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Thursday, January 13, 2022

No alla censura sui dati Covid

Dicono: provoca ansia. È vero il contrario. E comunque non è centellinando settimanalmente le notizie sgradevoli che la si ridurrà 

di Mauro Suttora

HuffPost,13 gennaio 2022

Da due anni tutti i Paesi del mondo pubblicano ogni giorno i dati sul Covid. Uniche eccezioni la Spagna, che raggruppa al lunedì i dati del weekend, e Israele, che rispetta lo Shabbat.

Non so se questa cadenza quotidiana sia richiesta dall’Oms. In ogni caso i dati dell’intero pianeta sono immediatamente disponibili online man mano che arrivano, aggiornati al minuto, su vari siti come quello della Johns Hopkins University, o il Worldometer che consulto io.

Non si capisce quindi perché l’Italia dovrebbe diventare l’unico Paese al mondo che passa dalla trasparenza giornaliera a quella settimanale.

Dicono: provoca ansia. È vero il contrario: proprio consultando questi siti si capisce che, nonostante nelle ultime settimane i casi siano più che triplicati, i decessi sono rimasti uguali. 

Nei suoi ultimi anni di vita Marco Pannella lanciò una campagna per il riconoscimento da parte dell’Onu di un nuovo diritto civile: quello alla conoscenza. Confesso che allora non lo capii. Mi sembrava ridondante chiedere ancora più dati, in un’epoca in cui sui social ne sono disponibili miliardi.

Invece questa strana voglia di censura dimostra che Pannella aveva ragione. Così come fa bene Luca Ricolfi a reclamare più informazione sul Covid, e non meno, da parte della Protezione civile, che lesina i dati e non permette disaggregazioni.

“Vuoi andare a lavorare alla Gazzetta di Goteborg?”, mi chiese beffardo il direttore della Scuola di giornalismo Ifg che frequentavo 40 anni fa. Era nato un dibattito sull’emergenza di allora, il terrorismo: se i media dovessero rimanere neutrali nel pubblicare notizie sulle Brigate rosse, oppure sentissero il dovere di stare dalla parte dello Stato.

Ovviamente io, libertario, non concepivo un arruolamento dei giornalisti “contro” i terroristi. Quindi stavo con Giuliano Zincone, il direttore del quotidiano Il Lavoro di Genova che fu licenziato dalla Rizzoli perché pubblicò un comunicato delle Br, come da loro richiesto in cambio della liberazione del giudice D’Urso.

Che l’Italia non sia un Paese asettico come la mia agognata Svezia di Goteborg lo sappiamo tutti: i nostri media sono da sempre pervasi di faziosità contrapposte. Ma è un bene che adesso sul Covid Il Fatto o La Verità esercitino il loro diritto di critica, anche strampalato. E sarebbe un male che sull’informazione riguardo al virus piombi la ghigliottina della censura quotidiana. 

Non è centellinando settimanalmente le notizie sgradevoli che si ridurrà l’ansia. Perché è vero che “No news is good news”, ma i giornalisti non possono neanche trasformarsi in ragazze pon-pon del Cts. Complottisti e novax non aspettano altro.

Mauro Suttora