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Friday, June 03, 2022

Di Johnny Depp vs Amber Heard interessa tutto tranne il processo

Un derby fra due opposte ed estreme idee del mondo, cioè un circo, uno zoo, una commedia, un film. È successo in Virginia, se fosse stato in California probabilmente l'esito sarebbe stato l'opposto. Ma in definitiva, il verdetto è solo l’accidente finale

di Mauro Suttora

HuffPost, 3 Giugno 2022

Naturalmente è stato tutto, tranne che un processo. Circo, zoo, film, fiction, teatro, tragicommedia. Impareggiabile entertainment, comunque. I due attori hanno recitato bene, Johnny Depp è apparso ragionevolmente contrito e ha vinto. La sua ex Amber Heard, nota per il film "Come ti ammazzo l'ex", dovrà pagargli dieci milioni di risarcimento e cinque di spese. Lui, controquerelato per diffamazione, è stato condannato a sua volta a due milioni. 

Lo ha deciso una giuria popolare della Virginia, e non è un particolare da poco. Heard sperava che la causa fosse trattata a Hollywood, o comunque in California, dove i giudici sono abituati ai processi fra celebrità. Invece un piccolo particolare ha inceppato i calcoli: il server del quotidiano Washington Post, che ha pubblicato l'articolo di Amber ritenuto offensivo da Johnny, sta in Virginia, vicino a Washington.

Così la gran carovana di tv e giornali ha dovuto spostarsi per due mesi in un tribunale di provincia. E lì c'è l'America profonda, quella che detesta profondamente il movimento femminista #MeToo di cui Amber è vessillifera. Anche nell'articolo incriminato lei non si è mai abbassata a scrivere il nome di Johnny. Se è stata picchiata, insultata, abusata, lo è stata in quanto donna: una di milioni di donne vittime di violenze domestiche.

Quindi i giurati hanno sentenziato su fatti precisi e circostanze aggravanti o esimenti. Ma il loro giudizio è stato subito trasformato in bandiera politica, da una parte e dall'altra. La sinistra, il partito democratico, le donne (molte) sono deluse e (alcune) scandalizzate: a cinque anni di distanza dallo scoppio del caso Weinstein, il produttore geniale ma porco che ha violentato e abusato decine di attrici, la giustizia ha dato ragione a un maschio accusato di essere un altro porco. Né consola la sentenza d'appello che ha appena confermato la sentenza stratosferica per Weinstein: 23 anni di carcere per una singola violenza (ora arriveranno a giudizio le altre). 

Dal lato opposto della barricata ideologica festeggia la destra, il partito repubblicano, i maschi trumpiani esacerbati da un lustro di Metoo: "Anche io" sono stata menata, ha accusato Amber Heard. Ma ha perso. Goduria doppia per i maschilisti dell'Oklahoma, leggendari quanto i nazi dell'Illinois.

Perché la povera Amber ai loro occhi rappresenta la summa di tutto il detestabile: non solo fa la vittima e la pittima con Johnny, ma si è pure dichiarata lesbica. Non c'è manifesto lgbtq degli ultimi dieci anni che non abbia firmato. E in barba alla sua sventolata bisessualità è stata pure con Elon Musk. Il quale magari simpatizza per Trump, visto che ha comprato Twitter per togliere la censura che ha colpito l'ex presidente. Ma è comunque un miliardario, anzi il più ricco del mondo. Quindi pessimo, come tutte le élites.

Tutto è stato già scritto sul paradiso/inferno in cui sguazzano i vip dello spettacolo Usa. Adorati e disprezzati, gli spettatori aspettano solo che si svelino i loro fiumi di alcol, nuvole di coca, perversioni private. 

C'è un settimanale divertentissimo, il National Enquirer, specializzato in mostrare la cellulite sulle cosce delle attrici più belle del mondo. Il suo editore fu l'unico negli Stati Uniti a fare endorsement per Trump nel 2016. Poi è stato accusato di ricatto da Jeff Bezos (Amazon, Washington Post) e dal figlio di Woody Allen, Ronan Farrow, massimo accusatore di molestatori e predatori sessuali. 

Ecco, il processo Depp/Heard appartiene alla 'gutter press', la stampa della fogna che vende tanto alle casse dei supermercati. Che poi i giurati siano stati scrupolosi e ci abbiamo messo ben tre giorni per arrivare a una sentenza la più equa possibile, è secondario. Nessuno dei tifosi di Johnny e Amber ha cambiato idea dopo il verdetto. Perché non era un processo, era una corrida.

 

Tuesday, February 01, 2022

Fratelli contro spinelli. Per loro Muti deve restare muta

L'unica libertà gradita dai nostalgici di Salò è quella di non vaccinarsi

di Mauro Suttora

HuffPost, 1 Febbraio 2022

Fratelli contro spinelli. Per recuperare un po' di buonumore dopo la noiosa settimana di voti a vuoto quirinalizi, ecco la prima polemica della seconda era Mattarella. 

Ornella Muti, sempre splendida a 66 anni, si mostra su Facebook indossando un ciondolo a forma di foglia di marijuana. Accanto a lei l'altrettanto incantevole figlia Naike con un altro ninnolo e ben tre foglie. Totale, quattro foglie. Al di sotto della soglia massima consentita per uso personale, se ci fosse un limite per le foto sui social. E comunque, per parafrasare lo spot Chlorodont di Virna Lisi, Ornella "con quel sorriso può dire di tutto".

Ma i Fratelli d'Italia si sono desti, e due loro parlamentari hanno protestato per lo spinello virtuale della Muti: "Non può fare propaganda per la cannabis!"

Poi è riapparso l'ex senatore Giovanardi, e naturalmente ha ripetuto: "Non si può promuovere la cultura della morte!".

Il problema è che fra poche ore la Muti presenterà con Amadeus la prima serata del Festival di Sanremo. Il quale avrà cinque o sei volte più telespettatori del Parlamento che votava il presidente. Quindi ogni parola lì pronunciata pesa tantissimo. Soprattutto perché, se la Corte costituzionale non lo bloccherà, fra quattro mesi si voterà per il referendum che vuole legalizzare l'erba.

L'accorta Ornella ha precisato: "Sono favorevole alla cannabis terapeutica". Poi ha aggiunto un carico da novanta familiarpopolare perfetto per Sanremo: "È appena morta mia madre, avrei tanto voluto curarla con la cannabis come antidolorifico, invece l'hanno imbottita di psicofarmaci e non mi riconosceva più".

Niente da fare. A giugno vedremo quanti italiani sono favorevoli alla legalizzazione delle droghe leggere. La maggioranza, dicono i sondaggi. Ma i Fratelli, perfidissimi, ricordano che la sorella di Ornella tre mesi fa è stata arrestata per spaccio. Perciò la attenzionavano da tempo. Anche perché lei ha addirittura fondato un'associazione per la cannabis terapeutica. E ora non arretra: "Il vino è legale, perché non l'erba?"

Mezzo secolo dopo il clamoroso errore giudiziario dell'arresto di Lelio Luttazzi e quello di Walter Chiari, proprio ora, nei mesi in cui il proibizionismo sta crollando in tutto il mondo, ecco un dilemma decisivo. E Ornella trasformata in testimonial di sesso, droga e rock and roll (dopo che i Maneskin hanno rockizzato Sanremo).

I Fratelli ex fascisti si adontano se qualcuno ricorda le loro radici, e la fiamma Msi che arde ancora nel loro simbolo. Ma poi sono loro a scivolare, ogni volta che si parla di libertà. L'unica che gradiscono è quella di non vaccinarsi. La Muti deve restare muta. Eppure, con quel cognome lì, per i nostalgici di Salò potrebbe dire di tutto.

Mauro Suttora 

Sunday, January 16, 2022

È morta l’ultima figlia (naturale) di Mussolini

Elena Curti si è spenta a quasi cent’anni nella sua casa di Acquapendente

di 

Mauro Suttora

HuffPost, 16 gennaio 2021

È morta l’ultima figlia (naturale) di Mussolini. Elena Curti si è spenta a quasi cent’anni nella sua casa di Acquapendente (Viterbo): ha fatto in tempo ad arrivare al 2022, centenario della marcia su Roma, ma non al proprio compleanno del 19 ottobre, nove giorni prima dell’impresa fascista.

Era figlia della bellissima Angela Cucciati, una sarta milanese con cui Mussolini ebbe un’avventura alla fine del 1921. Si conobbero perché la donna andò a chiedergli di far uscire di prigione il marito squadrista Bruno Curti.

Elena Curti seppe dalla madre di essere una figlia segreta di Benito solo quando compì 18 anni. Mussolini la volle conoscere, e durante la Repubblica Sociale la riceveva ogni giovedì a Salò. Elena lavorava nella segreteria di Pavolini.

Claretta Petacci, l’amante del Duce, si insospettì: pensava che quella bella ragazza bionda fosse una sua ennesima avventura, e gli ordinò di allontanarla. Ma il 27 aprile 1945, durante la fuga di Dongo, c’era Elena e non Claretta accanto a Mussolini sulla autoblindo nella prima parte del viaggio.

Poi, quando il duce fu invitato dai tedeschi a montare su un loro camion travestito da soldato, sopraggiunse Claretta, che seguiva la colonna dei gerarchi fascisti in auto col fratello Marcello, la cognata e i nipotini. Vide Elena e cominciò a inveire. Si calmò solo quando le spiegarono chi fosse veramente la ragazza. La scena è stata immortalata da Pasquale Squitieri nel suo film ‘Claretta’ (1984).

Dopo cinque mesi di carcere Elena Curti fu liberata. Si sposò, emigrò in Spagna ed ebbe fortuna con un’azienda che produceva mobili. Una ventina d’anni fa tornò in Italia e scrisse le sue memorie: ‘Il chiodo a tre punte’ (2003).

Mauro Suttora

Thursday, January 13, 2022

No alla censura sui dati Covid

Dicono: provoca ansia. È vero il contrario. E comunque non è centellinando settimanalmente le notizie sgradevoli che la si ridurrà 

di Mauro Suttora

HuffPost,13 gennaio 2022

Da due anni tutti i Paesi del mondo pubblicano ogni giorno i dati sul Covid. Uniche eccezioni la Spagna, che raggruppa al lunedì i dati del weekend, e Israele, che rispetta lo Shabbat.

Non so se questa cadenza quotidiana sia richiesta dall’Oms. In ogni caso i dati dell’intero pianeta sono immediatamente disponibili online man mano che arrivano, aggiornati al minuto, su vari siti come quello della Johns Hopkins University, o il Worldometer che consulto io.

Non si capisce quindi perché l’Italia dovrebbe diventare l’unico Paese al mondo che passa dalla trasparenza giornaliera a quella settimanale.

Dicono: provoca ansia. È vero il contrario: proprio consultando questi siti si capisce che, nonostante nelle ultime settimane i casi siano più che triplicati, i decessi sono rimasti uguali. 

Nei suoi ultimi anni di vita Marco Pannella lanciò una campagna per il riconoscimento da parte dell’Onu di un nuovo diritto civile: quello alla conoscenza. Confesso che allora non lo capii. Mi sembrava ridondante chiedere ancora più dati, in un’epoca in cui sui social ne sono disponibili miliardi.

Invece questa strana voglia di censura dimostra che Pannella aveva ragione. Così come fa bene Luca Ricolfi a reclamare più informazione sul Covid, e non meno, da parte della Protezione civile, che lesina i dati e non permette disaggregazioni.

“Vuoi andare a lavorare alla Gazzetta di Goteborg?”, mi chiese beffardo il direttore della Scuola di giornalismo Ifg che frequentavo 40 anni fa. Era nato un dibattito sull’emergenza di allora, il terrorismo: se i media dovessero rimanere neutrali nel pubblicare notizie sulle Brigate rosse, oppure sentissero il dovere di stare dalla parte dello Stato.

Ovviamente io, libertario, non concepivo un arruolamento dei giornalisti “contro” i terroristi. Quindi stavo con Giuliano Zincone, il direttore del quotidiano Il Lavoro di Genova che fu licenziato dalla Rizzoli perché pubblicò un comunicato delle Br, come da loro richiesto in cambio della liberazione del giudice D’Urso.

Che l’Italia non sia un Paese asettico come la mia agognata Svezia di Goteborg lo sappiamo tutti: i nostri media sono da sempre pervasi di faziosità contrapposte. Ma è un bene che adesso sul Covid Il Fatto o La Verità esercitino il loro diritto di critica, anche strampalato. E sarebbe un male che sull’informazione riguardo al virus piombi la ghigliottina della censura quotidiana. 

Non è centellinando settimanalmente le notizie sgradevoli che si ridurrà l’ansia. Perché è vero che “No news is good news”, ma i giornalisti non possono neanche trasformarsi in ragazze pon-pon del Cts. Complottisti e novax non aspettano altro.

Mauro Suttora