Wednesday, October 19, 2016

Premio Nobel a Bob Dylan

C'È ANCHE UN PO' D'ITALIA IN DYLAN

di Mauro Suttora

Oggi, 19 ottobre 2016

Si sente più poeta o cantante? «Mi sento come uno che canta e balla», rispose scherzando Bob Dylan oltre mezzo secolo fa, quand’era già considerato molto più di un cantautore.
Da allora, non ha mai smesso di fare il contrario di quel ci si aspetta da lui. «Non seguire i capi, guarda i parchimetri» (Subterranean Homesick Blues, 1965), è uno dei suoi versi più famosi, che prendono in giro chi voleva imbalsamarlo a 23 anni nel ruolo di «leader», di «portavoce di una generazione».

«Non ci vuole un metereologo per saper da che parte soffia il vento», e «Qualcosa sta succedendo, ma non capisci bene cosa sia, vero signor Jones?» (Ballad of a Thin Man, 1965).
Il signor Jones era l’americano medio ignaro di Vietnam e contestazione, e oggi sono quelli che non capiscono perché i parrucconi svedesi abbiano dato il Nobel aprendo la porta del paradiso letterario alla quale Dylan non ha bussato (Knockin’ on Heaven’s Door, 1973). A uno che la sera dell’annuncio ha cantato in un casinò di Las Vegas col suo solito stile ubriaco, e il giorno dopo si è esibito seminudo a 75 anni con i Rolling Stones e l’ex Beatle Paul McCartney.

C’è anche un po’ d’Italia nell’immensa opera dylaniana, studiata da decenni nelle università Usa: l’«Italian poet of the 13th century» in Tangled up in blue (1975) è Dante; «Dicono che ho ucciso un certo Gray e ho portato sua moglie in Italia» (Idiot Wind, stesso anno); «Le strade di Roma sono piene di macerie, vedi doppio in piazza di Spagna, esco con la nipote di Botticelli» (When I paint my masterpiece, 1971).

«Qualche volta penso/che questo vecchio mondo/sia solo il cortile di una grande prigione: alcuni di noi sono prigionieri/il resto guardie» (George Jackson, 1971).

Non ci resta che scoprire con quali parole il vecchio libertario accetterà il Nobel a Stoccolma in dicembre. E se metterà una camicia sotto lo smoking, o si presenterà ancora seminudo

Equitalia cambia nome: parla Riccardo Zingales

UN ESATTORE DELLE TASSE CI VORRA’ SEMPRE, PIU’ CHE CAMBIAR NOME BISOGNA CAMBIAR METODO

di Mauro Suttora

Oggi, 19 ottobre 2016

Equitalia duemila anni fa si chiamava San Matteo. L'apostolo ed evangelista era esattore delle tasse. A Gesù bastò dirgli «Seguimi» per redimerlo. Al nostro Matteo (Renzi) basterà abolire Equitalia per riscattare la seconda professione più antica del mondo?

«Assolutamente no», sorride Riccardo Zingales, titolare di uno dei maggiori studi commercialisti di Milano, «perché la riscossione delle tasse è un'attività necessaria e non eliminabile. Tutto sta in come viene esercitata. Prima era appaltata a privati, che se l'aggiudicavano con aste. A Milano c'era la Cariplo, in Sicilia famiglie anche piuttosto chiacchierate».

Il «recupero crediti» fra privati perbene oggi si chiama «factoring» o «cartolarizzazione». A Roma quelli di mafia capitale spezzavano le dita ai debitori. A Genova, come racconta Fabrizio De André, i creditori mandavano le «pittime» a infastidire per strada chi non pagava.

«Perché Equitalia, società pubblica, applicava more usurarie e aggi ciclopici?», chiede Zingales. «Il costo dell'esazione è uguale sia per le cartelle da un euro, sia per quelle da un milione. Gli interessi si devono pagare, ma il tasso non dev'essere esagerato».

E adesso cosa succede: chi ha a casa una cartella di Equitalia non deve più pagare? Gli conviene aspettare, visto che spariscono sanzioni e interessi di mora (i famigerati interessi sugli interessi)?
«No, perché gli interessi sulla somma dovuta continuano a correre. Ma si spera che, cambiando ente di riscossione, cambi anche il metodo. Senza inquisizioni. Ma il problema vero è un altro».

Quale?
«La burocrazia. Oggi Equitalia manda cartelle per conto di vari enti - comuni, regioni, stato - e chi ha già pagato o vuole contestare deve risalire all'ente che richiede le somme. I cittadini, e noi commercialisti, abbiamo invece bisogno di uno sportello unico dove rivolgersi, per dirimere rapidamente le questioni».

Quindi si spera che l'Agenzia delle entrate, che riprenderà il controllo sulle tasse statali non pagate, semplifichi le procedure e risponda direttamente alle contestazioni. E così comuni, regioni o Inps, senza affidare a terzi la riscossione.

Saranno "rottamate" le cartelle emesse fino al 31 dicembre 2016. Quindi tutte quelle che al momento sono arrivate e quelle che arriveranno nei prossimi due mesi.
Non si pagheranno più le sanzioni e gli interessi di mora, cioè le aggiunte "punitive", mentre si dovranno pagare gli interessi per il ritardato pagamento, cioè quelli che maturano con il passare del tempo.

Sarà annullato o ridotto l'aggio, cioè la "commissione" che Equitalia si prendeva (3% nei primi due mesi, poi il 6).
E bisognerà aspettare i regolamenti attuativi per sapere se il processo sarà automatico (cioè semplicemente arriveranno nuove cartelle più "economiche") o se – più probabilmente – saranno i singoli a dover fare richiesta.

A quelli che stanno già pagando con le rateizzazioni, comunque, conviene continuare a saldare, perché gli sconti partiranno col primo gennaio.
Il governo prevede di incassare quattro miliardi con questo sconto. Si paga meno, quindi si è incentivati a pagare. Ma potrebbe verificarsi l’effetto opposto: visto il parziale condono, gli evasori sono spinti a continuare.

 È quel che denuncia Vincenzo Visco, ex ministro delle Finanze: «Renzi vuole solo far cassa, ma indebolisce l’effetto deterrente dell’accertamento. E non è vero che Equitalia fosse vessatoria più di quanto succede negli altri Paesi». 

Mauro Suttora

Wednesday, October 05, 2016

Ci mancava il grillino militarista

Massimo Colomban, grillino felice sugli aerei da guerra Usa

Oggi, 5 ottobre 2016

di Mauro Suttora



Chissà cosa penseranno gli attivisti grillini, pacifisti e contrari agli aerei militari F35, di queste foto che ritraggono Massimo Colomban, 67 anni, felice alla guida di un velivolo della base nucleare Usa di Aviano (Pordenone) nel 2014.

Il nuovo assessore 5 stelle a Roma non fa mistero della propria passione militarista, tanto da farsi nominare “Comandante onorario” della base e di andare fino a Ramstein (la base Usa in Germania) per volare con i piloti statunitensi. Hobby legittimo, ma agli antipodi del credo antimilitarista e nonviolento dei 5 stelle. O stellette?



Nessuno avrebbe immaginato quattro mesi più disastrosi per il debutto dei grillini al governo di Roma. Tanto più imbarazzante, la performance di Virginia Raggi, se paragonata a quella di Chiara Appendino, sindaca 5 stelle a Torino. 

Una ventina di dirigenti dimessi o fatti dimettere, fra assessori e capi di gabinetto. Bugie di Raggi e Luigi Di Maio per un mese sull’assessore Paola Muraro indagata. Tutte le parlamentari M5s romane (Lombardi, Taverna, Ruocco) contro la sindaca. Risultato: paralisi e deficit di un miliardo.

Unica decisione presa: no alle Olimpiadi 2024. Che però potrebbero risorgere se la giunta Raggi cadesse entro la fine dell’anno. Ipotesi non più improbabile. Anche i Fratelli musulmani in Egitto nel 2012 furono cacciati a furor di popolo dopo soli sei mesi, per incompetenza.

La bella sindaca è sempre più magra e sull’orlo di una crisi di nervi. Insulta i giornalisti, si fa imporre assessori improbabili dal figlio di Gianroberto Casaleggio, succeduto al padre alla guida della società che da Milano gestisce il M5s. I suoi l’hanno già abbandonata: «Decide lei, le nostre sono ormai strade parallele». 
Più decisa Paola Taverna: «Prima cade meglio è».
Beppe Grillo ha vietato ai suoi parlamentari di commentare il disastro Roma. Ma la censura non diminuisce l’imbarazzo.
Mauro Suttora