Friday, June 24, 2022

Pochi figli, pochi medici. L'università di Milano cerca di rimediare

di Mauro Suttora

Un nuovo regolamento facilita la vita degli studenti che fanno figli, ma sono anche determinati a continuare gli studi di medicina. L'auspicio che la ministra Messa si attivi

HuffPost, 24 Giugno 2022 


In Italia si fanno pochi figli e medici. Cosicché ci tocca importare dall'estero gli uni e gli altri. Un mese fa l'università statale di Milano ha adottato un nuovo regolamento che facilita la vita sotto entrambi gli aspetti: gli studenti che fanno figli, ma sono anche determinati a continuare gli studi di medicina.

In deroga al numero programmato, le studentesse milanesi rimaste incinte (o gli studenti futuri padri) che frequentano altre università in Italia possono rientrare a Milano, per farsi assistere dalla famiglia di origine nella cura del figlio, senza dover abbandonare o rallentare gli studi. 

La figlia di C.B., 20 anni, nascerà a settembre e si chiamerà Aurora. C.B. lo scorso ottobre è dovuta emigrare a Ferrara, perché la facoltà di medicina nella sua Milano aveva esaurito i posti a numero chiuso. Nonostante la gravidanza non prevista ha superato tutti gli esami del primo semestre e sta completando quelli del secondo. Ma quasi sicuramente non avrebbe potuto ottenere il trasferimento nella propria città di origine senza il provvedimento dell'università di Milano, perché per il secondo anno si è liberato un posto solo. 

Adesso, per essere sicura di poter beneficiare della benedetta deroga (che riguarda anche gli studenti con disabilità gravi), attende il decreto annuale che verrà emesso a giorni dal ministero dell'Università. Perché senza la convalida di Roma gli atenei non possono applicare i loro regolamenti innovativi. 

Mi permetto quindi di auspicare che la ministra Maria Cristina Messa, prima rettrice donna di un'università milanese (Bicocca, dal 2013 al 2019), agevoli l'iter del decreto che semplifica la vita a ragazze meritevoli come C.B.

Mauro Suttora


Thursday, June 23, 2022

Beppe Grillo, il perfetto élitario











Ha guidato il popolo contro le élites ma disprezza le sue creature, scompare e riappare, non si mescola a loro, li tratta come codazzo, entourage plaudente, dipendenti da convocare al suo cospetto al Forum o a Bibbona. E si fa chiamare l'Elevato, appunto

di Mauro Suttora

HuffPost, 23 giugno 2022 

"Siete dei miracolati! Non guadagnavate un cazzo prima di conoscere me!". Si misero a ridere Di Maio, Di Battista, Fico, Taverna e Ruocco quando qualche anno fa, da un palco, Beppe Grillo urlò loro in faccia la verità. Al buffone è sempre stato permesso rivelare che il re è nudo, figurarsi quando è lui stesso il re (dei grillini, e per qualche anno anche della politica italiana). 

Il geniale comico, nascondendosi dietro all'ambiguità serio/faceto, i suoi adepti li ha sempre presi in giro sanguinosamente. Ne sa qualcosa Beppe Conte, che giusto un anno fa venne accusato di "non avere visione politica, capacità manageriali e di innovazione, né esperienza di organizzazioni. Fa statuti seicenteschi".

Dopo una sentenza così definitiva fu proprio Di Maio, con Fico e Taverna, a rappattumare i rapporti fra i due Beppe. Ma quanto avesse ragione Grillo lo dimostra il disastro di questi giorni. 

Il problema è che il fondatore del Movimento 5 stelle è un vero elitario. In barba alla polemica populista contro le élites, è proprio Grillo ad avere sempre disprezzato le sue creature. Non si è mai mescolato a loro. Li ha trattati come codazzo, entourage plaudente, dipendenti da convocare al suo cospetto nel proprio hotel quando 'scende' a Roma. 'Scendevano' a Roma gli imperatori, per farsi benedire dai papi. Ma lui è sia imperatore che papa del M5s, ha comandato e benedetto per 15 anni secondo il suo capriccio. 

Le rare volte in cui si è avventurato in qualche riunione del movimento a Montecitorio ne è uscito schifato, assediato in ascensore da sudati parlamentari grillini in cerca di attenzione e dagli odiati giornalisti. 

Dal 2013 gli eletti pentastellati si dividono in tre categorie: quelli che hanno il numero di telefono di Beppe (pochi), quelli a cui risponde (pochissimi), e tutti gli altri. È questa la vera gerarchia nascosta del M5s: uno vale uno, ma in realtà quasi tutti valgono niente.

L'unico altro grande sintomo di prestigio per il dirigente grillino, oltre ai colloqui privati nell'hotel Forum di Roma, è stata la agognata 'convocazione a Bibbona'. Una delle tre ville di Grillo. Le residenze di Genova e Porto Cervo sono off limits per la politica, anche per il veto della moglie Parvin. Nel villone sulla spiaggia toscana, invece, l'Elevato ha distillato negli anni le sue personali e volubili preferenze. 

Erano felici come bambini quella dozzina di neoeletti ammessi al suo cospetto nell'estate 2013. Foto di gruppo, mancava solo Di Maio, troppo azzimato per lasciarsi andare sudato nella sabbia.

Grillo ha sempre tenuto i suoi a distanza di sicurezza.  Ho seguito da giornalista per anni i suoi comizi, gli Tsunami tour e le nuotate nello Stretto. Lì c'era ancora una possibilità di vicinanza fisica.

Poi la svolta, al comizio finale di San Giovanni nella campagna elettorale 2014. Per la prima volta appaiono barriere fisiche backstage e badge di plastica come per le star del rock, nessuno più ammesso nel retropalco. Non solo noi detestati pennivendoli, tenuti a bada da un certo addetto stampa Casalino in ascesa, ma neanche i dirigenti grillini di rango medio-basso.


Cosicché, se volevo scambiare quattro chiacchiere con Beppe (e magari trasformarle in storia di copertina per il mio settimanale, Oggi), per me era semplice: bastava andare sulla sua spiaggia del Cala di Volpe in Costa Smeralda, oppure nella zona vip del concerto degli Stones al Circo Massimo nel 2014. 

Lì i comuni mortali non entravano, e anche un giornalista americano che intervistò Grillo (lui ha l'abitudine tremendamente provinciale e snob di preferire i giornali stranieri) si meravigliò per l'appuntamento fissato al Golf del Pevero.
 "Quando questa commedia finirà, tu tornerai nel tuo bilocale della borgata Torre Maura, e Grillo nelle sue residenze milionarie", scherzai con Paola Taverna.

Anche i Casaleggio, alla faccia della democrazia diretta, hanno sempre mantenuto le distanze dal popolo 5 stelle. La fidanzata precedente del bocconiano Davide (i bocconiani non hanno mai capito nulla di politica) viveva in un castello piemontese. Una volta che il rampollo vi invitò alcuni capi grillini questi si aggirarono increduli nel parco e nei saloni. Mondi separati.  

L'unico politico italiano che abitava in una soffitta e aveva un piacere quasi fisico a stare sul marciapiede, a raccogliere firme nei tavolini per strada con i suoi, a farsi trascinare via dai poliziotti nei sit-in, a passare ore e giorni fra riunioni e congressi noiosi, era Marco Pannella. 

I radicali sono accusati di essere radicalchic. Ma certi "amici del popolo" come Grillo alla fine si sono rivelati più altezzosi di loro.

Mauro Suttora

Tuesday, June 21, 2022

Nu bambiniello e tre San Giuseppe



di Mauro Suttora 

Una commedia di quarant’anni fa (quando i Conte e i Di Maio erano altri) rinverdita oggi con la partecipazione straordinaria di Grillo e Sala

HuffPost, 21 giugno 2022 


Prima coincidenza: uno dei più grandi autori di sceneggiate napoletane si chiamava Gaetano Di Maio. Nessuna parentela, scomparso prematuramente nel 1991, divenne famoso per la serie tv Michele Settespiriti con Nino Taranto negli anni '60.

Seconda coincidenza: la commedia più celebre di Di Maio è 'Nu bambiniello e tre San Giuseppe', messa in scena infinite volte negli ultimi quarant'anni.

Terza coincidenza: fu portata in scena dalla Compagnia stabile di Conte, intesa Luisa, e di nuovo no parentele. 

E qui si innesta la quarta, incredibile coincidenza. Perché il 35enne Luigino Di Maio, senza offesa, risulta ancora un bambiniello, secondo i criteri della nostra politica. 

Ma soprattutto perché, dopo il primo San Beppe (Grillo) che lo ha miracolato lanciandolo in politica, e il secondo Giuseppe (Conte) che ha miracolato lui inventandolo premier ma ricevendone solo l'attuale ingratitudine, ora il ministro degli Esteri ha incontrato un terzo San Giuseppe che potrebbe garantirgli la sopravvivenza politica: il sindaco di Milano Beppe Sala. 

Non è un mistero, infatti, che in vista delle politiche del prossimo marzo si stia preparando una lista di centro 'draghiana' con i grillini ministeriali dimaiani, le ministre forziste Carfagna e Gelmini, il mattarelliano Cottarelli, i centristi Toti e Brugnaro. 

Sala rimarrebbe sindaco di Milano, non si candiderebbe, ma benedirebbe e garantirebbe dall'alto il tutto. Quattro coincidenze non fanno una prova, neanche per i grillini forcaioli. 

Ma certo la sceneggiata napoletana-pugliese in corso in questi giorni sta tutta in quel fortunato titolo del 1981.

Il bambiniello è diventato guaglioncello, ha affinato capacità trasformiste prodigiose quasi quanto quelle di Conte: fino al 2018 era contro la Nato, voleva "superarla", "andare oltre", accusandola proprio di essere troppo dura e provocante contro il povero Putin. 

Ora invece difende l'alleanza atlantica con lo zelo eccessivo dei neofiti, per farsi perdonare e far dimenticare quei bollori. Che però tornano inesorabili a galla, sapientemente riesumati e fatti circolare contro il convertito proprio dai maghi grillini dei social un tempo al suo servizio.

Non che il suo eterno rivale Fico sia più coerente: nega pure lui che i 5 stelle siano antiNato, dimenticando la teoria di parlamentari e sottosegretari agli Esteri grillini andati nella Crimea occupata e a Mosca per baciare la pantofola a Putin tanto quanto i leghisti.

Ma tant'è. A proposito di santificazioni, ora è il Pd a venerare Di Maio nella sua nuova versione di falco filoUsa, così come due anni fa aveva portato sull'altare Conte, premier e supposto leader del centrosinistra. 

Cosicché, sempre per restare nella Napoli popolare, sembra che non solo a Di Maio ci si possa riferire pronunciando l'irriferibile sfottò "a pucchiacca in mano a' criature", l'organo sessuale femminile di cui i piccirilli non sanno proprio che fare. 

Perché sono in tanti a maneggiare cose più grandi di loro, nella politica italiana. Quella dell'ottava potenza economica mondiale ridotta ad applaudire o fischiare sceneggiate apulo-partenopee.

Mauro Suttora

 

Armi all'Ucraina/ “Il governo non rischia, tra Conte e Di Maio è rissa per il centro”

"Conte non ha mai pensato al voto anticipato, e Di Maio è l’ultimo che può rimproverare gli altri di essere filorussi. Oggi il governo non rischia nulla" 

www.ilsussidiario.net, 21 giugno 2022 

intervista a Mauro Suttora

Palazzo Chigi sta limando fino all’ultimo il testo della risoluzione sull’Ucraina che sarà votata oggi in Senato. Un tornante delicato per il governo, che ha visto dividersi i 5 Stelle tra il presidente Giuseppe Conte, restio a ulteriori invii di armi a Kiev, e Luigi Di Maio, ministro degli Esteri, che ha accusato i parlamentari contiani di mettere a repentaglio la collocazione atlantista dell’Italia e del governo. 

Nelle stanze di Draghi si lavora ad un testo nel quale tutti potranno riconoscersi, per evitare imprevisti e lacerazioni rischiose per l’esecutivo. Ma quelli tra Conte e Di Maio “sono solo personalismi, perché entrambi sono moderati che vogliono occupare uno spazio al centro” dice Mauro Suttora, giornalista e scrittore, opinionista sull’HuffPost.

Più che il governo, che non rischia nulla – spiega Suttora – la spaccatura dei 5 Stelle preoccupa a sinistra: “Letta e il Pd sono disperati per il tracollo dei grillini”, perché con un partito scomparso dovranno rivolgersi al centro. E Di Maio lo ha capito benissimo.

Oggi potrebbero esserci sorprese? Il governo rischia?

Non credo proprio. Ma è sempre stato così. Conte in realtà non ha mai pensato di far cadere il governo, con il rischio di andare al voto anticipato. Così farebbe perdere ai parlamentari grillini gli otto ultimi mesi di stipendio prima del voto regolare del marzo 2023.

Hanno torto i 5 Stelle nel chiedere, nella nota diffusa dal consiglio nazionale, una maggiore centralità del parlamento? 

No, il parlamento è troppo spesso esautorato dai troppi decreti del governo e dai troppi voti di fiducia che strozzano il dibattito e impediscono gli emendamenti. Ma i grillini non possono pretendere che si voti a ogni singolo invio di armi all’Ucraina. Anche perché c’è il segreto sul tipo di armamenti che forniamo, quindi è un dibattito sul nulla.

Di Maio aveva ragione nel dire che la bozza di risoluzione dei 5 Stelle “ci disallinea dall’alleanza della Nato e dell’Ue”, e più in generale nel criticare la direzione travaglio-contiana in politica estera?

È buffo che Di Maio, il quale fino al 2018 criticava la Nato per essere troppo dura con la Russia, e voleva “superarla”, ora si sia trasformato in un falco filoNato. Il suo è il classico caso di “trasformismo”: e poiché sente di avere molto da farsi perdonare e da far dimenticare, allora esibisce lo zelo del neofita, del convertito.

La Nota di M5s dice che il Movimento “mai ha posto in discussione la collocazione del nostro Paese nell’ambito di queste tradizionali alleanze” (Nato, Ue, ndr): che ne pensi?

Fino a pochi anni fa i grillini erano contro l’euro, alleati dell’inglese Farage autore della Brexit, e i suoi parlamentari andavano nella Crimea occupata e a Mosca a baciare la pantofola di Putin. Ottimo che abbiano fatto inversione a U. Speriamo la facciano anche sul reddito di cittadinanza e sui termovalorizzatori, così avranno cambiato idea su tutto.

L’espulsione di Di Maio è stata congelata: cosa prevedi?

Conte è furbo, vuole che sia Di Maio ad andarsene, per non regalargli l’aureola del martire.

Di Maio si farà cacciare o assumerà un’iniziativa in proprio?

Di Maio provoca perché spera di essere espulso. Ma è troppo presto, il suo progetto di nuova lista elettorale di centro col sindaco di Milano Sala e quello di Venezia Brugnaro, le forziste Carfagna e Gelmini, l’ex forzista Toti e il mattarelliano Cottarelli è ancora acerbo.

Fico ha detto che “lo statuto oggi è operativo al 100 per cento perché il tribunale di Napoli ha rigettato la causa degli ex M5s”. Perché lo dice? Si va allo scontro legale?

Al di là delle beghe legali, il problema è che Conte e i contiani non sopportano più Di Maio e i dimaiani. Ma si tratta di personalismi, perché entrambi sono moderati che vogliono occupare uno spazio al centro. Quindi le loro liti hanno il sapore della sceneggiata napoletano-pugliese.

Però in queste ore si parla di “punto di non ritorno”. E se fosse ormai un auspicio? Non è ormai chiaro da tempo che Di Maio ha una sua agenda personale?

Di Maio un anno fa, come tutti i grillini, sperava che Conte trasferisse sul M5s la propria popolarità personale, oltre il 50%. Ma il voto del 12 giugno ha visto i grillini crollare addirittura all’1% in tutte le città del Nord tranne Genova. Il Movimento non esiste più. I sondaggi lo danno ancora al 12%, ma lo stesso Di Maio teme che scenda al 5-8%. Quindi non gli interessa più stare in una nave che affonda. 

Secondo te in caso di rottura quanti parlamentari porterebbe con sé?

Una quarantina.

Pare che Letta stia svolgendo un ruolo. Sicuramente non può permettersi un’alleanza con chi mette in discussione la linea Draghi. Resta solo Di Maio, magari con qualcun altro…

Letta e il Pd sono disperati per il tracollo dei grillini. Sommando al proprio 20% un M5s ridotto al 12% non riescono a competere con un centrodestra attestato al 40-45%. I voti persi dai grillini sono finiti prima a Salvini, ora alla Meloni, e all’astensione. I centristi di Calenda e Bonino valgono al massimo il 4%, l’ultrasinistra ancora meno. Insomma, più che un “campo largo”, l’auspicata alleanza di centrosinistra sembra un camposanto. 

A Roma è atteso Grillo. Quali saranno le sue mosse?

Cercherà di rappattumare i suoi adepti, ma anche lui ha capito che il Movimento si sta sfasciando alla stessa velocità con cui era esploso. E deve ancora scoppiare lo psicodramma degli eletti che hanno esaurito i due mandati, contro quelli che sono al primo e quindi mirano ai pochi posti disponibili prendendo proprio il posto dei veterani. Sarà una strage cannibalesca. Molti pensano addirittura di cambiare simbolo, di rinunciare alle 5 Stelle per disperazione.

Federico Ferraù

Tuesday, June 14, 2022

Comunali, crollo M5s/ “Letta nei guai, ora Conte userà di Battista contro Di Maio”

www.ilsussidiario.net, 14 giugno 2022

intervista a Mauro Suttora

M5s è scomparso, dice Mauro Suttora, ma Letta si terrà i 5 Stelle, preferendoli a Renzi e Calenda. Ora Conte deve proteggere la propria leadership 

Conte non si è potuto nascondere. “I dati che emergono dalle amministrative – ha detto ieri l’ex premier – non ci soddisfano. Non possiamo cercare giustificazioni di comodo”. E infatti il leader M5s ha già annunciato per oggi “una conferenza stampa per definire il percorso di completamento dell’azione politica del M5s e dell’organizzazione interna comprese le articolazioni territoriali”. Punto dolente, anzi la vera chiave della sconfitta.  

Nelle stesse ore in casa Pd si lavora ad un’altra narrazione, quella di un Partito democratico che sprizza consenso. Ma i due partiti avevano un progetto in comune, ed è anche di questo che occorre parlare. La scommessa del “campo largo” lettiano puntava le sue fiches sulla tenuta e la malleabilità del M5s. La tenuta, per fare in due quello che non si può fare da soli; la malleabilità, per permettere al Pd di guidare la coalizione. 

I conti però non tornano, ci dice Mauro Suttora, giornalista, scrittore, opinionista sull’HuffPost.

Cosa cambia dopo questo voto per il patto Pd-M5s?

Difficile allearsi con un fantasma. E anche inutile, visto che i grillini valgono l’1% al Nord, nei pochi comuni dove hanno osato presentarsi, come Padova. Perfino a Cuneo, dove hanno rifiutato l’alleanza col Pd e si sono presentati da soli, o a Piacenza e Pistoia, dove hanno preferito mettersi con l’estrema sinistra contro il Pd. Unica eccezione il 4% a Genova. 

Dove M5s delude di più le aspettative? A Genova, rappresentazione plastica del “campo largo”, dome M5s ha però il 4,44%? A Palermo, dove ottiene il 6,2%? A Taranto, dove passa dal 12,4% del 2017 al 3,9% di oggi? O Catanzaro?

Sì, il vero disastro grillino è al Sud, dove speravano di tenere. E invece vedo vari 1% anche qui, come a Frosinone. Teniamo presente che a Taranto, la città dell’ex ministra Barbara Lezzi, fra le comunali del 2017 e quelle di domenica c’è stato l’exploit del 2018, con il picco del 48%. Nessun partito aveva mai toccato queste vette, neanche la Dc di Moro.

Il M5s alle amministrative non è mai andato bene. Chiusa la parentesi, possiamo dire che ci rivediamo alle politiche.

No. I grillini avevano conquistato sindaci in città importanti come Roma, Torino, Parma, Carrara, Livorno. Ora sono scomparsi. L’unica chance, forse, sarà cavalcare il no all’aumento delle spese militari, e la rabbia per l’inflazione al 7%.

Parma si conferma un animale strano. Di chi sono i voti che stanno facendo vincere Guerra? Forse di Pizzarotti?

Anche. Ma Pizzarotti, primo sindaco grillino di un grande capoluogo nel 2012, subì un processo stalinista da parte di Grillo perché non si opponeva al termovalorizzatore, e fu espulso.

Che cosa farà Letta in questa situazione? Il progetto salta?

Non farà nulla. Ma non si butta via niente. Anche perché Renzi e Calenda, che si propongono a Letta in alternativa ai grillini, hanno pure loro pochissimi voti.

Se le candidature comuni alle amministrative sono state un problema, e il Pd ha avuto buon gioco a far passare le sue, in vista delle politiche il gioco è più facile o si complica?

Il Pd si terrà la zavorra grillina offrendo loro pochissimi collegi uninominali, in proporzione ai voti ottenuti domenica. Quindi il M5s dovrà accontentarsi di una trentina di parlamentari, un decimo di quelli di quattro anni fa.

Letta vuole il proporzionale, ma era un’opzione. Adesso per il Pd è l’unica strada?

Per il proporzionale non c’è più tempo, a meno che anche il centrodestra esploda e i suoi partiti preferiscano andare al voto in ordine sparso. 

E Conte?

Conte ha la tentazione di recuperare il populismo di Di Battista, in contrapposizione al poltronismo di Di Maio.

C’è qualcuno in M5s che gongola per questo risultato?

I dimaiani come Spadafora, altro ministro fatto fuori da Conte, oltre alla Lezzi e Toninelli. Ma finché a Grillo sta bene Conte, Di Maio non ha speranza di far fuori l’ex premier.

Federico Ferraù

Sunday, June 12, 2022

Palermo, Italia: i seggi non aprono perché c'e la partita. L'ultimo affronto a noi elettori fessi



L'altra scusa per l'improvvisa moria di presidenti sarebbe la scarsa retribuzione, 280 euro: però conoscevano i compensi prima di accettare. Il caso siciliano ci mostra il grado d'affezione alla cosa pubblica

di Mauro Suttora

HuffPost, 12 Giugno 2022

"Immagina che i politici dichiarino guerra, ma nessuno vada a combatterla": è l'antico sogno dei pacifisti, ora rovinato dalla gran voglia di difendersi degli ucraini. Il sogno degli anarchici, invece, si è avverato stamane a Palermo: "Immagina che i politici indicano elezioni, ma nessuno possa votarli". 

È l'odiato stato che si liquefa, la disprezzata democrazia rappresentativa che fa harakiri, la politica che si suicida. Migliaia di palermitani si sono svegliati anche di buon'ora per esercitare il proprio diritto/dovere elettorale, magari prima di andare a trovar refrigerio al  mare. E invece sono stati puniti per tanto malposto spirito civico: a tanti i vigili hanno detto di tornare più tardi, perché i presidenti di 178 seggi (su 600) si sono dati latitanti.

I più furbi lo hanno fatto già ieri, nel pomeriggio di preparazione, vidimazione schede, eccetera: forfait grave ma non gravissimo, c'era tempo per rimediare. Ma non presentarsi stamane alle sei, all'ultimo minuto, è stata una vigliaccata. Anche perché quello di oggi a Palermo è l'elezione più importante d'Italia: si sceglie il sindaco del capoluogo di una grande regione, oltre a votare per i referendum. 

Scatteranno denunce per interruzione di pubblico servizio. Ma dopo la pubblicazione su un quotidiano delle foto di nove sospetti 'putiniani' ci permettiamo di suggerire un'identica sanzione, immediata e alternativa: l'esposizione al pubblico ludibrio della lista dei fuggitivi. Nomi e cognomi: una piccola gogna mediatica per risarcire i fessi che sono andati inutilmente ai seggi sotto il sole a 33 gradi.

L'attenuante invocata è la partita Palermo-Padova, che stasera decide l'ammissione in serie B. Ma non ci risulta che nella città veneta si sia verificata una simile morìa di presidenti di seggio allo scopo di andare allo stadio o di piazzarsi di fronte alla tv.

Un'altra scusa: 280 euro sarebbero pochi "per quattro giorni di lavoro", si lamenta una candidata consigliera comunale. Che spero non venga eletta, perché il lavoro, se spicciato celermente, dura due giorni e mezzo. Presidenti e scrutatori conoscevano il compenso quando hanno accettato l'incarico. E molti di noi sono stati sempre felici di svolgerlo quando si era più giovani, anche solo per 50 o 100mila lire.

L'ottimo La Russa è caduto nel trappolone, e in automatico per l'emergenza ha invocato l'intervento dei militari. Ma gli ex fascisti sanno meglio di chiunque che fra i soldati il modo più semplice e veloce per rimpiazzare gli ufficiali caduti, o in questo caso disertori, è quello di promuovere sul campo i più alti in grado. Bastava quindi nominare presidente lo scrutatore più anziano, per risolvere subito il problema. 

Ma sicuramente esiste un comma che lo proibisce, e allora il buonsenso della ministra dell'Interno Lamorgese ha suggerito: accorpate le sezioni. Niente da fare, la burocrazia è anelastica, nonché tremebonda per ricorsi al Tar. 

E così la tragicommedia palermitana si è dipanata per l'intera mattinata, finché alle 14 tutte le sezioni sono state aperte.
 Per fortuna il candidato sindaco di centrosinistra Franco Miceli ha aggiunto una nota di buonumore con questa sua dichiarazione: "Esprimo solidarietà ai dipendenti comunali che stanotte hanno cercato di ottemperare all'assenza dei presidenti con un lavoro straordinario". Ottemperiamo.

Mauro Suttora 

Saturday, June 11, 2022

Il re degli influencer cinesi cade su Tienanmen: distrutto da una torta gelato

La sua piattaforma è sparita dalla rete dopo che ha osato postare un video con un dolce a forma di carrarmato

di Mauro Suttora

HuffPost, 12 Giugno 2022
 
Il più grande influencer cinese, Li Jiaqi, 30 anni, 60 milioni di followers, è stato distrutto da una torta gelato. La sua piattaforma è sparita dalla rete dopo che ha osato postare un video con una torta a forma di carrarmato. Il problema è che lo ha fatto il 3 giugno, vigilia del trentatreesimo anniversario della strage di piazza Tiananmen. E i gerarchi cinesi dopo pochi minuti lo hanno cancellato dal web: qualsiasi riferimento a quel massacro è infatti proibito dal regime comunista.

Li, nome d'arte Austin Li, ha cominciato la sua incredibile carriera nel 2015, quando fu assunto come commesso dell'Oréal in un centro commerciale nella provincia dello Jiangxi. Si accorse che alle clienti non piaceva provare i rossetti sulle proprie labbra, cosicché mise a disposizione le sue: loro sceglievano il colore, e lui se lo applicava.
 
In pochi mesi le vendite al suo stand si moltiplicarono, Li vinse parecchi premi come miglior venditore, e aprì un proprio webcast sulla piattaforma di vendite online Taobao del gruppo Alibaba. Nel 2018 batté il Guinnes dei primati per il maggior numero di applicazioni di rossetto in trenta secondi. Il boom delle vendite online, arrivate a 180 miliardi annui, lo ha trasformato in una superstar, con un fatturato annuale di decine di milioni. E il lockdown della pandemia ha moltiplicato la sua fama e i suoi guadagni.

Ma è bastato un accenno indiretto alla carneficina di studenti del 1989, con le decorazioni di cioccolato a forma di tank, per farlo immediatamente eliminare dagli schermi dei telefonini cinesi. La strage di Tiananmen è argomento tabù in Cina: le nuove generazioni ignorano perfino che sia avvenuta. La tolleranza zero per il ricordo di quelle proteste (non si conosce neanche il numero dei morti, da mille a 4mila) è pari a quella sul covid imposta dal dittatore Xi Jinping. Cosicché ora il povero Austin Li, silenziato sui social ma - pare - ancora libero, è sottoposto a comiche indagini: quale pasticciere ha confezionato la torta-gelato? La sua comparsa nel video è stata intenzionale, o solo una coincidenza?
 
In ogni caso, la clamorosa censura ha spinto questa settimana milioni di giovani cinesi a chiedersi cosa sia successo.  Ottenendo così il risultato opposto a quello sperato: ora sono in molti di più a sapere di piazza Tiananmen e dei carri armati che uccisero gli studenti che chiedevano libertà.
Mauro Suttora

Wednesday, June 08, 2022

Il macho slavo in guerra da 30 anni

Ma cos'hanno certi maschi slavi? Il maschilismo che diventa militarismo.
Per noi europei da mezzo secolo sono inconcepibili attrezzi trogloditi come carri armati, cannoni, fucili, bombe. Confini da espandere, frontiere da difendere, aerei civili da abbattere (Donbass, 2014).

La guerra. Come in Croazia, Serbia, Bosnia, Kosovo 30 anni fa. Oggi Russia e Ucraina.
"A est di Trieste cominciano i quartieri bassi del mondo", mi disse sconsolato Luttwak nel 1992, commentando gli eccidi di Sarajevo.

I film di Kusturica hanno reso comica, quasi surreale, la ferocia. E oggi fra orti e galline sono russi e ucraini a sgozzarsi. Eppure sono slavi anche Havel e Kundera, la civilissima separazione fra Boemia e Slovacchia, i ragazzi nonviolenti di Belgrado che nel 2000 cacciarono Milosevic.

E allora?
Putin è il massimo esemplare dell'arroganza del maschio slavo. Ma l'antropologia forse spiega più della politica. Perché assistiamo attoniti a un tale ritardo di civilizzazione, a 80 anni di sfasamento temporale fra Europa occidentale e orientale?

Azzardiamo un'ipotesi sommaria: distinguiamo tra slavi ex asburgici di religione cattolica e gli ortodossi sottomessi agli imperi ottomano e zarista. Classificare i primi come aderenti alla civiltà occidentale e gli altri a quella orientale, più rude, significa procedere con l'accetta. Ma chi attraversa i Balcani impara subito a riconoscere la linea di faglia fra la mitteleuropea Croazia e il sud levantino.

Il cibo del macho, poi. Troppo testosterone causato da alimentazione eccessivamente proteica? I danni dell'etilismo?
Nel 1992 andai per il settimanale Europeo con Gianfranco Moroldo, il leggendario fotografo della Fallaci, in un convento di francescani croati che fronteggiavano col mitra i serbi della 'kraina' di Knin. Le kraine erano isole di territorio al confine ottomano che gli asburgici avevano riempito di soldati serbi, fra i pochi in grado di opporsi alle crudeltà turche.
"Non portarmi mai più in posti così", mi intimò Moroldo, "ho visto guerre in tutto il mondo ma mai schifose come questa. Cominciano a spararsi alle cinque del pomeriggio, quando sono ubriachi. Non voglio crepare per un proiettile vagante".

Insomma, a voler spiegare le ragioni della bellicosità di certi maschi serbi bosniaci e russi (o neonazi ucraini del battaglione Azov) si finisce in luoghi comuni e generalizzazioni. Ma non possiamo neanche concedere dignità geopolitica o strategica ai capataz responsabili di Srebrenica trent'anni fa, e che in queste ore stanno apparecchiando nuove stragi fra i civili di Donetsk. Sono solo casi umani. C'è una enorme questione di genere da quelle parti: "Non ci interessano russi o ucraini, lasciateci solo vivere in pace", è il lamento straziato di una donna del Donbass. Di tutte le donne.

Mauro Suttora

Friday, June 03, 2022

Di Johnny Depp vs Amber Heard interessa tutto tranne il processo

Un derby fra due opposte ed estreme idee del mondo, cioè un circo, uno zoo, una commedia, un film. È successo in Virginia, se fosse stato in California probabilmente l'esito sarebbe stato l'opposto. Ma in definitiva, il verdetto è solo l’accidente finale

di Mauro Suttora

HuffPost, 3 Giugno 2022

Naturalmente è stato tutto, tranne che un processo. Circo, zoo, film, fiction, teatro, tragicommedia. Impareggiabile entertainment, comunque. I due attori hanno recitato bene, Johnny Depp è apparso ragionevolmente contrito e ha vinto. La sua ex Amber Heard, nota per il film "Come ti ammazzo l'ex", dovrà pagargli dieci milioni di risarcimento e cinque di spese. Lui, controquerelato per diffamazione, è stato condannato a sua volta a due milioni. 

Lo ha deciso una giuria popolare della Virginia, e non è un particolare da poco. Heard sperava che la causa fosse trattata a Hollywood, o comunque in California, dove i giudici sono abituati ai processi fra celebrità. Invece un piccolo particolare ha inceppato i calcoli: il server del quotidiano Washington Post, che ha pubblicato l'articolo di Amber ritenuto offensivo da Johnny, sta in Virginia, vicino a Washington.

Così la gran carovana di tv e giornali ha dovuto spostarsi per due mesi in un tribunale di provincia. E lì c'è l'America profonda, quella che detesta profondamente il movimento femminista #MeToo di cui Amber è vessillifera. Anche nell'articolo incriminato lei non si è mai abbassata a scrivere il nome di Johnny. Se è stata picchiata, insultata, abusata, lo è stata in quanto donna: una di milioni di donne vittime di violenze domestiche.

Quindi i giurati hanno sentenziato su fatti precisi e circostanze aggravanti o esimenti. Ma il loro giudizio è stato subito trasformato in bandiera politica, da una parte e dall'altra. La sinistra, il partito democratico, le donne (molte) sono deluse e (alcune) scandalizzate: a cinque anni di distanza dallo scoppio del caso Weinstein, il produttore geniale ma porco che ha violentato e abusato decine di attrici, la giustizia ha dato ragione a un maschio accusato di essere un altro porco. Né consola la sentenza d'appello che ha appena confermato la sentenza stratosferica per Weinstein: 23 anni di carcere per una singola violenza (ora arriveranno a giudizio le altre). 

Dal lato opposto della barricata ideologica festeggia la destra, il partito repubblicano, i maschi trumpiani esacerbati da un lustro di Metoo: "Anche io" sono stata menata, ha accusato Amber Heard. Ma ha perso. Goduria doppia per i maschilisti dell'Oklahoma, leggendari quanto i nazi dell'Illinois.

Perché la povera Amber ai loro occhi rappresenta la summa di tutto il detestabile: non solo fa la vittima e la pittima con Johnny, ma si è pure dichiarata lesbica. Non c'è manifesto lgbtq degli ultimi dieci anni che non abbia firmato. E in barba alla sua sventolata bisessualità è stata pure con Elon Musk. Il quale magari simpatizza per Trump, visto che ha comprato Twitter per togliere la censura che ha colpito l'ex presidente. Ma è comunque un miliardario, anzi il più ricco del mondo. Quindi pessimo, come tutte le élites.

Tutto è stato già scritto sul paradiso/inferno in cui sguazzano i vip dello spettacolo Usa. Adorati e disprezzati, gli spettatori aspettano solo che si svelino i loro fiumi di alcol, nuvole di coca, perversioni private. 

C'è un settimanale divertentissimo, il National Enquirer, specializzato in mostrare la cellulite sulle cosce delle attrici più belle del mondo. Il suo editore fu l'unico negli Stati Uniti a fare endorsement per Trump nel 2016. Poi è stato accusato di ricatto da Jeff Bezos (Amazon, Washington Post) e dal figlio di Woody Allen, Ronan Farrow, massimo accusatore di molestatori e predatori sessuali. 

Ecco, il processo Depp/Heard appartiene alla 'gutter press', la stampa della fogna che vende tanto alle casse dei supermercati. Che poi i giurati siano stati scrupolosi e ci abbiamo messo ben tre giorni per arrivare a una sentenza la più equa possibile, è secondario. Nessuno dei tifosi di Johnny e Amber ha cambiato idea dopo il verdetto. Perché non era un processo, era una corrida.