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Saturday, July 10, 2021

Conte vs Draghi/ La commedia dell’ex premier nasconde la sconfitta di M5s

Dopo il Cdm che ha superato il giustizialismo di Bonafede, Conte attacca il governo, ma la sua capacità di nuocere è limitata. Conseguenze sul Pd

intervista a Mauro Suttora

www.ilsussidiario.net, 10 luglio 2021

Non si può dire che il governo sia arrivato sull’orlo della rottura, questo no. Ma Draghi ha dovuto imporsi, ha preteso l’unità e l’appoggio formale dei 5 Stelle alla riforma della giustizia penale, uno dei tasselli più importanti per avere i fondi del Recovery. I ministri grillini, e dietro di loro i gruppi parlamentari spaccati a metà, difendevano la riforma Bonafede, arrivando a ipotizzare l’astensione sulle modifiche proposte dalla ministra Cartabia, ma Draghi ha detto no. Si è così arrivati in modo molto laborioso a una nuova mediazione che ha ottenuto l’assenso di tutti. 

Problema risolto? Nemmeno per idea: a proposito della “improcedibilità” – la soluzione tecnica congegnata per superare la prescrizione – Conte ieri ha detto che “è tornata un’anomalia italiana”. Una premessa non incoraggiante per l’iter del ddl e per gli emendamenti che lo attendono in aula. 

Ma l’opposizione dei contiani, dice Mauro Suttora, giornalista e scrittore, attento osservatore della parabola grillina, “è ininfluente: il governo Draghi durerà almeno fino a gennaio, quando si eleggerà il successore di Mattarella. Conte fa solo ammuina. La vera novità è la rottura completa di Di Battista”. 

La mediazione Cartabia sulla prescrizione è una vittoria o una sconfitta per M5s?

È una sconfitta per i grillini e una vittoria per lo stato di diritto. Ma in realtà il vero problema non è la prescrizione. Alla prescrizione uno stato civile non deve neanche arrivare. Il vero nodo, quel che interessa l’Europa, è la lentezza della nostra giustizia. Proprio ieri c’è stata la prima udienza del processo al figlio di Grillo, per uno stupro di due anni fa. E c’è stato un ulteriore rinvio all’11 novembre, cioè fra quattro mesi. Assurdo. Così come non è accettabile che non sia ancora iniziato il processo per il ponte Morandi di Genova, dopo ben tre anni.

Si è saputo che sono stati i contiani a mettersi di traverso: la prescrizione era la loro linea del Piave. Se prima c’era qualche dubbio, forse ora non più: è Conte l’avversario n.1 di Draghi?

Conte continua a giurare di no, quindi probabilmente è vero. Ma è ininfluente: il governo Draghi durerà almeno fino a gennaio, quando si eleggerà il successore di Mattarella.

Il blocco contiano (parte di M5s, Fatto Quotidiano e toghe) punta davvero a far cadere il governo? Parrebbe fantascienza, ma parlano le azioni politiche.

Le azioni politiche di Conte sono la famosa “ammuina” in napoletano, “posturing” in inglese: dichiarazioni tanto roboanti quanto vuote, pronunciate a uso dei fans e dell’opinione pubblica. Una commedia.

Secondo le indiscrezioni, i parlamentari grillini erano per dire sì alla proposta Cartabia, i contiani per uscire dalla maggioranza. Questo che cosa ci dice della disfida Conte-Grillo?

È buffo che ora occorra distinguere fra grillini-grillini e grillini contiani. E ancor più comico che stiano litigando da mezzo mese su uno statuto che nessuno ha potuto leggere, neanche i parlamentari. Speriamo che non resti segreto almeno per i sette capetti grillini che dovrebbero dirimere la questione.

Dopo il Cdm, Conte è stato il più critico: sulla prescrizione, ha detto, si è “tornati a un’anomalia italiana”. Il suo partito è più vicino? Magari cominciando da una scissione dei gruppi parlamentari?

È irrilevante che i grillini si scindano. Ormai sono un moncherino di gruppo parlamentare che verrà spazzato via dal prossimo voto. Tutti i sondaggi dicono che in totale stanno al 15-17%, e che nessuna delle due fazioni supererà il 10% se si presenteranno divisi.

Secondo nostre informazioni, critiche pesanti ai ministri pentastellati vengono dai 5 Stelle presenti nella commissione Ambiente della Camera. Ad oggi, i parlamentari M5s di quella commissione non intendono votare il dl Semplificazioni bis. Come commenti?

Come sopra: sceneggiate. Al governo Draghi non c’è alternativa.

Durante la guerra fredda il Pci era escluso dal governo, adesso c’è una seconda guerra fredda e i 5 Stelle fanno parte dell’esecutivo. È un problema.

Per la verità dal 1976 al 1979 il Pci governò l’Italia assieme alla Dc, durante la solidarietà nazionale. Anche oggi c’è una solidarietà nazionale per il virus e il Recovery fund. I grillini sono inquietanti per la loro simpatia verso la Cina, Conte non ha preso le distanze dalla visita di Grillo all’ambasciatore cinese a Roma. Ma Di Maio come ministro degli Esteri sembra aver abbandonato le precedenti scivolate su Cina e Trump.

Ti faccio un nome: Di Battista. Ieri si è scagliato per la prima volta contro Di Maio e gli altri ministri grillini, definendoli “incapaci, pavidi, inadeguati”. È la rottura completa. Il travaglio di M5s quanto danneggia il Pd?

In teoria il Pd dovrebbe recuperare un po’ di voti dallo sfacelo grillino. Ma non gli è riuscita l’impresa di Salvini, che nell’anno dell’alleanza gialloverde aveva dimezzato i voti del M5s e raddoppiato i propri. Intanto, Letta nei sondaggi naviga mesto sotto il 20%. E i dirigenti Pd come Bettini e Zingaretti, che avevano incoronato Conte come nuovo leader della sinistra, si rendono conto dell’abbaglio preso.

Friday, November 06, 2020

Caos lockdown e Conte: soluzione 'alla Moro'

Serve una soluzione “alla Moro” prima del dramma

Mattarella sta già supplendo a Conte, debolissimo e in balia dei suoi errori. Un cambio politico è nelle cose, il più è che non sia tardi

intervista a Mauro Suttora

di Federico Ferraù

Il Sussidiario, 6 novembre 2020 

Entra in vigore il nuovo Dpcm Conte, le regioni “rosse” non ci stanno. Non c’entra il colore politico, ma quello epidemiologico, deciso sulla base di criteri ritenuti arbitrari dalle regioni confinate in fascia rossa: Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta e Calabria. Qui vigono le restrizioni adottate a livello nazionale (colore giallo) con l’aggiunta di misure più drastiche. Il risultato è un lockdown molto simile a quello di marzo-aprile.

I governatori colpiti criticano i criteri del Cts. “Informazioni vecchie di dieci giorni che non tengono conto dell’attuale situazione epidemiologica”, accusa Fontana (Lombardia); “il governo spieghi la logica di misure diverse per situazioni simili”, ha ribadito Cirio (Piemonte). Ieri la Calabria ha annunciato un ricorso. Intanto i nuovi contagi sono 34.505, i decessi in un giorno 445 (139 in Lombardia), +1.140 (5,2%) i ricoverati con sintomi, +4.961 (1,6%) i dimessi/guariti, +99 (4,3%) le terapie intensive per un totale di 2.391 posti occupati.

Per Mauro Suttora, giornalista, già corrispondente all’estero per varie testate, è Mattarella ad avere salvato Conte e il governo. 

Il presidente del Consiglio è politicamente in terapia intensiva, con il Pd – che manca di coraggio – a controllare il rubinetto dell’ossigeno. Un cambio politico è nelle cose, occorre solo sperare che non sia troppo tardi.

Come mai il governo ha deciso un lockdown basandosi su dati vecchi, risalenti al 25 ottobre? Le regioni protestano.

Si tratta di una montagna di dati che vengono ricondotti a 21 indicatori, dei quali la maggioranza sono stati tenuti segreti fino a due giorni fa. Questa è la prima vera anomalia. Ricolfi chiede da mesi sul Messaggero che siano resi pubblici, non è l’unico, ma il governo ha sempre fatto orecchie da mercante.

Perché?

Non lo sappiamo. Disaggregati, darebbero indicazioni utili, a livello comunale e anche a livello di quartiere per le grandi aree metropolitane.

Ma nessuno protesta.

È una querelle rimasta confinata a livello specialistico. Resta il fatto che in questo modo non sono possibili analisi indipendenti.

I dati, ha detto Conte, sono in possesso delle regioni, che li trasmettono al Cts. Ieri lo ha ripetuto anche Brusaferro in conferenza stampa.

È una presa in giro, perché ogni regione conosce sì i suoi dati, ma non quelli delle altre regioni. Io, lombardo, voglio conoscere tutti i dati che confluiscono nei 21 indicatori ma non posso. Perché? Nessuno finora è riuscito a spiegare sui giornali come si calcola l’Rt. 

Qual è l’Rt ce lo dice il Cts.

Appunto. Dopodiché, sulla base di quei dati, qualcuno chiude l’economia e rovina la vita alla gente.

Oltre alla mancanza di trasparenza, ci sono altri fattori a motivare il ritardo?

Probabilmente sì e sono tutti motivi politici. Se i dati per decidere le zone rosse fossero quelli di oggi, al governo dovrebbero ricominciare il balletto dei tavoli e delle liti, con la Bellanova che vuole tutto aperto e Speranza che invece vuole tutto chiuso.

Come può essere gialla una regione come la Campania?

Dal governo ti risponderebbero che lo è perché De Luca ha già chiuso le scuole, come ha fatto Emiliano in Puglia. Ma allora vuol dire che De Luca, domani, avrebbe, se volesse, la facoltà di riaprirle?

C’è un criterio politico nell’individuazione delle zone rosse?

È evidente che la disparità tra Lombardia e Campania è sconcertante, non tanto nel numero delle infezioni, che sono pur sempre in relazione al numero dei tamponi; ragioniamo piuttosto in termini di ricoveri, terapie intensive e decessi, che sono dati oggettivi.

La tua morale qual è?

Che se dichiari rossa la Lombardia non puoi non dichiarare rossa anche la Campania, che è da un mese in condizioni gravi.

Secondo te nella classificazione possono aver pesato anche le proteste di piazza?

Io credo di sì. Forse è uno dei fattori che non ci dicono… il 22esimo potrebbe essere il fattore C come “camorra”. Il dato politico è che Conte ha fatto il suo tempo. Sta governando Mattarella. È stato lui a fare la riunione con i presidenti delle regioni. 

Come va letto questo passaggio, rimasto per ovvie ragioni ai margini della cronaca politica?

Mattarella è intervenuto a sostenere Conte quando ha capito che da solo non ce l’avrebbe fatta. È stato lui a parlare con Bonaccini e Toti. Oggi (ieri, ndr) ci sono stati 445 morti; dopo l’inchiesta sulla mancata zona rossa di Bergamo, Conte potrebbe dover tornare in procura anche per il secondo lockdown mancato.

Palazzo Chigi è apparso in stato confusionale. Quanto può durare questa situazione?

Conte è in terapia intensiva, ma la manopola dell’ossigeno è nelle mani del Pd. Non hanno il coraggio di trovare l’accordo con Mattarella su un altro nome Pd da mettere come premier.

Chi blocca tutto?

Goffredo Bettini, attraverso Zingaretti. Gli piace sentirsi Richelieu, ha deciso che Conte è un specie di Churchill e che i 5 Stelle sono la nuova anima della sinistra, come fino a qualche mese fa lo erano le sardine. Chi se le ricorda più? Dopo le prossime elezioni diremo: chi si ricorda più del M5s? Per adesso sono ancora il non plus ultra, per Bettini.

Si arriverà ad un governo di unità nazionale?

Forse. È da mesi che ci stupiamo di come il Conte 2 sia ancora in piedi. Più prevediamo scenari alternativi, più rimane al suo posto. L’occasione, strettamente parlando, potrebbe essere accidentale, un incidente d’aula.

Non è anche e soprattutto Mattarella a sostenere Conte?

Certo. È ovvio che non si può andare al voto adesso. La strada maestra sarebbe coinvolgere l’opposizione: Mattarella lo ha invitato più volte a farlo. Conte, però, non lo ha preso sul serio.

Sarà la pandemia a imporre un cambio politico?

Dobbiamo augurarci che non ci si arrivi quando i numeri saranno ancora più drammatici, o quando il disastro economico si abbatterà sul paese.

Il come non è un dettaglio.

Una strada, volendo, si trova sempre. Nel 1978, durante il sequestro Moro, il governo venne esautorato. Ogni sera si riunivano Andreotti, presidente del Consiglio, Galloni per la Dc, Pecchioli per il Pci e pochi altri a decidere tutto quello che c’era da decidere.

Federico Ferraù

Monday, February 25, 2008

I radicali e il Pd

ACCORDO: NOVE PARLAMENTARI E TRE MILIONI DI EURO

di Mauro Suttora

Libero, 22 febbraio 2008

Tre milioni di euro. È l’incredibile cifra che i radicali sono riusciti a strappare a Walter Veltroni in cambio di nulla. Perché se i Democratici non avessero offerto loro nove posti da parlamentare, più questa sontuosa fetta di finanziamento pubblico, i pannelliani sarebbero scomparsi dal parlamento. Impossibile infatti che raggiungano il quattro per cento, quota-ghigliottina per i non apparentati, da soli o magari riesumando la Rosa nel pugno con i socialisti, che due anni fa si fermò mesta al due virgola qualcosa. Oggi i sondaggi unanimi assegnano loro l’uno-due per cento. E nessun altro forno - Berlusconi, Bertinotti - li vuole. Nessuna alternativa, quindi.

Eppure, trattando e lamentandosi, Marco Pannella ed Emma Bonino hanno spuntato condizioni di lusso. Il governo italiano - qualunque governo - dovrebbe nominarli immediatamente plenipotenziari per tutti i negoziati internazionali che aspettano il nostro Paese. Si sono dimostrati più abili di qualsiasi pokerista incallito, trader di Wall Street o vucumprà da spiaggia. Eccezionali.

Pannella, d’altronde, è sempre stato eccezionale. Da quando a quindici anni, nel 1945, comprò la prima copia del giornale di Benedetto Croce, ‘Risorgimento liberale’, e s’innamorò del partito omonimo. Pochi anni dopo lui ed Eugenio Scalfari erano i due galletti più promettenti nel vivaio del Pli. Ma stavano troppo a sinistra per i filo-confindustriali, e allora nel ’55 fondarono il partito radicale. Dopodiché, sono sempre andati a scrocco. Alle politiche si allearono con il Pri, ma presero l’1,4. Nel ’60 si appiccicarono al Psi e andò un po’ meglio: 51 consiglieri comunali radicali eletti in Italia (fra i quali Arnoldo Foà in Campidoglio e Scalfari a Milano, col quadruplo dei voti di un giovane Bettino Craxi).

Poi ci fu un’alleanza a Roma addirittura con i filosovietici dello Psiup: Pannella arrivò terzo ma non fu eletto. La strategia del cuculo funzionò invece nell’89, quando i radicali stabilirono un record mondiale. Riuscirono a candidarsi eurodeputati in ben quattro liste diverse: Pannella con Pri-Pli, Adelaide Aglietta con i verdi, Marco Taradash con gli antiproibizionisti sulla droga. E Giovanni Negri finì nel Psdi, unico non eletto.

Nel ’63 fu il Pci a fare la corte a Pannella, proprio come oggi: Giancarlo Pajetta in persona offrì tre posti da indipendenti di sinistra ai radicali. Ma loro rifiutarono sdegnosamente. Allora se lo potevano permettere, perché nessuno faceva il politico di mestiere: Pannella e Gianfranco Spadaccia erano giornalisti, Angiolo Bandinelli professore, Sergio Stanzani dirigente Iri, Mauro Mellini avvocato.

Oggi, invece, la «baracca» radicale è una piccola multinazionale dei diritti umani con uffici a Bruxelles e New York, una bella sede nel centro di Roma proprio sopra al night Supper club, e un’ottima radio che copre tutta Italia e offre la migliore rassegna stampa ai patiti di politica: quella del direttore Massimo Bordin.

Loro, che si considerano sempre il sale della terra, preferiscono autodefinirsi umilmente “galassia”, e vantano un sacco di associazioni collaterali: da ‘Nessuno tocchi Caino’ che ha appena strappato la moratoria sulle esecuzioni capitali all’Onu alla ‘Luca Coscioni’ che si batte per la libertà della ricerca scientifica e il testamento biologico (caso Welby), dagli ecologisti di ‘Rientro dolce’ agli umanitaristi internazionali di ‘Non c’è pace senza giustizia’.

Il che, molto prosaicamente, vuol dire decine di stipendi che Pannella si trova sul groppone. Ora, grazie a Walter, verranno erogati per altri cinque anni. Quanto a Radio radicale, da decenni riesce nel miracolo di incassare contributi statali sia come organo di partito, sia come emittente super partes delle sedute parlamentari.

Intendiamoci, però: i pannelliani non sono imbroglioni clientelari. La loro radio, per esempio, trasmette con spirito voltairiano convegni e congressi di tutti i partiti. Tanto che, all’ultima assemblea di An, un oratore ha chiesto in extremis la parola a Gianfranco Fini giustificandosi così: «Devo dimostrare a mia moglie in ascolto dalla Sicilia che sono veramente qui».

Nel 1996 fu Berlusconi a trovarsi nei panni di Veltroni. Allora Pannella trattò con lui l’entrata dei radicali nel Polo, chiedendo lo stesso numero di collegi sicuri offerti ai cattolici di Ccd-Cdu. Ma aveva sottovalutato l’abilità di Casini, Mastella e Buttiglione, che alla fine spuntarono cento posti contro i 43 offerti ai radicali. «Non entrerò più nel suk di via dell’Anima!», tuonò Marco, che si vendicò presentando candidati autonomi. Un disastro: nessun deputato, e solo un senatore eletto in Sicilia (Piero Milio) grazie a una desistenza concordata in extremis.

Ammaestrato da quella esperienza, che tenne i radicali fuori da Montecitorio per un decennio, questa volta Pannellik ha bluffato solo fino all’ultimo secondo. Poi i suoi fidatissimi Rita Bernardini e Marco Cappato hanno acchiappato al volo quel che offriva Goffredo Bettini, il generoso (o sprovveduto?) luogotenente di Veltroni, probabilmente anche lui succube del fascino di SuperMarco fin dal ’93, quando assieme architettarono la prima sindacatura romana vincente di Francesco Rutelli.

Chi saranno adesso i nove radicali nel partito democratico? Pro forma è stato convocato un comitato nazionale radicale per il weekend. Però come sempre deciderà Pannella, gran libertario fuori ma leninista all’interno del suo partitino. I due giovani radicali più brillanti, quelli della svolta liberista degli anni Novanta che fruttò l’exploit dell’otto per cento alla lista Bonino nel ’99 (con punte del 15% in alcune città del nord), se ne sono andati con Berlusconi. Benedetto Della Vedova è riuscito a mantenere rapporti cordiali con Marco, mentre con Daniele Capezzone si è passati direttamente dall’amore all’odio. Eppure Pannella è spesso generoso con i suoi. A volte quasi scialacquatore. Due anni fa, per esempio, regalò due seggi che spettavano ai radicali (nell’alleanza con i socialisti) agli ex comunisti Lanfranco Turci e Salvatore Buglio - quest’ultimo unico ex operaio eletto alla Camera.

Molti sono gli ex portaborse radicali che devono essere sistemati. (La definizione non suoni insulto: chi ha portato la borsa a Pannella è destinato a carriere mirabolanti, come Elio Vito in Forza Italia e lo stesso Rutelli). Non ci saranno quindi esterni di lusso, come Leonardo Sciascia, Enzo Tortora o Domenico Modugno. E neanche scandali viventi come Toni Negri o Cicciolina.

Bandinelli, possibile senatore, ha 80 anni come Ciriaco De Mita, ma Veltroni ha un debole per lui: sedettero assieme nel consiglio comunale a Roma di Luigi Petroselli negli anni ’70 (prima carica di Walter). Oggi Bandinelli è un po’ imbarazzato, perché dopo avere scritto sul mitico ‘Mondo’ di Mario Pannunzio negli anni ’50 e ’60 è approdato al ‘Foglio’. Ma la svolta clericale di Giuliano Ferrara lo ha spiazzato, anche se conserva la sua column settimanale in nome della “dissenting opinion”.

Quanto a Pannella, a 78 anni non è un mistero che ambisca a un posto da senatore. A vita, però. Prima o poi, c’è da scommetterlo, riuscirà ad ammaliare anche qualche presidente della Repubblica, che sarà costretto a nominarlo dopo uno sciopero della fame o della sete. Per evitare un’altra bevuta di pipì, come quella che l’incorreggibile inflisse al povero Carlo Azeglio Ciampi nel 2002.

Mauro Suttora