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Saturday, August 20, 2022

Gli under35 capilista sono una disgrazia. Ritirate la candidatura, finché siete in tempo



Se volete fare politica, come diceva mia mamma, prima fatevi una posizione. Non diventate Casta troppo presto. Per rappresentare il loro popolo i giovani dovrebbero aver prima dimostrato qualcosa. Altrimenti sono solo miracolati

di Mauro Suttora

Huffpost, 20 agosto 2022


Ci mancavano gli under 35. Gli studenti di Berkeley sessant'anni fa iniziarono la contestazione urlando "Non fidatevi di nessuno sopra i 30 anni!". Ora invece alcuni giovani funzionari del Pd hanno ottenuto una corsia preferenziale per fare carriera: "Siamo gli unici che possono rappresentare la nostra generazione". Quindi verranno eletti in Parlamento con il solo merito della loro età.

Li scongiuro: no, non fatelo finché siete in tempo. Ritirate la candidatura. E, già che ci siete, lasciate la politica a tempo pieno. Trovatevi un lavoro vero. Non lo dico per qualunquismo: la politica è fra le più nobili delle attività. E ha bisogno di grande professionalità: equilibrio, facondia, intelligenza. Assieme ad amore, arte e religione è ciò che distingue gli uomini dagli animali. Ma proprio per questo non va ridotta a mestiere. 

Chi fa l'amore full time soddisfa l'esigenza più antica del mondo, quindi è comprensibile che le prostitute siano pagate. Praticare l'arte come mestiere è periglioso: difficile trarne sostentamento, uno su diecimila ce la fa, altro che mille. Quanto alla religione, seminari e chiese vuote sono lì a dimostrarci il disastro della sua professionalizzazione. 

Resta la politica. Capisco che stipendi da 9mila al mese (in Regione), 14mila (in Parlamento) o 20mila (Europarlamento) siano appetibili. Ma buttarsi da giovani in questa carriera significa condannarsi alla schiavitù. Dovrete sempre dire di sì al capo di turno per farvi rieleggere. Cambiare partito per sfuggire alla disoccupazione. Umiliarvi per restare a galla. Se verrete trombati sarà una tragedia: è  difficilissimo riciclarsi a 40-50 anni.

Non costringete quindi voi a vivere per sempre di politica, e noi a mantenervi. Non infliggeteci ulteriori reperti museali inestirpabili come Casini o Bonino. Guardate i 60 tapini che hanno seguito Di Maio: appena un mese fa pensavano di aver fatto una scelta furba, abbandonando la nave grillina che affonda. Ora resteranno quasi tutti senza posto. Per non parlare di Renzi, precipitato dal 40 al 2%. 

Insomma, se volete fare politica prima fatevi una posizione, come diceva mia mamma. Scegliete un qualsiasi altro onesto lavoro per mantenervi, e poi praticatela come prezioso hobby o commendevole volontariato. Non diventate Casta troppo presto: i grillini hanno dimostrato che la politica è una fabbrica di spostati.

Chi non ha un proprio lavoro cui tornare in caso di non rielezione, un paracadute, come Moro, Cacciari o Letta, è costretto a elemosinare strapuntini in enti parastatali. Oppure a sventolare il proprio certificato anagrafico in guisa di massima virtù, come gli sventurati pd under 35. Parafrasando Venditti: "Compagno di scuola, ti sei salvato o sei finito in politica pure tu?" 

Non ho niente contro i giovani. Ma per rappresentare il popolo dovrebbero aver prima dimostrato qualcosa. Altrimenti sono solo miracolati. Bonino, per esempio, approdò in Parlamento nel 1976 a 28 anni sull'onda delle sue lotte per l'aborto legale. Robespierre e Saint-Just fecero una rivoluzione a 31 e 22 anni. I Giovani Turchi cacciarono i vecchi ottomani pantofolai; poi però, avendo l'età dell'estremismo fanatico, sterminarono gli armeni.

Gli antichi romani, che avevano già capito tutto, facevano l'esatto contrario dell'odierno pseudogiovanilismo: in politica si affidavano alla saggezza dei vecchi senex riuniti nel Senato. Invece questi vorrebbero il Giovinato. 

Saturday, July 10, 2021

Conte vs Draghi/ La commedia dell’ex premier nasconde la sconfitta di M5s

Dopo il Cdm che ha superato il giustizialismo di Bonafede, Conte attacca il governo, ma la sua capacità di nuocere è limitata. Conseguenze sul Pd

intervista a Mauro Suttora

www.ilsussidiario.net, 10 luglio 2021

Non si può dire che il governo sia arrivato sull’orlo della rottura, questo no. Ma Draghi ha dovuto imporsi, ha preteso l’unità e l’appoggio formale dei 5 Stelle alla riforma della giustizia penale, uno dei tasselli più importanti per avere i fondi del Recovery. I ministri grillini, e dietro di loro i gruppi parlamentari spaccati a metà, difendevano la riforma Bonafede, arrivando a ipotizzare l’astensione sulle modifiche proposte dalla ministra Cartabia, ma Draghi ha detto no. Si è così arrivati in modo molto laborioso a una nuova mediazione che ha ottenuto l’assenso di tutti. 

Problema risolto? Nemmeno per idea: a proposito della “improcedibilità” – la soluzione tecnica congegnata per superare la prescrizione – Conte ieri ha detto che “è tornata un’anomalia italiana”. Una premessa non incoraggiante per l’iter del ddl e per gli emendamenti che lo attendono in aula. 

Ma l’opposizione dei contiani, dice Mauro Suttora, giornalista e scrittore, attento osservatore della parabola grillina, “è ininfluente: il governo Draghi durerà almeno fino a gennaio, quando si eleggerà il successore di Mattarella. Conte fa solo ammuina. La vera novità è la rottura completa di Di Battista”. 

La mediazione Cartabia sulla prescrizione è una vittoria o una sconfitta per M5s?

È una sconfitta per i grillini e una vittoria per lo stato di diritto. Ma in realtà il vero problema non è la prescrizione. Alla prescrizione uno stato civile non deve neanche arrivare. Il vero nodo, quel che interessa l’Europa, è la lentezza della nostra giustizia. Proprio ieri c’è stata la prima udienza del processo al figlio di Grillo, per uno stupro di due anni fa. E c’è stato un ulteriore rinvio all’11 novembre, cioè fra quattro mesi. Assurdo. Così come non è accettabile che non sia ancora iniziato il processo per il ponte Morandi di Genova, dopo ben tre anni.

Si è saputo che sono stati i contiani a mettersi di traverso: la prescrizione era la loro linea del Piave. Se prima c’era qualche dubbio, forse ora non più: è Conte l’avversario n.1 di Draghi?

Conte continua a giurare di no, quindi probabilmente è vero. Ma è ininfluente: il governo Draghi durerà almeno fino a gennaio, quando si eleggerà il successore di Mattarella.

Il blocco contiano (parte di M5s, Fatto Quotidiano e toghe) punta davvero a far cadere il governo? Parrebbe fantascienza, ma parlano le azioni politiche.

Le azioni politiche di Conte sono la famosa “ammuina” in napoletano, “posturing” in inglese: dichiarazioni tanto roboanti quanto vuote, pronunciate a uso dei fans e dell’opinione pubblica. Una commedia.

Secondo le indiscrezioni, i parlamentari grillini erano per dire sì alla proposta Cartabia, i contiani per uscire dalla maggioranza. Questo che cosa ci dice della disfida Conte-Grillo?

È buffo che ora occorra distinguere fra grillini-grillini e grillini contiani. E ancor più comico che stiano litigando da mezzo mese su uno statuto che nessuno ha potuto leggere, neanche i parlamentari. Speriamo che non resti segreto almeno per i sette capetti grillini che dovrebbero dirimere la questione.

Dopo il Cdm, Conte è stato il più critico: sulla prescrizione, ha detto, si è “tornati a un’anomalia italiana”. Il suo partito è più vicino? Magari cominciando da una scissione dei gruppi parlamentari?

È irrilevante che i grillini si scindano. Ormai sono un moncherino di gruppo parlamentare che verrà spazzato via dal prossimo voto. Tutti i sondaggi dicono che in totale stanno al 15-17%, e che nessuna delle due fazioni supererà il 10% se si presenteranno divisi.

Secondo nostre informazioni, critiche pesanti ai ministri pentastellati vengono dai 5 Stelle presenti nella commissione Ambiente della Camera. Ad oggi, i parlamentari M5s di quella commissione non intendono votare il dl Semplificazioni bis. Come commenti?

Come sopra: sceneggiate. Al governo Draghi non c’è alternativa.

Durante la guerra fredda il Pci era escluso dal governo, adesso c’è una seconda guerra fredda e i 5 Stelle fanno parte dell’esecutivo. È un problema.

Per la verità dal 1976 al 1979 il Pci governò l’Italia assieme alla Dc, durante la solidarietà nazionale. Anche oggi c’è una solidarietà nazionale per il virus e il Recovery fund. I grillini sono inquietanti per la loro simpatia verso la Cina, Conte non ha preso le distanze dalla visita di Grillo all’ambasciatore cinese a Roma. Ma Di Maio come ministro degli Esteri sembra aver abbandonato le precedenti scivolate su Cina e Trump.

Ti faccio un nome: Di Battista. Ieri si è scagliato per la prima volta contro Di Maio e gli altri ministri grillini, definendoli “incapaci, pavidi, inadeguati”. È la rottura completa. Il travaglio di M5s quanto danneggia il Pd?

In teoria il Pd dovrebbe recuperare un po’ di voti dallo sfacelo grillino. Ma non gli è riuscita l’impresa di Salvini, che nell’anno dell’alleanza gialloverde aveva dimezzato i voti del M5s e raddoppiato i propri. Intanto, Letta nei sondaggi naviga mesto sotto il 20%. E i dirigenti Pd come Bettini e Zingaretti, che avevano incoronato Conte come nuovo leader della sinistra, si rendono conto dell’abbaglio preso.

Saturday, May 22, 2021

Comunali e giustizia, le partite che decidono chi sale al Colle

Le elezioni comunali determineranno il peso dei partiti, che dopo avere eletto il successore di Mattarella (Draghi) non potranno evitare le urne

intervista a Mauro Suttora

www.ilsussidiario.net, 22 maggio 2021

“Fino alle presidenziali di gennaio il governo Draghi può stare tranquillo. Poi mi sembra logico che venga eletto al Quirinale e si vada a nuove elezioni”. Batterà il candidato della sinistra, secondo Mauro Suttora, giornalista, libertario per autodefinizione, un passato all’Europeo, Oggi, Newsweek e New York Observer

Elezioni? Sì, “perché non sarà più possibile tenere in vita un parlamento non rappresentativo”. Dunque gli eventi potrebbero essere molto più lineari di quello che lasciano pensare i densissimi retroscena politici sul rinnovo della presidenza della Repubblica. Chissà se è vero. È un fatto, però, che tutti i tentativi di Letta di rafforzare il peso politico del Pd al governo non stanno riuscendo. E il primo momento di verità per i partiti –  le comunali di settembre-ottobre – è ormai dietro l’angolo.

Cosa ci dice la bocciatura della proposta Letta da parte di Draghi?

Oggi l’Italia sulle grandi eredità incassa solo 0,8 miliardi annui contro i 14 della Francia, gli 8 della Germania, i 6 del Regno Unito e i 3 della Spagna. Quindi un problema di tasse di successione esiste. Ma Draghi ha già detto più volte che non si possono aumentare le imposte.

E cosa ci dice del Pd?

L’uscita di Letta è incomprensibile. Un autogol pari a quello di Grillo su suo figlio indagato per stupro. Bastava proponesse che si spostino, a parità di gettito, un po’ delle tasse che colpiscono il lavoro (diminuendo le aliquote Irpef) a quelle sulle eredità dei ricchi. 

E invece?

Invece, Letta è caduto nel solito vizio della sinistra: aumentare imposte già altissime, senza contropartita.

Chi logora chi, nel governo di unità nazionale, tra centrodestra, centrosinistra e Draghi?

I sondaggi ci dicono che soffrono il Pd – destino comune dei socialisti europei, spariti in Francia e Grecia, e bastonati in Spagna, Gran Bretagna e Germania –, e la Lega sfidata dai Fratelli d’Italia. La prova del nove avverrà alle comunali di autunno. Draghi invece non sembra logorato.

C’è ancora qualcuno che in una fase delicata come questa vorrebbe incrinare il patto di unità nazionale, mettendo in discussione un governo senza alternative?

Fino alle presidenziali di gennaio il governo Draghi può stare tranquillo. Poi mi sembra logico che Draghi venga eletto al Quirinale e si vada a nuove elezioni.

Si sussurra che Di Maio lavori ad un nuovo governo. Ti risulta? Con quali prospettive?

Mi sembra comico che Di Maio possa lavorare ad alcunché. Ai grillini non resta che tentare di riciclarsi in qualche modo, con chiunque, come ha già fatto Conte.

La Corte dei conti ha stoppato il vaccino italiano Reithera per “l’assenza di un valido e sufficiente investimento produttivo” da parte di Invitalia. D’Alema e i suoi uomini tengono il punto o sono destinati ad arretrare?

Non so quanto si possa ancora collegare Arcuri a D’Alema. Il primo, se sopravviverà, lo dovrà a Conte. D’Alema è uscito distrutto dalle ultime elezioni, assieme a Bersani: vale il 2 per cento.

D’Alema, Letta, il Pd, M5s. E Prodi. Non ti sembra un’ottima squadra per salvare un’idea dell’Italia, garantendosi il Colle?

Prodi presidente della Repubblica? Troppo vecchio. Il suo tempo è finito.

Quando si gioca la partita? Nel 2022 o nel 2023?

Il centrosinistra è terrorizzato dalle elezioni, visti i sondaggi. Ma ormai il 2022 sarà il quarto anno della legislatura, non sarà più possibile tenere in vita un parlamento non rappresentativo. Il M5s, primo partito col 33%, non esiste più da due anni, dimezzato dai sondaggi. A Montecitorio ci sono solo zombies. L’unico pericolo è che questi residuati bellici vogliano sopravvivere fino al maturare delle loro pensioni, nell’autunno 2022.

Il centrodestra può spuntarla? Come?

Moderandosi per non spaventare l’Europa e i mercati.

E Mattarella invece? Intendo Mattarella come potere uscente, capace di sostenere un suo candidato – o una sua candidata, come la ministra Cartabia. Può farcela?

Lasciamolo pensionarsi. Quanto alla Cartabia, il suo garantismo è ammirevole, ma la Guardasigilli non esprime un consenso.

Il Csm nel caos non rende facile il lavoro di Cartabia. Cosa vedi su questo fronte? Un approfondirsi della crisi o spiragli di soluzione?

La giustizia italiana non esiste più. Ormai nel mondo reale, quello dell’economia internazionale, chi fa affari in Italia si cautela dalle controversie nominando preventivamente arbitri. Entrare in un palazzo di giustizia significa regredire di un secolo, fra timbri, notifiche fatte a mano, scartoffie e tempi intollerabili.

Come valuti i referendum che intendono proporre Radicali e Lega?

Mossa intelligente da parte di entrambi. In realtà la responsabilità civile dei magistrati è già stata introdotta da un referendum radicale ben 34 anni fa, dopo il caso Tortora. Ma la casta giudiziaria l’ha annullata, azzeccando i soliti garbugli. E quanto alla separazione delle carriere fra magistrati giudicanti e dell’accusa, ottima idea. Ma a sud di Roma, dove interi territori sono controllati dalle mafie, come garantire l’indipendenza – e la sicurezza – delle procure della repubblica?

Federico Ferraù

Sunday, March 28, 2021

Caos M5s: Grillo-Casaleggio-Conte, quadratura impossibile

intervista a Mauro Suttora

Il Sussidiario.net, 28 marzo 2021

Conte vorrebbe i pieni poteri in M5s, ma Grillo non ci pensa neppure. Intanto Letta spera di cuocere i grillini a fuoco lento, per capovolgere a suo favore l’alleanza

“Sono completamente spaesati, come i comunisti quando Stalin si alleò con Hitler nel 1939-41”. I “comunisti” sono i 5 Stelle, che Grillo ha cercato di rianimare nell’ennesimo show in diretta zoom, senza peraltro risparmiare la bordata dello stop al terzo mandato. 

Il paragone è di Mauro Suttora, giornalista, che parlando con il Sussidiario fotografa in modo impietoso lo stato di salute dei 5 Stelle. 

“Penso che Letta speri di cuocere i grillini a fuoco lento, aspettando un loro ennesimo flop alle amministrative”, ma “Pd e M5s sono condannati ad allearsi, se vogliono contare”. Nessuno dei due, per ora, darà problemi a Draghi.

Qual è, in questo momento, per i 5 Stelle, il primo dei problemi?

L’identità. Non sanno più chi sono. Erano nati per pulire la politica, che però ora li ha sporcati: sono diventati i peggiori trasformisti. Non sanno più cosa vogliono. Né con chi vogliono farlo. Un proverbio romanesco dice: “Se po’ campa’ senza sapé pecché, ma nun se po’ campa’ senza sapé pe cchi”. Sono completamente spaesati, come i comunisti quando Stalin si alleò con Hitler nel 1939-41. 

Non si capisce perché Conte, che aveva ricevuto un’investitura per fare il leader, ancora tentenni. Che cosa sta succedendo?

Conte sta cercando di capire se gli conviene resuscitare il moncherino del Movimento 5 Stelle, il M5s dimezzato dai sondaggi, o creare qualcosa di nuovo. Senza piombare, e venire piombato, in un conflitto con la Casaleggio Associati.

Dunque torniamo sempre alla casella di partenza: in un modo o nell’altro, tutto o quasi ruota intorno a Casaleggio. Davide vuole farsi un partito?

No. Però non vuole neanche perderlo. Anche se l’attuale M5s ormai ha poco a che fare con quello inventato da suo padre, morto cinque anni fa.

Ma perché Davide Casaleggio ha preso un’altra strada?

Sono i grillini ad aver abiurato i princìpi fondamentali del loro Movimento: democrazia diretta, trasparenza, abbattimento dei costi e del professionismo politico.

Nel partito c’è fermento perché nessuno sa cosa si siano detti Letta e Conte. Secondo te hanno parlato solo di amministrative? O di altro?

Intanto si può immaginare come si sentano i vecchi militanti grillini, gente che ha dato quindici anni di vita al Movimento, a essere guidati da un signore, Conte, che non è mai stato neanche iscritto e che tre anni fa era stato pescato per caso come possibile tecnico per un ministero secondario. Conte non ha mai fatto alcuna lotta grillina, è un corpo estraneo. E ora dovrebbe decidere a loro insaputa il loro destino, e per di più con Letta, l’odiato premier Pd del 2013 che i grillini insultavano ogni giorno? Almeno Zingaretti non era mai stato un loro bersaglio. Certo, i due avranno parlato del voto amministrativo di ottobre. Il Pd offre una sola candidatura sicura ai grillini: Fico sindaco di Napoli.

Conte e M5s appoggeranno Letta sul maggioritario?

Al M5s conviene di più il proporzionale, ma dall’alto del loro 17% non sono in grado di dettare condizioni al Pd.

Si dice che Conte non sciolga le riserve perché teme un’emorragia elettorale; tanto varrebbe allora dar vita al partito contiano. Secondo alcuni è definitivamente morto la sera dei 156 voti in senato; tu cosa dici?

Manca ancora mezzo anno al voto nei Comuni, quindi Conte non ha fretta. E un suo partito personale rischierebbe di finire nel nulla come quelli di Monti e Renzi.

Quali condizioni starà ponendo a Grillo, sul versante M5s?

Quella di essere incoronato capo unico dei grillini. Cosa impossibile, perché ci sono anche Grillo e Di Maio. I grillini per ora accettano Conte solo perché ha oltre il 50% di popolarità.

La “safety car” istituzionale del governo Draghi ha riallineato Pd e M5s? Oppure Letta teme una subordinazione del Pd come durante il Conte 2?

Pd e M5s sono condannati ad allearsi, perché da soli non hanno i numeri per fronteggiare il 45% del centrodestra. Penso che anche Letta speri di cuocere i grillini a fuoco lento, aspettando un loro ennesimo flop alle amministrative.

Il pensiero verde è l’ultima opzione scelta da Grillo per attestare i 5 Stelle sulla linea del Piave. C’è concorrenza da quelle parti: anche Sala ha mollato il Pd per diventare verde.

Agli italiani importa nulla del green. Vogliono solo ricominciare a vivere e lavorare dopo il virus. Che ora costringe tutti a evitare bus e metro, usando le auto e avvelenando le nostre città. Che Sala a Milano si auto-definisca verde è divertente. Ma neanche Conte sa cos’è l’ecologia.

Ma chi avrebbe più probabilità di aggregare un fronte verde? il Pd di Letta? Conte da solo al centro? M5s?

Tutto sommato, in mancanza di un forte partito verde, Grillo ha le credenziali più forti. Anche se con idee strampalate come il no Tav, i treni ad alta velocità che inquinano meno di auto, tir e aerei.

A Roma chi vince le comunali?

Penso il centrodestra, se trova un candidato decente. La Raggi verrà battuta al primo turno anche dal candidato Pd.

Chi darà più problemi a Draghi? Letta o la galassia M5s?

Nessuno dei due. Staranno tranquilli fino alle presidenziali di gennaio. L’unico a fare un po’ di sceneggiata continuerà a essere Salvini. Ma solo a parole, per non dare troppo spazio alla destra della Meloni.

Federico Ferraù  

Wednesday, March 10, 2021

Letta, Renzi e l'arte della scomparsa

di Mauro Suttora

Huffpost,10 marzo 2021

Se dirà sì alla segreteria pd, l’autoesilio di Enrico Letta sarà durato metà della prigionia del conte di Montecristo. Sette anni, dopo quella scena inobliabile del febbraio 2014 quando non guardò in faccia Matteo Renzi mentre gli stringeva la mano consegnandogli il campanellino da premier.

Sette anni lontano dalle beghe politiche nostrane, dimissioni anche dal Parlamento e dal Pd (tessera rinnovata solo due anni fa, dopo l’elezione a segretario di Zingaretti).


Due incarichi prestigiosi a Parigi: direttore della Scuola di Affari internazionali di Sciences Po (la fucina dell’élite francese con l’Ena), e dell’Istituto Jacques Delors. Conferenze in tutto il mondo, da San Diego in California a Sidney. Nessuna consulenza pagata da satrapi mediorientali.


Unica carica conservata in Italia: direttore dell’Arel, il centro studi del maestro Nino Andreatta. Chiuso VeDrò, il suo think tank accusato dal sottosegretario grillino all’Interno Sibilia di essere il “Bilderberg italiano”, occulto potere forte, incubo dei complottisti.


Il ritorno trionfale di Letta dimostra che se in amore vince chi fugge, in politica può risorgere soltanto chi scompare. Ci aveva pensato anche Renzi, quando promise di dimettersi se avesse perso il suo referendum del dicembre 2016. Qualcuno gli consigliò di passare le consegne anche in caso di vittoria, per girar pagina e andare a nuove elezioni.


Invece Renzi è rimasto aggrappato al cortile dei palazzi romani. Ha perpetuato il suo personale think tank della Leopolda. Nel 2017 si sfogò contro il rivale Letta in un’autobiografia: “Non lo pugnalai alle spalle, fu il Pd a cambiare cavallo. Il suo governo era immobile, l’unica cosa che fece fu aumentare l’Iva. Alle primarie Pd Enrico prese solo l’11 per cento”.


“Disgustoso”, replicò durissimo Letta, abbandonando per una volta il suo aplomb. «Il silenzio mantiene meglio le distanze. Da tempo ho deciso di guardare avanti, e non saranno queste ennesime scomposte provocazioni a farmi cambiare idea. Gli italiani sono saggi, sanno giudicare».


E il giudizio dei sondaggi oggi è impietoso per Renzi, confinato al 3%. Grazie alle sue capacità manovriere sopraffine è stato lui a decidere la nascita dei nostri ultimi due governi, il Conte 2 e il Draghi ecumenico. Ma il consenso è volato da un’altra parte, posandosi ora proprio sulla testa del detestato rivale.


Perché l’arte della scomparsa non è da tutti. La praticano solo i veri statisti. Churchill ha avuto tre vite politiche resuscitando due volte, nel 1940 e nel 1951, dopo lunghi isolamenti. La “traversata del deserto” di De Gaulle durò dodici anni, fino al trionfale ritorno nel 1958.


Anche i cavalli di razza italiana sapevano prendersi intervalli. Fanfani, soprannominato ‘Rieccolo’, fu dato per politicamente morto infinite volte, e altrettante tornò a palazzo Chigi: l’ultima a 79 anni, nel 1987. Il suo amico/rivale Moro aveva la cattedra universitaria cui dedicarsi quando non governava.


Il 55enne Letta e il 46enne Renzi hanno ancora una vita politica davanti a loro. Il primo, se accetterà la segreteria pd, è ben posizionato per succedere a Draghi. E il secondo s’inventerà sicuramente qualcosa per soddisfare la sua straboccante personalità.

Mauro Suttora

Wednesday, February 11, 2015

Rosy Bindi: "Il mio Mattarella"

NOI CATTOLICI DEMOCRATICI, INCOMPRESI ANCHE NELLA CHIESA

di Mauro Suttora

Oggi, 4 febbraio 2015

"Quando sono entrata in Parlamento nel 1992 avevo alla destra del mio seggio Sergio Mattarella, e a sinistra Leopoldo Elia. Ho imparato molto da loro. E' stata una gran scuola: quella di Aldo Moro, Zaccagnini, La Pira, Dossetti. Insomma, i cattolici democratici della sinistra Dc".

Rosy Bindi è considerata la sorella politica del nuovo presidente della Repubblica. Insieme, e con Enrico Letta, Dario Franceschini e Rosa Russo Jervolino, hanno contrastato Rocco Buttiglione che dopo Tangentopoli voleva spostare il partito Popolare (ex Dc) nel centrodestra. E nel '96 hanno fatto nascere l'Ulivo di Romano Prodi, primo abbozzo del partito Democratico con gli ex comunisti.

Ora è seduta nel Transatlantico, la sala di Montecitorio accanto all'aula dove ha appena votato nella seduta che sta mandando Mattarella al Quirinale. È uno dei giorni più felici della sua vita politica. Tutti vengono a congratularsi.

Lei non sta nella pelle, ci dà la sua prima intervista ma avverte: "Appena inizia lo spoglio torno dentro, per sentire i voti uno a uno".

Ma il risultato è sicuro.
"Non si sa mai. Voglio soffrire fino all'ultimo".

È da parecchio che soffre, Rosy Bindi. Prima per Berlusconi, poi per un Matteo Renzi che assomigliava troppo a Berlusconi.
"Quasi tutto perdonato. Vado ad abbracciarlo. L'elezione di Mattarella è un capolavoro".

Quando ha conosciuto il nuovo presidente?
"Mattarella aveva già dieci anni di esperienza parlamentare quando approdai a Roma. Era stato eletto alla Camera nell'83, raccogliendo l'eredità del fratello Piersanti assassinato dalla mafia. Diventammo subito amici".

Anche con la sua famiglia?
"Sì. Sua moglie, scomparsa due anni fa, era una donna straordinaria: l'opposto di lui per temperamento, ma uguale acutezza. Fui ospite da loro a Palermo, loro da me in montagna".

È vero che lo chiamavano 'Martirello' per l'aria lugubre e sofferta?
"E' molto riservato, ma ha un senso spiccato dell'humour".

Com'e' che si dimise da ministro contro Berlusconi?
"Nel 1990 la legge Mammi' salvò le tv Fininvest da una direttiva europea che vietava il possesso di tre canali da parte di un solo privato. Cosi' tutti i ministri della sinistra Dc se ne andarono dal governo Andreotti. Lui lasciò la Pubblica istruzione: una scelta drastica e irrevocabile improbabile per un Dc, ma non per un cattolico democratico".

Lei nel 1980 era accanto al professor Vittorio Bachelet ucciso dai brigatisti rossi. Un mese prima Mattarella vide morire il fratello fra le sue braccia. Vi unisce il dolore?
"Sì, ma anche tante battaglie combattute assieme, come quelle contro il Caf di Craxi, Andreotti, Forlani, e contro Berlusconi. Quando lui era vicepresidente del governo D'Alema nel '99 ebbi un forte appoggio per portare a termine la riforma della Sanità. Siamo cristiani ma pratichiamo la laicità, come ho dimostrato con i Dico, i Diritti dei conviventi. Noi cattolici democratici, prima di papa Francesco, abbiamo attraversato anni difficili anche dentro la Chiesa, con la presidenza Ruini della Cei".

Nel 2008 Mattarella lasciò la politica, non si ricandido'.
"Troppo cinismo e tatticismo nei partiti. Decisione non indolore, per un fondatore del Pd. Ma che si è rivelata provvidenziale, perché essere fuori dai giochi ha favorito questa sua elezione a presidente". 
Mauro Suttora  

Wednesday, September 04, 2013

4 scenari per il governo


CADE? NON CADE? SI VOTA?

di Mauro Suttora

Oggi, 28 agosto 2013

La data di lunedì 9 settembre è diventata importante quasi quanto l’8 settembre di settant’anni fa. La giunta per le elezioni del Senato si riunisce in quel giorno per decidere la decadenza di Silvio Berlusconi, condannato definitivamente a quattro anni per frode fiscale.
Il partito berlusconiano Pdl non accetta questa prospettiva, e minaccia di ritirare la fiducia al governo di Enrico Letta dopo appena quattro mesi. In ballo c’è anche l’Imu, tassa sulla casa che il Pdl vuole abolire. Ecco i possibili scenari:

1) NUOVO GOVERNO LETTA
Se l’attuale governo delle «larghe intese» (Pd-Pdl-Scelta Civica) non riesce in qualche modo a sopravvivere, il capo dello Stato Giorgio Napolitano potrebbe affidare un nuovo incarico a Letta. Nel rimpasto Angelino Alfano lascerebbe il ministero dell’Interno dopo lo scandalo Kazakistan, anche per avere più tempo da dedicare alla vita di partito e per rimarcare la distanza dal nuovo governo. Al quale però, per «senso di responsabilità», il Pdl (o una sua parte) continuerebbe a garantire la fiducia, o almeno la «non sfiducia» (astensione). 

2) NUOVE ELEZIONI
Forte di alcuni sondaggi che danno il centrodestra in testa con il 34-37 per cento, Berlusconi potrebbe puntare a nuove elezioni. Lo frenano altri sondaggi che danno vincitore il Pd, se guidato da Matteo Renzi. In ogni caso, la «stabilità» è considerato il valore più importante oggi, e non solo dal presidente Napolitano. Lo spread è calato a 250, nessuno vuole crisi politiche che risveglino gli speculatori finanziari internazionali. 

3) NAPOLITANO SI DIMETTE
Il presidente della Repubblica ha accettato un secondo mandato solo in cambio dell’impegno di Pd e Pdl ad assicurare la governabilità, con un’alleanza che va contro i rispettivi interessi di parte. Ma se quest’impegno venisse meno, Napolitano potrebbe compiere un gesto drammatico, dimettendosi. Poiché le Camere possono essere sciolte solo dal capo della Stato, occorrerebbe eleggerne uno nuovo.
Ma i tempi si allungherebbero e si arriverebbe alla primavera 2014, che già prevede il voto per l’Europarlamento.

4) GOVERNO PD-GRILLO
Se il governo cadesse per colpa del Pdl e Napolitano e Letta non riuscissero ad attuare l’ipotesi 1), si potrebbe tornare a un’alleanza  fra Pd e il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo. Il tentativo già fallito dell’ex segretario Pd Pier Luigi Bersani avrebbe qualche possibilità di andare in porto se il Pd e Grillo (che nei sondaggi è sceso dal 25 al 17-20 %), si accordassero su un premier come Stefano Rodotà, candidato M5S al Quirinale.
Mauro Suttora   

Wednesday, August 28, 2013

Enrico Letta in piscinetta

Il premier gioca con moglie e figli nel giardino della casa di famiglia: vacanze agli antipodi di quelle di Berlusconi

di Mauro Suttora

Colignano (Pisa), 21 agosto 2013

Il 20 agosto ha compiuto 47 anni. Il più giovane premier italiano dopo Benito Mussolini, Amintore Fanfani e Giovanni Goria. Sarà anche il più breve, o il più longevo?
 
Entrambe le possibilità sono aperte per Enrico Letta. Che in queste pagine vediamo giocare con i figli e la moglie nella piscinetta della villa di famiglia vicino a Pisa. Una breve pausa di relax fra gli impegni a palazzo Chigi, i viaggi all’estero e la partecipazione al meeting di Comunione e liberazione a Rimini.

Qui il serafico Letta ha tirato fuori le unghie, attaccando i «professionisti del conflitto». Chi sono? Quelli che vorrebbero già far cadere il suo governo, nato appena quattro mesi fa. «Gli italiani puniranno chi antepone i propri interessi a quelli del Paese», avverte. A chi si riferisce?

Alle opposizioni, naturalmente, ma anche ai “falchi” del Popolo delle Libertà che non esitano a minacciare il ritiro della fiducia se Silvio Berlusconi perderà il suo seggio di senatore dopo la condanna a quattro anni di carcere per frode fiscale.

Ma nel mirino di Letta ci sono anche alcuni esponenti del suo partito, il Pd, che criticano in continuazione il governo, indebolendolo. Non è un mistero che diversi democratici, soprattutto quelli di sinistra, abbiano paura che l’alleanza con Berlusconi faccia perdere voti al partito.

Si vergognano per le larghe intese
A beneficiarne sarebbero Beppe Grillo (Movimento 5 stelle), Nichi Vendola (Sel) e Roberto Maroni (Lega). Così, il governo Letta delle «larghe intese» viene continuamente strattonato da sinistra e da destra. Tutti dicono di «essere costretti» a governare assieme agli avversari dell’ultimo ventennio per cause di forza maggiore (la crisi economica).
Gli unici a difenderlo compatti sono i montiani. Ma rappresentano solo il 10 per cento degli elettori.

Già il 9 settembre, quando si riunirà la giunta per le elezioni del Senato, il governo Letta potrebbe cadere perché il Pd, è quasi sicuro, voterà per la decadenza da senatore di Berlusconi.

Poi ci sono i possibili incidenti di percorso, come il caso Shalabayeva (la moglie del dissidente kazako espulsa dall’Italia con la figlia di sei anni).

Infine, la crisi economica. Se i mercati internazionali continueranno a «graziare» l’Italia, mantenendo lo spread con i titoli tedeschi sui 250 punti (contro i 570 di venti mesi fa), il governo rimarrà solido. La stabilità paga, come ammonisce continuamente il capo dello Stato Giorgio Napolitano.

Ma se si tornasse alle turbolenze, o se l’Italia non riuscisse ad agganciare la timida crescita del resto d’Europa, il destino di Letta sarebbe più difficile.

È in cima ai sondaggi.
In ogni caso, il premier negli ultimi sondaggi di popolarità è in cima alla classifica assieme a Napolitano, Matteo Renzi ed Emma Bonino. E molti ipotizzano che il suo governo duri fino al 2015. Letta può quindi godersi qualche giorno di vacanza in relativa tranquillità.
Mauro Suttora     

Wednesday, August 07, 2013

Pd: parlano Moretti e Serracchiani


Oggi, 31 luglio 2013

di Mauro Suttora

Ma esiste ancora il Partito democratico? Ogni testa una corrente, non sono mai uniti su nulla. Passano il tempo a litigare. 
«Ci siamo, ci siamo, anche se un po' a pezzi e in difficoltà», assicura a Oggi Alessandra Moretti, deputata di Vicenza. Volto nuovo del Pd, lanciata come portavoce lo scorso autunno dal segretario Pier Luigi Bersani. «Ci sono soprattutto i milioni di cittadini che ci hanno votato: chiedono una rigenerazione del partito, un'autocritica serena e severa. E poi dobbiamo parlare di contenuti, di progetti».

«Confusione molta, certezze poche», ammette Debora Serracchiani, da tre mesi presidente della regione Friuli-Venezia Giulia dopo quattro anni da eurodeputata.

Le discussioni ruotano sempre, ormai da un anno, attorno al nome di Matteo Renzi. Prima delle elezioni di febbraio voleva la candidatura a premier, e prese il 40 per cento alle primarie. Ora, forte di una popolarità al 60% (a quei livelli solo Enrico Letta, Giorgio Napolitano ed Emma Bonino, nei sondaggi) mira invece alla guida del Pd, lasciata da Bersani a Guglielmo Epifani fino al congresso di fine anno.

Il problema è che i dirigenti democratici non riescono a mettersi d'accordo neppure sulle regole del congresso che eleggerà il nuovo segretario. Epifani, Bersani e Dario Franceschini vogliono seguire le regole classiche di ogni associazione: votano solo gli iscritti. In questo caso, però, Renzi rischia di non farcela. Perché il sindaco di Firenze è apprezzato più fuori che dentro il suo partito. 
«La nostra gente vuole primarie aperte», dice la Moretti, «in un momento di disaffezione come questo dobbiamo spalancare porte e finestre». Gli iscritti infatti sono un tasto dolente: appena 600 mila, rispetto al milione di Pds e Margherita prima della fusione nel 2008. E agli 800 mila del 2009.

Ma voi e gli altri che propongono di far votare anche i simpatizzanti, lo fate per favorire Renzi? Moretti: «Non so se deciderà di candidarsi. So che il Pd deve dimostrare di essere una forza che attrae non solo i militanti e gli iscritti, ma anche il popolo dei delusi: quel 40 per cento che alla politica non crede più». Serracchiani: «Il primo articolo dello statuto Pd dice che votano gli iscritti, ma anche gli elettori. Sia per il premier che per il segretario».

Quindi, onorevole Moretti, per lei un'altra rottura con Bersani dopo il suo no a Franco Marini da lui proposto al Quirinale? «Con Bersani mantengo un rapporto di stima e lealtà autentica. Che significa anche saper manifestare il proprio dissenso. E non è sempre una scelta facile. La candidatura di Marini non era sbagliata in sè: era sbagliato il metodo con cui si è arrivati a quel nome, che ha determinato la rottura della coalizione di centrosinistra».
  
Le danno dell'ingrata, però. «A tradire Bersani sono stati quelli che lo hanno mal consigliato, non certo io. Un vero leader evita di circondarsi di yes men, che per fedeltà non osano mai contraddire il capo. Con altri quaranta deputati, soprattutto giovani e neoeletti, ora sono una dei "non allineati", fuori dalle correnti interessate solo alla spartizione di incarichi e poltrone».

Letta ha definito «fighetti» i “giovani” pd emergenti che prendono sempre le distanze per farsi notare dai media: Pippo Civati, Matteo Orfini, voi due… «Ma per carità, io non ho mai criticato tanto per criticare né il partito, né il governo Letta», si difende Moretti. «Al contrario, lo sostengo e apprezzo la capacitá del premier di ascoltare e rispettare anche posizioni differenti». 
Serracchiani: «Non mi sento tirata in causa: alle europee e alle regionali si viene eletti con le preferenze. Quindi i voti ho dovuto cercarli, e me li sono guadagnati uno a uno».

Allora, Letta premier e Renzi segretario? Moretti: «Letta sta procedendo bene in condizioni difficilissime. All'inizio avevo creduto nel tentativo di Bersani di coinvolgere i 5 Stelle. Ma Grillo ha dimostrato di voler fare solo battaglie mediatiche di scontro: niente proposte costruttive, tanta demagogia». 
Serracchiani: «I 5 Stelle non vogliono prendersi responsabilità. Per esempio, hanno detto di condividere il 90 per cento del mio programma in Friuli, ma sono rimasti all’opposizione».

Ma se Renzi conquista il partito, quanto durerà Letta? Prodi nel 2008 cadde, dopo che Veltroni divenne segretario Pd. Serracchiani: «Possono tranquillamente convivere. Magari Renzi come premier, visto che ha già governato un comune e una provincia: ha esperienza amministrativa. Sono complementari, perché dovrebbero farsi la guerra? Il Pd è un grande partito, c’è spazio per tutti e tanti. Però ci vuole un profondo ricambio». 

Moretti: «Le manovre di potere ci porterebbero al suicidio, sono vecchia politica. Oggi in Italia la prioritá è il lavoro, per creare occupazione bisogna abbassare le tasse su chi il lavoro lo produce». E l'Imu? «Trovo iniquo toglierla a tutti: io, per esempio, è giusto che la paghi. E lo faccio volentieri se quelle risorse vanno ai Comuni che garantiscono i servizi essenziali alle persone. Questi sono i problemi concreti. Tutto il resto è chiacchiera».
Mauro Suttora

Monday, July 29, 2013

Renzi odiato dai dirigenti Pd


Oggi, 23 luglio 2013

di Mauro Suttora

Nell’ultimo mese è riuscito a superare nei sondaggi Swg sui gradimenti dei singoli politici perfino il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Impresa mai riuscita, negli ultimi anni, neanche all’ex premier Mario Monti quand’era ancora in stato di grazia a fine 2011.

Così Matteo Renzi ora veleggia sicuro attorno al 60 per cento dei consensi: un buon 5-10 più dell’attuale premier Enrico Letta, ex democristiano come lui (e come il vicepremier del Pdl Angelino Alfano). Dall’alto del trono di politico più popolare (e giovane) d’Italia, il sindaco di Firenze si gode qualche giorno di vacanza in famiglia a Punta Ala.

Eppure, non è detto che questi sondaggi stratosferici gli permettano di conquistare la segreteria del Pd. Anche perché non si conosce ancora la data del congresso. Fine anno, pare. Ma Renzi conosce bene i bizantinismi della politica italiana. Almeno quanto il suo nuovo “amico” Massimo D’Alema, che gli consiglia di puntare al governo invece che alla guida del partito.

Lo scorso autunno Renzi ha conquistato quasi il 40 per cento alle primarie Pd contro l’allora segretario Pier Luigi Bersani. Secondo molti, attirando simpatie anche fuori dal suo partito avrebbe potuto vincere le elezioni, perse invece da Bersani per un soffio a febbraio. Si pensava perciò che fosse il candidato naturale a segretario del Pd dopo le dimissioni di Bersani. Per essere eletti, tuttavia, ci vuole un congresso. E qui sorgono i problemi.

Di norma, infatti, il segretario del Pd diventa anche il candidato premier. E un Renzi capo dei democratici farebbe fatalmente ombra al premier Enrico Letta. Come nel 2007, quando l’elezione di Walter Veltroni portò in pochi mesi alla caduta del governo di Romano Prodi.

Vuole tagliare i soldi ai partiti
Renzi assicura sempre di non voler fare concorrenza a Letta, però non lesina le critiche al governo. Sul finanziamento pubblico ai partiti, per esempio, è sulle posizioni di radicali e 5 stelle: abolirlo subito. Mentre i partiti oppongono una sorda resistenza.
Anche sulle pensioni e sugli stipendi d’oro è drastico: tagliarli, in barba alla Corte Costituzionale che ha annullato le diminuzioni del 5 e 10% introdotte da Silvio Berlusconi e Monti nel 2011.

Insomma, sui sacrifici da imporre alla Casta dei politici e degli alti burocrati Renzi non riscuote ovviamente le simpatie dei diretti interessati. Ma, per gli stessi motivi, nei sondaggi vola.
Nella sua voglia di piacere a tutti, il sindaco di Firenze ha cercato di convincere perfino l’ostico giornalista Marco Travaglio durante una recente trasmissione di Enrico Mentana su La7. C’è riuscito solo parzialmente. Ma il vero ostacolo, per lui, sono i burocrati del suo stesso partito. Quelli che voleva “rottamare”.
Mauro Suttora

Sunday, April 28, 2013

Bonino ministro Esteri


di MAURO SUTTORA

Libero, 28 aprile 2013

Nel 1994 il neopremier Berlusconi aveva deciso: i suoi due commissari italiani alla Ue sarebbero stati Giorgio Napolitano e Mario Monti. A quel punto, però, Marco Pannella piombò a palazzo Chigi, litigò con Giuliano Ferrara ministro dei Rapporti col Parlamento e sponsor di Napolitano, e impose la nomina a Bruxelles di Emma Bonino al posto del presidente uscente pds della Camera.

Risale a quell’episodio, paradossalmente, l’amicizia politica fra Napolitano e la Bonino. Che si concretizza oggi con la nomina di quest’ultima a ministro degli Esteri, caldeggiata dal presidente. Napolitano infatti, per nulla offeso dallo scippo radicale, frequentò Bruxelles negli anni seguenti come membro dell’assemblea parlamentare Nato. E apprezzò molto la Bonino commissario Ue. La stima è cresciuta nel biennio 2006-8: lui presidente, lei ministra del Commercio estero e Politiche europee che riuscì a trascinarlo alla marcia radicale per l’amnistia, e a fargli appoggiare la campagna di Pannella contro il sovraffollamento delle carceri.

Il biennio nel governo Prodi è alla base anche del buon rapporto fra la Bonino ed Enrico Letta. Proprio mentre i radicali si scontravano con i segretari Pd Veltroni e Franceschini, il pragmatismo governativo ha unito Emma al sottosegretario alla Presidenza.

Ma il vero, grande sponsor della Bonino sono i sondaggi popolari. Nonostante il suo partito sia all’1-2% (nessun eletto il 25 febbraio), lei risulta regolarmente in testa da anni. Ha vinto tutti quelli indetti online dai giornali prima delle presidenziali. E si è piazzata sesta alle ‘quirinalie’ di Grillo, davanti a Prodi, il magistrato Caselli e Dario Fo.

La Bonino mette d’accordo la sinistra (Bersani è un altro suo sponsor, ultimamente perfino il Manifesto tifa per lei), la destra (Berlusconi da vent’anni cerca inutilmente di separarla di Pannella) e il centro: Monti la apprezza come bocconiana (anche se laureata non in economia: tesi su Martin Luther King nel ‘72 in lettere straniere, corso poi abolito perché gli studenti erano troppo di sinistra), ottimi rapporti con l’ex radicale Benedetto Della Vedova oggi montiano (unico senatore ex finiano sopravvissuto), e battaglia comune contro la pena di morte con Sant’Egidio del ministro uscente Andrea Riccardi.

Papa Francesco e l’impegno sulle carceri hanno avvicinato i radicali alla Chiesa: la loro radio dedica al Vaticano un programma domenicale condotto da Giuseppe Di Leo dai toni quasi edificanti. Sono lontani gli scontri su aborto e fecondazione assistita.

È rimasto solo qualche complottista di estrema sinistra o grillino a contestare sia alla poliglotta Bonino (inglese, francese, spagnolo, arabo) che a Letta la partecipazione a due riunioni del club Bilderberg: lei nel ’98, invitata da commissaria Ue, lui l’anno scorso a Chantilly (Usa) come vicesegretario Pd. Ma quanto sia pericoloso questo raduno accusato di «massoneria» lo dice il nome di uno degli altri 5 partecipanti italiani del 2012 (oltre a John Elkann, Bernabè di Telecom e Conti dell’Enel): Lilli Gruber.
Mauro Suttora  

     

Wednesday, January 30, 2013

Guarda chi si candida




SUDAMERICANE ESUBERANTI, MOGLI DI PIANISTI, COPPIE DI INDAGATI. E POI RICICLATI, PARACADUTATI, PARENTI

Oggi, 30 gennaio 2013

di Mauro Suttora

Sono ben 512 i parlamentari uscenti che si ricandidano. Ce la faranno a conquistare uno dei 945 posti disponibili fra Camera e Senato? Alla faccia del rinnovamento, molti di loro sono stati messi in lista in posti garantiti: basta essere in cima, e il seggio è sicuro. Perché non esistono voti di preferenza: più che eletti, con la legge «Porcellum» si viene nominati dai capi dei propri partiti.

Iliana Calabrò (foto sopra) ha buone possibilità di arrivare a Roma dall’Argentina, come senatrice eletta all’estero. È una matura soubrette famosa per avere imitato Meg Ryan, simulando un orgasmo in diretta televisiva.
Rappresenta la vendetta del senatore uscente Pdl Esteban Juan Caselli, che ha rotto con il suo ex partito e ha candidato la signora, madre di due figli, in un partito dal nome simile: «Italiani per la libertà».

È invece una pidiellina doc Simonetta Losi: cantante e moglie di Danilo Mariani, il pianista nella villa di Silvio Berlusconi ad Arcore (Monza), testimone al processo Ruby, commerciante di abbigliamento intimo, consigliere comunale a Sarteano (Siena), vicecoordinatrice provinciale Pdl e ora candidata in Toscana per la Camera al sesto posto. Dovrebbe farcela.

Poi c’è una «coppia diabolica» in Liguria. Lui, Giovanni Paladini, ex poliziotto e sindacalista, è deputato di Italia dei Valori dal 2008. Stesso partito per la moglie Marylin Fusco, diventata nel 2010 assessore regionale all’Urbanistica e vicepresidente della giunta Burlando, cariche che ha dovuto lasciare in autunno per un avviso di garanzia di abuso d’ufficio e truffa. Due settimane fa, seconda tegola: sono entrambi indagati, con altri, per peculato sui fondi regionali dell’Idv. Invece di utilizzare i 230 mila euro annui per fare politica, i dipietristi li avrebbero spesi per arredamenti, divani, vestiti e valigie.

Reggiseno push-up e cinque mutande

Poi, altre spese personali come gli 82 euro per biancheria intima femminile (un reggiseno push-up e cinque slip), circa 4.000 in alimentari, qualche centinaio in profumeria e un’ottantina in lavanderia per cuscini, federe, lenzuola, accappatoio, piumone e cuscini. Infine, 21.500 euro di bar e ristoranti.

Nel frattempo, Paladini e moglie hanno cambiato partito: lasciato Antonio Di Pietro, sono entrati nel Centro Democratico di Bruno Tabacci e Massimo Donadi (alleato del Pd). Lei, Marylin, è sempre consigliere regionale. Lui adesso è capolista in Liguria nella coalizione che sostiene Pier Luigi Bersani.

Stava con Di Pietro anche il più famoso di tutti i riciclati: Domenico Scilipoti, che nel 2010 passò con Berlusconi salvandone il governo dopo la rottura di Gianfranco Fini. Ora per garantirgli la rielezione il Pdl ha dovuto «paracadutarlo» in Calabria, dopo che l’Abruzzo lo ha rifiutato.

Emigrati da Roma al nord

È finito inopinatamente capolista Pdl in Liguria, invece, Augusto Minzolini, ex direttore berlusconiano del Tg1. Paracadutati in collegi sicuri piemontesi i Pdl Daniele Capezzone (ex segretario radicale) e Annagrazia Calabria, che quando fu eletta nel 2008 era la deputata più giovane d’Italia.

Qualche malumore anche nel Centro, dove la cognata di Pier Ferdinando Casini Silvia Noé, consigliere regionale Udc in Emilia, ha l’elezione assicurata alla Camera. Paracadutismo pure a sinistra: a Salerno alcuni pieddini protestano per la candidatura di Enrico Letta.
Mauro Suttora

Wednesday, April 02, 2008

Toglietevi dalla testa il posto fisso

PER MILIONI DI GIOVANI IL LAVORO E' UN MIRAGGIO

Stipendi da fame, zero diritti,nessuna certezza per il futuro. È il precariato made in Italy.
Lo raccontano un film e un libro. La ricerca di un’occupazione non coinvolge solo ragazzi e neolaureati, ma anche i loro genitori. E la politica che cosa pensa di fare?

di Mauro Suttora

Roma, 28 marzo 2008

«Sette anni fa vinco un concorso per responsabile tecnico audio e luci di un teatro. Lo stipendio era di 19 mila euro a stagione, non male. Ma il direttore di palcoscenico ha fatto di tutto per screditarmi. Da tre anni, con la scusa che il teatro è in deficit, ha affidato le responsabilità audio e luci a due dipendenti di una sua società. Io sono stato degradato a semplice tecnico. E i 19 mila euro diventano ottomila, contratto a progetto. Con questa miseria non posso far vivere la mia famiglia. Alla fine, con le trattenute a mio carico, sono settemila euro per nove mesi. Ho chiesto a un avvocato, ma dice che con questo tipo di contratto non posso fare nulla».

Storie di ordinario precariato. Questo è Paco, ex «ragazzo» ormai trentenne di una città del Sud. Dove la piaga picchia forte, perché mentre nel resto d’Italia la media è del 12 per cento, in meridione ogni cento lavoratori dipendenti sono ben 25 quelli a termine. Che salgono a 30 fra i ragazzi e a 40 fra le ragazze.

Un’incertezza che si propaga al resto della vita, che uccide i sogni delle nuove generazioni, e che ora è entrata anche nel dibattito politico, dopo il consiglio di Silvio Berlusconi a una precaria: «Lei è così carina, potrebbe risolvere i suoi problemi sposando il figlio di un miliardario». Era una battuta scherzosa, ma ha fatto arrabbiare molti.

Nominati ed esclusi

Venerdì 28 marzo debutta nei cinema italiani il nuovo film di Paolo Virzì: 'Tutta la vita davanti'. Racconta le vicende dei precari in un call center: grottesche, divertenti, amare.

«I ragazzi vengono selezionati», racconta Virzì, «e poi, come nei reality show,”nominati” ed “esclusi”. Sembrano accettare questa drammaturgia da programma televisivo, dove nel rito è previsto il momento dell’espulsione, che anzi in Tv fa il picco di ascolto. Sono cambiate perfino le parole, non si parla più di assunzioni e licenziamenti… Troppo spesso oggi il mondo del lavoro per i giovani è o precariato o privilegio, cioè raccomandazione. I figli dei privilegiati agguantano i lavori “fichi”, mentre ai figli degli operai restano i call center a quattro ore al giorno per 400 euro al mese».

Nel film l’attore Valerio Mastandrea è il sindacalista che tenta di far prendere coscienza ai ragazzi dei loro diritti. Ma viene respinto perché tutti hanno paura di perdere il posto, e deriso perché considerato uno «sfigato».
«In questi nuovi posti di lavoro», dice Virzì, «i ragazzi sono ignari delle battaglie secolari di genitori e nonni per conquistare diritti. Sono soggetti a tecniche di selezione del personale ispirate ai provini dei casting, ne accettano le regole selvagge. Dove una volta c’era la formazione al lavoro e alla solidarietà, oggi resta solo una competizione dove vince il più forte, e i più deboli sono sopraffatti».

Gli schiavi moderni

La protagonista Isabella Ragonese, filosofa disoccupata e telefonista, si trova immersa in un mondo dove è un valore sapere tutto del Grande Fratello, mentre non conta niente avere studiato Heidegger. Il capo dell’azienda è interpretato da Massimo Ghini, mentre Sabrina Ferilli è la responsabile delle telefoniste. Tutti immersi in un mondo assurdo di «telemarketing» truffaldino.

«Milioni di ragazzi intorno a noi tutte le mattine si infilano dentro questa giungla», spiega Virzì, «dentro al mondo della sottoccupazione, nelle lande dei senza diritti, a cercare di strappare qualche soldo per campare. Con Tutta la vita davanti non pretendiamo di proporre soluzioni, ma di comunicare attenzione, tenerezza, sgomento e inquietudine. Una speranza il film l’affida alle donne, alle diverse generazioni di donne ferite che forse, con la loro spontanea solidarietà, possono ricostruire un linguaggio di civiltà».

Tutta colpa della legge Treu e poi della Biagi del 2003, che prende il nome dal professore di Diritto del lavoro ucciso dai terroristi due anni prima? «I provvedimenti che hanno reso possibili il lavoro flessibile ed i contratti a progetto erano anche animati da buone intenzioni, ma da soli non bastano», dice Virzì, «perché andrebbero accompagnati da una politica sociale, da una scuola che funziona, da un’università che premia i capaci».

Garanzie e flessibilità

Se a sinistra ci si preoccupa dei precari, a destra si risponde che il lavoro dev’essere flessibile, e che i giovani pagano con la precarietà le eccessive garanzie dei lavoratori più anziani, i quali una volta conquistato il posto fisso sono licenziabili con grande difficoltà.

«La chiave della contrapposizione generazionale, con i giovani non garantiti che bussano alla porta e i vecchi che non vogliono uscire dal mondo del lavoro, non serve a spiegare la realtà», dichiara a Oggi Enrico Letta del Pd, sottosegretario uscente alla Presidenza del consiglio. «Oggi si può essere precari anche a 50 anni, con tutto ciò che ne consegue in termini di sicurezza di vita. Alla flessibilità necessaria e inevitabile del nostro tempo devono accompagnarsi salari adeguati e ammortizzatori sociali per i momenti di difficoltà».

E voi cos’avete fatto? «Il governo Prodi ha messo in campo novità importanti, come la totalizzazione dei contributi, introdotta con la legge 247 del 2007: questo significa che anche periodi lavorativi intermittenti serviranno a costruire una pensione. Non è una novità da poco».

Ma è proprio vero che l’Italia negli ultimi anni si è trasformata in un Paese di precari? «No, non è vero», dice l’ex ministro del Welfare Roberto Maroni per difendere la legge Biagi, «che prevedendo contratti a termine e interinali ha semplicemente favorito l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro e dato la possibilità di trovare un’occupazione stabile, scongiurando quindi l’alternativa di lavorare in nero, e introducendo una flessibilità regolata. La Biagi non è una legge contro i lavoratori, come la sinistra vuole far credere. Infatti il governo Prodi l’ha sostanzialmente confermata. Si sventola la bandiera del precariato senza dire che l’Italia ha in realtà una percentuale bassa di lavoratori con contratto a tempo determinato: il 12 per cento, contro il 14 di Francia e Germania e il 18 della Spagna».

I vecchi costano troppo

Insomma, niente problemi se anche i giovani d’oggi, come tutti, passano attraverso qualche anno di gavetta e di collaborazioni prima di conquistare un posto fisso. Il problema nasce quando il precariato si prolunga troppo, diventando cronico. «Oppure quando colpisce i quaranta-cinquantenni che vengono espulsi dal mondo produttivo perché costano troppo», avverte Luigi Furini, autore del libro Volevo solo lavorare (ed. Garzanti), in cui racconta le deprimenti vicende di navigati manager sostituiti da giovanotti malleabili che prendono la metà dei loro stipendi. È la «precarietà di ritorno» cui accennava Letta.

«Sono migliaia ormai i casi di lavoratori di grande capacità ed esperienza che incappano in qualche crisi aziendale o piano di ristrutturazione», dice Furini, «e magari accettano con entusiasmo buonuscite anche consistenti, di parecchie decine di migliaia di euro, per dare le dimissioni. Ma poi non trovano più un altro lavoro, i soldi finiscono, e la pensione arriva soltanto a 65 anni per i maschi e a 60 per le donne».

Come quell’ex dirigente Fiat che a 54 anni ha ricevuto la lettera di licenziamento con annesso il «regalo» dei contributi pagati per arrivare alla pensione. Lui ha accettato, ma ha speso tutta la liquidazione per integrare i contributi mancanti. E adesso è ridotto ad aspettare che il tempo passi, e che arrivi presto la vecchiaia. «Altri ex dirigenti si sono messi in proprio, hanno creato un’attività», racconta Furini, «ma alcuni sono finiti dietro al bancone di un bar a servire cappuccini. Certi indossano la divisa del bar, con la scritta “staff” sulla schiena. “Sto dando una mano a un amico”, spiegano, “mi diverto”. Non confesseranno mai che hanno un disperato bisogno di soldi».

Mauro Suttora

Saturday, February 23, 2008

La fantastica Marianna Madia

di Mauro Suttora

Libero, 23 febbraio 2008

“È urgente ritrovare il tempo delle idee e dell’amore”. C’è una poetessa nel posto di capolista più importante d’Italia per il partito democratico (precederà Walter Veltroni a Roma). Si chiama Marianna Madìa e ha 27 anni. 
Ieri si è presentata ai giornalisti e ha assicurato il suo impegno, oltre che per l’amore come promise Cicciolina vent’anni fa, anche per “fare uno scatto portando la femminilità in settori come l'economia senza inseguire modelli maschili”. 
Infine, la signorina si preoccuperà per “la Terra e il suo stato di salute”. Nientedimenoche. Infatti Marianna ha scoperto che è proprio questo “uno degli elementi di precarietà per le nuove generazioni”.

Altro che precarietà del lavoro: no, non è quella ad angustiare i giovani secondo Marianna. Anche perché lei un posto già ce l’ha. Anzi, tre. Il primo è presso un ente la cui inutilità è direttamente proporzionale alla lunghezza del nome: Segreteria tecnica dell’Osservatorio per la piccola e media impresa del Dipartimento per lo Sviluppo delle Economie Territoriali della Presidenza del Consiglio (uffici in centro a Roma, via della Mercede).

Il secondo lavoro di Marianna è conduttrice Rai: proprio la scorsa notte l’abbiamo potuta ammirare subito dopo Marzullo, come ogni venerdì da ottobre, per una mezz’oretta nel suo programma eCubo. 
Infine Marianna collabora con l’Arel, il centro studi economici democristiano fondato da Beniamino Andreatta.

Insomma, fra una consulenza e l’altra la ragazza appare già bene incistata nella nomenklatura pariolo-democratica: figlia dell’attore Stefano Madia, già consigliere comunale a Roma nella Lista per Veltroni (purtroppo deceduto tre anni fa), è protetta sia dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Letta (che dell’Arel è segretario generale), sia da Veltroni, il quale si dichiara pazzo di lei: «Marianna ha un’intensità e una luminosità interiore che considero una ricchezza», si è lanciato ieri.
  
Ma l'intensa Madia in fatto di pigmalioni incassa l'en plein: è stato infatti Giovanni Minoli, a sua volta leggendario biraccomandato (Psi come craxiano, Dc come marito della figlia del direttore generale Rai Bernabei), ad affidarle il programma su Raiuno. Lei li ha ringraziati tutti nella conferenza stampa, senza imbarazzo. 

Letta? “Mi ha preso che ero una ragazzina non ero ancora laureata”. Veltroni? “Ha accolto la dote che posso offrire, la mia straordinaria inesperienza”. Minoli? “Maestro di vita e di pensiero”.

Intimoriti da tante iperboli e litoti, ci inchiniamo di fronte alla nuova generazione di politici del centrosinistra. Dopo la conferenza stampa il sito Dagospia ha subito rilanciato un’indiscrezione messa in rete dal perfido blog ‘nullo.ilcannocchiale.it’:
“Nella sua disperata rincorsa dell’antipolitica, Veltroni cerca di contrastare il risentimento contro ‘i soliti noti’ candidando una ragazza qualunque. Peccato però che Marianna Madia Veltroni non l’abbia trovata in fila al supermercato: no, Marianna Madia è la figlia di Stefano Madia. Lei non è solo giovane, donna, figlia di un suo amico morto, collaboratrice di Minoli ed Enrico Letta (a proposito, dalle parti di Letta fanno sapere che la Madia non sarà un loro candidato: ci tengono a dire che è in quota Veltroni). Marianna Madia è anche la ex del figlio del presidente della Repubblica: sembra infatti che la storia con Giulio Napolitano, quarantenne professore di diritto pubblico all’Università della Tuscia, sia finita.”
Questi sono i giovani meritevoli secondo Veltroni. Viva il merito, abbasso le raccomandazioni.
Mauro Suttora 

Wednesday, October 17, 2007

Walter Veltroni

Una giornata con il nuovo segretario del Partito democratico

di Mauro Suttora

Roma, 10 ottobre 2007

Mattiniero com’è, li stende tutti. Il sindaco di Roma Walter Veltroni si alza presto per i ritmi romani. È ancora un po’ buio quando esce dall’appartamento al primo piano dietro piazza Fiume dove vive con la moglie Flavia (figlia di un’ex senatrice del Pci) e le due figlie teenager Vittoria e Martina. Passa a prenderlo l’auto del Comune, e a quell’ora non c’è bisogno di sirene per farsi largo nel traffico.

Come Giulio Andreotti, ha il vezzo di dare appuntamenti anche prima delle otto a chi gli chiede udienza. «Ora poi il lavoro è raddoppiato: oltre che sindaco è anche candidato segretario del partito democratico», spiega un suo stretto collaboratore, «quindi non c’è altro modo per sbrigare tutti gli impegni».

Sperimentiamo anche noi un’alba frizzantina veltroniana quando, dopo aver chiesto di seguirlo per una giornata-tipo, ci propongono di trovarci alle otto sotto il Vittoriano. L’appuntamento sarebbe per le nove all’università Tor Vergata. Ma l’ufficio stampa offre ai giornalisti una navetta dal centro, perché il campus è all’estrema periferia sud, oltre il raccordo anulare, e il traffico è tremendo.

Quando arriviamo Veltroni è già lì, di fronte a un immenso buco fra i prati. «Qui fra due anni sorgerà la Città dello sport progettata dall’architetto Santiago Calatrava, con un nuovo palasport e lo stadio del nuoto per i mondiali del 2009», dice raggiante. «L’arco di Calatrava si vedrà dalle autostrade, sarà più alto del Colosseo, diventerà un nuovo simbolo di Roma. È l’intervento urbanistico più importante dai tempi dell’Eur».

Arriva trafelato in ritardo Giovanni Malagò, capo del comitato organizzatore dei mondiali (più famoso come padre delle figlie di Lucrezia Lante della Rovere): non ce l’ha fatta a rispettare il ritmo mattiniero di SuperWalter.

Più che una conferenza stampa è una chiacchierata fra amici, Veltroni distribuisce sorrisi e pacche sulle spalle a tutti. Nessun politico in Italia ha un rapporto migliore con i media, anche perché Walter ha una lunga dimestichezza personale con i giornalisti: nel 1984 divenne capo dell’ufficio stampa del Pci, e poi per quattro anni diresse il quotidiano del partito, L’Unità.

Ma si può dire che Veltroni sia nato in Rai, perché suo padre fu nel ’55 il primo direttore del Tg (una curiosità: nel ’38 curò la radiocronaca della visita di Hitler a Roma, quella del film Una giornata particolare con Sophia Loren e Marcello Mastroianni).

Purtroppo Vittorio Veltroni lascia orfano Walter ad appena un anno. La madre Ivanka, che era figlia dell’ambasciatore jugoslavo presso il Vaticano, divenne pure lei funzionaria Rai. E fu Walter, vent’anni fa, ad aprire la Rai al Pci, con l’assegnazione ai comunisti di Raitre, in cambio del via libera definitivo ai tre canali di Silvio Berlusconi patrocinati da Bettino Craxi.

Dopo la Città dello sport di Tor Vergata, che costerà 300 milioni, una puntatina nella vicina Tor Spaccata, dove il sindaco inaugura una casa per malati in «stato vegetativo persistente» (ovvero in coma), che grazie ad alcuni benefattori privati non costa nulla. E qui Veltroni, che ha scelto come motto l’I care (mi prendo a cuore) di don Milani, che va ogni anno a portare aiuti all’Africa (anzi, per la verità aveva improvvidamente annunciato che si sarebbe trasferito come volontario in quel continente dopo il mandato da sindaco), che ha fatto della solidarietà il suo distintivo e della mitezza il suo stile, si trova a suo agio fra la folla festante: «È importante che questo tipo di malati non debbano stare in ospedale, ma in una struttura dove possano essere accuditi dalle famiglie», dice.

Torniamo in Campidoglio, nel palazzo del Comune. Che si trova in posizione splendida, e infatti tutti gli ospiti internazionali di Veltroni spalancano gli occhi davanti alla vista del Foro Romano e del Colosseo.

Saliamo i gradini che portano alla piazza progettata da Michelangelo, passiamo davanti alla statua dell’imperatore-filosofo Marco Aurelio, pensiamo che questo era il colle più sacro della città più carica di storia della Terra, e capiamo perché il sindaco di Roma non possa che aspirare a cariche più alte.

Come quella di segretario del Partito democratico, fusione di Ds e Margherita, che contenderà a Forza Italia di Berlusconi la palma di primo partito italiano. Domenica 14 ottobre si svolgono le primarie, e tutti i sondaggi danno certa l’elezione di Veltroni. Le uniche due incognite sono il numero dei votanti (due anni fa Romano Prodi fu plebiscitato da quattro milioni di ulivisti, ora i democratici si accontenterebbero di un milione) e la percentuale che otterrà Walter (attorno al 70 per cento, si prevede). Tra gli altri candidati, i maggiori contendenti sono accreditati del 15 per cento (Rosy Bindi) e dell’8 per cento (Enrico Letta, nipote di Gianni).

Ma SuperWalter alle maggioranze assolute è abituato: nel 2001 fu eletto sindaco con il 53 per cento, l’anno scorso è stato confermato con il 61. Per lui ha votato un vastissimo arco di forze, dagli estremisti di sinistra dei centri sociali ai moderatissimi cattolici di Alberto Michelini.

Pochi ricordano che il termine «buonismo» è stato inventato da Ernesto Galli della Loggia, ma tutti oggi associano questa filosofia a Veltroni. Che vorrebbe andare sempre d’accordo con tutti: era comunista ma gli piacevano i Kennedy, e ora è di sinistra ma si fonde con i democristiani, avversari per mezzo secolo. Unica resistenza, la vita privata. «Per favore lasciate fuori la mia famiglia», ci prega. Sta andando a pranzo al ristorante con una figlia, ma non ci concede neanche una foto di famiglia.

Nel pomeriggio Walter abbandona la casacca da sindaco e va nel Nord Italia per un comizio come candidato democratico. Prende la macchina, ci invita con lui. Decliniamo: sappiamo che passa i viaggi in auto ininterrottamente al telefono. Perché SuperWalter arriva dappertutto, di persona o con uno squillo. Presenzialista sempre.

Mauro Suttora