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Wednesday, October 19, 2016

Equitalia cambia nome: parla Riccardo Zingales

UN ESATTORE DELLE TASSE CI VORRA’ SEMPRE, PIU’ CHE CAMBIAR NOME BISOGNA CAMBIAR METODO

di Mauro Suttora

Oggi, 19 ottobre 2016

Equitalia duemila anni fa si chiamava San Matteo. L'apostolo ed evangelista era esattore delle tasse. A Gesù bastò dirgli «Seguimi» per redimerlo. Al nostro Matteo (Renzi) basterà abolire Equitalia per riscattare la seconda professione più antica del mondo?

«Assolutamente no», sorride Riccardo Zingales, titolare di uno dei maggiori studi commercialisti di Milano, «perché la riscossione delle tasse è un'attività necessaria e non eliminabile. Tutto sta in come viene esercitata. Prima era appaltata a privati, che se l'aggiudicavano con aste. A Milano c'era la Cariplo, in Sicilia famiglie anche piuttosto chiacchierate».

Il «recupero crediti» fra privati perbene oggi si chiama «factoring» o «cartolarizzazione». A Roma quelli di mafia capitale spezzavano le dita ai debitori. A Genova, come racconta Fabrizio De André, i creditori mandavano le «pittime» a infastidire per strada chi non pagava.

«Perché Equitalia, società pubblica, applicava more usurarie e aggi ciclopici?», chiede Zingales. «Il costo dell'esazione è uguale sia per le cartelle da un euro, sia per quelle da un milione. Gli interessi si devono pagare, ma il tasso non dev'essere esagerato».

E adesso cosa succede: chi ha a casa una cartella di Equitalia non deve più pagare? Gli conviene aspettare, visto che spariscono sanzioni e interessi di mora (i famigerati interessi sugli interessi)?
«No, perché gli interessi sulla somma dovuta continuano a correre. Ma si spera che, cambiando ente di riscossione, cambi anche il metodo. Senza inquisizioni. Ma il problema vero è un altro».

Quale?
«La burocrazia. Oggi Equitalia manda cartelle per conto di vari enti - comuni, regioni, stato - e chi ha già pagato o vuole contestare deve risalire all'ente che richiede le somme. I cittadini, e noi commercialisti, abbiamo invece bisogno di uno sportello unico dove rivolgersi, per dirimere rapidamente le questioni».

Quindi si spera che l'Agenzia delle entrate, che riprenderà il controllo sulle tasse statali non pagate, semplifichi le procedure e risponda direttamente alle contestazioni. E così comuni, regioni o Inps, senza affidare a terzi la riscossione.

Saranno "rottamate" le cartelle emesse fino al 31 dicembre 2016. Quindi tutte quelle che al momento sono arrivate e quelle che arriveranno nei prossimi due mesi.
Non si pagheranno più le sanzioni e gli interessi di mora, cioè le aggiunte "punitive", mentre si dovranno pagare gli interessi per il ritardato pagamento, cioè quelli che maturano con il passare del tempo.

Sarà annullato o ridotto l'aggio, cioè la "commissione" che Equitalia si prendeva (3% nei primi due mesi, poi il 6).
E bisognerà aspettare i regolamenti attuativi per sapere se il processo sarà automatico (cioè semplicemente arriveranno nuove cartelle più "economiche") o se – più probabilmente – saranno i singoli a dover fare richiesta.

A quelli che stanno già pagando con le rateizzazioni, comunque, conviene continuare a saldare, perché gli sconti partiranno col primo gennaio.
Il governo prevede di incassare quattro miliardi con questo sconto. Si paga meno, quindi si è incentivati a pagare. Ma potrebbe verificarsi l’effetto opposto: visto il parziale condono, gli evasori sono spinti a continuare.

 È quel che denuncia Vincenzo Visco, ex ministro delle Finanze: «Renzi vuole solo far cassa, ma indebolisce l’effetto deterrente dell’accertamento. E non è vero che Equitalia fosse vessatoria più di quanto succede negli altri Paesi». 

Mauro Suttora

Friday, September 04, 2009

Banche svizzere e scudo fiscale

Secondo il nostro governo, gli italiani hanno 300 miliardi di depositi in Svizzera. Che, dopo la caduta del segreto bancario verso gli Usa, tremano

dall'inviato Mauro Suttora

Chiasso, 2 settembre 2009

"Non ci faccia chiamare la polizia".
Nervi tesi a Chiasso. Siamo nella sede dell'Ubs (Unione banche svizzere) più vicina all'Italia: trecento metri dopo il valico di frontiera per Como, cento dalla stazione dove si fermano tutti i treni da Milano per Svizzera e Germania.
Al piano terra di un palazzone moderno occupato quasi per intero dagli uffici della più grande banca svizzera, in piazza Bernasconi, ci sono gli sportelli. Chiediamo dove possiamo avere informazioni per il deposito di una somma piuttosto alta.
«Per investimento?», chiede l'impiegato.
«Certo».
«Allora deve andare sopra, all'ufficio apposito».
«Ma io ho i contanti qui nella borsa».
Mi guarda male. Sospetta uno scherzo. In quel momento un vigilante nota il nostro fotografo che estrae la macchina fuori dalla vetrina, per immortalare la scena. Capiscono in un attimo.
«Guardi, prenda un appuntamento telefonico. Non possiamo riceverla così».
«Ma io ho una certa fretta».
«Quel signore è con lei?»
Scoperti. Spiego che siamo giornalisti e vorremmo spiegare come si fa a «portare i soldi in Svizzera». Mi invitano gentilmente ad andarmene. Chiedo di parlare con qualcuno, il direttore della filiale, l'addetto alle relazioni esterne.
«Non abbiamo "relazioni esterne". E ci spiace, ma il direttore è al momento occupato. Telefoni per un appuntamento».
Insisto. Fino a quando il vigilante minaccia l'intervento delle forze dell'ordine.

NIENTE SEGRETI PER GLI USA

Il parcheggio riservato ai clienti Ubs è pieno. Molte targhe italiane. Stessa scena al Crédit suisse, l'altro gigante della finanza elvetica. È il giorno dopo l'annuncio che la banca fornirà agli Stati Uniti una lista di 4.450 suoi clienti americani, sospetti di evasione fiscale (sui 50 mila richiesti da Washington). Un avvenimento storico. Mai dal 1934, quando il segreto bancario divenne legge in Svizzera, un governo straniero ha ottenuto tanto.

È l'inizio di una nuova era? La fine dell'omertà che protegge mafiosi e dittatori di tutto il mondo, felici di nascondere e riciclare i propri soldi nei forzieri elvetici? A Chiasso ormai si parla russo, tanti sono i nuovi (dubbiosi) ricchi provenienti da Mosca in cerca di protezione. L'Ocse stima che un terzo di tutti i capitali «offshore» (depositati all'estero) del pianeta stiano in Svizzera.

«Piano con gli entusiasmi», avverte il finanziere Saverio Scelzo, presidente di Copernicosim: «Stiamo parlando di una banca, l'Ubs, che vent'anni fa si faceva pubblicità con l'immagine di una grossa lavatrice. E di un Paese, la Svizzera, che solo da poco, e con difficoltà, ha restituito i soldi sottratti agli ebrei sterminati dai nazisti. In realtà, la vera svolta è avvenuta un anno fa, quando i servizi segreti tedeschi sono riusciti a farsi dare una lista di clienti esteri da un bancario del Liechtenstein. Se quel funzionario "spia" fosse stato svizzero, probabilmente sarebbe stato trovato in fondo a un lago dopo qualche giorno. Ma il clima è cambiato per due motivi: primo, i terroristi islamici; secondo, la crisi e i salvataggi delle banche con soldi pubblici, che costringono i governi a essere più severi nei loro confronti».

«Guarda caso, però, gli Stati Uniti hanno colpito una banca svizzera e non americana», dice Lorenzo Marconi, autore con Marco Fratini dei libri Vaffanbanka! (Rizzoli) e Vaffancrisi (quest'ultimo in libreria dal 2 settembre). «A Chiasso portano i soldi i brianzoli che non vogliono fare tanta strada. A Lugano gli altri italiani, a Zurigo i tedeschi. Ma i soldi veri, i miliardi di dollari ed euro, si nascondono a Ginevra, portati dagli sceicchi arabi».

La stretta del presidente Usa Barack Obama cade a fagiolo per il governo italiano. Dal 15 settembre, infatti, chi ha portato soldi all'estero può usufruire dello «scudo fiscale»: farli rientrare in Italia pagando il 5 per cento di multa.

«Attenti, non è illecito detenere attività all'estero», spiega il commercialista milanese Riccardo Zingales: «Non siamo più negli anni '70, quando si poteva espatriare con 500 mila lire al massimo. Però bisogna segnalare i soldi detenuti all'estero nella dichiarazione dei redditi. A parte i malavitosi e i grandi evasori, che dell'accumulo nascosto hanno fatto il loro cavallo di battaglia, ai comuni cittadini conviene riportare i soldi pagando un modico cinque per cento, perché le nuove sanzioni per chi non aderisce sono state elevate a livelli insopportabili. Insomma, chi tiene i risparmi all'estero ora rischia grosso».

L'INCUBO DELLE EX MOGLI

Gli Stati Uniti hanno dimostrato che il segreto elvetico è perforabile. Quindi la paura spingerà parecchi connazionali verso lo «scudo». Che però è il terzo della serie, dopo quelli nel 2001 e 2003 con multa del 2,5%, che fruttarono al fisco due miliardi. «Non penso che ci siano più tanti soldi da riportare indietro», prevede Scelzo. Invece il governo stima che i soldi italiani all'estero ammontino ancora a ben 500 miliardi, di cui 300 in Svizzera. Soltanto da gennaio a luglio 2009 la Guardia di finanza ha trovato tre miliardi di redditi evasi, un terzo dei quali con operazioni finanziarie verso paradisi fiscali.

Insomma, quanto incasserà questa volta l'erario, con la multa raddoppiata? Il governo stima un minimo di due miliardi. Che però, a pensarci bene, è soltanto il doppio dell'introito in tasse sull'ultimo Superenalotto.
«Certo è che chi all'estero paga ritenute minime sui guadagni dei propri fondi non trova attraente l'aliquota marginale italiana del 40 per cento. Ma forse la spinta più grossa a nascondere i soldi deriva dalle ex mogli e dai creditori: in caso di divorzio o fallimento conviene risultare nullatenenti in Italia...», sorride Marconi.

Mauro Suttora