Monday, June 12, 2023

L'ultimo sfregio a Berlusconi: per i liberal di Manhattan era solo uno showman



Difficile, per i sussiegosi democratici americani, accettare un fenomeno come il Cavaliere. Ma anche i repubblicani pre-Trump, gli eleganti rockefelleriani trincerati nei loro grattacieli miliardari di Park Avenue, lo consideravano un pittoresco parvenu. Al massimo un "media mogul turned politician"

di Mauro Suttora 

Huffingtonpost.it, 12 giugno 2023 

Un ultimo sfregio: il New York Times, annunciando la morte di Silvio Berlusconi, lo ha definito "showman" e non politico. Concedendogli solo di avere capovolto ("upended") la politica e la cultura italiane: "È stato il premier più divisivo e inquisito, ('polarizing and prosecuted')".

Difficile, per i sussiegosi liberal di Manhattan, accettare un fenomeno come il Cavaliere. Ma anche i repubblicani pre-Trump, gli eleganti rockefelleriani trincerati nei loro grattacieli miliardari di Park Avenue, lo consideravano un pittoresco parvenu. Al massimo un "media mogul turned politician". Con l'aggravante di controllare un impero mediatico impensabile negli Usa, dove sarebbe stato subito spezzettato dalle leggi antitrust.

"Mauro, ma sei sicuro di quel che hai scritto?", mi telefonò Fareed Zakaria, direttore di Newsweek, nella calda estate 2004, quella della bandana con Tony Blair a Porto Cervo. Gli avevo mandato un articolo sulle ultime imprese e gaffes berlusconiane. Gli inflessibili fact checkers del settimanale controllarono le mie parole una a una, sospettando che avessi esagerato.

Stessa diffidenza l'anno precedente, quando Newsweek titolò un altro mio resoconto divertito dalla Sardegna chiamandolo Mr. B, e parificandolo a Flavio Briatore, Gigi Buffon e Tom Barrack, il trumpiano Usa che aveva appena comprato tutti gli hotel di lusso della Costa Smeralda.

Nel settembre 2003 Silvio accompagnò a New York una delegazione di Confindustria, ma il Council on Foreign Relations (massimo luogo d'incontro dei poteri forti statunitensi) lo snobbò: non lo invitò a tenere una conferenza nella sua prestigiosa sede, come invece faceva con qualunque premier del mondo di passaggio in città. 

Berlusconi fu dirottato verso la Borsa, dove fece inorridire i perbenisti con una delle sue leggendarie battute: "Venite a investire da noi, perché oltre al bel tempo e alla bellezza dell'Italia abbiamo anche bellissime segretarie". Alla sera, cena di gala al Plaza. I giornalisti italiani al seguito cercavano di avvicinarlo per carpire qualche sua frase in esclusiva. Conoscendo le sue abitudini, mi appostai in cucina. E immancabilmente riuscii a incontrarlo, perché nel dopocena venne a complimentarsi col cuoco e i camerieri.

Stesse scene simpatiche al G8 di Genova nel 2001. Era la prima volta che Berlusconi incontrava il presidente George Bush jr, entrambi neoeletti. Fu commovente incrociare il nostro premier nelle ore prima del vertice, mentre controllava ansioso di persona ogni piccolo dettaglio, dalle piante di limone in vaso che adornavano il porto riprogettato da Renzo Piano, alle forme di formaggio grana per sfamare giornalisti e delegazioni. "Ti è piaciuto il prosciutto crudo di Parma?", chiese a Bush afferrandolo affettuoso per un braccio. Gli americani educati a Yale detestano qualsiasi contatto fisico. Ma fra loro fu subito amore. 

E Silvio avrebbe voluto allargare questo idillio trasformandolo in una chose à trois con l'amico Vladimir Putin l'anno dopo nel vertice a Pratica di Mare (Roma). Ma la sua geniale idea di far entrare la Russia nella Nato non ebbe fortuna. Tipico di Berlusconi, voler conquistare gli avversari con la seduzione. Contrariamente al complesso militare-industriale, detestava avere nemici. Con Barack Obama invece fu subito gelo: qualcuno gli riferì la definizione di "abbronzato", incomprensioni su Gheddafi, e il Cavaliere tornò fra i fenomeni folkloristici.

La vendetta della storia si è abbattuta sulle schizzinose élite di Washington con la vittoria di Donald Trump nel 2016. L'epitome del populista peronista si è trasferita da Berlusconi a quell'altro buffo outsider dai capelli arancioni. Stessa fortuna accumulata con le costruzioni, stesso successo televisivo, stessa passione "womanizer" per le belle donne, con incursioni al confine del dubbio gusto.

E adesso, con le due incriminazioni di Trump, ecco che li accomuna anche il calvario giudiziario: perché in inglese "prosecution" (messa in stato di accusa) si confonde con "persecution". E Donald, proprio come Silvio, ha già cominciato a sfruttare le sue disavventure con la legge, ribaltandole contro chi lo considera un mascalzone. Sperando di indossare anche lui l'aureola di martire, così utile per farsi rieleggere.

Ma quanto a stile, la burina Trump Tower non è la verde Milano 2. E, soprattutto, Silvio era più simpatico e buono di Donald. 

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