Il 10 dicembre diserterà la cerimonia del Nobel. Ma è da mezzo secolo che questo misantropo conduce una vita riservatissima. Fa lunghi tour, ha avuto otto figli, due mogli, non va mai a feste, tiene tutto segreto. Qui un elenco delle sue manie
Los Angeles (Stati Uniti), 1 dicembre 2016
di Mauro Suttora (Oggi)
Un vecchio scorbutico, e anche un po’ cafone. Questa è la figura che ha fatto Bob Dylan rifiutando di andare a Stoccolma il 10 dicembre per ricevere il premio Nobel della Letteratura. Ma era prevedibile. Da mezzo secolo il cantautore statunitense conduce una vita da misantropo, evitando qualsiasi contatto sociale. E dal 1988 passa mesi e mesi ogni anno in tournée in giro per il mondo, come uno zingaro senza radici.
«È arrivato con tre bus, parcheggiandoli nei vicoli dietro al teatro Manzoni», racconta Giorgio Zagnoni, presidente del teatro di Bologna dove Dylan si è esibito in concerto un anno fa. «Ha voluto che il camerino fosse arredato con divani in pelle nera, e che dello stesso colore fossero 70 asciugamani per lui e lo staff di 45 persone. Ha un cuoco privato, che si porta dietro una cucina da campo con tutti gli ingredienti. Abbiamo dovuto allestirgliela nel camerino accanto».
Le solite stranezze da rockstar. Che, nel caso di Dylan, si assommano a una segretezza maniacale. Per anni non sono circolate foto della prima moglie, Sara Lownds, ex coniglietta di Playboy. Le dedicò due famose canzoni, Sad Eyed Lady of the Lowlands (che ne richiama il nome) e Sara nel 1976, quando il matrimonio era a rotoli. Col divorzio dovette darle 36 milioni e metà dei diritti d’autore. Lei s’è impegnata al silenzio a vita.
La seconda moglie è la sua ex corista di colore Carolyn Dennis, sposata nel 1986. Ma la notizia delle nozze filtrò solo 15 anni dopo: la casa comprata per lei e la figlia avuta assieme era a Los Angeles, ma lontana dalla sua residenza di Malibu con sei camere e sei bagni dove vive dal 1973.
Dylan ha avuto otto figli. Quattro da Sara, fra cui Jakob, pure lui musicista. Gli altri da relazioni più o meno lunghe, con una preferenza per coriste di colore. Il sito maggiesfarm.eu elenca una trentina di amanti, fra cui la cantante francese Françoise Hardy.
Dylan passa metà anno on the road, e metà nelle sue case di Malibu o nel natio Minnesota. A Malibu ha uno studio di registrazione privato, dove alla fine degli anni 80 nacque per gioco il famoso gruppo dei Travelin’ Wilburys (con l’ex beatle George Harrison, Tom Petty e Roy Orbison).
Lo sgarbo al Nobel («Grazie, sono onorato, ma non posso venire per impegni precedenti») arriva dopo che Dylan ha vinto tutti i premi del mondo: dall’Oscar (nel 2000 per la canzone del film Wonder Boys con Michael Douglas) al Pulitzer, dai Grammy alla Legion d’Onore francese.
Ma come lui si senta poco a suo agio durante le cerimonie lo si capisce guardando la foto che pubblichiamo, con Obama che gli conferisce la massima onorificenza statunitense e lui che poi scappa senza neanche salutare.
Strano, per un uomo abituato a stare sul palco. Sono quasi 4mila i concerti della sua carriera, tutti minuziosamente elencati nel suo sito e con la lista delle canzoni suonate: prima in classifica è All Along the Watchtower, 2.257 volte, poi Like a Rolling Stone, 2.011 e Blowin’ in the Wind, 1.412.
Negli anni 70 la prestigiosa università di Princeton ebbe l’avventata idea di dargli una laurea honoris causa.
Lui poi descrisse la cerimonia nella canzone The Day of the Locusts. Piaga biblica per Bob, un incubo:
"I banchi erano macchiati di lacrime e sudore / non c’era molto da dire,
niente conversazione / mentre salivo sul palco a ricevere la laurea /
Era tutto buio, puzza di tomba / volevo andarmene, faceva caldissimo/
al tipo vicino a me esplodeva la testa/ pregavo che i pezzi non mi finissero addosso/
Mi tolsi la toga, presi il diploma / scappai con la mia ragazza /
verso le colline del Dakota / felice di esserne uscito vivo".
niente conversazione / mentre salivo sul palco a ricevere la laurea /
Era tutto buio, puzza di tomba / volevo andarmene, faceva caldissimo/
al tipo vicino a me esplodeva la testa/ pregavo che i pezzi non mi finissero addosso/
Mi tolsi la toga, presi il diploma / scappai con la mia ragazza /
verso le colline del Dakota / felice di esserne uscito vivo".
Mauro Suttora