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Friday, July 01, 2022

Da Fedez a Elisa Esposito, senza il nozionismo è tornata l'ignoranza

Cosa si insegna nelle scuole se amabilmente una tiktoker può confessare di non conoscere l'autore di "Nel mezzo del cammin di nostra vita?

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 1 Luglio 2022


"Beppe insieme a Gianroberto ci hanno regalato un sogno", ha scritto l'altroieri la vicepresidente grillina del Senato, Paola Taverna. Nulla di grave, anche se la concordanza fra soggetto e verbo sta nel programma di terza elementare. Avevamo concesso la licenza poetica al Jovanotti di "non c'è niente che ho bisogno", quindi possiamo regalare anche una licenza politica alla dolce creatura di Grillo e Casaleggio.


Il problema, però, sono le esondazioni. Perché ormai gli strafalcioni tracimano e ci travolgono, basta accendere la tv e sbirciare i social per essere divertiti o disgustati dall'ignoranza che aumenta quanto l'acqua in Valtellina nel 1987. 

"Nel mezzo del cammin di nostra vita? Non so chi lo ha scritto", ha confessato la influencer Elisa Esposito, nonostante abbia conquistato 830mila follower su Tiktok fregiandosi del titolo di 'Prof del corsivo'. La sventurata è poi precipitata nel girone degli impuniti difendendosi così: "State facendo un dramma sulla Divina Commedia, quando il 90 per cento degli italiani non sa manco fare due per due. Mollatemi, insegno il corsivo, non letteratura". 

Dante Alighieri non è mai stato fortunato in tv. Una ventina d'anni fa fu confuso per assonanza con Santi Licheri, giudice di Forum, da un concorrente della prima edizione del Grande Fratello, Salvo il pizzaiolo. Al quale poi Rocco Casalino impartì lezioni di letteratura. 

Oggi è doloroso il rapporto di rapper e influencer con la cultura, Fedez non sa chi è Strehler e sua moglie ci ammorberà con ulteriori predicozzi a Sanremo dopo quelli di Rula Jebreal et similia.
Io guardo apposta i preserali su Rai1, l'Eredità e ora Reazione a catena, per mettermi di buonumore prima di cena. Gli sfondoni sono assicurati, perché ai concorrenti tocca passare dall'orale allo scritto, dall'orecchiato alla carta che canta. Così l'accozzaglia diventa "la cozzaglia", l'impero romano dura fino al 1400, Einstein e Rubinstein risultano intercambiabili.


Sui social, poi, è l'apoteosi: un putiniano l'altro giorno ha assicurato che la Russia non vuole invadere anche la "Bessarabia Saudita".
Poiché le castronerie aumentano col diminuire dell'età degli autori, la questione è: cosa sta succedendo nelle nostre scuole?
Non è che noi boomers siamo solo barbogi brontoloni, che dimenticano i variegati analfabetismi delle generazioni passate?

"A me m'ha rovinato 'a guera", gemevano Petrolini e Sordi. Questi invece incolpano il virus che li ha costretti in casa per due anni. Come se nelle case non ci fossero libri, giornali o anche solo wikipedia con cui colmare le proprie lacune.

La verità, invece, è che dappertutto (elementari, medie, università) ha vinto la sociologia. E ha perso il nozionismo. Non si insegnano più quelle mille date, nomi e fatti che distinguono l'uomo dalla scimmia, perché sono appigli minimi ai quali aggrapparsi senza dover vagare di liana in liana, privi di punti di riferimento. 

Noi sapevamo a memoria tutte le cento province d'Italia, oggi c'è il navigatore. Per ricordarsi le capitali del mondo basta Google. Nelle aule è tutto un trionfo di "percorsi formativi" all'interno di "progetti educativi", "nella misura in cui si porta avanti un discorso dentro a un quadro organico".


Perfino i testi delle canzonette sono rovinate da sociologismi astratti al posto dei fatti concreti che in tre minuti raccontavano una storia: "Io l'altra notte l'ho tradita", iniziava Celentano, e poi tutti curiosi di sapere come finiva.
Ora invece sono tutti psicologi ai quattro formaggi, si portano dietro le loro paure e i loro traumi. 

Idem con la storia: quelli di sinistra spiegano ogni cosa con la "crisi della borghesia" e il "trionfo del neoliberismo", a destra replicano con "cadute di valori" e "perdita d'identità". Ma indicatemi una data, caspita, una battaglia, un personaggio che ha segnato la svolta fra un prima e un dopo.


Le nostre maestre ci deliziavano con aneddoti, da Muzio Scevola ad Attilio Regolo, da Maramaldo a Garibaldi. Imparavamo così automaticamente, senza sforzo, concetti basilari come l'onore, il rispetto, la parola data, la codardia, l'infingardaggine, l'eroismo. Ci bastava ascoltare a otto anni il discorso ai plebei di Menenio Agrippa per intuire la fregatura eterna che i ricchi tirano ai poveri, senza bisogno di arrivare fino a Marx. E come fa a capire le elementari ragioni degli ucraini chi non conosce Pietro Micca?


Quindi i giovani sono incolpevoli. Quelli di loro che immagazzineranno dati, li useranno e si daranno da fare,  prevarranno. Gli altri, che i dati li snobberanno per rifugiarsi in teorie parareligiose (complottismo, grillismo, leghismo, fascismo, comunismo, sovranismo, novax, sìPutin), combineranno poco come sempre. E alla fine cercheranno di farsi mantenere dai primi col reddito di divananza.

Mauro Suttora

Thursday, June 23, 2022

Beppe Grillo, il perfetto élitario











Ha guidato il popolo contro le élites ma disprezza le sue creature, scompare e riappare, non si mescola a loro, li tratta come codazzo, entourage plaudente, dipendenti da convocare al suo cospetto al Forum o a Bibbona. E si fa chiamare l'Elevato, appunto

di Mauro Suttora

HuffPost, 23 giugno 2022 

"Siete dei miracolati! Non guadagnavate un cazzo prima di conoscere me!". Si misero a ridere Di Maio, Di Battista, Fico, Taverna e Ruocco quando qualche anno fa, da un palco, Beppe Grillo urlò loro in faccia la verità. Al buffone è sempre stato permesso rivelare che il re è nudo, figurarsi quando è lui stesso il re (dei grillini, e per qualche anno anche della politica italiana). 

Il geniale comico, nascondendosi dietro all'ambiguità serio/faceto, i suoi adepti li ha sempre presi in giro sanguinosamente. Ne sa qualcosa Beppe Conte, che giusto un anno fa venne accusato di "non avere visione politica, capacità manageriali e di innovazione, né esperienza di organizzazioni. Fa statuti seicenteschi".

Dopo una sentenza così definitiva fu proprio Di Maio, con Fico e Taverna, a rappattumare i rapporti fra i due Beppe. Ma quanto avesse ragione Grillo lo dimostra il disastro di questi giorni. 

Il problema è che il fondatore del Movimento 5 stelle è un vero elitario. In barba alla polemica populista contro le élites, è proprio Grillo ad avere sempre disprezzato le sue creature. Non si è mai mescolato a loro. Li ha trattati come codazzo, entourage plaudente, dipendenti da convocare al suo cospetto nel proprio hotel quando 'scende' a Roma. 'Scendevano' a Roma gli imperatori, per farsi benedire dai papi. Ma lui è sia imperatore che papa del M5s, ha comandato e benedetto per 15 anni secondo il suo capriccio. 

Le rare volte in cui si è avventurato in qualche riunione del movimento a Montecitorio ne è uscito schifato, assediato in ascensore da sudati parlamentari grillini in cerca di attenzione e dagli odiati giornalisti. 

Dal 2013 gli eletti pentastellati si dividono in tre categorie: quelli che hanno il numero di telefono di Beppe (pochi), quelli a cui risponde (pochissimi), e tutti gli altri. È questa la vera gerarchia nascosta del M5s: uno vale uno, ma in realtà quasi tutti valgono niente.

L'unico altro grande sintomo di prestigio per il dirigente grillino, oltre ai colloqui privati nell'hotel Forum di Roma, è stata la agognata 'convocazione a Bibbona'. Una delle tre ville di Grillo. Le residenze di Genova e Porto Cervo sono off limits per la politica, anche per il veto della moglie Parvin. Nel villone sulla spiaggia toscana, invece, l'Elevato ha distillato negli anni le sue personali e volubili preferenze. 

Erano felici come bambini quella dozzina di neoeletti ammessi al suo cospetto nell'estate 2013. Foto di gruppo, mancava solo Di Maio, troppo azzimato per lasciarsi andare sudato nella sabbia.

Grillo ha sempre tenuto i suoi a distanza di sicurezza.  Ho seguito da giornalista per anni i suoi comizi, gli Tsunami tour e le nuotate nello Stretto. Lì c'era ancora una possibilità di vicinanza fisica.

Poi la svolta, al comizio finale di San Giovanni nella campagna elettorale 2014. Per la prima volta appaiono barriere fisiche backstage e badge di plastica come per le star del rock, nessuno più ammesso nel retropalco. Non solo noi detestati pennivendoli, tenuti a bada da un certo addetto stampa Casalino in ascesa, ma neanche i dirigenti grillini di rango medio-basso.


Cosicché, se volevo scambiare quattro chiacchiere con Beppe (e magari trasformarle in storia di copertina per il mio settimanale, Oggi), per me era semplice: bastava andare sulla sua spiaggia del Cala di Volpe in Costa Smeralda, oppure nella zona vip del concerto degli Stones al Circo Massimo nel 2014. 

Lì i comuni mortali non entravano, e anche un giornalista americano che intervistò Grillo (lui ha l'abitudine tremendamente provinciale e snob di preferire i giornali stranieri) si meravigliò per l'appuntamento fissato al Golf del Pevero.
 "Quando questa commedia finirà, tu tornerai nel tuo bilocale della borgata Torre Maura, e Grillo nelle sue residenze milionarie", scherzai con Paola Taverna.

Anche i Casaleggio, alla faccia della democrazia diretta, hanno sempre mantenuto le distanze dal popolo 5 stelle. La fidanzata precedente del bocconiano Davide (i bocconiani non hanno mai capito nulla di politica) viveva in un castello piemontese. Una volta che il rampollo vi invitò alcuni capi grillini questi si aggirarono increduli nel parco e nei saloni. Mondi separati.  

L'unico politico italiano che abitava in una soffitta e aveva un piacere quasi fisico a stare sul marciapiede, a raccogliere firme nei tavolini per strada con i suoi, a farsi trascinare via dai poliziotti nei sit-in, a passare ore e giorni fra riunioni e congressi noiosi, era Marco Pannella. 

I radicali sono accusati di essere radicalchic. Ma certi "amici del popolo" come Grillo alla fine si sono rivelati più altezzosi di loro.

Mauro Suttora

Monday, March 28, 2022

Casaleggio, Grillo, Conte: il senso putiniano della democrazia



Candidato unico, intimidazioni, purghe. Nei giorni del voto bis sulla leadership, osservazioni sulla vita interna dei 5 stelle, sul maestro Putin e su qualche influsso nord coreano

di Mauro Suttora

HuffPost, 28 Marzo 2022 

"I parlamentari della Duma condividono in pieno il video di Putin e sono stanchi di una piccola minoranza che crea spaccature. Si osserva con attenzione chi condivide e chi non condivide il video di Putin. Ormai deve essere chiaro chi abbraccia il nuovo corso e chi no". 

È un comunicato che arriva da Mosca? Macché. Sostituite Duma con M5s, Putin con Conte, e assaggerete la minaccia che incombe in questi giorni sui parlamentari grillini. Una dichiarazione anonima avverte gli avversari interni dell'ex premier: se non mettete like e non condividete sui social l'ultimo video dell'ex premier, siete fuori. Democrazia nel tempo della Rete. Per l'ennesima volta gli iscritti pentastellati provano a votare il loro nuovo leader, e per l'ennesima volta dimostrano di essere digiuni di pluralismo.

Perché perfino Putin, o Erdogan o gli Ayatollah quando indicono elezioni hanno l'accortezza di non proporre un candidato unico e un partito unico. Lo facevano anche i furbi regimi sovietici. Oltre al partito comunista sulla scheda si poteva scegliere qualche altra formazione: il fronte degli agricoltori, addirittura finti partiti liberali come quello tedesco orientale, che prendeva regolarmente il 10% ed era alleato perpetuo nel Fronte popolare con la Sed, il partito del dittatore Honecker. E anche Putin permette a tutti di sfidarlo al voto, salvo incarcerare o avvelenare chi può impensierirlo, come Navalny.

Bando alle ipocrisie: l'imprinting nordcoreano grillino non necessita di trucchi come avversari posticci. L'unica scelta permessa è fra il sì e il no al candidato unico imposto dal vertice. Perciò ai grillologhi, per misurare il suo reale consenso, non resta che contare gli astenuti. È sempre stato così, anche prima di Conte. I grillini nascono consustanzialmente totalitari, anche se questo aggettivo è comico per il partito di un comico. 

Ricordo i primi meetup nel 2006-2007, subito squassati da furibonde liti interne. A Milano c'era una spia che riferiva ogni parola ai Casaleggio, e questi facevano terra bruciata attorno ai dissidenti. A Roma tre dei quattro eletti nel 2008 nei municipi dopo pochi mesi passarono ad altri partiti, uno all'Udc di Cesa e Casini. Perfino la fedelissima Roberta Lombardi tradì come l'apostolo Pietro: osò borbottare contro i metodi antidemocratici del Movimento, poi si pentì e fu riaccolta. 

Da allora periodiche purghe staliniane hanno sempre devastato i grillini. Al posto della Siberia ci sono le shitstorm online per segare i nervi ai dissenzienti; l'olio di ricino viene somministrato con espulsioni sommarie e accuse paranoidi ("Vuoi allearti col Pd" era la più in voga prima di allearsi col Pd), senza possibilità di contraddittorio. Temendo delazioni, gli eletti si sono rifugiati in chat private sempre più segrete, prima su WhatsApp, ora su Telegram. Gli organi dirigenti interni sono sempre stati decisi da Grillo e Casaleggio, fin dal primo direttorio del 2014 con Di Maio e Di Battista da votare in blocco, prendere o lasciare. 

Ciononostante, anche in questa legislatura su oltre 300 eletti ne sono rimasti solo 200. Anche perché il principale epurato ora è lo stesso Casaleggio junior, che un anno fa ha fatto la fine di Trotsky e oggi reclama invano da Conte il saldo di 450mila euro di debiti. Ecco, così è finito il Movimento nato per portare trasparenza e pulizia in politica: nel suo esatto opposto, con plebisciti al posto dei referendum e ratifiche al posto delle elezioni. C'è più democrazia in una società quotata in borsa o in un condominio, che fra i grillini. Ma ormai tutti sembrano essersi abituati, e ci pare normale che Conte venga eletto capo senza concorrenti.

Mauro Suttora