Wednesday, June 23, 2021
Trent'anni dopo le guerre dell'ex Jugoslavia, Slovenia e Croazia litigano ancora
Friday, November 20, 2020
Il nuovo Sassoli paragrillino
HuffPost, 20 novembre 2020
David Sassoli era un ottimo giornalista. Lo ricordo, lui al Giorno e io all'Europeo, mentre indagavamo più di trent' anni fa a Reggio Calabria sull'assassinio del presidente delle Ferrovie Ligato.
Da un po' di tempo però Sassoli (bravo anche come politico) si è messo a dire sciocchezze paragrilline.
L'ultima: "Cancellare i debiti pubblici dovuti al virus".
Gli ha risposto seccamente ieri la governatrice Bce Lagarde: "Illegale, bisognerebbe cambiare i trattati Ue".
Grave che il presidente dell'Europarlamento finga di ignorare l'abc del diritto europeo. Sassoli è improvvisamente impazzito? Assolutamente no. Si è soltanto messo in testa di candidarsi per il Quirinale fra un anno (il potere dà alla testa, la monta come la panna, d'altra parte se ce l'hanno fatta Mogherini o Di Maio, perché lui no? Cos'ha in meno di Veltroni, un altro che freme?)
Perciò Sassoli ha bisogno dei voti grillini. Quindi li corteggia e segue nei loro deliri.
Questo dimostra la perniciosità di tenere in parlamento 300 cascami di un ex movimento che, nonostante quasi non esista più (3% alle regionali in Veneto due mesi fa, 7% a livello nazionale), condiziona ancora chi abbisogna dei loro favori.
Poiché, contrariamente all'adorabile poliglotta Von Der Leyen, Sassoli ha grosse difficoltà a parlare inglese e francese, quindi è inadatto alla sua attuale carica (l'ennesimo politico italiano che ci fa fare figuracce all'estero), sarebbe meglio, se vuole tornare a Roma, che si candidi sindaco. Quella sì che sarebbe una carica alla sua portata. E utile per il Pd.
Mauro Suttora
Friday, October 03, 2014
Andiamo a vedere come fanno in Svizzera
3 ottobre 2014
numero speciale di Dissensi e Discordanze, direttore Mauro della Porta Raffo
articolo originale su Dissensi e Discordanze
Wednesday, May 15, 2013
Giulio Andreotti
Monday, February 23, 2009
Francesco Rutelli
Libero, sabato 21 febbraio 2009
di Mauro Suttora
«Dovete iscrivervi tutti all’Lsd». Udine, estate 1978. Ogni tanto, diciottenne in bici, facevo un salto alla sede del partito radicale, attirato più dalle belle ragazze che dal fascino di Pannella. E un pomeriggio Rita, una di loro, mi intimò di darle tremila lire «per l’Lsd».
«E che sarebbe, questo Lsd?» «Lega Socialista per il Disarmo», sorride Rita, estasiata. «Ma da quando in qua sei antimilitarista?» «Dalla scorsa settimana. Sono andata a Roma, ho incontrato Francesco Rutelli. Lui ha fondato l’Lsd. Ed è bellissimo…»
La seconda volta che m’imbattei in Rutelli fu un anno dopo. Sempre impegnato contro gli eserciti, aveva organizzato con Adele Faccio una Carovana di protesta da Bruxelles (sede Nato) a Varsavia (sede dell’omonimo patto). Ci andai, mi piaceva questa equidistanza fra sovietici e yankee. Presi tenda e sacco a pelo, m’imbarcai su uno dei sei pullman pieni di radicali. Dormivamo in campeggi e palestre di scuole. Le pacifiste tedesche erano affascinanti. C’era anche una sedicenne Sabina Guzzanti che suonava la chitarra. Però Rutelli mi deluse. Lui, con gli altri capetti radicali, non dormiva con noialtri. Dirigeva i sit-in di fronte alle basi militari col megafono, e poi spariva in albergo.
Arrivati al muro Berlino Est fummo manganellati dai vopos, le guardie di frontiera. In Polonia non arrivammo mai. Però io m’ero appassionato alla nonviolenza, e cominciai a leggere Gandhi. Così l’anno dopo, quando Rutelli fondò con lo scrittore Carlo Cassola il mensile ‘L’Asino’, me ne facevo mandare da Roma venti copie che rivendevo agli amici. ‘L’Asino’ era un famoso giornale antimilitarista e anticlericale fondato da Guido Podrecca che all’inizio del ’900 vendeva centomila copie. Poi fu chiuso dai fascisti. La versione rutelliana durò due anni. «Franciasco», come lo chiamavano le sue adepte romane (fra cui Eugenia Roccella), ci scriveva scintillanti articoli contro le spese militari e i missili atomici.
Nel frattempo, a soli 25 anni, Rutelli era diventato segretario nazionale del Partito radicale. Ancora oggi qualche morboso curiosone ogni tanto mi chiede quanti dei giovani politici messi in orbita da Pannella (da Rutelli a Capezzone) siano passati per il suo letto. «Non ne ho idea», rispondo sincero.
Dopo due anni Pannella vuole far spazio a una sua nuova scoperta, Giovanni Negri. Ma Rutelli oppone una fiera resistenza, riesce a restare sveglio tutta una notte mentre il capo radicale parla in riunione fino alle quattro del mattino, e alla fine riesce a farsi nominare vicesegretario assieme a Negri e a un altro giovanissimo: Gaetano Quagliariello.
Negli anni ’80 continuo a seguire con simpatia la carriera di Rutelli, che anch’io reputo bello e simpatico (secondo la mia fidanzata, invece, assomiglia ad Alberto Sordi). Lui sposa Barbara Palombelli, mia collega all’Europeo, e continua a organizzare proteste contro le parate militari del 2 giugno: in mutande e scolapasta in testa fa sfilare in piazza Venezia le «trippe disarmate».
A un certo punto però Pannella gli toglie lo stipendio, costringendolo a «ruotare»: un’usanza giusta ma crudele per dimostrare che i deputati radicali non sono attaccati alle poltrone, e che quindi si dimettono a metà mandato. Il povero Rutelli deve riciclarsi con i verdi, e a un certo punto è perfino costretto a elemosinare collaborazioni giornalistiche a Feltri, allora direttore dell’Europeo.
Ma in politica la ruota gira sempre, e nell’89 i verdi raggiungono il sette per cento: quarto partito italiano. Trionfo di Rutelli che ne diventa il capo. E nel ’93 Ciampi lo nomina ministro dell’Ambiente. Ma lui si dimette dopo un solo giorno per protesta contro il Parlamento che nega l’autorizzazione a procedere contro Craxi. In quei giorni tumultuosi di Tangentopoli Berlusconi debutta in politica «sdoganando» Fini, e candidando il segretario del Msi sindaco di Roma. A Pannella viene l’idea di contrapporgli Rutelli, che viene eletto.
Non abitando allora a Roma non so come valutare Rutelli, sindaco per otto anni. Però mi ha impressionato la scena di giubilo cui una distinta signora si è abbandonata sull’autobus 52 la scorsa primavera, quando giunse la notizia che Francesco aveva perso il nuovo tentativo di salire al Campidoglio dopo Veltroni: come mai tanto astio?
Mi ha colpito anche la cattiveria di una biografia a lui dedicata dall’editore di Kaos (un ex radicale che gli aveva pubblicato dei libri): ‘Cicciobello del potere’. Viene staffilato come «mediocre politicante che fa carriera a colpi di opportunismi, spregiudicatezze e aria fritta: passato dalle lotte contro la fame nel mondo agli appetiti dei palazzinari romani, dalle campagne anticlericali alle genuflessioni in Vaticano, dall’antimilitarismo ai campi da golf…»
Nel ’99, con Cacciari ed Enzo Bianco, fonda il movimento dei sindaci. Poi si allea con Di Pietro, Prodi e Parisi: dall’Asino all’Asinello. Quindi, nel 2001, viene mandato al sacrificio contro un arrembante Berlusconi. Candidato premier per la sinistra, perde ma si consola: «Solo due punti di distacco». Infine, lui ex radicale, riesce nel miracolo di diventare capo degli ex democristiani nella Margherita. Io lo ammiro per questo, oltre che per essersi risposato in chiesa con la Palombelli. Mi spiace che Andrea De Carlo lo abbia sbertucciato nel romanzo ‘Mare delle verità’ (2006). E lo penso sempre quando passo davanti alla stupenda fontana di piazza Esedra con le naiadi nude scolpite da Mario Rutelli, di cui è bisnipote.
Mauro Suttora
Tuesday, December 16, 2008
Morte di Carlo Caracciolo
Erano i nostri Vangeli laici. Ci sentivamo sì di sinistra, ma soprattutto laici e liberali. Rammento un couplet, un ritornello, che faceva al caso nostro: «Se non ci conoscete - guardateci i calzini. - Noi siamo i liberali - del conte Carandini». Pure noi portavamo i calzini lunghi, mentre le nostre madri li volevano corti, più facili da lavare. Anche per questo L'Espresso divenne subito una delle nostre bandiere».
Giampaolo Pansa,oggi sul Riformista
Wednesday, February 22, 1995
Saturday, June 04, 1994
eurodeputati, affare miliardario
Monday, November 01, 1993
Marie Louise Rescia Pellegrin: Les Travaillants
Ma è proprio in Francia che si stanno sviluppando le idee più interessanti e innovative per affrontare il fenomeno. A Parigi Marie-Louise Pellegrin, docente di Antropologia e presidente del seminario di Psicologia sociale all’università della Sorbona, ha pubblicato un libro che fa discutere: ‘Des inactifs aux travaillants’. Letteralmente: ‘Dagli inattivi ai lavoranti’. È un gioco di parole: il neologismo ‘lavorante’ prende il posto del classico ‘travailleur-lavoratore’.
“In tutt’Europa ormai”, spiega la professoressa Pellegrin, “la maggioranza degli abitanti, fra giovani, pensionati, donne e disoccupati, è catalogata come ‘inattiva’. È questa oggi la categoria predominante, e non più quella del ‘maschio adulto produttivo’. Eppure ancora adesso tutta la nostra società ruota attorno alla figura del ‘lavoratore’. Così chi perde il lavoro perde status, oltre che lo stipendio, e un problema che dovrebbe essere solo economico diventa anche politico e sociale”.
“Gli ‘inattivi’ svolgono in realtà ruoli preziosissimi anche se non retribuiti”, sostiene la Pellegrin, “dalle casalinghe ai parenti che fanno da baby sitter, dai volontari ai lavoratori ’sommersi’. Definiamoli ‘lavoranti’, riconosciamo la loro importanza. Altrimenti il problema ‘disoccupazione’ rimarrà insolubile. Oggi non siamo attrezzati culturalmente per affrontarlo, proprio come nel '700, quando erano considerati ‘produttivi’ soltanto gli agricoltori, e ci volle Adam Smith per definire ‘lavoratori’ anche quelli delle fabbriche”.
Insomma, il nostro modo di pensare non si è ancora adeguato alla nuova realtà. E questa ‘rivoluzione culturale’ iniziata a Parigi oltre agli economisti coinvolge antropologi, linguisti e psicanalisti.
Monday, July 05, 1993
Friday, June 11, 1993
Friday, May 08, 1992
Corriere della Sera: processo
I missini annunciano una loro nutrita presenza in aula, questa mattina, per il processo per diffamazione intentato dall'ex presidente dell'Atm Giacomo Properzj contro il consigliere del Msi, Riccardo De Corato, il consigliere liberale Pierangelo Rossi e il giornalista dell'"Europeo" Mauro Suttora per un articolo di tre anni fa, in cui i due consiglieri dubitavano della regolarita' di alcuni appalti dell'azienda tranviaria.
Friday, November 03, 1989
Suttora e De Corato assolti
Non diffamo' Properzj, assolto il missino De Corato
Si e' conclusa dopo quattro anni di denunce una guerra a colpi di carta bollata tra due esponenti politici milanesi. L' ottava sezione del tribunale ha infatti assolto dall' accusa di diffamazione a mezzo stampa il consigliere comunale del Msi Riccardo De Corato. L' esponente missino era stato querelato dall' ex presidente della Provincia, il repubblicano Giacomo Properzj, arrestato e poi rilasciato nell' ambito dell' inchiesta milanese sulle tangenti.
L' allora numero uno di Palazzo Isimbardi si era ritenuto diffamato dal contenuto di un' intervista rilasciata da De Corato e pubblicata sull' Europeo del 3 novembre 1989. Nel servizio il capogruppo missino aveva accusato Properzj di coprire con artifici contabili i buchi del bilancio dell' amministrazione provinciale, che . secondo la sua tesi . sarebbe quindi stato truccato. Nella causa erano coinvolti anche l' autore del servizio, Mauro Suttora, e l' allora direttore del settimanale, Lanfranco Vaccari, che avevano sottoscritto la remissione di querela.
De Corato aveva voluto il processo e ieri e' stato assolto perche' il fatto non costituisce reato. Il pubblico ministero, Gemma Gualdi, aveva chiesto la condanna di De Corato a un milione di multa. Il tribunale ha accolto le conclusioni dei difensori Ignazio La Russa e Adriano Bazzoni.
Thursday, June 22, 1989
Mikis Theodorakis parla delle elezioni in Grecia
Note discordi: accusativo alla greca
I socialisti? Una manica di imbroglioni, capaci perfino di ricorrere al colpo di Stato. Papandreu? Un vecchio ignorante, compromesso da scandali e intrighi. Così una stella di sinistra suggerisce il voto per la destra
dall’inviato a Parigi Mauro Suttora
Europeo, 23 giugno 1989
“Sono schifato dai politici greci. E anche un po' impaurito. Non mi meraviglierei se i socialisti, di fronte a un crollo elettorale, organizzassero un minigolpe. Magari con la complicità della televisione di Stato, che è completamente nelle loro mani”.
Il cuore più europeo della Grecia questa volta non torna a casa per votare. Mikis Theodorakis, 63 anni, monumento vivente della musica e dell’antifascismo greco, il 18 giugno se ne resta in volontario esilio a Parigi, in questo suo appartamento al quinto piano dietro i giardini del Luxembourg. Non partecipa alle doppie elezioni politiche ed europee che, secondo ogni previsione, sconvolgeranno il Parlamento ellenico: dopo otto anni, infatti, dovrebbe finire il regno del socialista Andreas Papandreu.
Theodorakis, come molti greci, è deluso dalla politica perché la ama visceralmente. Figlio della buona borghesia di Chios, a 18 anni divenne partigiano contro gli invasori tedeschi e italiani. Catturato e condannato a morte, sfuggì di poco al plotone di esecuzione: approfittò di un improvviso attacco nazista per darsela. Durante la guerra civile venne internato nel campo di concentramento di Makronesos, dove si ammalò di tubercolosi. Rilasciato nel ’49, fu nuovamente imprigionato tre anni dopo. Tempi duri, quelli, per i comunisti come lui. Nel ’54 la prima fuga a Parigi, per studiare al conservatorio con Messiaen e Bigot. Ma era già un famoso compositore di piano: la Covent Garden Opera di Londra gli offrì un contratto, e lui mise in musica i versi di poeti greci come il Nobel George Seferis. Nel ’60 il ritorno in Grecia, sempre col tarlo della politica.
Collaborò con il deputato di sinistra Gregorio Lambrakis, e quando questi nel ’63 venne assassinato accusò apertamente i reali greci di aver ordinato il delitto. Deputato socialista nel ’64, due anni dopo la radio bandì le sue opere. E nel ’67 i colonnelli del golpe lo arrestarono di nuovo. Confinato in un villaggio inaccessibile del Peloponneso, riuscì comunque a far arrivare al regista Costa Gavras la colonna sonora per il film Z, l’orgia del potere, che descrive l’inchiesta Lambrakis. Le proteste internazionali lo liberarono nel ’70, e da Parigi Theodorakis tornò in Grecia quattro anni dopo, alla fine della dittatura. Nell’81 l’elezione al Parlamento, nel partito comunista filosovietico. La rielezione nell’85, poi la rottura: “Tre anni fa mi sono dimesso da deputato perché la politica in Grecia è caduta troppo in basso", ed è tornato a Parigi dove vive sei mesi all’anno (gli altri sei li passa a Corinto).
Ma le avventure di Mikis non sono finite. Un mese fa grande scandalo ad Atene: esce nelle librerie la biografia di Costantino Mitsotakis, leader del partito di destra Nuova Democrazia, e lui firma la prefazione. Poi in un’intervista dichiara che la destra è meglio dei socialisti: “La linea di rottura non è più fra destra e sinistra, ma tra ladroni e gente onesta". E oggi spiega all’Europeo perché i socialisti, per rimanere al potere, secondo lui sono disposti a tutto.
“In questi anni Ottanta il partito socialista, il Pasok, è andato molto avanti nella corruzione. Ma non ha corrotto solo se stesso, come dimostrano le centinaia di miliardi in tangenti del bancarottiere Giorgio Koskotas. Con il suo populismo ha creato vaste clientele fanatizzate. Ci sono interi strati sociali, ormai, che per la propria sopravvivenza dipendono dal sistema di potere socialista: una specie di subfascismo”.
Simile al peronismo argentino?
“Peggio. Non so se saranno pronti ad accettare la disfatta. E allora utilizzeranno ogni metodo: frodi elettorali, manipolazioni dei risultati con l’aiuto dei mass media… fino al golpe. Ma lo sa che ci sono dei paesi di campagna, feudi socialisti, dove i presidenti di seggio si sono rifiutati di avventurarsi?".
Il nuovo incubo di Theodorakis si chiama Andreas. Così, con il nome di battesimo, il musicista chiama sempre il premier Papandreu, il 71enne patriarca despota del socialismo greco che Theodorakis si trova di fronte da un terzo di secolo. Da solo un anno, invece, il settuagenario ha abbandonato la moglie e si è messo con l’ex hostess Dimitra Liani, 33 anni, che Theodorakis come tutti i greci chiama familiarmente Mimì (vedere riquadro).
Mimì e Andreas riescono a dispiacere a Theodorakis perfino quando vanno fuori a cena la sera: “Sì, perché naturalmente Andreas è un ignorantone. Non per niente il suo governo dedica alla cultura solo lo 0,4 per cento del bilancio. Lui non è mai stato a teatro, a un concerto sinfonico, a un balletto. Dice che è un tecnocrate, che non ha tempo per queste cose. In compenso, trascina Mimì in posti tremendi, quelle taverne da suburra chiamate ‘skiladika’ che sono diventate un po' il simbolo dei nuovi ricchi oggi in Grecia. Posti carissimi, dove si paga anche mezzo milione di dracme a sera [quattro milioni di lire italiane, ndr] e dove suonano una musica barbara di tipo arabo afghano. Ma il peggio è che Andreas per farsi ammirare da Mimì si lancia spesso a ballare il ‘cifteteli’, una specie di danza molto femminile…”
L’uomo che ha fatto riscoprire il folk greco a tutto il mondo, e che ha fatto ballare il sirtaki ad Anthony Quinn in Zorba, è insomma disgustato da Andreas in tutti i campi. C’è molto di personale in quest’odio: “Non posso dimenticare che fu anche grazie a Papandreu se i colonnelli arrivarono al potere in Grecia. Nella prefazione al libro di Mitsotakis racconto un famoso episodio del ’66, quando l’allora ‘giovane’ Andreas rifiutò, con i suoi 50 deputati, di votare contro il governo che stava preparando il golpe. Io allora avevo fiducia in Papandreu, mi piaceva questo borghese che pencolava a sinistra. Così, durante un colloquio a tu per tu, ci accordammo per far cadere il governo: mi diede la sua parola. Ma al momento del voto, quando io stesso facevo l’appello nominale, dopo il nome ‘Papandreu’ si sentì una vocina dietro una colonna che disse ‘sì’. Poi spiegò che non voleva dividere il partito centrista di suo padre. Ecco, quella volta l’unico che votò assieme a noi della sinistra fu proprio Mitsotakis”.
Di fronte al suo pianoforte, circondato da fogli svolazzanti di partiture, Theodorakis commenta nel suo tuttora sbilenco francese l’ultimo anno di battaglie politiche greche, basate soprattutto sulla circonferenza dei seni di Mimì e sulle tangenti di Koskotas: “La Grecia è proprio lontana dall’Europa. E nel suo decennio al potere Andreas ha fatto del suo meglio per allargare la distanza. Negli anni Settanta l’inflazione media era stata del 14 per cento, in questo decennio è balzata al 20, la percentuale più alta della Cee. Questo perché Papandreu ha dovuto nutrire con i soldi dello stato le sue clientele, gente che produce solo vento e vende l’aria, proprio come Koskotas. E infatti il deficit pubblico, che prima dei governi socialisti rappresentava il 40 per cento del prodotto annuale, è aumentato all’80 quattro anni fa e addirittura al 97 per cento di oggi. È la proporzione più alta d’Europa [quella italiana è del 60 per cento, ndr]”.
Theodorakis, se lei votasse a chi andrebbe la sua preferenza?
“Probabilmente alla sinistra unita, visto che per la prima volta dopo vent’anni i due partiti comunisti sono riusciti a raggiungere un accordo. È sempre stato un mio obiettivo, quello dell’unità”.
Lei quindi si considera ancora marxista?
“No. Per quarant’anni ho dato l’anima e anche il corpo per il comunismo. Speravo in un sistema che avrebbe liberato l’uomo. E invece il risultato sono regimi dove tutto il potere è concentrato in una piramide. Attorno, come attorno a ogni piramide, il deserto: politico, culturale, produttivo. In Cina, lo abbiamo visto con il massacro di piazza Tian an men, c’è questo sistema barbaro e bestiale per cui un miliardo di persone dipendono dalle decisioni di tre vecchi. Ma anche in Unione Sovietica sono scettico su Gorbaciov: tuttora il Politburo concentra su di sè un potere inumano. Sarebbe come se il presidente degli Stati Uniti fosse responsabile in tutti i campi possibili delle attività umane: non solo politica, ma anche educazione, economia, cultura, informazione… Assurdo”.
Però continuerà a votare per i comunisti.
“Anche loro ormai non sono più marxisti. E non andranno oltre il 15 per cento. Io mi sono dimesso da deputato nell’86 anche perché il Pc sottovalutava il pericolo di Papandreu. Vedevo la corruzione crescente dei socialisti, mentre i comunisti sono sempre stati servili nei confronti di Andreas, in nome della lotta comune contro il fascismo. Adesso, per esempio, molti dei quadri comunisti sono finiti nel Pasok. Ma ormai la destra greca ha passato gli esami di democrazia, non è più quella della guerra civile o dei colonnelli. È una destra europea, efficiente: non potrebbe che fare del bene alla Grecia in questo momento, dopo tanti anni di demagogia socialista”.
Quindi lei auspica un governo di destra?
“L’importante in questo momento è cambiare aria, fare pulizia, eliminare le clientele, avvicinare la Grecia all’Europa. Solo la destra ha i numeri per farlo. E poi Mitsotakis è un liberale, ha una grandissima esperienza, è deputato da quasi mezzo secolo, è stato ministro dell’Economia e degli Esteri. È lui, in Grecia, il più vicino al prototipo del politico europeo, deideologizzato, capace di garantire il funzionamento dei diritti democratici, senza demagogie. Certo, è per il libero mercato, fa gli interessi dei capitalisti. Ma è una cura che farà avanzare la Grecia, portandola al livello dell’economia europea. Invece i socialisti cercano ancora di sfruttare il ricatto della destra fascista, del fantasma della guerra civile”.
In politica estera la destra sarà fedelissima alla Nato. E potrebbe interrompere il disgelo con la Turchia iniziato da Papandreu negli ultimi anni.
“L’antiatlantismo di Andreas è sempre stato solo retorico. In realtà lui è un ottimo amico degli Stati Uniti, non ha mai pensato di chiudere le basi americane in Grecia come promette in ogni suo discorso. La sua ex moglie Margaret, americana, ha dichiarato in pubblico che Washington preferisce i socialisti alla destra, perché sono riusciti a mettere in un angolo i comunisti. Quanto alla Turchia, Andreas con la scusa della minaccia di Ankara impone alla Grecia la più alta percentuale di spese militari dell’Ovest: il 7,2 per cento del pil contro il 7 degli Stati Uniti, il 6,5 della Turchia o il 5 di potenze nucleari come Francia e Gran Bretagna”.
Sulla parete sopra la scrivania campeggia un poster che annuncia una tournée di Theodorakis in Turchia: il maestro ha sempre cercato di migliorare i rapporti con i vicini nemici.
E Melina Mercouri? Vent’anni fa, assieme, eravate il simbolo della lotta antifascista degli intellettuali greci. Oggi lei preferisce Papandreu: continua a essere ministro della Cultura.
“La sua è una situazione triste”, non infierisce Theodorakis, “Melina è vittima delle circostanze”.
Grecia culla della democrazia e della filosofia politica, ridotta oggi a un’operetta in cui lo stesso ministro dell’Interno ammette che ben 160mila cittadini, il due per cento dei votanti, sono iscritti due volte alle liste elettorali con stesso nome, cognome, data di nascita e nome di padre. Com’è possibile?
Theodorakis se la prende ancora con Papandreu: “Andreas era una grande personalità, carismatica. Ma, come tutti i motori, può usare la sua forza per andare sia avanti, sia indietro. E lui ha scelto la retromarcia”.
Friday, May 12, 1989
Stilisti al verde
SNATURATI
Operazione ambiente. L’incontro “Natura e impresa" organizzato dalla Regione Lombardia
di Mauro Suttora
Europeo, 12 maggio 1989
Salvatore Giannella e Ruggero Leonardi, direttori di Airone e Natura Oggi (le due maggiori riviste verdi), erano andati speranzosi all'incontro "Natura e impresa", organizzato dalla Regione Lombardia. Scopo della riunione: spingere le industrie a sponsorizzare progetti ecologici.
Ma quando Carlo Peretti, vicepresidente dell'Assolombarda, ha preso la parola, agli ambientalisti presenti sono cascate le braccia. "L'inquinamento industriale è inferiore a quello di altre attività… Non si può ritornare a una civiltà arcaica e bucolica… L'uomo si è sempre dovuto difendere dalla natura", ha tuonato il rappresentante degli industriali.
"Che faccia tosta", commenta la deputata verde Gloria Grosso. "Certi vecchi pescecani prima si sono arricchiti inquinando, e adesso vogliono arricchirsi anche disinquinando". Ultimamente, però, gli industriali desiderosi di costruirsi un'immagine "ecologica" hanno trovato una buona sponda nelle associazioni verdi.
Così la Lipu si è fatta sponsorizzare dalla Piaggio, Lega ambiente dai petrolieri Monteshell per la campagna "Auto sicura”, e il semisconosciuto gruppo Mare Vivo ha pensato bene di invitare all'assaggio del tonno Riomare. Così sono sistemati i verdi contrari a motori e caccia. Gli Amici della terra sono anche amici di Italstat e Italimprese, che oltre a finanziare un convegno sull'ambiente hanno cementificato mezza Italia.
Ma il simbolo più ambito è il panda del Wwf, associazione prestigiosa quanto la Croce Rossa o Amnesty international. Cominciate con uno scivolone (il connubio verde etilico con Vecchia Romagna), le sponsorizzazioni proseguono intensamente. Anche perché, nonostante i suoi 200mila soci, il Wwf copre solo un terzo del proprio bilancio annuo di dieci miliardi con le quote degli iscritti.
Quindi, ecco il Wwf raccomandare la Zurigo Assicurazioni, le pile "verdi" Mazda (senza mercurio, ma con l'altrettanto inquinante cadmio) e le fotocopiatrici Minolta (come se la carta riciclata non potesse essere usata su tutte le fotocopiatrici).
Ma lo sponsor più scomodo è stato certamente il sarto socialista Trussardi: il suo Palatrussardi a Milano, infatti, è un abuso edilizio, sorto illegalmente su un'area tutelata a verde dalla legge Galasso.