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Tuesday, July 28, 2020

Papillon, l'orso geniale

Potremmo considerare M49 un “orso problematico”, per i danni enormi causati in Trentino. Certamente un'intelligenza rara, capace di un'altra clamorosa evasione. Il collare elettronico lo salverà forse dalla tragica fine che fece Daniza sei anni fa

Huffington Post, 27 luglio 2020

di Mauro Suttora


“È una fuga da Alcatraz, praticamente impossibile. Ma uno su mille può riuscirci”. Lo disse un anno fa Daniela D’Amico, coordinatrice del Parco d’Abruzzo, commentando la clamorosa evasione dell’orso bruno M49 dal Centro Casteller di Trento. 

Ora che è scappato di nuovo, doppio clamore: Papillon (come lo chiama ammirato il ministro dell’Ambiente Sergio Costa) si è conquistato il titolo di orso più intelligente del mondo. Ha divelto la rete e si è diretto verso le montagne. Grazie a Dio ha il collare elettronico, quindi la sua fuga non finirà in tragedia come sei anni fa: Daniza, l’orsa mamma di due cuccioli ammazzata con la fucilata che avrebbe dovuto soltanto addormentarla.

Allora ci fu una rivolta popolare: tutti gli animalisti d’Italia accusarono più o meno di assassinio il presidente del Trentino. Ora ce n’è un altro, Maurizio Fugatti (nomen omen), leghista. Anche lui tende a stare più dalla parte di agricoltori e allevatori: gli orsi fanno danni, ormai sono troppi, e se diventano pericolosi si può ucciderli.

La Corte costituzionale gli dà ragione. Ma il Tar no: pochi giorni fa ha accolto il ricorso di Lav, Wwf, Lac e Lipu contro l’ordinanza di abbattimento dell’orsa JJ4 firmata da Fugatti, dopo l’incontro ravvicinato (e filmato) con un padre e figlio sul monte Peller. I giudici invocano il ‘principio di proporzionalità’: bisogna mettere in campo altre soluzioni ‘energiche’ come la cattura e l’addormentamento prima di arrivare all’opzione letale. 

Anche il ministro Costa sta dalla parte dell’orso. Ha definito “spropositata” l’ordinanza di Fugatti contro JJ4, e su M49 è drastico: “Ogni animale dev’essere libero di vivere in base alla sua natura. Papillon ha il radiocollare, quindi è rintracciabile e monitorabile facilmente: non ha mai fatto male a nessuno, solo danni materiali facilmente rimborsabili. Chiediamo che non venga più rinchiuso, e assolutamente non abbattuto”.

Ma quanti sono gli orsi, e quanti danni fanno? Negli anni ’90 ne erano rimasti soltanto tre sulle Alpi italiane. In Abruzzo invece l’orso marsicano è protetto da tempo e conta un’ottantina di esemplari. In tutto il mondo sono 200mila: 120mila in Russia, 32mila in Usa, 25mila in Europa. I Carpazi ne ospitano 5mila, e ben 700 stanno nella piccola Slovenia, confinante con l’Italia e coperta per i due terzi da foreste.

Con il programma Pacobace (Piano d’azione per la conservazione dell’orso bruno sulle Alpi centrali) nel 1999 abbiamo reintrodotto dieci orsi sloveni in Trentino (in Friuli non ce n’è bisogno, sconfinano dalla Slovenia). I plantigradi si sono trovati così bene nel parco dell’Adamello e dintorni che si sono moltiplicati fino agli 80-90 attuali. 
Ed è qui il problema: “Sono troppi, noi possiamo ospitarne una sessantina, il ministro li sposti in altre regioni”, si lamenta Fugatti, allergico a ogni tipo di migranti. “I numeri sono superiori rispetto a quelli che possiamo gestire. Non vogliamo attendere il prossimo trentino aggredito da un orso”.

Vero è che i simpatici bestioni causano parecchi danni in Trentino. L’anno scorso sono stati registrati 228 episodi, fra piccoli animali divorati, arnie di api distrutte, reti divelte e altri attacchi. La provincia di Trento ha rimborsato 152mila euro di danni, più 37mila per quelli causati dai lupi. C’è stato un incremento del 31% sul 2018.

Particolarmente turbolento il nostro M49: dopo la prima fuga ha commesso ben 44 azioni dannose per 45mila euro, quasi un terzo del totale. Seguono assai distanziati altri due orsi, KJ1 e MJ5: 10 e 11 episodi, neanche paragonabili alle incursioni di M49-Papillon.
Nel 2019 la Provincia ha avuto 170 richieste per misure di prevenzione dei danni da grandi carnivori (recinti elettrici e cani da guardia), per proteggere animali e api. Costo:199mila euro.

A voler essere gentili, quindi, M49 va definito “orso problematico”: causa danni economici ad attività produttive, anche se favoriti dalla mancata adozione di strumenti di prevenzione adeguati. Secondo gli animalisti, però, la sua pericolosità per le persone è ancora da dimostrare: è solo “potenziale”, perché non si può escludere che possa diventarlo in futuro. Ma al momento non è tale, quindi non va eliminato.

Dice Fabrizio Bulgarini del Wwf: “Quella dell’orso è una presenza problematica solo in Trentino. Il fatto è che con la loro scomparsa si è persa l’abitudine a comportamenti che facilitavano la convivenza. In Slovenia c’è solo un caso all’anno di aggressione. Servono informazione ed educazione, solo così si possono prevenire incidenti. Non battute di caccia».

Il Wwf ha donato elettrificatori ad allevatori ed apicoltori al confine con la Lombardia, per proteggere apiari ed allevamenti. Sono molti gli sconfinamenti, infatti, e la Valtellina, che è più antropizzata del Trentino, non gradisce gli orsi. Ma nel 2019 pochi esemplari si sono allontanati dal Trentino: M29 e M46 in Svizzera (M29 anche in Piemonte) e M4 in Friuli. Sei orsi hanno gravitato, oltre che in Trentino, anche in province limitrofe: Bolzano, Sondrio e Brescia.

Un dato curioso riguarda M35, maschio di cinque anni di cui si erano perse le tracce nel 2016, quando venne rilevato l’ultimo campione genetico: è stato da poco rintracciato ancora vivo. Nei mesi scorsi c’è stata anche la riabilitazione con rilascio in natura del cucciolo M56, probabilmente scampato a un tentativo di infanticidio da parte di un adulto che voleva accoppiarsi immediatamente con la madre.

Nel 2019 sono state rinvenute le carcasse di due esemplari morti: nel torrente Avisio è stato recuperato un maschio al quale erano stati amputati testa e zampe, mentre a Folgaria è stata rinvenuta una femmina gravida della quale non è stato possibile accertare la causa di morte.
Mauro Suttora

Wednesday, June 25, 2014

Oasi di Sant'Alessio (Pavia)


Sant’Alessio (Pavia), giugno
Il momento più emozionante è stato l’anno scorso: «Dopo vent’anni di attesa, finalmente un gruppo di taccole ha nidificato nella torre», si entusiasma Harry Salamon. «Come nel ’92, quando duecento coppie di ardeidi decisero di fondare qui una nuova garzaia, il nido collettivo degli aironi. Era la prima volta che succedeva, in un luogo creato appositamente dall’uomo».

Siamo ad appena 25 chilometri a sud di Milano, nell’Oasi di Sant’Alessio. Bastano 40 minuti d’auto (un’ora con i mezzi pubblici) per entrare in un altro mondo. Fenicotteri e caprioli, aironi e cicogne, tucani e martin prescatori vivono in totale libertà nel loro habitat naturale. Niente gabbie. Ma i visitatori possono egualmente osservarli da vicino.

Attorno al castello medievale

Quarant’anni fa Salamon e sua moglie Antonia comprarono il castello di Sant’Alessio. Risalente ai longobardi, era stato ricostruito nel Quattrocento dal condottiero Franceschino Beccaria. Da qui l’armata dell’imperatore Carlo V nel 1525 si mosse per andare a sconfiggere i francesi nella battaglia di Pavia, che cambiò la storia d’Europa.

Oggi il castello, restaurato, è diventato il centro dell’Oasi naturalistica: dieci ettari di boschi, laghi, stagni e ruscelli. «Abbiamo applicato il sistema di Konrad Lorenz», racconta Salamon, «per reintrodurre specie animali in natura. Abbiamo rilasciato esemplari anche adulti che conoscono già l’ambiente dove vengono liberati. Così non sentono l’urgenza di andarsene subito, ma solo dopo aver conquistato le abilità necessarie alla vita selvatica».

La lista degli uccelli visibili a Sant’Alessio è lunga: picchi, sparvieri, upupe, sgarze, allocchi, civette, cardellini. Per brevi periodi falchi pescatori e di palude, astori, pendolini. E a terra conigli selvatici, lepri, scoiattoli, donnole, lontre. Fa impressione la quantità di animali che arrivano verso sera, per trascorrere la notte al riparo degli alberi. Che sono - apposta - abbandonati a se stessi.

«Salici e aceri, alberi dal ciclo breve, in questi quarant’anni sono giunti alla terza o quarta generazione. Lasciamo i tronchi sul posto per alimentare funghi e larve degli insetti», spiega Salamon.

I visitatori (il biglietto costa 13 euro, 10 euro fino ai 12 anni e per gli anziani nei giorni feriali. Orari: dalle 10 alle 17, fino alle 18 di sabato e domenica) percorrono camminamenti segreti che permettono di avvicinarsi a pochi metri dagli uccelli.  Nella tarda primavera ci sono centinaia di aironi. Per le scuole sono previsti corsi didattici sulla fauna nelle zone umide europee.
Mauro Suttora


ALTRE OASI VICINO ALLE GRANDI CITTA':


1) Macchiagrande e Vasche di Maccarese, Fiumicino (Roma): 310 ettari del Wwf, aperti ogni sabato e domenica dalle 10 alle 17, due visite guidate al giorno.

2) Giardino di Ninfa, Cisterna (Latina): giardino botanico e parco naturale Pantanello, 106 ettari di piante esotiche, lago, fiume Ninfa e un lembo di palude pontina ricostituita.

3) Cratere degli Astroni, Napoli: a pochi passi dal centro, è un vulcano spento che fa parte del più complesso cratere di Agnano, nell’area dei Campi Flegrei. È il più giovane dei crateri: con i suoi 3600 anni si estende per 247 ettari. Nel punto più basso del cratere si trovano tre laghetti con vegetazione tipica delle zone lacustri: canne, giunchi, tife e salici.
 
4) Oasi fluviale del Molino Grande, San Lazzaro di Savena (Bologna): tutela un tratto di bosco ripariale del torrente Idice. Alberi monumentali e nidi di rare specie di uccelli. Sentiero di 2 km lungo il fiume.

5) Ca' Roman, Venezia: all’estremità sud della laguna, di fronte a Chioggia. Oasi Lipu (Lega italiana protezione uccelli) con una straordinaria ricchezza faunistica. È su una delle più importanti rotte migratorie d’Italia: 190 specie d’uccelli censite la utilizzano in autunno e primavera per riposarsi e nutrirsi prima di riprendere il viaggio.

6) Cascina Bellezza, Poirino (Torino): quattro ettari a sud di Torino. Zona umida con rimboschimenti, siepi, prati e incolti che ospitano numerose specie.
 
7) Vanzago (Milano): uno degli ultimi boschi sopravvissuti nella pianura Padana. Oasi Wwf di 200 ettari con il Centro di recupero animali selvatici:  un vero e proprio ospedale.

Thursday, December 19, 1991

Dateci una zampa, maghi del marketing















Il Wwf ha raggiunto quota 300mila soci. Greenpeace ne fa mille in più ogni mese. La Lipu è inondata di coupon per salvare la marmotta. Le nuove armi dei verdi si chiamano mailing, fund raising e sponsorship


di Mauro Suttora


Europeo, 20 dicembre 1991


Se continua così, fra qualche anno il Wwf avrà più iscritti del Pds. I soci italiani del World Wide Fund for Nature (Fondo mondiale per la natura) da 25mila che erano nel 1981 hanno appena festeggiato quota 300mila. Performance impressionante: poche associazioni al mondo possono vantare una crescita del 1200% in appena dieci anni.

Ma va bene anche alle altre organizzazioni ecologiste: dalla Lega Ambiente con i suoi 60mila iscritti, a Greenpeace che ne ha raccolti 55mila in soli tre anni, e che continua ad aumentare al ritmo di mille al mese.

Tutto questo nonostante il disastro ambientale italiano, la delusione dei verdi come partito, le sconfitte ripetute dei referendum anticaccia: da quello nazionale del 1990 a quelli in Friuli due settimane fa. Rigettati dalla politica, gli ecologisti nostrani si consolano partecipando con accanimento a iniziative concrete in favore della natura: piantano alberi, puliscono parchi, ramazzano spiagge, curano uccellini feriti. Ma mettono anche mano al portafogli: ‘adottano’ delfini, finanziano oasi, comprano magliette, regalano animali di peluche scelti dai cataloghi natalizi del Pandashop…

È un’attività frenetica che coinvolge una quindicina di associazioni nazionali più una miriade di gruppi locali, con bilanci annui che vanno dai 25 miliardi del Wwf ai 30 milioni della Lac (Lega abolizione caccia). E sono oltre mezzo milione gli italiani che hanno in tasca la tessera di una (o più di una) organizzazione ambientalista. Ma non è più un boom affidato al caso: da qualche anno l’entusiasmo spontaneo degli amanti della natura viene stimolato e poi organizzato scientificamente da esperti di marketing. I quali stanno importando in Italia le tecniche più avanzate del fund raising, del mailing e delle sponsorship, già sviluppatissime negli Stati Uniti.

Storicamente il nostro è un Paese cattolico in cui la carità è da sempre monopolio di missionari, suore e dame di san Vincenzo. E la raccolta di fondi per organismi laici senza scopo di lucro (Croce rossa, ricerca contro il cancro e altre gravi malattie) non è facilitata, come in America, dalla deducibilità fiscale dei contributi.

Ma i nuovi maghi del marketing verde non si son persi d’animo, e tanto per cominciare hanno messo a buon frutto le centinaia di migliaia di firme e indirizzi raccolti per i referendum. “A quegli 800mila firmatari abbiamo spedito una lettera con l’invito ad associarsi, e la risposta è stata buona”, ci dice Valerio Neri, direttore generale del Wwf.

Neri, 40 anni, è il superman dei nuovi manager ambientali. Ha insegnato filosofia del linguaggio all’università di Roma ed è entrato nel Wwf nel 1982. Le sue iniziative di direct marketing per convincere i soci a rinnovare l’iscrizione hanno avuto subito successo, e questo è stato molto importante per l’associazione del Panda negli anni della crescita impetuosa. Troppe volte, infatti, un eccessivo ricambio dei soci vanifica il reclutamento di nuovi iscritti: se molti non rinnovano la tessera, alla fine il saldo è insoddisfacente. “La percentuale di rinnovi è molto alta per il Wwf: bastano due-tre lettere di sollecito e arriviamo all’80 per cento”, spiega Neri.

Dal 1989 Neri è direttore generale dell’associazione fondata e presieduta da Fulco Pratesi, succedendo a Staffan de Mistura (oggi impegnato con l’Unicef in Jugoslavia) che già aveva introdotto buone dosi di managerialità nel Wwf. L’anno scorso un sondaggio Espansione-Swg fra 300 dirigenti italiani ha collocato Neri al quinto posto fra i direttori marketing più bravi d’Italia, e al terzo fra i creatori delle operazioni più innovative.

Così si è coronata una carriera cominciata per caso. “Ma la mia precedente esperienza di filosofo del linguaggio è stata preziosa”, sostiene Neri. “Un’operazione di mailing infatti costa molto, per cui occorre calibrare bene il messaggio da inserire nella lettera. Nella comunicazione ambientale dobbiamo far leva su emozioni e ricordi del linguaggio privato per catturare l’interesse”.

Insomma, Neri applica gli insegnamenti del filosofo Ludwig Wittgenstein quando scrive di suo pugno molte delle lettere con cui il Wwf, magari usando come testimonial Piero Angela, sollecita i simpatizzanti all’azione e al contributo finanziario. “La raccolta fondi è soltanto uno dei nostri obiettivi”, precisa Neri, “perché vogliamo anche spingere i nostri soci a compiere atti pratici, come spedire cartoline per qualche petizione a un uomo di governo, o a cessare un comportamento inquinante, fino ad assumere personalmente iniziative concrete”. Come i soci Wwf che hanno piantato alberi poche settimane fa a Milano.


Un altro asso nella manica del Wwf è Marina Salamon. Questa 33enne proprietaria della Doxa (con il padre Ennio che la dirige da 35 anni) e imprenditrice tessile (con l’ex compagno Luciano Benetton controlla due aziende a Treviso che fatturano 150 miliardi) fa parte della commissione Ambiente della Confindustria, e da un anno è anche consigliere d’amministrazione del Wwf Italia. Ha l’incarico di seguire le vendite del Pandashop, catalogo per corrispondenza allegato alla rivista mensile del Wwf che incassa cinque miliardi all’anno.

“Da adolescente frequentavo i campi di lavoro del Wwf”, ricorda la Salamon, “e ho riannodato i rapporti nell’86, quando ho aiutato a organizzare le cerimonie per il venticinquennale del Wwf internazionale ad Assisi”. Salamon senior a suo tempo si era impegnato con Italia Nostra a Milano per la creazione del parco del Ticino. Adesso sua figlia dedica in media una decina di ore alla settimana per andare a Roma e Milano alle riunioni Wwf. “Mi sono laureata, ho lavorato, e adesso posso permettermi di coltivare i miei veri interessi”, dice.

Anche dentro Confindustria Marina Salamon sta combattendo la sua battaglia ecologista. “È stato Luigi Abete a volere che m’impegnassi nel comitato Ambiente. Io per la verità producendo vestiti non ho grossi problemi di coscienza, anche perché compro tessuti già colorati. La mia impressione è che le grosse aziende, coordinate da Federchimica, Assoplastica e Assovetro, si stiano muovendo per ridurre l’inquinamento. Ma restano i problemi delle piccole industrie, e soprattutto di leggi confuse con sovrapposizione di poteri fra Stato e regioni. Non vorrei comunque ridurmi a fare il Bertuzzi [primo difensore civico d’Italia, ndr] della situazione, quella che parla e denuncia ma con scarsi risultati concreti. Per questo mi trovo meglio fra i giovani imprenditori, che ultimamente hanno assunto posizioni coraggiose, e non solo sui temi ambientali: penso al caso Libero Grassi e alla mafia in Sicilia”.

Le vendite del Pandashop curate dalla Salamon hanno un catalogo stampato su carta riciclata e provengono in gran parte da canali alternativi alle normali strutture industriali: comunità di ex tossicodipendenti o handicappati, cooperative del Terzo mondo). Assieme al professor Luigi Boitani, docente di management ambientale all’università di Roma, la Salamon ha vincolato a parco regionale 150 ettari di sue tenute in Toscana, vicino a Siena. E la scorsa settimana questa pasionaria dell’ambiente è volata in Kenya e Uganda, dove Boitani ha progettato nuovi parchi naturali, e dove stanno molti di quegli elefanti e rinoceronti per i quali il Wwf ha organizzato campagne negli ultimi anni.

Intanto, proprio una ricerca Doxa ha scoperto che il marchio del panda è conosciuto dall’80% degli italiani, e che il Wwf è noto perfino più della Croce rossa come raccoglitore di fondi. Perciò le aziende private fanno la coda per ottenere una sponsorizzazione che permetta di legare la propria immagine a quella prestigiosa del Wwf. “Ma accettiamo meno del 10 per cento delle proposte che ci vengono fatte”, dice Neri. Dagli sponsor il Wwf incassa un miliardo e mezzo annuo, che destina ai 42 parchi gestiti a proprie spese. La sponsorizzazione più grossa attualmente è quella della Perfetti, che abbina la caramella Golia all’orso bianco.

Con 26 dipendenti a tempo pieno, 300 obiettori in servizio civile, 300 sedi e 4mila Panda club nelle scuole, il Wwf riesce a proteggere quasi 20mila ettari di territorio in Italia, e a spendere più del ministero dell’Ambiente per i suoi parchi nazionali.


Un’altra storia di successo è quella di Greenpeace. Specializzata in spettacolari azioni dirette nonviolente, è sbarcata in Italia da pochi anni. L’unica sede è a Roma, dove con il direttore Gianni Squitieri  lavorano 12 persone. Non ha chiesto obiettori al ministero della Difesa. I 55mila soci contribuiscono in media con 40mila lire annue, e il bilancio si aggira sui due miliardi.

La responsabile marketing di Greenpeace è Silvia Provera, 33 anni, laureata in biologia: “La ‘raccolta fondi’ in Italia è quasi inesistente come tecnica specializzata”, ci dice nella sede sotto l’Aventino. “Per questo Greenpeace mia ha mandata a frequentare per due settimane un corso universitario di ‘fund raising’ a San Francisco. Ne sono uscita stordita: le organizzazioni no profit statunitensi si occupano quasi tutte di donne violentate, bambini brutalizzati, malattie terribili e altre amenità del genere. Ma lì il mailing raggiunge vette di sofisticazione scientifica. Anche perché società apposite sono in grado di affittare indirizzari perfino ridicoli, nella loro precisione: tutti i divorziati degli ultimi tre mesi, o chi acquista cibi naturali, o i ‘giovani evoluti’ che ‘vanno spesso al camping’, e così via…”

In Italia le liste sono più approssimative, garantiscono raramente una ‘redemption’ (risposta positiva) superiore al 3-4%. “Invece in Gran Bretagna e Olanda Greenpeace riesce a raggiungere risultati strepitosi con il mailing: perfino il 18 per cento su liste ‘fredde’, cioè di persone che non hanno dimostrato in precedenza interessi particolari per l’ambiente”.

In Olanda Greenpeace ha 700mila iscritti: uno in ogni famiglia. E da noi c’è il grande ostacolo della posta lenta, che rende difficoltose grosse spedizioni di lettere. Un’altra tecnica che le organizzazioni non a scopo di lucro utilizzano all’estero è lo scambio reciproco di indirizzari. In alcuni Paesi la legge lo proibisce, per non invadere la privacy con quantità non richieste di ‘junk mail’, posta spazzatura. Ma il divieto è superabile stampando la clausola “Se lei non vuole che il suo indirizzo venga dato ad altri, sbarri questa casella”. Quasi nessuno lo fa.

“In Italia però le associazioni ecologiste sono gelose, non prestano mai ad altri i propri indirizzari”, dice Silvia Provera. “Eppure i nostri iscritti spesso sono complementari. Il Wwf, per esempio, rispetto a noi ha soci o più giovani o più anziani, e più nell’area del protezionismo che in quella dell’ecologia politica. Noi invece siamo forti fra i 20-45enni”.

Per statuto, al contrario del Wwf, Greenpeace non può concedere il proprio marchio, farsi sponsorizzare né accettare donazioni da aziende: solo privati cittadini. “Abbiamo declinato anche i finanziamenti del ministero dell’Ambiente, perché non prendiamo soldi da governi. E perché abbiamo scoperto che in Italia pure questi fondi sono un po’ lottizzati”, dice la Provera. “Una volta mi ha telefonato un’associazione di pellicciai che voleva assolutamente farci una donazione. Ho spiegato che potevamo accettare solo il contributo del presidente come singola persona”.

Anche Greenpeace nella rivista mensile che invia ai soci ha un piccolo catalogo di magliette, adesivi e cartoline. Offre pure il disco inciso dalle principali rockstar per finanziare le campagne contro la caccia alle balene in Unione Sovietica, che ha venduto tre milioni di copie.


La Lega Ambiente (presidente Ermete Realacci, segretaria Renata Ingrao, 60mila iscritti) si sta avvicinando adesso alle campagne di mailing. “Con Antonio Lubrano come testimonial”, spiega l’amministratrice Rita Tiberi, “abbiamo contattato tutti i firmatari dei referendum. Così è cambiata un po’ anche la natura della nostra associazione, perché 20mila persone si sono iscritte direttamente alla sede nazionale senza passare per uno dei nostri 600 circoli locali”.

Una ventina di impiegati, 30 obiettori, due miliardi a bilancio, l’attività di Lega Ambiente si impernia soprattutto sulla Goletta verde estiva e sul Treno verde invernale, che girano Italia e Mediterraneo misurando l’inquinamento. I soci, più di sinistra delle altre associazioni, sono anche più severi nella scelta degli sponsor: hanno protestato quando la Montedison di Raul Gardini aveva sponsorizzato un loro convegno. Così il marchio del cigno verde non viene concesso alle aziende, che possono solo offrire fondi.

Ce l’hanno fatta Duracell con le sue pile (in risposta ad altre pile concorrenti abbinate al Wwf), Italstat, Assovetro, il detersivo ecologico Atlas, il consorzio Replast che ricicla la plastica. La Banca Toscana e Il Monte dei Paschi hanno sponsorizzato un convegno internazionale particolarmente costoso. E Ottavio Missoni ha disegnato tre magliette per la Goletta verde.


La Lipu (Lega italiana protezione uccelli), che gestisce 15 oasi e due ospedali veterinari, ha 30mila soci e due miliardi e mezzo di budget. Presidente, l’ex giornalista Rai Mario Pastore. Si è fatta sponsorizzare da Polenghi un centro per le cicogne a Racconigi (Cuneo), Invicta ha finanziato l’oasi di Torrile (Parma) e altri suoi benefattori sono stati Piaggio e Virgin dischi. Grande successo ha riscosso la recente campagna per la marmotta: ben 45mila coupon stampati su giornali sono arrivati alla sede nazionale di Parma, e formeranno un ottimo target per i prossimi mailing.


Italia Nostra, 20mila soci, si è fatta sponsorizzare da Scavolini e dal Lysoform della Lever quattro aree di rimboschimento post incendi. “Ma i mailing non possiamo permetterceli, costano troppo”, dice il segretario Vittorio Machella.

Molto intraprendente invece il presidente di Europe Conservation Fabio Ausenda: “Abbiamo raccolto 400 milioni da settemila donatori per le nostre campagne di adozione di lupi, balene e delfini”. Fra i finanziatori Moschino e Fox video per i lupi e Prénatal per le balene.

La più grande associazione animalista (da non confondere, avvertono gli specialisti, con i ‘conservazionisti’) è la Lav (Lega antivivisezione): 16 mila iscritti, 90 sedi, mezzo miliardo in bilancio, nessun obiettore (“Il ministero ce li nega”), niente personale stipendiato: “Siamo tutti volontari, al massimo c’è qualche rimborso spese”. Sono loro a inscenare ogni anno, all’apertura della Scala, gli happening anti-pellicce.

Anche Kronos 1991, specializzato nel misurare l’inquinamento di mari, laghi e fiumi, ha un modello lontano da quello ‘commerciale’ del Wwf: “Vogliamo che i nostri 4mila iscritti si mobilitino direttamente, non ci interessano i soci solo finanziari o epistolari”, dice il segretario Silvano Vinceti.

Sulla stessa lunghezza d’onda la Lac (Lega anticaccia) di Carlo Consiglio, professore di zoologia all’università di Roma, e Federnatura, che raduna 10mila soci sotto la presidenza di Francesco Corbetta, docente di botanica all’Aquila.

Apertissimi alle sponsorizzazioni sono invece il Fai (Fondo ambiente italiano, 15mila soci, bilancio di tre miliardi) di Giulia Maria Crespi, gli Amici della Terra e Marevivo (30 mila soci, un miliardo di budget: Tirrena assicurazioni, Marina militare, Enel, Alenia, Telespazio).

Quanto a Mountain Wilderness, l’associazione di Reinhold Messner che conta un migliaio di soci, ha ricevuto contributi da Fidia (farmaceutici) e Geospirit (abbigliamento sportivo).

Infine Animal Amnesty: “Siamo un ufficio di pubbliche relazioni per animali”, spiega l’addetto stampa Enzo Del Verme. Ottomila soci dichiarati, dieci addetti a tempo pieno, sono loro a coniare slogan fulminanti come “Tua madre ha una pelliccia? La mia non l’ha più”, oppure “Se pensi che la corrida sia divertente, prova a fare il toro”. Sponsor: Fiorucci, Videomusic, Young & Rubicam. 


















Friday, May 12, 1989

Stilisti al verde

SNATURATI

Operazione ambiente. L’incontro “Natura e impresa" organizzato dalla Regione Lombardia


di Mauro Suttora


Europeo, 12 maggio 1989


Salvatore Giannella e Ruggero Leonardi, direttori di Airone e Natura Oggi (le due maggiori riviste verdi), erano andati speranzosi all'incontro "Natura e impresa", organizzato dalla Regione Lombardia. Scopo della riunione: spingere le industrie a sponsorizzare progetti ecologici. 

Ma quando Carlo Peretti, vicepresidente dell'Assolombarda, ha preso la parola, agli ambientalisti presenti sono cascate le braccia. "L'inquinamento industriale è inferiore a quello di altre attività… Non si può ritornare a una civiltà arcaica e bucolica… L'uomo si è sempre dovuto difendere dalla natura", ha tuonato il rappresentante degli industriali.


"Che faccia tosta", commenta la deputata verde Gloria Grosso. "Certi vecchi pescecani prima si sono arricchiti inquinando, e adesso vogliono arricchirsi anche disinquinando". 

Ultimamente, però, gli industriali desiderosi di costruirsi un'immagine "ecologica" hanno trovato una buona sponda nelle associazioni verdi. 

Così la Lipu si è fatta sponsorizzare dalla Piaggio, Lega ambiente dai petrolieri Monteshell per la campagna "Auto sicura”, e il semisconosciuto gruppo Mare Vivo ha pensato bene di invitare all'assaggio del tonno Riomare. Così sono sistemati i verdi contrari a motori e caccia. Gli Amici della terra sono anche amici di Italstat e Italimprese, che oltre a finanziare un convegno sull'ambiente hanno cementificato mezza Italia.


Ma il simbolo più ambito è il panda del Wwf, associazione prestigiosa quanto la Croce Rossa o Amnesty international. Cominciate con uno scivolone (il connubio verde etilico con Vecchia Romagna), le sponsorizzazioni proseguono intensamente. Anche perché, nonostante i suoi 200mila soci, il Wwf copre solo un terzo del proprio bilancio annuo di dieci miliardi con le quote degli iscritti.

Quindi, ecco il Wwf raccomandare la Zurigo Assicurazioni, le pile "verdi" Mazda (senza mercurio, ma con l'altrettanto inquinante cadmio) e le fotocopiatrici Minolta (come se la carta riciclata non potesse essere usata su tutte le fotocopiatrici).

Ma lo sponsor più scomodo è stato certamente il sarto socialista Trussardi: il suo Palatrussardi a Milano, infatti, è un abuso edilizio, sorto illegalmente su un'area tutelata a verde dalla legge Galasso.