Showing posts with label #putin. Show all posts
Showing posts with label #putin. Show all posts

Sunday, July 03, 2022

Da Hitler a Putin: due corridoi per la stessa città

I lituani, 80 anni dopo i polacchi, giocano col fuoco: bloccano il Corridoio di Suwalki che collega la russa Kaliningrad alla Russia, così come Varsavia bloccava il Corridoio di Danzica che collegava la tedesca Königsberg alla Germania. Speriamo che l'esito non sia simile

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 3 Luglio 2022

Il 24 ottobre 1938, tre settimane dopo gli accordi di Monaco (una delle pagine più vergognose nella storia della viltà e stupidità mondiale), il ministro degli Esteri nazista Von Ribbentrop invita a pranzo l'ambasciatore polacco Lipsky al Grand Hotel di Berchtesgaden. 

Verso la fine del pasto gli presenta un piano per la cessione alla Germania della Città libera di Danzica (inventata nel 1919, come quella di Fiume) e la costruzione di un'autostrada e di una ferrovia per collegare il Terzo Reich alla Prussia Orientale, attraverso il corridoio che univa la Polonia al suo unico porto, Gdynia. 

In cambio, Hitler avrebbe prolungato di 25 anni il patto decennale di non aggressione Berlino-Varsavia, in scadenza nel 1944. Una fregatura, in pratica: Danzica in cambio del nulla.

Esattamente come gli accordi di Minsk che negli anni scorsi Putin avrebbe voluto fare ingoiare all'Ucraina: l'annessione delle due repubbliche fantoccio filorusse del Donbass in cambio di vaghe e vacue promesse sul futuro. Col senno di poi, è agghiacciante ma istruttivo ricordare come si dipanarono i rapporti Germania-Polonia in quegli ultimi mesi di pace. 

Il 5 gennaio 1939 è la volta del ministro degli Esteri polacco Beck recarsi a Berchtesgaden, accompagnato dalla moglie. Prendono un tè con Hitler in persona, l'atmosfera è cordiale, partecipa anche la signora Göring. 

Beck ribadisce al dittatore nazista la riluttanza di Varsavia all'annessione di Danzica, e Hitler non insiste più di tanto. Promette che non avrebbe creato alcun "fatto compiuto" per regolare la questione (tradotto: non l'avrebbe invasa), e anzi aggiunge quest'incredibile frase: "La Germania avrà sempre tutto l'interesse a conservare una Polonia fortemente nazionalista, sia che la Russia abbia un regime bolscevico o zarista". 

Il lupo che solo otto mesi dopo si sarebbe spartito con Stalin l'agnello polacco spiega addirittura a Beck quanto tenga alla Polonia come cuscinetto di protezione contro il comunismo russo: "L'esistenza di un esercito polacco potente rappresenta per la Germania un considerevole sollievo. Le divisioni che la Polonia tiene sulla frontiera russa ci risparmiamo un onere militare corrispondente" (dobbiamo il virgolettato a Paul Schmidt, interprete tedesco dell'incontro).

Il 30 gennaio 1939 Hitler loda il "gran maresciallo polacco, il soldato patriota Pilsudski", e ribadisce: "Sarebbe difficile trovare una divergenza d'opinioni fra i veri amici della pace. L'amicizia polacco-tedesca si è dimostrata un fattore di distensione nella vita politica europea". 

Un amicone. Sappiamo tutti come andò a finire: il 15 marzo i nazisti invadono la Cecoslovacchia, violando gli accordi di Monaco firmati appena cinque mesi prima. Gli esterrefatti polacchi corrono ai ripari siglando un patto di mutua assistenza con Gran Bretagna e Francia, le quali si obbligano a difenderla in caso di aggressione.

Ma questo non impedisce loro di accettare un regalo avvelenato da Hitler: due piccoli distretti carboniferi al confine boemo. La Polonia diventa così complice di Germania e Ungheria nella spartizione della Cecoslovacchia. Ma non cede sul Corridoio di Danzica.

Anche qui, occorre precisare che la città anseatica era tedesca al 90%, e quindi i pacifisti occidentali furono facilmente abbindolati da Hitler: non si poteva certo "morire per Danzica". Ci volle Pearl Harbor nel dicembre 1941 per convincere del contrario i più stolidi fra loro, gli statunitensi.

Oggi, coincidenza della storia, un altro Corridoio diventa casus belli: quello di Suwalki, che collega la putiniana Bielorussia all'exclave russa di Kaliningrad. Stiamo sempre parlando dell'ex Prussia orientale, poche decine di chilometri a est di Danzica. Kaliningrad era la culla teutonica della Germania, una specie di Piemonte tedesco con gli Hohenzollern al posto dei Savoia. Si chiamava Königsberg e fu capitale prussiana fino al trasferimento a Berlino nel 1702.

Per uno scherzo del destino vi nacque il massimo filosofo della pace perpetua, Kant, e vi crebbe la massima studiosa dei totalitarismi del '900, Hannah Arendt. La Prussia orientale cessò di esistere nel 1945, spartita fra la Polonia comunista e l'Urss. La pulizia etnica contro i tedeschi fu totale. E oggi Kaliningrad è l'unica città ex sovietica ad aver mantenuto il nuovo nome in onore di un capo stalinista, Kalinin.

I lituani, 80 anni dopo i polacchi, ora giocano col fuoco: bloccano il Corridoio che collega la russa Kaliningrad alla Russia, così come Varsavia bloccava il Corridoio di Danzica che collegava la tedesca Königsberg alla Germania. Speriamo che l'esito non sia simile.

Mauro Suttora 


Tuesday, June 21, 2022

Nu bambiniello e tre San Giuseppe



di Mauro Suttora 

Una commedia di quarant’anni fa (quando i Conte e i Di Maio erano altri) rinverdita oggi con la partecipazione straordinaria di Grillo e Sala

HuffPost, 21 giugno 2022 


Prima coincidenza: uno dei più grandi autori di sceneggiate napoletane si chiamava Gaetano Di Maio. Nessuna parentela, scomparso prematuramente nel 1991, divenne famoso per la serie tv Michele Settespiriti con Nino Taranto negli anni '60.

Seconda coincidenza: la commedia più celebre di Di Maio è 'Nu bambiniello e tre San Giuseppe', messa in scena infinite volte negli ultimi quarant'anni.

Terza coincidenza: fu portata in scena dalla Compagnia stabile di Conte, intesa Luisa, e di nuovo no parentele. 

E qui si innesta la quarta, incredibile coincidenza. Perché il 35enne Luigino Di Maio, senza offesa, risulta ancora un bambiniello, secondo i criteri della nostra politica. 

Ma soprattutto perché, dopo il primo San Beppe (Grillo) che lo ha miracolato lanciandolo in politica, e il secondo Giuseppe (Conte) che ha miracolato lui inventandolo premier ma ricevendone solo l'attuale ingratitudine, ora il ministro degli Esteri ha incontrato un terzo San Giuseppe che potrebbe garantirgli la sopravvivenza politica: il sindaco di Milano Beppe Sala. 

Non è un mistero, infatti, che in vista delle politiche del prossimo marzo si stia preparando una lista di centro 'draghiana' con i grillini ministeriali dimaiani, le ministre forziste Carfagna e Gelmini, il mattarelliano Cottarelli, i centristi Toti e Brugnaro. 

Sala rimarrebbe sindaco di Milano, non si candiderebbe, ma benedirebbe e garantirebbe dall'alto il tutto. Quattro coincidenze non fanno una prova, neanche per i grillini forcaioli. 

Ma certo la sceneggiata napoletana-pugliese in corso in questi giorni sta tutta in quel fortunato titolo del 1981.

Il bambiniello è diventato guaglioncello, ha affinato capacità trasformiste prodigiose quasi quanto quelle di Conte: fino al 2018 era contro la Nato, voleva "superarla", "andare oltre", accusandola proprio di essere troppo dura e provocante contro il povero Putin. 

Ora invece difende l'alleanza atlantica con lo zelo eccessivo dei neofiti, per farsi perdonare e far dimenticare quei bollori. Che però tornano inesorabili a galla, sapientemente riesumati e fatti circolare contro il convertito proprio dai maghi grillini dei social un tempo al suo servizio.

Non che il suo eterno rivale Fico sia più coerente: nega pure lui che i 5 stelle siano antiNato, dimenticando la teoria di parlamentari e sottosegretari agli Esteri grillini andati nella Crimea occupata e a Mosca per baciare la pantofola a Putin tanto quanto i leghisti.

Ma tant'è. A proposito di santificazioni, ora è il Pd a venerare Di Maio nella sua nuova versione di falco filoUsa, così come due anni fa aveva portato sull'altare Conte, premier e supposto leader del centrosinistra. 

Cosicché, sempre per restare nella Napoli popolare, sembra che non solo a Di Maio ci si possa riferire pronunciando l'irriferibile sfottò "a pucchiacca in mano a' criature", l'organo sessuale femminile di cui i piccirilli non sanno proprio che fare. 

Perché sono in tanti a maneggiare cose più grandi di loro, nella politica italiana. Quella dell'ottava potenza economica mondiale ridotta ad applaudire o fischiare sceneggiate apulo-partenopee.

Mauro Suttora

 

Wednesday, June 08, 2022

Il macho slavo in guerra da 30 anni

Ma cos'hanno certi maschi slavi? Il maschilismo che diventa militarismo.
Per noi europei da mezzo secolo sono inconcepibili attrezzi trogloditi come carri armati, cannoni, fucili, bombe. Confini da espandere, frontiere da difendere, aerei civili da abbattere (Donbass, 2014).

La guerra. Come in Croazia, Serbia, Bosnia, Kosovo 30 anni fa. Oggi Russia e Ucraina.
"A est di Trieste cominciano i quartieri bassi del mondo", mi disse sconsolato Luttwak nel 1992, commentando gli eccidi di Sarajevo.

I film di Kusturica hanno reso comica, quasi surreale, la ferocia. E oggi fra orti e galline sono russi e ucraini a sgozzarsi. Eppure sono slavi anche Havel e Kundera, la civilissima separazione fra Boemia e Slovacchia, i ragazzi nonviolenti di Belgrado che nel 2000 cacciarono Milosevic.

E allora?
Putin è il massimo esemplare dell'arroganza del maschio slavo. Ma l'antropologia forse spiega più della politica. Perché assistiamo attoniti a un tale ritardo di civilizzazione, a 80 anni di sfasamento temporale fra Europa occidentale e orientale?

Azzardiamo un'ipotesi sommaria: distinguiamo tra slavi ex asburgici di religione cattolica e gli ortodossi sottomessi agli imperi ottomano e zarista. Classificare i primi come aderenti alla civiltà occidentale e gli altri a quella orientale, più rude, significa procedere con l'accetta. Ma chi attraversa i Balcani impara subito a riconoscere la linea di faglia fra la mitteleuropea Croazia e il sud levantino.

Il cibo del macho, poi. Troppo testosterone causato da alimentazione eccessivamente proteica? I danni dell'etilismo?
Nel 1992 andai per il settimanale Europeo con Gianfranco Moroldo, il leggendario fotografo della Fallaci, in un convento di francescani croati che fronteggiavano col mitra i serbi della 'kraina' di Knin. Le kraine erano isole di territorio al confine ottomano che gli asburgici avevano riempito di soldati serbi, fra i pochi in grado di opporsi alle crudeltà turche.
"Non portarmi mai più in posti così", mi intimò Moroldo, "ho visto guerre in tutto il mondo ma mai schifose come questa. Cominciano a spararsi alle cinque del pomeriggio, quando sono ubriachi. Non voglio crepare per un proiettile vagante".

Insomma, a voler spiegare le ragioni della bellicosità di certi maschi serbi bosniaci e russi (o neonazi ucraini del battaglione Azov) si finisce in luoghi comuni e generalizzazioni. Ma non possiamo neanche concedere dignità geopolitica o strategica ai capataz responsabili di Srebrenica trent'anni fa, e che in queste ore stanno apparecchiando nuove stragi fra i civili di Donetsk. Sono solo casi umani. C'è una enorme questione di genere da quelle parti: "Non ci interessano russi o ucraini, lasciateci solo vivere in pace", è il lamento straziato di una donna del Donbass. Di tutte le donne.

Mauro Suttora

Saturday, May 21, 2022

Che cosa farà Berlusconi nel prossimo decennio? (lamento di un liberale)



Quasi trent'anni dopo la Rivoluzione liberale rimane la fascinazione per quel ceffo di Putin. Pannella saggiamente scappò, non tutti gli elettori possono farlo

di Mauro Suttora

HuffPost, 21 Maggio 2022

Mahathir Mohamad è stato premier malese fino a 94 anni, De Valera presidente d'Irlanda fino a 91, Adenauer lasciò a 90 la guida dei dc tedeschi. Cosa farà quindi il giovanotto 85enne Berlusconi nel prossimo decennio, visto che sua madre era lucidissima a 95 anni? 

In barba a Crozza, vediamo Silvio pimpante. Sul palco di Treviglio (Bergamo) è apparso a sorpresa, affiancato da due corazziere: la quasimoglie Fascina e la quasibadante Ronzulli. E lì ha detto che sente "di nuovo il dovere di esserci, come nel 1994. Sono preoccupato per la guerra in Ucraina e per il comunismo in Cina. Scendo in campo per la terza volta".

Benissimo. Ritorno al futuro. Putin lo ha "deluso". Non lo definisce più "profondamente liberale" come nel 2015, dopo che il tiranno russo invase Crimea e Donbas. Ma più che condannare lui critica tutti gli altri, da Biden a Stoltenberg, che lo insultano invece di trattare. E l'Ucraina invasa? "Deve accettare le proposte di Mosca". "Putin liberale? Forse Berlusconi lo avrà letto nei copioni di Mediaset", insinua Giuliano Urbani, fondatore di Forza Italia. 

Cento anni fa, nel febbraio 1922, Piero Gobetti fondò 'La Rivoluzione liberale'. Oggi a Napoli i liberali berlusconiani hanno Ron Moss, il Ridge di Beautiful, ospite d'onore alla loro kermesse di Napoli. Ha promesso Forza Italia: "Per facilitare la presenza di tutti, famiglie comprese, il partito metterà a disposizione babysitter e dogsitter per gli amanti degli animali". Gobetti lottava contro Mussolini. Oggi lottano fra loro Mariastella Gelmini e Licia Ronzulli per il dominio in Lombardia. 

La rivoluzione liberale. Alla sua prima discesa in campo, nel 1994, Berlusconi riuscì a convincere il 34% degli italiani che l'avrebbe fatta. Il primo a crederci fu Pannella, ma fu anche il primo a scappare pochi mesi dopo, incassata la nomina di Emma Bonino a commissaria Ue. 

Noi liberali, che ci accontentiamo di poco anche perché il Pli non andò mai oltre il 4%, non speravamo in una rivoluzione. Ci sarebbe bastato un po' di stato di diritto e di pareggio di bilancio. Ci allarmammo quando Berlusconi mise Tremonti ministro dell'Economia invece dell'economista liberista Antonio Martino. Ma restammo fiduciosi.  Invece sono passati trent'anni. E l'unico che ha fatto qualcosa di liberale è stato Bersani con le sue 'lenzuolate' del 2007. 

Ora Silvio c'è, ancora, anche se boccheggia sotto il 10%. Chi nel centrodestra vuole evitare populismi e sovranismi sarà costretto a votare di nuovo per lui. Sperando che in Forza Italia prevalga, se non il liberalismo, almeno il buon senso pragmatico di una Mara Carfagna. Noi liberali abbiamo a disposizione anche Calenda e Bonino. Poca roba, inutile illudersi. Ma la più grande, anzi immensa delusione di questo terzo di secolo, è stata il berlusconismo. Ieri catodico, oggi neanche più quello: nei talk Mediaset imperversano putiniani e saltimbanchi. Forse catatonico, e senza offesa per Silvio: ci sembra più vispo lui dei suoi luogotenenti.

Mauro Suttora 

Tuesday, May 17, 2022

Non capiamo Putin perché è fuori dalla politica

La spiegazione in un libro di Pino Polistena


di Mauro Suttora


HuffPost, 18 maggio 2022


Perché facciamo tanta fatica a comprendere Putin?

"Perché in Russia la forma del potere è incarnata da un uomo che da 23 anni gestisce insieme politica ed economia in un intreccio perverso. Ma Putin agisce fuori dalla politica, la annulla".

Pino Polistena ha appena pubblicato 'Politica, questa sconosciuta' (ed. Mimesis). Libro che, come sintetizza nella sua prefazione postuma Giorgio Galli, il politologo scomparso un anno fa, definisce la politica come categoria del 'Tutti/nessuno'. Ovvero: tutti hanno diritto di voto, ma nessuno deve elevarsi su questi Tutti con un potere eccessivo.

Polistena, professore di filosofia, preside a Milano (licei Gandhi, Manzoni, Mile School) e coordinatore dei Verdi negli anni '90, spiega: "Le azioni di Putin non rientrano nella politica perché non sono conformi alla categoria del Nessuno, che modera e limita il potere".


Naturale quindi che, in un contesto di annullamento della politica, la molla principale di Putin diventi il nazionalismo: "Le realtà nazionali in certi momenti storici degenerano in questa forma di tribalismo moderno.

Il nazionalismo sostituisce le categorie inclusive Tutti/Nessuno con quelle Noi/Loro. E sono tanti i regimi autocratici scivolati in conflitti che alla fine li hanno distrutti.

"Il nazionalismo attiva la dinamica del capro espiatorio meglio di qualunque altra ideologia", continua Polistena, "perché contrappone le identità nazionali e spiega i disagi interni con la malvagia volontà di altre nazioni. Da qui il delirio interventista, il quale supera come un fiume in piena le deboli forze internazionali che svolgono un'autentica attività politica".


Putin ha resuscitato la guerra fra stati in Europa, che pensavamo scomparsa da 80 anni.

"La ferocia dei rapporti fra gli stati è sostenuta dalle arcaiche categorie Noi/Loro, presenti nei gruppi umani a tutte le latitudini. La struttura tribale dell'essere umano, depositata nel fondo della sua mente, può riemergere sempre. Richiede filo spinato, muri e confini, in un illusorio tentativo di difesa che riproduce il bisogno atavico di ripararsi da una tempesta vera o presunta".


Polistena indica una via d’uscita: la comprensione della politica con le sue categorie, senza le quali la democrazia non può svilupparsi ed evolvere.

"Le forme democratiche trovano proprio nella nazione il campo dove potersi sviluppare".

Come?

"I processi nazionalisti sono molto potenti e possono essere controllati solo da istituzioni politiche funzionanti, ma il fenomeno è circolare: nascono proprio perché le istituzioni mancano. Quando la politica non può svolgere il ruolo coesivo che le è connaturato, lascia ai nazionalismi il compito di farlo. Le tendenze sovraniste scattano nei momenti di disagio".


È quindi evidente che neanche le nostre democrazie rimangono immuni da derive scioviniste: in Italia e Francia i populisti di destra e sinistra rasentano la maggioranza assoluta, negli Usa Trump guida ancora i repubblicani.

Ma Polistena rimane ottimista: "Dobbiamo incamminarci sulla difficile strada di Erasmo, Voltaire, Kant. La stessa di Gandhi e Mandela, le grandi anime emerse dalle macerie del Novecento. La strada delle forme e della politica riconosciuta".

Mauro Suttora

Monday, May 02, 2022

La vera storia del padre di Hitler



Il ministro degli esteri russo Lavrov ha detto in una intervista a Rete 4 che "anche Hitler aveva origini ebraiche". Ma sul padre del Führer sono stati scritti interi libri

di Mauro Suttora

HuffPost, 2 maggio 2022 

Non c'è nulla di nuovo nella sparata di Lavrov ("Anche Hitler, come Zelensky, aveva origini ebraiche"), ma è singolare che il ministro degli Esteri russo si riduca a raccattare speculazioni su siti complottisti e neonazi.

Sono stati scritti infatti interi libri sul padre del Führer, il doganiere Alois Hitler (1837-1903), nato col cognome Schicklgruber nel paesino austriaco di Dollersheim. Cambiò il cognome in Hiedler e poi in Hitler soltanto nel 1877: appena dodici anni prima che nascesse Adolf, frutto del suo terzo matrimonio con l'ex donna di servizio Klara Polzl.

Questa girandola di nomi deriva dal fatto che Alois era figlio di N.N. Sua madre Maria Anna Schicklgruber, povera contadina, iscrisse il padre di Adolf all'anagrafe parrocchiale dandogli il proprio cognome. Lei, ormai quarantenne e nubile, nel 1836 era cuoca presso la ricca famiglia ebrea Frankenberger di Graz. E il rampollo 19enne di Frankenberger potrebbe aver messo incinta la donna. Di sicuro il padre pagò a Maria Anna, tornata al paese natio, un assegno di mantenimento per il piccolo Alois fino al compimento dei 14 anni. Perché? Per tacitare uno scandalo? 

 La ricostruzione, da prendere con le molle, è opera di Hans Frank, avvocato personale di Hitler, poi ministro della Giustizia del Terzo Reich e infine governatore della Polonia occupata, dove sterminò milioni di ebrei. Per questo Frank fu condannato a morte nel 1946 al processo di Norimberga e giustiziato. Prima di essere impiccato scrisse un memoriale di mille pagine pubblicato nel 1953 e conservato oggi a Gerusalemme, nel museo dell'Olocausto.

 Fu lo stesso Hitler nel 1930 a ordinare a Frank di indagare sulle proprie origini, perché era vittima di un ricatto da parte del figlio del proprio fratellastro: questi lo minacciava di rivelare che il suo sangue era per un quarto ebraico. Scandaloso, per il campione dell'antisemitismo. 

Quando Frank gli riferì il risultato delle ricerche genealogiche, il dittatore si mise a strepitare: «Non è vero! Mio padre mi rivelò di essere figlio di Georg Hiedler, un mugnaio che mia nonna sposò cinque anni dopo. Sì, lei lavorò dai Frankenberger, ma questi la pagarono soltanto perché la Schicklgruber li ricattò, fingendo che il padre fosse il giovane Frankenberger».

 In realtà sono ben tre i nonni possibili di Adolf Hitler: l'ebreo Frankenberger, Hiedler o Johann Huttler, il fratello più agiato di Hiedler che allevò Alois. Non stupisca la differenza di cognome tra i fratelli: le anagrafi di campagna in quell'epoca non erano un modello di precisione. Entrambi i cognomi comunque destavano sospetti in un antisemita perché derivanti, come il più diffuso Hutter, dalla comune radice ebraica "hut", "cappello".

In ogni caso Hitler si vergognava di suo padre, di sua nonna e di Dollersheim. Non voleva che la sua "patria ancestrale" si trasformasse in luogo di pellegrinaggio, ma soprattutto che qualcuno scoprisse la sua imbarazzante genealogia. Per questo nel 1938, subito dopo l'Anschluss dell'Austria, fece evacuare Dollersheim.

 La scusa fu che c'era bisogno di un campo d'addestramento. Ma Hitler in realtà voleva distruggere quel paese. Un'enorme area di 24mila ettari venne requisita, settemila contadini furono cacciati. Arrivarono panzer, Ss e bandiere con la svastica. La zona fu trasformata in un immenso poligono di tiro: la più grande area di esercitazioni militari del Terzo Reich. Poi i sovietici occuparono quella parte di Austria 150 km a nordovest di Vienna. Ma anche dopo che se ne andarono nel 1955, e fino a oggi, l'area è rimasta in mano ai militari austriaci per le loro manovre.

Mauro Suttora

Wednesday, April 20, 2022

Neanche San Chomsky fa il miracolo: l'Ucraina frantuma la sinistra radical

di Mauro Suttora

Le armi a Kiev dividono famiglie storiche: Anpi, sindacato, ex e post comunisti. Ora il loro totem divide anche i no global. Convergenze rossobrune

HuffPost, 20 Aprile 2022

Oltre alle macerie dell'Ucraina, ecco quelle della sinistra. Oggi il 93enne Noam Chomsky, nume dei sessantottini libertari nella trinità Marcuse-Chomsky-Illich, dice al Corsera che "Zelensky dimostra grande coraggio e integrità nel guidare la resistenza ucraina, eroica e pienamente giustificata contro l'aggressione omicida" di Putin. Non condona il suo bersaglio storico, gli Stati Uniti, ma prende posizione netta. Invece metà sinistra, in Italia e nel mondo, accusa anche Usa e Nato, e soprattutto è contraria a mandare armi all'Ucraina.

Famiglie ideologiche come quella di Lotta Continua si spaccano: Erri De Luca, Manconi, Lerner e Sofri con gli ucraini armati; Guido Viale, Liguori e Capuozzo assai dubbiosi. E anche dentro l'Anpi un'invalicabile linea di faglia separa il presidente Pagliarulo dal presidente onorario Smuraglia.

A peggiorare le cose e a sparigliare le carte, poi, c'è l'oggettiva convergenza rossobruna. I fascisti sono quasi tutti putiniani, anche se qualche movimentista di Casa Pound è partito per combattere al fianco degli ucraini. E pure gli estremisti di sinistra, da Fratoianni a Rizzo, detestano Zelensky. Attore come Reagan.

Eppure Putin non è una bestia nuova. Prima di lui, trent'anni fa, per primo il presidente serbo Milosevic assommò in sé il nazionalismo di estrema destra e l'eredità del comunismo titoista. Cosicché gli orfani dell'Urss si trovarono a fianco dei fascisti nel condannare le bombe Nato sulla Serbia dopo la strage degli 8mila bosniaci a Srebrenica (1995) e la tentata pulizia etnica su 800mila kosovari (1999). Scatenata pure la Lega: "Meglio Milosevic di Culosevic", fu il fine slogan omofobo di Bossi contro i radicali di Pannella e Bonino, che proprio in quegli anni '90 inventarono il Tribunale internazionale per i crimini di guerra.

Poi arrivò il movimento noglobal contro il neoliberismo (Seattle 1999, Genova 2001), e l'imbarazzante alleanza fra opposti estremismi si replicò. Dai fascisti anni '80 di Terza Posizione arrivava la polemica terzista contro le élites cosmopolite mondialiste: "Abbasso il comunismo, ma anche il capitalismo liberale". A loro si sommava la sinistra antagonista di centri sociali ed ex autonomia, fino a tute bianche, anarchici insurrezionalisti e black block. E anche nei noglobal si inserivano i leghisti, con il localismo delle piccole patrie, e perfino una spruzzatina di ecologia (il mito del km zero contrapposto ai container in arrivo dalla Cina). 

L'antiamericanisno rossobruno riesplode nel 2003 contro l'invasione bushiana dell'Iraq, e nel 2011 contro la nofly zone di Obama in Libia. Sono questi, ancor oggi, i caposaldi della propaganda putiniana: "Biden vuol far fare a Putin la fine di Saddam e Gheddafi". 

Ma gli anti-Usa a prescindere accusano Washington sia quando interviene, sia quando non lo fa: i cospirazionisti di destra e sinistra infatti riescono ad addebitare a Obama e a Hillary anche il mancato intervento in Siria nel 2013. Nel frattempo nascono i grillini in Italia, i trumpiani negli Usa. E inventano un complotto ancor più spericolato: gli Usa avrebbero addirittura "creato", o almeno favorito, l'Isis. Sconfitto poi dall'ottimo Putin.


Il problema è che tutte queste fantasie, fino a vent'anni fa confinate nei deliri di qualche rivista o sito complottista, sono diventate maggioritarie nel mondo libero: in Usa con la vittoria di Trump (2016), in Italia con i gialloverdi (2018), in Francia una settimana fa con Le Pen, Zemmour e Melenchon, i quali sommati superano il 50%. Infine due anni di rivolta novax, nomask, nolockdown, nopass e notutto hanno centrifugato nostalgici fascisti e comunisti, grillini e leghisti in un rifiuto permanente della realtà, che si è trasferito tal quale (come tutti i rifiuti, di cui Guido Viale è studioso) sull'Ucraina. 

Per cui ora i putinisti fanno le vittime come le pittime di De Andrè, ma il mainstream di cui si lamentano ormai sono loro: lo dimostrano i sondaggi, che li danno in parità (40 a 40%) sulle armi a Zelensky, e in maggioranza assoluta contro l'aumento delle spese militari. 

Alla sinistra in pezzi non resta che sparire (come i comunisti e socialisti greci e francesi) o aggrapparsi a demagoghi tipo Melenchon. Così in Italia, dopo le fallimentari rifondazioni comuniste e liste Ingroia o Tsipras, ora rischiamo un bel poker di rimescolamento Di Battista-Paragone-Orsini-Fusaro. Perché, come cent'anni fa con Mussolini, le estreme si toccano. Dietro la schiena.

Mauro Suttora 

Monday, April 18, 2022

Quando Bob Dylan cantava: "Attendono tranquilli che il bullo si addormenti..."



Dal premio Nobel, oltre a "Blowin' in the wind", parole dure e taglienti contro tutti i Signori della guerra. E quelli che restano a guardare

di Mauro Suttora

HuffPost, 18 Aprile 2022

"Spero che moriate, e che la vostra morte arrivi presto/
Seguirò la vostra bara nel pomeriggio pallido/
Veglierò mentre vi calano nella tomba/
E starò lì finché sarò sicuro che siate morti".

Questa è l'invettiva che Bob Dylan scagliò contro i 'Masters of war', i Signori della guerra come Putin. Per niente pacifista. Eppure esattamente sessant'anni fa, nell'aprile 1962, il premio Nobel cantò per la prima volta la sua 'Blowin' in the wind' in un folk club di New York. Quello che divenne l'inno della pace cantato in tutti i cortei e le chiese del mondo si limita a porre domande: "Quante volte devono volare le palle di cannone prima di essere proibite per sempre? Quante morti ci vorranno prima di capire che è morta troppa gente?
La risposta, amico mio, soffia nel vento".

Innocua, ecumenica.
 Nello stesso lp, però, Dylan è meno nonviolento e assai più preciso nelle sue accuse:
"Signori della guerra, vi nascondete dietro ai muri e le scrivanie, ma io vedo attraverso le vostre maschere/
Giocate col mio mondo come se fosse un vostro giocattolo, mi mettete un fucile in mano e sparite, vi voltate e fuggite quando le pallottole volano/
Come Giuda mentite e ingannate [...], caricate le armi per far sparare gli altri, poi vi sedete e guardate mentre il conto dei morti sale/
Vi nascondete nei vostri palazzi, intanto il sangue dei giovani scorre fuori dai loro corpi ed è sepolto nel fango".

Il 21enne Dylan è sicuro: "Neanche Gesù perdonerebbe quel che fate". E completa il trittico antimilitarista del disco 'Freewheeling' (A ruota libera) con l'incubo della guerra nucleare 'A Hard rain's gonna fall', Una dura pioggia (radioattiva) cadrà. 

Nel 1964 esce 'With God on our side', Con Dio dalla nostra parte, che oggi può essere dedicata al patriarca ortodosso di Mosca Cirillo, così entusiasta per l'invasione dell'Ucraina: "Se Dio è dalla nostra parte, fermerà la prossima guerra". 

Ma forse la canzone di Dylan che meglio descrive Putin (e i nostri putinisti) risale al 1983, nel disco 'Infidels': 'Neighborhood bully'. Lui la dedicò a Israele, suscitando polemiche, ma è perfetta anche adesso: 

"È circondato da pacifisti che vogliono solo la pace, che pregano perché lo spargimento di sangue finisca/ Loro non farebbero male a una mosca, attendono tranquilli che il bullo si addormenti/ 
È il bullo del quartiere".


Monday, April 11, 2022

Anche Venezia per tre secoli ha avuto la sua Ucraina



Facevamo combattere i serbi contro i turchi, come oggi gli ucraini contro i russi

di Mauro Suttora 

HuffPost, 11 Aprile 2022 

U-krajna vuol dire 'sul confine'. E al confine fra la repubblica veneziana e l'impero ottomano, dal 1500 al 1797, c'era la regione Kraina con capolugo Knin, alle spalle di Spalato. Non era l'unica: tre infatti erano le Kraine che separavano i turchi, attestati in Bosnia, dalla Serenissima a ovest e dall'impero asburgico a nord. Funzionavano da 'antemurale', prima del muro: linee di difesa avanzata.  

Inizialmente popolate da croati, austriaci e veneziani accettarono di buon grado una fortissima immigrazione di serbi ortodossi, guerrieri temibili. E loro, spinti dall'odio sia etnico che religioso contro i turchi islamici che avevano invaso la Serbia, li combattevano con pari ferocia.

Venezia non era interessata a conquiste territoriali in Dalmazia. La costa è protetta dalle alpi dinariche, e alla Serenissima bastava il controllo dei porti: Zara, Spalato, Sebenico, Cattaro. Ma le incursioni turche la costrinsero ad ampliarsi all'interno per proteggersi, fino a inglobare la Kraina di Knin e oltre. I trattati di Carlovitz e Passarowitz a inizio '700 fissarono la frontiera dov'è ancor oggi, fra Croazia e Bosnia. Così, proprio mentre nel Mediterraneo Venezia perdeva via via posizioni (Cipro, Rodi, Creta), in Dalmazia ne acquistava, grazie alle guerre per procura combattute dai suoi serbi, lautamente armati (come noi oggi con gli ucraini) e pagati. 

Le enclaves serbe delle Kraine sono sopravvissute fino agli anni '90. Le guerre della ex Jugoslavia hanno provocato pulizie etniche reciproche, finché un'ultima offensiva croata ha fatto piazza pulita dei serbi a Knin nel 1995. 

Si potrebbe dire che anche i russi di Putin hanno fatto da 'antemurali' cristiani contro gli islamisti, combattendoli prima in Cecenia e poi in Siria. Ma questo è un altro discorso.

Mauro Suttora


Tuesday, April 05, 2022

Chi crederà a Putin se un giorno dovesse dire la verità?



Cambiare il significato delle parole per nascondere la realtà: ogni giorno ha la sua menzogna

di Mauro Suttora 

HuffPost, 5 Aprile 2022

Ieri, dopo gli eccidi di Bucha, ho fatto un esperimento. Ho scritto su Facebook: "Se sgancerà l'atomica (tranquilli, una piccola, tattica) Putin dirà che sono stati gli Usa. E non pochi disagiati in Italia gli crederanno". I disagiati hanno subito risposto: "È più probabile che lo faccia Biden", "Gli unici a sganciare l'atomica finora sono stati gli americani", "Come le armi di distruzione di massa di Saddam", eccetera. Gran successo sui social per una cronaca quasi minuto per minuto in cui Toni Capuozzo cerca di dimostrare che lo foto di Bucha sono una montatura.

Insomma, le bugie di Putin pigliano. Fin dall'inizio è stato lui a dettare le regole, d'altronde. La sua guerra non è una guerra. L'Ucraina è piena di drogati e nazisti da estirpare, di tradizione ortodossa da salvaguardare e di russi da difendere. L'ultima menzogna, il giorno prima dell'attacco: "Rivendichiamo Donbass e Crimea". E invece invade tutta l'Ucraina.

Il ribaltamento della realtà è proseguito quando le cose si sono messe male. I suoi tank lanciati verso Kiev sono stati inceneriti? "Ora ci riposizioniamo". I suoi missili colpiscono ospedali? "Non c'erano malati, erano stati trasformati in basi del battaglione nazista Azov". Ha ammazzato civili? "Erano scudi umani usati dagli ucraini". Non permette l'evacuazione delle famiglie di Mariupol? "Sono gli ucraini a impedir loro di partire".

Sembra che Putin voglia applicare alla lettera le regole di Orwell: cambiare il significato delle parole per nascondere la realtà.

Dopo le fosse comuni di Bucha si è aggiunto il ministro degli Esteri Lavrov: "È tutta una messa in scena occidentale". Il ricordo va ad Alì il Chimico, il ministro dell'informazione iracheno che nel 2003 negava l'invasione di Bagdad anche coi soldati statunitensi già per le strade. Normalmente i governanti, di fronte ad accuse raccapriccianti contro i propri militari, si rifugiano nella frase: "Istituiremo una commissione d'inchiesta". A volte si scusano, come gli Usa lo scorso agosto dopo che un loro drone uccise una famiglia a Kabul.

Invece la menzogne seriali di Putin si affastellano all'infinito. È un dramma: chi gli crederà, dovesse un giorno dire la verità? Obiettano i putiniani nostrani: in guerra tutti mentono, sempre. Alt. In Vietnam furono proprio i giornalisti embedded con gli americani (compresa la nostra Oriana Fallaci) a svelare la verità. I governi possono cercare di mentire, ma se sono democratici la verità viene fuori. Sono le dittature a basarsi sulla propaganda: sempre, in pace e in guerra. La nostra Eiar esultò perfino nel 1943, quando gli Alleati sbarcarono in Sicilia: "Li abbiamo respinti sul bagnasciuga". 

I meccanismi del consenso nei regimi totalitari sono stati svelati già nel 1941 da Erich Fromm in Fuga dalla libertà (libro tradotto solo vent'anni dopo in Italia, perché indigesto anche ai comunisti). Quel che Fromm non poteva prevedere, era la presa che la disinformazione può avere anche nel mondo libero. Qui da noi, fra grillini, leghisti, nostalgici fascisti, filosovietici e complottisti vari, sono milioni i creduloni. Tutti i testimoni a Bucha accusano Putin? Ancora peggio: è il "mainstream", il pensiero unico, i giornaloni. Che bello essere controcorrente. Mica ce la danno a bere. Chi? Loro. Cioè chi? I poteri forti. Non c'è via d'uscita dalla paranoia cospiratoria.

Tutti noi abbiamo un amico, un parente, un conoscente un po' svitato che come l'Anpi, di fronte alle foto di Bucha, chiede una "commissione d'inchiesta indipendente". O almeno cerca di salvarsi in corner con l'ecumenico "perché meravigliarsi, tutte le guerre sono così". È un vicolo cieco, Popper è sconfitto. 

Non sbaglia quindi Putin a rifugiarsi nella spudoratezza, a negare sempre anche l'evidenza come un qualsiasi traditore col coniuge, a spargere la "nebbia della guerra" su ogni sua malefatta. Gettando merda nel ventilatore, qualche schizzo produrrà qualche dubbio. Che magari lo salverà dal Tribunale internazionale dei crimini di guerra verso cui, come Milosevic, sembra agevolmente avviato. 

Mauro Suttora

Saturday, April 02, 2022

Pannella si batteva contro ogni forma di censura. Non è il caso di Orsini (sta sempre in tv)

Il professore invoca a sua difesa il leader scomparso. Tra l'altro dimentica che i radicali hanno sempre combattutto Putin

di Mauro Suttora

HuffPost, 2 Aprile 2022 

Lo so, la miglior difesa dagli esibizionisti è l'indifferenza. Ma se Orsini invoca Pannella  contro la censura di cui sarebbe vittima, merita una risposta. Anche perché se mi chiamassi Orsini mi vanterei di avere scritto ben tre biografie (troppe) sul capo radicale.


È certamente vero che "Pannella si batteva contro ogni forma di censura". Non è questo il caso di Orsini, il quale in un mese è stato invitato in prime serate tv più di Pannella in vent'anni.


Ma, entrando nel merito, Orsini dimostra - ad abundantiam - di non aver "studiato abbastanza" (sempre per usare le sue parole). Il leader radicale e il suo partito, infatti, sono fra i rari politici italiani, forse gli unici, che non solo non hanno mai apprezzato né lodato Putin, ma lo hanno combattuto con decisione fin dall'inizio. Tanto che nel 2000 Lavrov, allora ambasciatore russo all'Onu, chiese l'espulsione del Partito radicale dall'Ecosoc, l'organismo delle Nazioni Unite dedicato alle ong. E quanto i microbi radicali risultassero fastidiosi per Russia e Cina (anch'essa voleva cacciarli) me lo confermò lo stesso Lavrov quando due anni dopo lo incontrai a un ricevimento al consolato russo di New York: "Chi sono veramente questi radicali italiani?", mi chiese, brillante e affabile come sempre (mieteva successi fra le signore di Manhattan).

Ma non c'è molto da scherzare, nei rapporti Pannella/Putin. Perché c'è di mezzo anche un assassinio: quello di Antonio Russo, giornalista di Radio Radicale ammazzato a Tbilisi mentre indagava sui misfatti di Mosca in Cecenia. Probabili esecutori, i servizi segreti di Putin ha. Lo picchiarono fino a sfondargli gli organi interni. Negli anni seguenti il segretario radicale Olivier Dupuis denunciò il putinismo in ogni consesso internazionale, invitando i ceceni nonviolenti (sì, esistono anche loro) a parlare alla Commissione Onu per i diritti umani a Ginevra, assieme agli uiguri perseguitati dai cinesi e ai dissidenti di tutte le dittature del mondo.


Insomma, su Putin Pannella prenderebbe Orsini a pernacchie. E poi lo inviterebbe a cena, perché era anche simpatico, e gli piaceva da matti litigare (come Orsini). Ma c'è di più. Pannella nel 1991 indossò la divisa militare croata e si fece fotografare nelle trincee di Vukovar. Scandalo totale: il Gandhi italiano delle marce antimilitariste e dell'obiezione di coscienza alla naja sputava sulla nonviolenza? Anch'io barcollai. E invece aveva ragione. Aveva capito prima di tutti la natura criminale del presidente fasciocomunista serbo Milosevic. Neanche i croati erano agnellini. Ma quella volta, in quei giorni, erano loro a subire la pulizia etnica. Quindi, come dicono a Roma, "quanno ce vo', ce vo'".

Così, anche in questi giorni non pochi pacifisti accettano che gli ucraini vengano aiutati con quel che loro chiedono: armi per difendersi. E i radicali chiedono l'incriminazione di Putin al Tribunale internazionale che loro (Bonino) crearono negli anni '90. Allora per punire stragi come Ruanda e Srebrenica, oggi Mariupol. 

Pannella era filoUsa e filoGb: "Perché le democrazie anglosassoni sono le più antiche, e le uniche che non hanno mai conosciuto la dittatura". Ma questo non gli impedì di chiedere l'incriminazione di Blair per aver mentito al suo popolo durante la seconda guerra del Golfo. 

Altro insegnamento di Pannella: "Le democrazie non fanno guerra ad altre democrazie". Per non parlare del conflitto delle Falkland/Malvine, di cui proprio dopodomani cade il quarantennale: spesso i dittatori cadono grazie alle guerre che dichiarano, come i generali argentini nel 1982 o i colonnelli greci nel 1974. Ma devono trovarsi di fronte dame di ferro tipo la Thatcher. O ex comici come Zelensky. Non sociologi amanti della "complessità" e vittimisti (un po' come Pannella) tipo Orsini.

Mauro Suttora 

Monday, March 28, 2022

Casaleggio, Grillo, Conte: il senso putiniano della democrazia



Candidato unico, intimidazioni, purghe. Nei giorni del voto bis sulla leadership, osservazioni sulla vita interna dei 5 stelle, sul maestro Putin e su qualche influsso nord coreano

di Mauro Suttora

HuffPost, 28 Marzo 2022 

"I parlamentari della Duma condividono in pieno il video di Putin e sono stanchi di una piccola minoranza che crea spaccature. Si osserva con attenzione chi condivide e chi non condivide il video di Putin. Ormai deve essere chiaro chi abbraccia il nuovo corso e chi no". 

È un comunicato che arriva da Mosca? Macché. Sostituite Duma con M5s, Putin con Conte, e assaggerete la minaccia che incombe in questi giorni sui parlamentari grillini. Una dichiarazione anonima avverte gli avversari interni dell'ex premier: se non mettete like e non condividete sui social l'ultimo video dell'ex premier, siete fuori. Democrazia nel tempo della Rete. Per l'ennesima volta gli iscritti pentastellati provano a votare il loro nuovo leader, e per l'ennesima volta dimostrano di essere digiuni di pluralismo.

Perché perfino Putin, o Erdogan o gli Ayatollah quando indicono elezioni hanno l'accortezza di non proporre un candidato unico e un partito unico. Lo facevano anche i furbi regimi sovietici. Oltre al partito comunista sulla scheda si poteva scegliere qualche altra formazione: il fronte degli agricoltori, addirittura finti partiti liberali come quello tedesco orientale, che prendeva regolarmente il 10% ed era alleato perpetuo nel Fronte popolare con la Sed, il partito del dittatore Honecker. E anche Putin permette a tutti di sfidarlo al voto, salvo incarcerare o avvelenare chi può impensierirlo, come Navalny.

Bando alle ipocrisie: l'imprinting nordcoreano grillino non necessita di trucchi come avversari posticci. L'unica scelta permessa è fra il sì e il no al candidato unico imposto dal vertice. Perciò ai grillologhi, per misurare il suo reale consenso, non resta che contare gli astenuti. È sempre stato così, anche prima di Conte. I grillini nascono consustanzialmente totalitari, anche se questo aggettivo è comico per il partito di un comico. 

Ricordo i primi meetup nel 2006-2007, subito squassati da furibonde liti interne. A Milano c'era una spia che riferiva ogni parola ai Casaleggio, e questi facevano terra bruciata attorno ai dissidenti. A Roma tre dei quattro eletti nel 2008 nei municipi dopo pochi mesi passarono ad altri partiti, uno all'Udc di Cesa e Casini. Perfino la fedelissima Roberta Lombardi tradì come l'apostolo Pietro: osò borbottare contro i metodi antidemocratici del Movimento, poi si pentì e fu riaccolta. 

Da allora periodiche purghe staliniane hanno sempre devastato i grillini. Al posto della Siberia ci sono le shitstorm online per segare i nervi ai dissenzienti; l'olio di ricino viene somministrato con espulsioni sommarie e accuse paranoidi ("Vuoi allearti col Pd" era la più in voga prima di allearsi col Pd), senza possibilità di contraddittorio. Temendo delazioni, gli eletti si sono rifugiati in chat private sempre più segrete, prima su WhatsApp, ora su Telegram. Gli organi dirigenti interni sono sempre stati decisi da Grillo e Casaleggio, fin dal primo direttorio del 2014 con Di Maio e Di Battista da votare in blocco, prendere o lasciare. 

Ciononostante, anche in questa legislatura su oltre 300 eletti ne sono rimasti solo 200. Anche perché il principale epurato ora è lo stesso Casaleggio junior, che un anno fa ha fatto la fine di Trotsky e oggi reclama invano da Conte il saldo di 450mila euro di debiti. Ecco, così è finito il Movimento nato per portare trasparenza e pulizia in politica: nel suo esatto opposto, con plebisciti al posto dei referendum e ratifiche al posto delle elezioni. C'è più democrazia in una società quotata in borsa o in un condominio, che fra i grillini. Ma ormai tutti sembrano essersi abituati, e ci pare normale che Conte venga eletto capo senza concorrenti.

Mauro Suttora 

 

Friday, March 25, 2022

Segre e Smuraglia, partigiani veri: loro c'erano e quindi non sono equidistanti

Il ricambio generazionale dell'Anpi ha portato al disastro attuale: gli autoproclamati eredi antifascisti dei partigiani che non riescono a riconoscere i partigiani di oggi, in lotta concreta, coraggiosa e sanguinosa per la democrazia, la libertà e l'autodeterminazione dei popoli. Non ci resta che ascoltare i nonni della resistenza vera

di Mauro Suttora

HuffPost, 25 Marzo 2022

Carlo Smuraglia compirà 99 anni in agosto. È stato molte cose: professore universitario di diritto del lavoro, avvocato (parte civile per i morti di Reggio Emilia 1960, Pinelli, Seveso), consigliere regionale Pci e presidente del Consiglio in Lombardia dal 1970, consigliere Csm, senatore Pds. Un monumento vivente della sinistra. E soprattutto partigiano nelle sue Marche e presidente dell'Anpi.

 L'Associazione nazionale partigiani italiani ha sentito il bisogno di esprimersi contro l'invio di armi agli attuali partigiani, quelli ucraini che resistono all'invasione di Putin. Ma Smuraglia li ha fulminati: "Quella dell'Ucraina è Resistenza, e va aiutata anche con le armi".

Un'altra novantenne venerata dall'Anpi è la senatrice a vita Liliana Segre. Non ha bisogno di presentazioni. Anche lei ha bacchettato l'Anpi nel suo discorso al congresso in corso a Riccione: "La resistenza del popolo invaso rappresenta l'esercizio del diritto fondamentale di difendere la propria patria. Non è concepibile nessuna equidistanza. Se vogliamo essere fedeli ai nostri valori dobbiamo sostenere il popolo ucraino".

Cosa accomuna Smuraglia e Segre? L'età. Entrambi hanno vissuto personalmente l'esperienza della guerra, dell'invasione nazista, della deportazione e della lotta per la liberazione. Per ragioni anagrafiche, invece, il 98% degli attuali iscritti all'Anpi non è stato partigiano. La più giovane staffetta che avesse avuto 13 anni nel 1945 oggi è novantenne. 

È curioso che chi ha avuto a che fare direttamente con un'aggressione sia più solidale con l'Ucraina attaccata da Putin? No. A volte è proprio l'età a rappresentare uno spartiacque, in politica. "Don't trust anybody over thirty", non fidarti di nessuno che abbia più di trent'anni, dicevano i primi universitari contestatori a Berkeley nel 1964. 

Oggi, viceversa, nessuno si fidi di chi ha meno di 90 anni, ma pretenda di parlare a nome di una resistenza mai fatta. "Non ho l'età", cantava Gigliola Cinquetti, e neanche l'attuale presidente Anpi Gianfranco Pagliarulo, già ottimo funzionario del Pci milanese e poi senatore di Rifondazione comunista, ce l'ha. È un giovanotto 72enne che non attese le armi paracadutate dagli Alleati, con cui i partigiani si opponevano ai nazifascisti.

"Questa mattina mi son svegliato, e ho trovato l'invasor": sono gli ucraini oggi a cantare Bella Ciao. Anzi, il "glorioso popolo ucraino che resiste", come l'Anpi ha definito tutti i movimenti di liberazione degli ultimi 75 anni, e ai quali ha inviato aiuti, raccolto soldi con collette, organizzato manifestazioni. 

Oggi invece i suoi cortei e appelli sono "per la pace", indistintamente, anonimamente, e non più in concreto per il Vietnam o il Salvador o il Nicaragua. Zelensky, il Che Guevara di Kiev, è sbeffeggiato come un Grillo qualsiasi, un ex comico di Ballando con le stelle magari anche un po' vagamente nazistoide e imboccato dalla Cia.

Insomma, "questa mattina mi son svegliato e ho trovato il putinista". Anche perché negli ultimi vent'anni tutta l'area antagonista della sinistra estrema e dei centri sociali ha praticato con l'Anpi una vecchia tecnica staliniana: l'entrismo. Ovvero iscriversi in massa a un'associazione per impadronirsene. 

Cosicché il ricambio generazionale ha portato al disastro attuale: gli autoproclamati eredi antifascisti dei partigiani che non riescono a riconoscere i partigiani di oggi, in lotta concreta, coraggiosa e sanguinosa per la democrazia, la libertà e l'autodeterminazione dei popoli. Non ci resta che ascoltare i nonni della resistenza vera.

Mauro Suttora 

Monday, March 21, 2022

Mariupol tornerà Ždanov?



Chissà se Putin ribattezzerà la città ucraina, dopo averla rasa al suolo, restituendola al nome del feroce ministro simbolo della propaganda comunista e della sottomissione culturale alla linea del partito

di Mauro Suttora

HuffPost, 21 Marzo 2022 

Chissà se Putin ribattezzerà Ždanov la città di Mariupol, dopo averla rasa al suolo. 

Il porto martire sul Mar d'Azov, con le sue migliaia di bambini, donne e civili uccisi dall'armata russa, si è chiamata infatti Ždanov per volere di Stalin dal 1948 al 1989. Il dittatore sovietico la dedicò al proprio fedele e feroce ministro della Cultura, nato a Mariupol nel 1896, subito dopo la sua morte precoce per infarto, obesità ed etilismo. Da allora l'antonomasia ha trasformato il cognome di Andrei Ždanov nel simbolo della propaganda comunista e della sottomissione di ogni artista e intellettuale alla linea del partito.

Così 'Zdanovismo' rimane ancor oggi la definizione più sintetica e tremenda della politica culturale sovietica al tempo delle purghe staliniane negli anni '30, quando bastava un sospetto di deviazione per essere spedito a morire in un gulag siberiano.

Ždanov, il Goebbels di Stalin, fu anche l'inventore della parola 'agit-prop': inventò infatti il Dipartimento per l'agitazione e propaganda del partito comunista sovietico, di cui fu il primo commissario fino alla morte. Ente efficacissimo, visto che riuscì per decenni a turlupinare filosofi, giornalisti e scrittori di tutto il mondo, da Sartre in giù, convincendoli che l'Urss era il paradiso in terra. 

È Zdanov il vero inventore delle fake news. Solo qualche sprovveduto complottista può credere che la disinformazione sia nata con internet: in realtà per ben 72 anni, fino al suo suicidio nel 1989, il comunismo si è retto sulla sistematica falsificazione della realtà. Chi osava mettere in dubbio la versione ufficiale del partito, dentro e fuori l'Urss, veniva immediatamente liquidato da Zdanov come "feccia nemica della classe lavoratrice" secondo la sua famosa definizione al congresso del Pcus nel 1939.

È stata appunto la lingua russa a regalarci il termine "disinformazia", ovvero la scientifica distorsione governativa dei fatti. Ma quel che è grave è che da Solgenitsin a Sacharov, da Trotsky a Navalny, da Bucharin alla Politkovskaya, nulla sembra essere cambiato a Mosca. Il Muro può anche essere crollato un terzo di secolo fa, ma con la garanzia del kgb Putin lo zdanovismo sopravvive ancor oggi.

Quindi sarebbe giusto che Mariupol tornasse a chiamarsi Ždanov. Perché sulle rovine della città distrutta continuano a danzare le menzogne della propaganda: Putin, dopo aver vietato la parola "guerra", sarebbe capace di sostenere che i suoi palazzi sono stati rasi al suolo dagli stessi abitanti, per poter incolpare i militari russi.
Molti gli crederebbero, anche in Italia.

Mauro Suttora 

Thursday, March 10, 2022

Putin non rade al suolo solo l'Ucraina, ma ogni regola di guerra

Non ha neanche dichiarato guerra. Quindi non si sente tenuto a rispettare i codici bellici. Come il non attaccare i civili in fuga

di Mauro Suttora

HuffPost, 10 Marzo 2022

Come molti milioni di italiani, ho partecipato a vari cortei per la pace nella mia vita. Eravamo un milione a Roma nel 1981 contro gli euromissili atomici, e di nuovo nell'83. Craxi ci rispose cinico: "Bene, vuol dire che gli altri 59 milioni sono favorevoli". Poi bastò il buon senso di un solo uomo, Gorbacev, per smantellarli in dieci minuti e accordarsi con Reagan. 

Noi nonviolenti eravamo gentilissimi. Non urlavamo "Yankee go home!" ai militari delle basi statunitensi in Italia, ma "Cari soldati Usa, lasciate l'esercito e restate con noi". Visitai Gesualdo Bufalino, scrittore di Comiso, il paese siciliano che doveva ospitare i missili Cruise. Gli chiesi di appoggiarci, ma lui mi rispose: "Voi pacifisti dovete andare anche nei Paesi comunisti a protestare contro le loro bombe nucleari".

Detto fatto: nel 1982 aiutai i radicali a volantinare nelle capitali dell'Est, preparai fogli e ciclostili alla loro partenza in treno da Milano. Tutti arrestati ed espulsi dopo venti minuti di dimostrazioni nelle piazze di Mosca, Berlino Est e Praga. Ma avevamo dato la prova di essere equidistanti, non filosovietici. 

Negli anni '90 altre marce antimilitariste, da Perugia ad Assisi, per Sarajevo martoriata dai serbi. Dopo la strage di Srebrenica la Nato bombardò Milosevic anche con i Cruise, e lì mi vennero i primi dubbi. Bastarono due settimane di raid su obiettivi militari per costringere il capo serbo a firmare la pace di Dayton, dopo quattro anni di guerra civile e centomila morti. Certo, ci furono 27 morti civili. Ma non capii le proteste pacifiste contro la Nato 'umanitaria'. "Quanno ce vo', ce vo'", dicono a Roma. Perfino Gandhi approvò gli indiani che si arruolarono contro Hitler.


Neanche oggi capisco i pacifisti. Come nel 1995 con il fasciocomunista Milosevic, è impossibile essere equidistanti. Quindi sarebbe ipocrita non aiutare gli ucraini aggrediti anche rifornendoli di armi. Putin sta violando ogni legge internazionale violabile. Fin dall'inizio: come ha detto il generale Angioni, non ha neanche dichiarato guerra all'Ucraina. Quindi non si sente tenuto a rispettare i codici di guerra. Come il non attaccare i civili in fuga.

Il trolley della famiglia sterminata a Irpin rimarrà il simbolo del suo porsi al di fuori del consorzio civile. Oppure l'ospedale dei bimbi di Mariupol, ieri. Quando è arrivata la notizia del bombardamento, ho pensato: "Ora qualche figlio di Putin in Italia dirà che gli ucraini si sono autocolpiti". Infatti: Facebook e Telegram zeppi di finti video e obiezioni tipo: "Se fosse vero, come mai 'solo' 17 feriti?". 

Questa volta i nostri  filorussi hanno superato perfino i russi: "Indagheremo", aveva infatti promesso in un primo tempo il portavoce Peskov, senza negare il misfatto. Poco dopo tuttavia, smentendo questo lampo di onestà, il ministro Lavrov ha goebbelsizzato: "In quell'ospedale si nascondevano i fascisti ucraini del battaglione Azov".

Sono tante, purtroppo, le stragi e le scuse assurde che ci aspettano nelle prossime settimane. Perché Putin ha deciso di non rispettare alcuna regola. E di negare ogni evidenza, grazie alla sua secolare esperienza Ceka-Kgb. Ormai abbiamo a che fare con un fuorilegge. 

Il problema siamo noi, se abbocchiamo. Perché non si possono mettere sullo stesso piano le inevitabili esagerazioni bellicose del democratico Zelenski e la gelida disinformazia dell'autocrate Putin. Anche cecoslovacchi e polacchi erano fastidiosi e petulanti nel 1938/39, prima di essere inghiottiti dai nazisti. Ma ottant'anni fa i nostri nonni credevano a Radio Londra e non all'Eiar fascista, che dava Mussolini vincente fino al 24 luglio 1943. Anche se ci volle il bombardamento del quartiere San Lorenzo per convincere qualche irriducibile romano che qualcosa non andava. 

A noi non è bastato il 24 febbraio 2022, replica esatta del 1 settembre 1939, per capire che Putin sta imitando Hitler? Lo ha già fatto vent'anni fa a Grozny in Cecenia, peraltro, e poi ad Aleppo in Siria. È questa l'unica autocritica che il mondo libero deve fare, non certo quella dell'allargamento Nato. Perché, obnubilati dal pericolo dei terroristi islamici, abbiamo lasciato Putin sterminare i civili ceceni e siriani. 

Perciò quando il mio amico Mao Valpiana, dirigente del Movimento Nonviolento, dopo l'invasione dell'Ucraina mi ha invitato a manifestare "per la pace e contro tutte le guerre", ho dovuto rispondergli: "Manca il nome del responsabile. E l'indirizzo dell'ambasciata o consolato russo davanti ai quali protestare".

Mauro Suttora

Tuesday, March 01, 2022

Non sarà facile trovare un Garibaldi nelle Brigate internazionali per Kiev

Per noi italiani, dopo 77 anni di pace, la guerra è diventata impensabile, impossibile, troglodita. Figurarsi crepare per patrie altrui

di Mauro Suttora

HuffPost, 1 Marzo 2022

È nobile che venga voglia di andare in Ucraina a combattere per la libertà. Ma non si illudano i ragazzotti vogliosi di imbracciare un kalashnikov: il governo di Kiev arruola volontari, tuttavia le sue ambasciate e consolati rifiutano chi non è già provvisto di una certa esperienza. Che manca alla quasi totalità dei giovani in Italia, dove la leva obbligatoria è stata abolita 17 anni fa. 

Le Brigate internazionali ucraine nasceranno comunque, e migliaia di stranieri si arruoleranno. Andranno a combattere una guerra sporca, perché in mancanza di una tregua già ora lo scenario è da guerriglia urbana. Non esistono fronti: i russi sono in movimento e hanno paracadutato i loro temibili spetsnaz, le forze speciali, anche dietro le linee nemiche.

Peggio ancora se riuscissero a occupare l'Ucraina, parzialmente o totalmente: gli stranieri dovrebbero aggregarsi a gruppi di partigiani clandestini, con problemi pratici terribili. Basti pensare al cirillico, l'alfabeto incomprensibile per cui risulta ostico perfino decifrare i cartelli stradali. O ai tagliagole ceceni, o ai russi travestiti con divise ucraine. 

Ma tutto ciò non bloccherà i nuovi internazionalisti, che già combattono da anni nel Donbass. Compreso qualche italiano, anche se con scelte comiche. I fascisti nostrani, infatti, non sanno bene da che parte stare: quelli di Forza Nuova danno manforte ai separatisti filorussi, mentre Casa Pound ha scelto gli ucraini. L'importante per molti è soltanto  menare le mani, a volte perfino per l'Isis, anche se nel caso dell'Ucraina aggredita l'afflato romantico è rispettabile.

D'altra parte, il poeta Byron andò a morire in Grecia 26enne, e anche il nostro carbonaro Santorre di Santarosa perse la vita per l'indipendenza ellenica. Fino ad allora le guerre le facevano i re, e gli stranieri che combattevano per bandiere non loro lo facevano di professione. Erano i mercenari, spesso inquadrati in compagnie d'arme, altre volte in solitaria, come il Barry Lindon del film di Kubrick. La stessa parola 'soldato', ignota nell'antichità, significa assoldato, al soldo, a pagamento. 

La figura del volontario idealista nasce nell'800, nutrita dalle guerre nazionaliste in Italia, Grecia, Polonia. Il primo internazionalismo fu quello di Mazzini, antecedente a Marx, e se si cantasse l'inno di Mameli fino alla quinta strofa ci si imbatterebbe nel gemellaggio fra "il sangue d'Italia e il sangue polacco" già allora "bevuti" dai perfidi cosacchi (russi) e austriaci.


Garibaldi è celebrato, con Che Guevara, come l'eroe internazionalista più leggendario del mondo. Ambedue con imprese intercontinentali al limite dell'autolesionismo: il capo delle nostre camicie rosse andò a combattere per la Francia a Digione nel 1870 nonostante questa gli avesse rubato la città natale Nizza dieci anni prima.

Ma oggi "Pulchrum est pro patria mori" è un proverbio desueto: per noi italiani, dopo 77 anni di pace, la guerra è diventata impensabile, impossibile, troglodita. Figurarsi crepare per patrie altrui. O per astratti ideali: "Morire per delle idee? Sì, ma di morte lenta", cantavano sarcastici i libertari antimilitaristi Brassens e De André. 

C'è da vergognarsi, pensando ai coraggiosi che andarono in Spagna nel 1936 per combattere il nazifascismo. Trovandosi però inquadrati sotto i comunisti, i quali non esitarono ad ammazzare, assieme ai nemici franchisti, anche i propri alleati anarchici. 

Insomma, è sempre complicato scegliere la parte giusta. Ancor più quando ci si avventura all'estero: si rischia di bombardare i vietnamiti per conto degli Usa, come fecero i piloti di vari Paesi Nato (Italia compresa) in missioni ancora coperte dal top secret dopo 60 anni. O di essere ammazzati in Mozambico, come capitò al povero giornalista militante Almerigo Grilz nel 1987.

Quindi, ai giovani in cerca di adrenalina non possiamo impedire di partire allo scopo di ottenere emozioni forti in Ucraina. Ma se torneranno mutilati o in bara diano un po' di colpa anche alla propria generosa avventatezza, oltre che a Putin.

Mauro Suttora