima». Qualcuno è d'accordo; ma Grillo ha deciso per i due mandati, e pochi hanno voglia di contraddirlo riaprendo la questione.

In luglio ho partecipato al voto semestrale di conferma per il consigliere comunale M5S di Milano Mattia Calise, 22 anni. Tutti gli eletti lo devono fare. Una sala di periferia, diretta streaming sulla sua relazione, poi voto online nei tre giorni successivi. Promosso con 235 sì e un solo no, «per non sembrare il politburo di Breznev».

Una sera sono andato col mio consigliere di zona 4 a una riunione sul verde nell’area dove non verrà più costruita la Biblioteca europea di Porta Vittoria, di fronte a casa mia. È arrivato in bici sotto la pioggia: bene, un politico che pratica quello che predica. Preso dall’entusiasmo, qualche giorno dopo l’ho aiutato a organizzare un banchetto di propaganda nel quartiere Santa Giulia (Rogoredo), martoriato dalla speculazione edilizia.

L’8 settembre faccio un salto a una manifestazione in piazza XXV Aprile che ripete la richiesta del primo Vaffa-day, cinque anni fa: via i pregiudicati dal Parlamento. Purtroppo c’è poca gente, e in più tanto nervosismo perché è appena scoppiato il caso di Giuseppe Favia, consigliere regionale M5S emiliano beccato in un fuorionda di Piazza pulita ad accusare Grillo e il suo consulente Gianroberto Casaleggio di ogni nefandezza.

Mi stupisco: avevo intervistato Favia pochi mesi prima, era la punta di diamante del movimento. I militanti sono assediati dai giornalisti che chiedono se è vero che nel M5S manca la democrazia interna, come denunciato da Favia.

Il fatto è che in quasi tutti i grillini c’è un fervore palingenetico: sono convinti di essere i primi a voler «fare politica in modo pulito». Io invece ne ho già visti tanti, con questo lodevole proposito. Non so se è un primato da guinness (o da ricovero), ma ho partecipato dall'interno a tutti i movimenti "antipolitici" degli ultimi 40 anni: extraparlamentari di sinistra, radicali, verdi, leghisti (frequentati per conto di Vittorio Feltri, mio direttore all'Europeo), dipietristi.

Con una certa regolarità infatti, ogni 8-10 anni, in Italia nascono formazioni che proclamano di essere «diverse». Da tutti gli altri partiti del passato, del presente e anche del futuro. Il M5S non sfugge a questo ottimismo eroico da stato nascente: «Non siamo un partito, vogliamo la democrazia diretta, permettiamo ai cittadini di decidere in prima persona». 

Il programma, in realtà, assomiglia molto a quello radicale e verde di 30-40 anni fa: no al finanziamento pubblico (il primo referendum radicale - perso per poco – risale al 1978, quello vinto al '93); sì a energie alternative e raccolta differenziata dei rifiuti, no al nucleare (primo referendum radicale tentato nel 1980, vinto con i verdi nell'87, rivinto l'anno scorso), no a inceneritori e grandi opere (Tav, ponte di Messina).

Poi c'è il rifiuto della forma-partito. I verdi ne hanno sempre aborrito sia il nome (nacquero come "liste” verdi nell'85) sia le procedure: «Facciamo politica in modo diverso, siamo biodegradabili», promettevano, fino al degrado poco bio di Alfonso Pecoraro Scanio nel 2008. 

Anche i radicali hanno sperimentato un partito libertario, "liquido": congresso annuale aperto a tutti, tessera perfino a Cicciolina e al capo della 'ndrangheta Giuseppe Piromalli. La parola «partitocrazia» è © di Marco Pannella. Il quale, proprio come Grillo, comanda col carisma. Senza espulsioni, però; mentre Beppe ha già fatto fuori metà dei suoi quattro consiglieri regionali eletti appena due anni fa. «Più che carisma, caserma», mormora qualcuno.

Tutti i movimenti contestatori hanno avuto leader forti: i sessantottini Mario Capanna e Adriano Sofri, i radicali Pannella ed Emma Bonino, i verdi Alex Langer e Grazia Francescato. Per non parlare di Umberto Bossi e Antonio Di Pietro, che hanno eliminato tutti gli avversari interni.

È per questo che oggi osservo con tenerezza il crescendo di purghe con cui Grillo tartassa i suoi eletti. Il M5S non è ancora entrato in Parlamento, non ha tessere, quote d’iscrizione, soldi pubblici, sedi, non ha neppure uno statuto (solo un “non Statuto” proprio per dileggiare la burocrazia dei partiti tradizionali), ma lui lancia anatemi con l’unico risultato di rendere famose le vittime: Favia, poi Federica Salsi (consigliere comunale a Bologna) perché è andata a Ballarò, infine il consigliere regionale piemontese Fabrizio Biolé.

Nelle nostre riunioni non se ne parla. Gli incontri sono sempre molto operativi, “concreti”: bisogna organizzare i banchetti o i criteri per le liste elettorali, le “graticole” per selezionare i candidati o la lista dei “referenti” provinciali del gruppo regionale comunicazione, sottogruppo ufficio stampa.

Non si parla quasi mai di politica, in realtà. Per quello ci sono i post quotidiani di Grillo sul suo portale nazionale. Scritti a volte da lui (o chi per lui: alcune finezze lessicali come “mesmerismo mediatico”, nel famoso post sul punto G della Salsi del 31 ottobre, non gli appartengono) o appaltati ad altri: il polemista Massimo Fini, l’anarchico Ascanio Celestini, l’economista della “decrescita felice” Maurizio Pallante, l’esperto di servizi segreti Aldo Giannuli, il prof universitario di matematica torinese Beppe Scienza che vent’anni fa dava consigli ai risparmiatori sull’Europeo. Ora fustiga le banche, e in effetti è stato uno dei pochi a prevedere la fregatura delle pensioni integrative private rispetto alle vecchie liquidazioni garantite dallo stato. Paolo Becchi, docente di Filosofia del diritto a Genova, ha candidamente confessato a Piazza pulita che sta con Grillo perché è l’unico che gli dà retta.

Nel variopinto parterre dei maitres-à-penser grilleschi ogni tanto s’intrufola qualche pataccaro, come l’attempato blogger romano Sergio Di Cori Modigliani diventato famoso lo scorso luglio per la “bufala Hollande”: un post in gran parte inventato da lui in cui magnificava risultati apparentemente ottenuti dal nuovo presidente francese nei primi cento giorni di governo (da una presunta abolizione totale delle auto blu a stipendi tagliati del 40% agli alti dirigenti statali). Per giorni impazzò sul web, rimbalzato dagli utenti di Facebook, finché qualcuno si prese la briga di controllare le fonti e scoprì il falso. È diventato un caso di scuola sulla capacità manipolatoria e autosuggestiva della Rete.

E qui si arriva al punto dolente. La cosa che m’infastidisce di più nel M5S è la fede assoluta in internet. «La Rete risolve ogni problema», tuona Grillo dai palchi dei comizi, ed è piacevole starlo ad ascoltare. «Grazie alla Rete scopriremo gli arrivisti che cercano di fare carriera nel M5S», dicono sicuri i miei compagni di riunione. Poi però basta che si candidi un qualsiasi Gianni Colombo a Milano, lo si googla per controllare e, panico: ce ne sono centinaia! Come scoprirne i passati misfatti, le candidature in altri partiti? 

Il povero Biolé è stato fatto fuori perché aveva già fatto il consigliere comunale in una lista civica apartitica del  suo paesino di 500 abitanti sulla montagna cuneese negli anni ’90, volontario ambientalista benemerito con vent’anni d’anticipo rispetto a molti grillini neofiti; ma  oggi, a scoppio ritardato di due anni, è diventato un reprobo da espellere, con tanto di lettera degli avvocati Squassi e Montefusco di Milano per conto del signor Grillo Giuseppe, “proprietario unico del marchio 5 Stelle”.

«Non ci può essere democrazia diretta sotto un dittatore», taglia corto il mio amico Luciano Lanza, vecchio libertario, fondatore di A-Rivista anarchica. Ci rimango male, le mie speranze vacillano.
     
«Di questo discuteremo in rete», mi rispondono gli attivisti M5S quando cerco di parlare per una volta non virtualmente, nella riunione di Saronno. «Immagino sia proibita la propaganda personale dei candidati» avevo detto, «perché ho visto orrendi ‘santini’ in Sicilia, e anche qui a Milano l’anno scorso alle comunali era permessa. Niente guerra intestina delle preferenze, spero, e inoltre non vogliamo rischiare che i clan della ’ndrangheta nell’hinterland appoggino qualche candidato sfuggito alla nostra attenta selezione…»

Niente da fare. Non c’è mai tempo per parlare guardandosi negli occhi. Solo web, computer e smartphones per gente sempre “connessa”. Ma connessa a cosa, mi domando. Sempre lì a smanettare come zombies. È online che si svolge la vita vera dei grillini, mica nella realtà così deludente, catastrofica e piena di ladri… Eppure uno dei nostri ispiratori è Ivan Illich, il cantore della convivivialità.

Grillo predica la Rete non più come mezzo ma come fine, e i seguaci più pedissequi la mettono sull’altare come i rivoluzionari francesi sostituirono Dio con la Dea Ragione, a fanatismo inalterato.
Così per seguire il M5S ora devo collegarmi con sei piattaforme diverse: il portale di Grillo, i meetup regionale e comunale, Pbworks, Facebook, Googlewiki per discutere e infine Liquid Feedback per votare.

Una sovrabbondanza elettronica ci succhia via la vita, ci fa litigare con mogli la sera perché sospettano che chattiamo nei siti erotici, o fa crollare drasticamente le nostre produttività sul luogo di lavoro.
Detto questo, ammetto che Liquid Feedback è geniale. È un sistema di votazione adottato dal partito tedesco dei Pirati, ma potrebbe esserlo anche in ogni condominio o consiglio di zona, su su fino all’Europarlamento. Se Clistene o Pericle lo avessero avuto, altro che agorà dell’antica Atene. 

Forse si avvererà la profezia di Erich Fromm: nel ’76, in Avere o essere, propose di votare con referendum sulle dieci questioni più importanti ogni anno, come gli svizzeri nella piazza del cantone di Appenzell, evitando l’intermediazione parassitaria dei politici a tempo pieno. «La politica, come l’amore, è troppo bella per lasciarla a professionisti», diceva lo slogan che invitava alla partecipazione negli anni ’70.

Quindi, ora ci riprovo. Dopo aver frequentato e votato per sessantottini, radicali, verdi, leghisti e dipietristi, mi affido abbastanza disperato a Grillo. Perché, nonostante tutte le critiche e quindi anche questo articolo, il M5S mi sembra l’unica cosa nuova nella vita pubblica italiana oggi. Probabilmente sbaglio, e dopo la sesta illusione arriverà come sempre la delusione. In effetti, il neon delle riunioni è orrendo come 40 anni fa.
Mauro Suttora