Tuesday, October 30, 2018

Casalino d'azzardo



IL CAPO GRILLINO PROMUOVEVA I GIOCHI D'AZZARDO IN TV

di Mauro Suttora

Libero, 30 ottobre 2018

Rocco Casalino è degno del decreto Dignità? Il numero 3 del Movimento 5 stelle (dopo Luigi Di Maio e Davide Casaleggio) fra le sue varie attività prima di buttarsi in politica ne ha una di cui non va fiero. Tanto da nasconderla nel cv presentato nel 2012 alle primarie grilline (che non passò): l’ex della scuderia di Lele Mora e del Grande Fratello fino all’anno prima conduceva una rubrica tv quotidiana serale sul canale Sky 847 Betting Channel, specializzato nella promozione del gioco d’azzardo.

Che però è anche il bersaglio di una delle maggiori crociate grilline. Infatti la prima legge (addirittura un decreto d’urgenza) confezionata dal nuovo governo tre mesi fa, soprannominata chissà perché Dignità dai propagandisti M5s, assesta una notevole mazzata al business dei giochi: divieto di pubblicità e sponsorizzazioni (per esempio sulle maglie delle squadre di calcio), tessera sanitaria obbligatoria per giocare, 10mila euro di multa a chi lo permette ai minori. E anche sciocchezze come la scritta “Il gioco nuoce alla salute” sui Gratta e vinci, o il logo “no slot” per i locali senza macchinette.

In effetti, la ludopatia è diventata un’emergenza nazionale. Negli ultimi dieci anni abbiamo raddoppiato i soldi che giochiamo, fino a superare l’astronomica cifra di 100 miliardi annui. E solo in scommesse legali. Ne recuperiamo 80 miliardi in vincite. Dieci vanno in tasse, e altrettanti in profitti per un settore che mantiene 100mila persone.

Contro questo business si scagliano da anni i grillini, con la consueta moderazione. “Assassini” e “rovinafamiglie” sono gli epiteti con cui bollano i padroni dei giochi, dalle sale bingo all’ippica. Naturalmente avendo quasi tutti in famiglia un aficionado di lotto e lotterie.

Quel che nessuno immaginava, però, è che anche il simpatico Casalino fosse complice di questa presunta mattanza. Ci ha pensato il programma Omnibus (La7) a riesumare un imbarazzante filmato in cui l’attuale badante del premier Giuseppe Conte (che però è sempre più insofferente al suo fiato sul collo) si lanciava in appassionate difese tv del gioco d’azzardo.
A chi associava la ludopatia alle immense vincite promesse dal Superenalotto, per esempio, rispondeva: “Non ci si ammala di più perché il montepremi è più alto”. Fingendo di dimenticare che è un gioco con un ‘payout’ (restituzione di vincite ai giocatori) inferiore a quello delle slot machine.
     
Insomma, Casalino non solo era lontano mille miglia dal proibizionismo grillino sui giochi d’azzardo, ma addirittura li incoraggiava, sottolineandone il prezioso gettito fiscale per lo stato, e attaccando i politici: “Sulle slot machine, le demoniache slot machine, dicono cose incredibili. Sembrano macchinette infernali. Dicono cose palesemente sbagliate, populiste [sic]: cose che la gente comune pesa e che loro amplificano, ma nella totale ignoranza”.

Naturalmente Omnibus ha incassato sui social gli insulti dei tifosi grillini, imbestialiti per le rivelazioni sul loro capo colto in castagna.
Mauro Suttora

Friday, October 19, 2018

Il pensionato d'oro vince la causa

ECCO LA SENTENZA CHE IMPEDIRÀ IL TAGLIA-PENSIONI

di Mauro Suttora

Libero, 19 ottobre 2018




Pessima notizia per Gigi Di Maio e i demagoghi grillini: le pensioni d’oro non si possono tagliare. La sezione centrale d’appello della Corte dei Conti di Roma ha infatti dato ragione a Mario Cartasegna, 77 anni, di Perugia, che con 651mila euro annui guida la classifica dei superpensionati italiani, superato solo dal mitico Mauro Sentinelli, l’ex ingegnere Telecom che incassa 1,2 milioni. 
Cartasegna, a pari merito con Mauro Gambaro e Alberto De Petris, si accontenta di 50mila lordi per 13 mensilità (25mila netti al mese). Segue a ruota Vito Gamberale (ex capo Tim e Autostrade), 45mila.

L’avvocato Cartasegna fino al 2008 era un semplice dipendente pubblico, capo dell’ufficio legale al comune di Perugia. Quindi creò scalpore la rivelazione della sua pensione astronomica, da parte dell’anticasta Gian Antonio Stella sul Corsera nel 2015. Com’è potuto accadere? Semplice: oltre al suo stipendio fisso, l’avvocato percepiva anche parcelle sulle cause vinte, con relativi contributi. Che a fine carriera si sono accumulati in notevole somma. Altra gogna pubblica per Cartasegna quando Mario Giordano lo inserì nel suo libro ‘Vampiri’.

Nel 2016 l’Inps tenta di rimediare, stabilendo col comune di Perugia che gli onorari extra non potevano essere calcolati ai fini pensionistici, perché non erano fissi e continuativi. E decurta drasticamente la pensione: da 25mila a 5.300 mensili netti. Non solo: gli chiede pure 3,6 milioni per gli arretrati di otto anni.

A questo punto si va davanti alla Corte dei Conti. E nel dicembre 2017 la giudice di Perugia in primo grado dà ragione all’Inps: gli onorari non possono essere considerati ai fini del calcolo pensionistico. Ma l’altroieri la sentenza d’appello (e definitiva) ribalta tutto: sono scaduti i tempi per la revisione del ‘montante contributivo’ della pensione, che doveva essere effettuata entro tre anni.

«Inoltre i calcoli erano stati effettuati con criteri fissati dall'Inpdap d'intesa con l'Agenzia delle Entrate, che l'Inps, subentrata all’Inpdap, aveva seguitato ad applicare in base a una sentenza del Tar dell'Umbria del 1997», ci spiega l’avvocato Alarico Mariani Marini, difensore di Cartasegna e luminare del diritto amministrativo.

Così ora il secondo pensionato d’oro d’Italia potrà godersi tranquillamente i suoi 25mila euro mensili. Ed è probabile che ciò accada anche a tutti i suoi fortunati colleghi, dopo le due sentenze della Corte costituzionale (nel 2013 e 2015) che hanno ristabilito i diritti acquisiti, nonostante i tentativi del governo Monti e successivi di sforbiciare le pensioni.

I grillini stanno accumulando una figuraccia dopo l’altra. In agosto avevano presentato un disegno di legge che proclamava la mannaia oltre i 3.500 netti al mese. Ma è impossibile per molte pensioni (soprattutto quelle pubbliche ex Inpdap) calcolare i contributi versati. Quindi hanno ripiegato su un taglio in base all’età di pensionamento. Col risultato assurdo di salvare chi è andato in quiescenza a 65 anni magari con soli 20 anni di contributi, e invece di punire chi ne ha versati il doppio (40 anni) ma è andato in pensione (spesso obbligatoriamente) a 60 anni.

Accortisi dello sfondone, i grillini a settembre hanno alzato il limite a 4.500 mensili (90mila lordi annui), ma continuano a dire il falso: «Taglieremo solo chi non ha versato abbastanza contributi».

Adesso è tutto in alto mare. Non c’è accordo con i leghisti su un testo preciso. Così come per i vitalizi pregressi dei parlamentari (quelli attuali sono già stati aboliti da Monti nel 2011), le probabilità di una bocciatura in giudizio sono alte. Quindi pare che si ripieghi sul solito “contributo di solidarietà”, che però secondo i giudici costituzionali può essere solo temporaneo, ragionevole e giustificato da avvenimenti eccezionali.

Né i giudici costituzionali né quelli della Corte dei Conti sono “eletti dal popolo”. Ma Di Maio si convinca che in uno stato di diritto la legalità e il rispetto delle regole valgono anche per chi vince le elezioni.
Mauro Suttora