Wednesday, June 14, 2023

Il vero abuso? L'inconcludente abuso dell'abuso d'ufficio. Lo dicono i numeri

Nel 2021 4.400 procedimenti su 5.400 sono stati archiviati. Uno spreco di risorse colossale: agenti che devono ricevere e verbalizzare le denunce, ufficiali giudiziari mandati a notificare gli atti, cancellieri occupati a verbalizzare. Tutti pagati con le nostre tasse. Fa bene Nordio a presentare il disegno di legge per abrogare il reato

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 14 giugno 2023 

In questo momento in Italia 4.400 magistrati stanno lavorando per nulla. Invece di indagare e punire reati gravi, e soprattutto farlo in tempi ragionevoli, devono occuparsi di scremare la valanga di inutili denunce per abuso di ufficio con cui inondiamo le procure.

Sindaci, assessori, medici, professori, poliziotti, vigili, impiegati: tutti i funzionari pubblici e incaricati di pubblico ufficio sono costretti a vivere sotto la spada di Damocle della nostra suscettibilità. Ogni volta che immaginiamo di aver subito un torto dalla burocrazia, ecco che troviamo un avvocaticchio pronto a dar battaglia, promettendoci lucrosi risarcimenti. 

Peccato che otto volte su dieci le nostre pretese risultino infondate. Nel 2021, infatti, 4.400 procedimenti per abuso d'ufficio su 5.400 sono stati archiviati. Ma prima di buttarli nel cestino, i magistrati hanno dovuto perdere tempo prezioso per studiarli, esaminarli, cercare prove, valutarle, soppesarle. E del migliaio di denunce arrivate a processo, sapete quante sono finite con una condanna nel 2021? Soltanto nove. Nove. In 35 casi c'è stato un patteggiamento, in 176 la prescrizione, in 72 l'assoluzione. Negli altri casi i processi sono ancora in corso. 

Una macchina gigantesca e infernale per chi ci incappa, perché comunque dopo ogni denuncia, anche infondata, bisogna nominare e pagare un avvocato difensore. Preoccupazioni, patemi d'animo. Uno spreco di risorse colossale: agenti che devono ricevere e verbalizzare le denunce, ufficiali giudiziari mandati a notificare gli atti, cancellieri occupati a verbalizzare. Tutti pagati con le nostre tasse, e pazienza se questa è la tipica frase di chi le tasse non le paga.

Ma, soprattutto, la minaccia di reato di abuso d'ufficio ("Io la denuncio!") è un potente freno per la burocrazia, che già veloce di suo non è. "Paura della firma", la chiama l'Anci, l'Associazione dei comuni italiani. Che notoriamente è al di sopra delle parti, riunendo sindaci e assessori sia di destra che di sinistra. I quali conoscono bene il danno subìto dalla semplice notizia di una loro iscrizione nel registro degli indagati. Così, piuttosto che rischiare una denuncia o un esposto, la pubblica amministrazione rinvia licenze e concessioni edilizie, passa tutte le pratiche agli uffici legali, si tutela perfino con assicurazioni contro la possibilità di ricorsi e condanne penali e civili. 

Fa bene quindi il ministro della Giustizia Carlo Nordio a presentare in consiglio dei ministri il disegno di legge per abrogare il reato di abuso d'ufficio. Aumenteranno così gli abusi? Le malversazioni di politici e funzionari sono già punite con reati più precisi: corruzione, concussione, peculato.  L'abrogazione è una misura eccessiva? Il dibattito parlamentare porterà utili correzioni. Non è un mistero che nella stessa maggioranza Lega e Fratelli d'Italia avanzino perplessità. Gli unici totalmente favorevoli alla cancellazione del reato sono Forza Italia e, all'opposizione, Italia Viva e Azione. 

I giustizialisti tuoneranno contro "il partito dei disonesti"? Onestà è ammettere che i semplici numeri citati dimostrano la necessità di intervenire. Perché siamo uno dei popoli più litigiosi al mondo, ma anche la culla del diritto. E i romani, che avevano lo stesso nostro problema dai tempi delle malversazioni di Verre, si limitavano a punire pochi, chiari e semplici reati. I quali "non sunt multiplicanda sine necessitate". 

Monday, June 12, 2023

L'ultimo sfregio a Berlusconi: per i liberal di Manhattan era solo uno showman



Difficile, per i sussiegosi democratici americani, accettare un fenomeno come il Cavaliere. Ma anche i repubblicani pre-Trump, gli eleganti rockefelleriani trincerati nei loro grattacieli miliardari di Park Avenue, lo consideravano un pittoresco parvenu. Al massimo un "media mogul turned politician"

di Mauro Suttora 

Huffingtonpost.it, 12 giugno 2023 

Un ultimo sfregio: il New York Times, annunciando la morte di Silvio Berlusconi, lo ha definito "showman" e non politico. Concedendogli solo di avere capovolto ("upended") la politica e la cultura italiane: "È stato il premier più divisivo e inquisito, ('polarizing and prosecuted')".

Difficile, per i sussiegosi liberal di Manhattan, accettare un fenomeno come il Cavaliere. Ma anche i repubblicani pre-Trump, gli eleganti rockefelleriani trincerati nei loro grattacieli miliardari di Park Avenue, lo consideravano un pittoresco parvenu. Al massimo un "media mogul turned politician". Con l'aggravante di controllare un impero mediatico impensabile negli Usa, dove sarebbe stato subito spezzettato dalle leggi antitrust.

"Mauro, ma sei sicuro di quel che hai scritto?", mi telefonò Fareed Zakaria, direttore di Newsweek, nella calda estate 2004, quella della bandana con Tony Blair a Porto Cervo. Gli avevo mandato un articolo sulle ultime imprese e gaffes berlusconiane. Gli inflessibili fact checkers del settimanale controllarono le mie parole una a una, sospettando che avessi esagerato.

Stessa diffidenza l'anno precedente, quando Newsweek titolò un altro mio resoconto divertito dalla Sardegna chiamandolo Mr. B, e parificandolo a Flavio Briatore, Gigi Buffon e Tom Barrack, il trumpiano Usa che aveva appena comprato tutti gli hotel di lusso della Costa Smeralda.

Nel settembre 2003 Silvio accompagnò a New York una delegazione di Confindustria, ma il Council on Foreign Relations (massimo luogo d'incontro dei poteri forti statunitensi) lo snobbò: non lo invitò a tenere una conferenza nella sua prestigiosa sede, come invece faceva con qualunque premier del mondo di passaggio in città. 

Berlusconi fu dirottato verso la Borsa, dove fece inorridire i perbenisti con una delle sue leggendarie battute: "Venite a investire da noi, perché oltre al bel tempo e alla bellezza dell'Italia abbiamo anche bellissime segretarie". Alla sera, cena di gala al Plaza. I giornalisti italiani al seguito cercavano di avvicinarlo per carpire qualche sua frase in esclusiva. Conoscendo le sue abitudini, mi appostai in cucina. E immancabilmente riuscii a incontrarlo, perché nel dopocena venne a complimentarsi col cuoco e i camerieri.

Stesse scene simpatiche al G8 di Genova nel 2001. Era la prima volta che Berlusconi incontrava il presidente George Bush jr, entrambi neoeletti. Fu commovente incrociare il nostro premier nelle ore prima del vertice, mentre controllava ansioso di persona ogni piccolo dettaglio, dalle piante di limone in vaso che adornavano il porto riprogettato da Renzo Piano, alle forme di formaggio grana per sfamare giornalisti e delegazioni. "Ti è piaciuto il prosciutto crudo di Parma?", chiese a Bush afferrandolo affettuoso per un braccio. Gli americani educati a Yale detestano qualsiasi contatto fisico. Ma fra loro fu subito amore. 

E Silvio avrebbe voluto allargare questo idillio trasformandolo in una chose à trois con l'amico Vladimir Putin l'anno dopo nel vertice a Pratica di Mare (Roma). Ma la sua geniale idea di far entrare la Russia nella Nato non ebbe fortuna. Tipico di Berlusconi, voler conquistare gli avversari con la seduzione. Contrariamente al complesso militare-industriale, detestava avere nemici. Con Barack Obama invece fu subito gelo: qualcuno gli riferì la definizione di "abbronzato", incomprensioni su Gheddafi, e il Cavaliere tornò fra i fenomeni folkloristici.

La vendetta della storia si è abbattuta sulle schizzinose élite di Washington con la vittoria di Donald Trump nel 2016. L'epitome del populista peronista si è trasferita da Berlusconi a quell'altro buffo outsider dai capelli arancioni. Stessa fortuna accumulata con le costruzioni, stesso successo televisivo, stessa passione "womanizer" per le belle donne, con incursioni al confine del dubbio gusto.

E adesso, con le due incriminazioni di Trump, ecco che li accomuna anche il calvario giudiziario: perché in inglese "prosecution" (messa in stato di accusa) si confonde con "persecution". E Donald, proprio come Silvio, ha già cominciato a sfruttare le sue disavventure con la legge, ribaltandole contro chi lo considera un mascalzone. Sperando di indossare anche lui l'aureola di martire, così utile per farsi rieleggere.

Ma quanto a stile, la burina Trump Tower non è la verde Milano 2. E, soprattutto, Silvio era più simpatico e buono di Donald.