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Monday, May 02, 2022

La vera storia del padre di Hitler



Il ministro degli esteri russo Lavrov ha detto in una intervista a Rete 4 che "anche Hitler aveva origini ebraiche". Ma sul padre del Führer sono stati scritti interi libri

di Mauro Suttora

HuffPost, 2 maggio 2022 

Non c'è nulla di nuovo nella sparata di Lavrov ("Anche Hitler, come Zelensky, aveva origini ebraiche"), ma è singolare che il ministro degli Esteri russo si riduca a raccattare speculazioni su siti complottisti e neonazi.

Sono stati scritti infatti interi libri sul padre del Führer, il doganiere Alois Hitler (1837-1903), nato col cognome Schicklgruber nel paesino austriaco di Dollersheim. Cambiò il cognome in Hiedler e poi in Hitler soltanto nel 1877: appena dodici anni prima che nascesse Adolf, frutto del suo terzo matrimonio con l'ex donna di servizio Klara Polzl.

Questa girandola di nomi deriva dal fatto che Alois era figlio di N.N. Sua madre Maria Anna Schicklgruber, povera contadina, iscrisse il padre di Adolf all'anagrafe parrocchiale dandogli il proprio cognome. Lei, ormai quarantenne e nubile, nel 1836 era cuoca presso la ricca famiglia ebrea Frankenberger di Graz. E il rampollo 19enne di Frankenberger potrebbe aver messo incinta la donna. Di sicuro il padre pagò a Maria Anna, tornata al paese natio, un assegno di mantenimento per il piccolo Alois fino al compimento dei 14 anni. Perché? Per tacitare uno scandalo? 

 La ricostruzione, da prendere con le molle, è opera di Hans Frank, avvocato personale di Hitler, poi ministro della Giustizia del Terzo Reich e infine governatore della Polonia occupata, dove sterminò milioni di ebrei. Per questo Frank fu condannato a morte nel 1946 al processo di Norimberga e giustiziato. Prima di essere impiccato scrisse un memoriale di mille pagine pubblicato nel 1953 e conservato oggi a Gerusalemme, nel museo dell'Olocausto.

 Fu lo stesso Hitler nel 1930 a ordinare a Frank di indagare sulle proprie origini, perché era vittima di un ricatto da parte del figlio del proprio fratellastro: questi lo minacciava di rivelare che il suo sangue era per un quarto ebraico. Scandaloso, per il campione dell'antisemitismo. 

Quando Frank gli riferì il risultato delle ricerche genealogiche, il dittatore si mise a strepitare: «Non è vero! Mio padre mi rivelò di essere figlio di Georg Hiedler, un mugnaio che mia nonna sposò cinque anni dopo. Sì, lei lavorò dai Frankenberger, ma questi la pagarono soltanto perché la Schicklgruber li ricattò, fingendo che il padre fosse il giovane Frankenberger».

 In realtà sono ben tre i nonni possibili di Adolf Hitler: l'ebreo Frankenberger, Hiedler o Johann Huttler, il fratello più agiato di Hiedler che allevò Alois. Non stupisca la differenza di cognome tra i fratelli: le anagrafi di campagna in quell'epoca non erano un modello di precisione. Entrambi i cognomi comunque destavano sospetti in un antisemita perché derivanti, come il più diffuso Hutter, dalla comune radice ebraica "hut", "cappello".

In ogni caso Hitler si vergognava di suo padre, di sua nonna e di Dollersheim. Non voleva che la sua "patria ancestrale" si trasformasse in luogo di pellegrinaggio, ma soprattutto che qualcuno scoprisse la sua imbarazzante genealogia. Per questo nel 1938, subito dopo l'Anschluss dell'Austria, fece evacuare Dollersheim.

 La scusa fu che c'era bisogno di un campo d'addestramento. Ma Hitler in realtà voleva distruggere quel paese. Un'enorme area di 24mila ettari venne requisita, settemila contadini furono cacciati. Arrivarono panzer, Ss e bandiere con la svastica. La zona fu trasformata in un immenso poligono di tiro: la più grande area di esercitazioni militari del Terzo Reich. Poi i sovietici occuparono quella parte di Austria 150 km a nordovest di Vienna. Ma anche dopo che se ne andarono nel 1955, e fino a oggi, l'area è rimasta in mano ai militari austriaci per le loro manovre.

Mauro Suttora

Wednesday, April 20, 2022

Neanche San Chomsky fa il miracolo: l'Ucraina frantuma la sinistra radical

di Mauro Suttora

Le armi a Kiev dividono famiglie storiche: Anpi, sindacato, ex e post comunisti. Ora il loro totem divide anche i no global. Convergenze rossobrune

HuffPost, 20 Aprile 2022

Oltre alle macerie dell'Ucraina, ecco quelle della sinistra. Oggi il 93enne Noam Chomsky, nume dei sessantottini libertari nella trinità Marcuse-Chomsky-Illich, dice al Corsera che "Zelensky dimostra grande coraggio e integrità nel guidare la resistenza ucraina, eroica e pienamente giustificata contro l'aggressione omicida" di Putin. Non condona il suo bersaglio storico, gli Stati Uniti, ma prende posizione netta. Invece metà sinistra, in Italia e nel mondo, accusa anche Usa e Nato, e soprattutto è contraria a mandare armi all'Ucraina.

Famiglie ideologiche come quella di Lotta Continua si spaccano: Erri De Luca, Manconi, Lerner e Sofri con gli ucraini armati; Guido Viale, Liguori e Capuozzo assai dubbiosi. E anche dentro l'Anpi un'invalicabile linea di faglia separa il presidente Pagliarulo dal presidente onorario Smuraglia.

A peggiorare le cose e a sparigliare le carte, poi, c'è l'oggettiva convergenza rossobruna. I fascisti sono quasi tutti putiniani, anche se qualche movimentista di Casa Pound è partito per combattere al fianco degli ucraini. E pure gli estremisti di sinistra, da Fratoianni a Rizzo, detestano Zelensky. Attore come Reagan.

Eppure Putin non è una bestia nuova. Prima di lui, trent'anni fa, per primo il presidente serbo Milosevic assommò in sé il nazionalismo di estrema destra e l'eredità del comunismo titoista. Cosicché gli orfani dell'Urss si trovarono a fianco dei fascisti nel condannare le bombe Nato sulla Serbia dopo la strage degli 8mila bosniaci a Srebrenica (1995) e la tentata pulizia etnica su 800mila kosovari (1999). Scatenata pure la Lega: "Meglio Milosevic di Culosevic", fu il fine slogan omofobo di Bossi contro i radicali di Pannella e Bonino, che proprio in quegli anni '90 inventarono il Tribunale internazionale per i crimini di guerra.

Poi arrivò il movimento noglobal contro il neoliberismo (Seattle 1999, Genova 2001), e l'imbarazzante alleanza fra opposti estremismi si replicò. Dai fascisti anni '80 di Terza Posizione arrivava la polemica terzista contro le élites cosmopolite mondialiste: "Abbasso il comunismo, ma anche il capitalismo liberale". A loro si sommava la sinistra antagonista di centri sociali ed ex autonomia, fino a tute bianche, anarchici insurrezionalisti e black block. E anche nei noglobal si inserivano i leghisti, con il localismo delle piccole patrie, e perfino una spruzzatina di ecologia (il mito del km zero contrapposto ai container in arrivo dalla Cina). 

L'antiamericanisno rossobruno riesplode nel 2003 contro l'invasione bushiana dell'Iraq, e nel 2011 contro la nofly zone di Obama in Libia. Sono questi, ancor oggi, i caposaldi della propaganda putiniana: "Biden vuol far fare a Putin la fine di Saddam e Gheddafi". 

Ma gli anti-Usa a prescindere accusano Washington sia quando interviene, sia quando non lo fa: i cospirazionisti di destra e sinistra infatti riescono ad addebitare a Obama e a Hillary anche il mancato intervento in Siria nel 2013. Nel frattempo nascono i grillini in Italia, i trumpiani negli Usa. E inventano un complotto ancor più spericolato: gli Usa avrebbero addirittura "creato", o almeno favorito, l'Isis. Sconfitto poi dall'ottimo Putin.


Il problema è che tutte queste fantasie, fino a vent'anni fa confinate nei deliri di qualche rivista o sito complottista, sono diventate maggioritarie nel mondo libero: in Usa con la vittoria di Trump (2016), in Italia con i gialloverdi (2018), in Francia una settimana fa con Le Pen, Zemmour e Melenchon, i quali sommati superano il 50%. Infine due anni di rivolta novax, nomask, nolockdown, nopass e notutto hanno centrifugato nostalgici fascisti e comunisti, grillini e leghisti in un rifiuto permanente della realtà, che si è trasferito tal quale (come tutti i rifiuti, di cui Guido Viale è studioso) sull'Ucraina. 

Per cui ora i putinisti fanno le vittime come le pittime di De Andrè, ma il mainstream di cui si lamentano ormai sono loro: lo dimostrano i sondaggi, che li danno in parità (40 a 40%) sulle armi a Zelensky, e in maggioranza assoluta contro l'aumento delle spese militari. 

Alla sinistra in pezzi non resta che sparire (come i comunisti e socialisti greci e francesi) o aggrapparsi a demagoghi tipo Melenchon. Così in Italia, dopo le fallimentari rifondazioni comuniste e liste Ingroia o Tsipras, ora rischiamo un bel poker di rimescolamento Di Battista-Paragone-Orsini-Fusaro. Perché, come cent'anni fa con Mussolini, le estreme si toccano. Dietro la schiena.

Mauro Suttora 

Saturday, April 02, 2022

Pannella si batteva contro ogni forma di censura. Non è il caso di Orsini (sta sempre in tv)

Il professore invoca a sua difesa il leader scomparso. Tra l'altro dimentica che i radicali hanno sempre combattutto Putin

di Mauro Suttora

HuffPost, 2 Aprile 2022 

Lo so, la miglior difesa dagli esibizionisti è l'indifferenza. Ma se Orsini invoca Pannella  contro la censura di cui sarebbe vittima, merita una risposta. Anche perché se mi chiamassi Orsini mi vanterei di avere scritto ben tre biografie (troppe) sul capo radicale.


È certamente vero che "Pannella si batteva contro ogni forma di censura". Non è questo il caso di Orsini, il quale in un mese è stato invitato in prime serate tv più di Pannella in vent'anni.


Ma, entrando nel merito, Orsini dimostra - ad abundantiam - di non aver "studiato abbastanza" (sempre per usare le sue parole). Il leader radicale e il suo partito, infatti, sono fra i rari politici italiani, forse gli unici, che non solo non hanno mai apprezzato né lodato Putin, ma lo hanno combattuto con decisione fin dall'inizio. Tanto che nel 2000 Lavrov, allora ambasciatore russo all'Onu, chiese l'espulsione del Partito radicale dall'Ecosoc, l'organismo delle Nazioni Unite dedicato alle ong. E quanto i microbi radicali risultassero fastidiosi per Russia e Cina (anch'essa voleva cacciarli) me lo confermò lo stesso Lavrov quando due anni dopo lo incontrai a un ricevimento al consolato russo di New York: "Chi sono veramente questi radicali italiani?", mi chiese, brillante e affabile come sempre (mieteva successi fra le signore di Manhattan).

Ma non c'è molto da scherzare, nei rapporti Pannella/Putin. Perché c'è di mezzo anche un assassinio: quello di Antonio Russo, giornalista di Radio Radicale ammazzato a Tbilisi mentre indagava sui misfatti di Mosca in Cecenia. Probabili esecutori, i servizi segreti di Putin ha. Lo picchiarono fino a sfondargli gli organi interni. Negli anni seguenti il segretario radicale Olivier Dupuis denunciò il putinismo in ogni consesso internazionale, invitando i ceceni nonviolenti (sì, esistono anche loro) a parlare alla Commissione Onu per i diritti umani a Ginevra, assieme agli uiguri perseguitati dai cinesi e ai dissidenti di tutte le dittature del mondo.


Insomma, su Putin Pannella prenderebbe Orsini a pernacchie. E poi lo inviterebbe a cena, perché era anche simpatico, e gli piaceva da matti litigare (come Orsini). Ma c'è di più. Pannella nel 1991 indossò la divisa militare croata e si fece fotografare nelle trincee di Vukovar. Scandalo totale: il Gandhi italiano delle marce antimilitariste e dell'obiezione di coscienza alla naja sputava sulla nonviolenza? Anch'io barcollai. E invece aveva ragione. Aveva capito prima di tutti la natura criminale del presidente fasciocomunista serbo Milosevic. Neanche i croati erano agnellini. Ma quella volta, in quei giorni, erano loro a subire la pulizia etnica. Quindi, come dicono a Roma, "quanno ce vo', ce vo'".

Così, anche in questi giorni non pochi pacifisti accettano che gli ucraini vengano aiutati con quel che loro chiedono: armi per difendersi. E i radicali chiedono l'incriminazione di Putin al Tribunale internazionale che loro (Bonino) crearono negli anni '90. Allora per punire stragi come Ruanda e Srebrenica, oggi Mariupol. 

Pannella era filoUsa e filoGb: "Perché le democrazie anglosassoni sono le più antiche, e le uniche che non hanno mai conosciuto la dittatura". Ma questo non gli impedì di chiedere l'incriminazione di Blair per aver mentito al suo popolo durante la seconda guerra del Golfo. 

Altro insegnamento di Pannella: "Le democrazie non fanno guerra ad altre democrazie". Per non parlare del conflitto delle Falkland/Malvine, di cui proprio dopodomani cade il quarantennale: spesso i dittatori cadono grazie alle guerre che dichiarano, come i generali argentini nel 1982 o i colonnelli greci nel 1974. Ma devono trovarsi di fronte dame di ferro tipo la Thatcher. O ex comici come Zelensky. Non sociologi amanti della "complessità" e vittimisti (un po' come Pannella) tipo Orsini.

Mauro Suttora 

Thursday, March 31, 2022

Guardare i social di Salvini e scoprire che la guerra è finita



Dopo qualche figura barbina, il Capitano molla l'Ucraina e torna ai vecchi amori: immigrati e rom. E il taser è un'arma che gli piace

di Mauro Suttora 

HuffPost, 31 Marzo 2022

Per Matteo Salvini la guerra in Ucraina è finita. Da dieci giorni non ne parla più, non esiste. Cancellata. Su twitter e facebook, i suoi mezzi d'espressione preferiti e una volta pervasivi, si esprime su tutto tranne che sugli attacchi di Putin. Ultimo tweet, alle 11.30 di oggi: "Flat tax, semplificazione pagamento imposte, no a tasse su catasto e affitti, scongiurare la stangata sui titoli di stato". 

E a ritroso: solidarietà a Michele, rider sfregiato a Verona; campo rom da sgomberare in via Negrotto a Milano; anche a Firenze il taser funziona; nuovo stadio di San Siro da ricostruire in loco come vogliono Milan e Inter; disability card; ergastolo per marocchino killer di 84enne a bottigliate in testa; Mihajlovic guerriero campione; forza Fedez; sconti aerei per i sardi; preghiera per i bimbi massacrati a Varese; tre violentate a Milano in 24 ore; brava la regione leghista Marche che sanifica l'aria. L'ultimo accenno a Zelensky risale al 22 marzo: "Ho apprezzato il suo discorso alle Camere". Poi un generico "la Lega lavora per la pace". E basta.

Lontano da missili e carri armati, Salvini si tiene alla larga anche dalla questione del giorno: l'aumento delle spese militari. Si rifugia negli antichi amori come il no agli immigrati. Ma è ossessionato soprattutto da una nuova passione: il taser. Al pistolone che emette impulsi elettrici dedica lodi ogni giorno: "A Cagliari ha fermato un nigeriano violento". "Dobbiamo darlo anche ai 37mila agenti penitenziari". "L'avevo proposto da ministro degli Interni". 

Il problema è che il povero Matteo sull'Ucraina ha preso solo sberle. Dalla figuraccia col sindaco polacco che gli ha rinfacciato a tradimento la maglietta con il faccione di Putin, alle carrellate tv che ripercorrono impietosamente tutti i peana a quello che definiva "il più grande statista mondiale". Non dieci anni fa come Berlusconi, ma ancora nel 2020. Per non parlare degli abboccamenti a Mosca sui soldi ai leghisti. 
Risultato: la Lega negli ultimi sondaggi è precipitata al 16%. Meno della metà rispetto al 34% alle europee di soli tre anni fa. Pd e Fratelli d'Italia sono ormai lontani. Così, perfino i suoi prendono le distanze: "La guerra? Io mi occupo di turismo", scappa il ministro Garavaglia. 

Fugge anche Salvini. Come un rabdomante, cerca nuovi/antichi giacimenti di consenso. Si rifugia nelle polemiche sui rifugiati ucraini. Bonino lo attacca: "I profughi di colore più scuro sono falsi?". E lui: "Distinguiamo chi scappa davvero dalla guerra da chi la guerra la porta in Italia". Avverte che "122 subsahariani sono arrivati a Lampedusa in poche ore". Diventa gandhiano: "Il pugno all'Oscar dimostra che la violenza non risolve mai nulla". Accusa D'Alema mediatore per una vendita di armi alla Colombia. 

Insomma, qualsiasi cosa tranne la guerra in Ucraina. Su facebook esulta per il campionato cuochi a Rimini. E oggi pubblica il suo faccione felice assieme alla fidanzata Francesca Verdini: "Ultimo giorno di 'stato d'emergenza' covid, da domani bastaaa". Dura la vita del social media manager di Matteo.

Mauro Suttora 

Friday, March 25, 2022

Segre e Smuraglia, partigiani veri: loro c'erano e quindi non sono equidistanti

Il ricambio generazionale dell'Anpi ha portato al disastro attuale: gli autoproclamati eredi antifascisti dei partigiani che non riescono a riconoscere i partigiani di oggi, in lotta concreta, coraggiosa e sanguinosa per la democrazia, la libertà e l'autodeterminazione dei popoli. Non ci resta che ascoltare i nonni della resistenza vera

di Mauro Suttora

HuffPost, 25 Marzo 2022

Carlo Smuraglia compirà 99 anni in agosto. È stato molte cose: professore universitario di diritto del lavoro, avvocato (parte civile per i morti di Reggio Emilia 1960, Pinelli, Seveso), consigliere regionale Pci e presidente del Consiglio in Lombardia dal 1970, consigliere Csm, senatore Pds. Un monumento vivente della sinistra. E soprattutto partigiano nelle sue Marche e presidente dell'Anpi.

 L'Associazione nazionale partigiani italiani ha sentito il bisogno di esprimersi contro l'invio di armi agli attuali partigiani, quelli ucraini che resistono all'invasione di Putin. Ma Smuraglia li ha fulminati: "Quella dell'Ucraina è Resistenza, e va aiutata anche con le armi".

Un'altra novantenne venerata dall'Anpi è la senatrice a vita Liliana Segre. Non ha bisogno di presentazioni. Anche lei ha bacchettato l'Anpi nel suo discorso al congresso in corso a Riccione: "La resistenza del popolo invaso rappresenta l'esercizio del diritto fondamentale di difendere la propria patria. Non è concepibile nessuna equidistanza. Se vogliamo essere fedeli ai nostri valori dobbiamo sostenere il popolo ucraino".

Cosa accomuna Smuraglia e Segre? L'età. Entrambi hanno vissuto personalmente l'esperienza della guerra, dell'invasione nazista, della deportazione e della lotta per la liberazione. Per ragioni anagrafiche, invece, il 98% degli attuali iscritti all'Anpi non è stato partigiano. La più giovane staffetta che avesse avuto 13 anni nel 1945 oggi è novantenne. 

È curioso che chi ha avuto a che fare direttamente con un'aggressione sia più solidale con l'Ucraina attaccata da Putin? No. A volte è proprio l'età a rappresentare uno spartiacque, in politica. "Don't trust anybody over thirty", non fidarti di nessuno che abbia più di trent'anni, dicevano i primi universitari contestatori a Berkeley nel 1964. 

Oggi, viceversa, nessuno si fidi di chi ha meno di 90 anni, ma pretenda di parlare a nome di una resistenza mai fatta. "Non ho l'età", cantava Gigliola Cinquetti, e neanche l'attuale presidente Anpi Gianfranco Pagliarulo, già ottimo funzionario del Pci milanese e poi senatore di Rifondazione comunista, ce l'ha. È un giovanotto 72enne che non attese le armi paracadutate dagli Alleati, con cui i partigiani si opponevano ai nazifascisti.

"Questa mattina mi son svegliato, e ho trovato l'invasor": sono gli ucraini oggi a cantare Bella Ciao. Anzi, il "glorioso popolo ucraino che resiste", come l'Anpi ha definito tutti i movimenti di liberazione degli ultimi 75 anni, e ai quali ha inviato aiuti, raccolto soldi con collette, organizzato manifestazioni. 

Oggi invece i suoi cortei e appelli sono "per la pace", indistintamente, anonimamente, e non più in concreto per il Vietnam o il Salvador o il Nicaragua. Zelensky, il Che Guevara di Kiev, è sbeffeggiato come un Grillo qualsiasi, un ex comico di Ballando con le stelle magari anche un po' vagamente nazistoide e imboccato dalla Cia.

Insomma, "questa mattina mi son svegliato e ho trovato il putinista". Anche perché negli ultimi vent'anni tutta l'area antagonista della sinistra estrema e dei centri sociali ha praticato con l'Anpi una vecchia tecnica staliniana: l'entrismo. Ovvero iscriversi in massa a un'associazione per impadronirsene. 

Cosicché il ricambio generazionale ha portato al disastro attuale: gli autoproclamati eredi antifascisti dei partigiani che non riescono a riconoscere i partigiani di oggi, in lotta concreta, coraggiosa e sanguinosa per la democrazia, la libertà e l'autodeterminazione dei popoli. Non ci resta che ascoltare i nonni della resistenza vera.

Mauro Suttora