Ha battuto Berlusconi, ma la temono anche i capi democratici
Oggi, 28 giugno 2009
dal nostro inviato a Udine Mauro Suttora
Mai, nella storia d’Italia, c’era stata un’ascesa politica più rapida. Fino al 2003 Debora Serracchiani di politica non si interessava, se non leggendo i giornali. Fino a cento giorni fa non era mai scesa a Roma per una riunione nazionale del suo partito, il Democratico.
Oggi, milioni di simpatizzanti sperano in questa 38enne romana-udinese per rinnovare il centrosinistra. In 144 mila l’hanno votata il 7 giugno, spedendola all’Europarlamento. «E in Friuli ho battuto anche “papi”», scherza lei: settemila preferenze più del premier Silvio Berlusconi.
Incontriamo il fenomeno con frangetta a casa sua, nella periferia estrema di Udine. Una casetta comprata col mutuo assieme al compagno Riccardo, 40 anni, romano pure lui, impiegato in un’impresa di telecomunicazioni. Debora, che da quindici anni fa l’avvocatessa specializzata in cause di lavoro, ci accoglie nel giardinetto di fronte al canale Ledra. Poco più in là il palasport della Snaidero basket e lo stadio dell’Udinese calcio: «Da qui sentiamo gratis i concerti: ottimi quelli di Vasco Rossi e Red Hot Chili Pepper, ora aspettiamo i Coldplay a fine agosto».
Debora ha appena scritto un libro:
Il coraggio che manca (ed. Rizzoli). Sottotitolo:
A un cittadino deluso dalla politica. Racconta le incredibili dieci settimane fra il suo primo discorso del 21 marzo a Roma e il trionfo alle Europee. Il giorno dell’equinozio primaverile 2009 «è stato forse il momento più basso nella storia della sinistra italiana». Il segretario del Pd Walter Veltroni si era dimesso. Sul tavolo del successore Dario Franceschini i sondaggi davano il partito al 20 per cento. Un disastro per gli eredi di Dc e Pci, attestati al 70 per cento per mezzo secolo.
La Serracchiani, con un discorso di pochi minuti, è riuscita a galvanizzare il pubblico democratico. Era arrivata in corriera di notte da Udine assieme ai colleghi di base del Pd, non aveva dormito, era a disagio per la scarsa eleganza del proprio vestito rispetto ai dirigenti romani: «Pensavo a un incontro di partito, mi sono ritrovata in una convention». Eppure ha attirato l’attenzione di tutti i delusi dalla nomenklatura democratica, che l’hanno applaudita 35 volte. Dal giorno dopo, migliaia di e-mail e sms.
Ma chi è la Serracchiani, da dove viene?
«Sono nata nel 1970 a Roma, quartiere Casetta Mattei, zona Portuense. Mio padre era impiegato Alitalia, mia madre ha smesso di lavorare quand’è nato mio fratello Emiliano. Scuola dalle suore fino alla terza media. Poi istituto tecnico commerciale, perché non volevo andare all’università: ragioneria con lingue, inglese e francese. Ci ho aggiunto lo spagnolo. Fino a 18 anni ho giocato a tennis a livello agonistico. Ma le ore d’allenamento erano troppe: entrata all’università, non ho più toccato la racchetta per dieci anni. Laureata in legge nel ‘94 con 110 e lode, tesi di diritto commerciale su una direttiva europea per le srl”.
E nel tempo libero?
«Musica: Bruce Sprigsteen, Zero Assoluto, Elisa. Libri: Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen, l’ho letto dieci volte, anche in inglese. E i legal thriller di Grisham. Cinema: Il marchese del Grillo con Alberto Sordi, grandi dialoghi e senso civico».
Ha visto il film Mister Smith va a Washington di Frank Capra?
«No».
È proprio la sua storia: James Stewart, idealista digiuno di politica, viene eletto deputato.
«E poi?»
Non le rovino la sorpresa del finale. Ci dica lei piuttosto: com’è finita a Udine, e per di più in via Sondrio? Più a nord di così...
«Ricordo ancora il giorno del trasloco: 3 gennaio ‘95. Un freddo incredibile. Ho seguito Riccardo, che aveva trovato lavoro qui».
Lo ha trovato subito anche lei.
«Sì, lo studio Businello mi ha fatto fare il praticantato. Mi sono specializzata in cause di lavoro».
A proposito di lavoro. All’ultimo incontro nazionale del Pd, nel Lingotto di Torino domenica scorsa, lei ha affrontato un totem e tabù della sinistra: l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Che secondo alcuni tutela un po’ troppo i dipendenti, rendendoli quasi illicenziabili.
«Ho posto il problema, più in generale, sul mondo del lavoro. Il Pd deve dire chiaramente cosa pensa su alcuni temi fondamentali. Oggi purtroppo c’è troppa differenza fra lavoratori garantiti e precari. Anche per una questione di tempi: le cause di lavoro sono lunghissime».
Stia attenta: a sinistra chi tocca i fili (l’articolo 18) muore.
«La risposta è: migliorare gli ammortizzatori sociali. Che non devono proteggere settori improduttivi, ma accompagnare chi perde il posto a un nuovo lavoro».
L’avvocato Businello, prima suo principale e poi socio, mi ha parlato molto bene di lei. Dice che le sue grandi virtù, determinazione e capacità di lavoro, sono anche il suo unico difetto: qualche segretaria non rimpiange i suoi ritmi.
«Sono esigente soprattutto cone me stessa. Al sabato mattina lavoro. E anche in agosto, quando c’è più tempo e tranquillità per smaltire il lavoro arretrato».
Povero Riccardo.
«Ma no, anche a lui piace andare in vacanza a giugno o a fine estate, fuori dalla ressa».
Dove?
«Isole greche».
E i week-end azzoppati?
«Passiamo le domeniche pomeriggio qui sul divano a vedere le partite della Roma in tv».
Su Sky?
«Macché: digitale terrestre Mediaset. Pagando Berlusconi. Me ne vergogno...»
Non vi sposate?
«Non vogliamo svilire il matrimonio, istituto nel quale non crediamo fino in fondo, sposandoci solo per convenienza. Aspettiamo i Dico, i patti di convivenza».
Aspetta e spera. Anche nel Pd i cattolici fondamentalisti sembrano dettare la linea sulle questioni etiche.
«È ora di discutere, rispettando la sensibilità di tutti, ma prendendo una decisione. Magari lasciando a casa qualcuno. Anche perché nel 2020 le nuove convivenze in Italia supereranno i matrimoni».
Nel suo primo e ormai famoso discorso lei si è presentata così: «Vengo dalla città che ha accolto Eluana Englaro».
«Certo. Sono questioni di civiltà. Sto con Ignazio Marino, il medico cattolico fautore del testamento biologico».
E nel libro maltratta Francesco Rutelli.
«Ricandidarlo sindaco a Roma dopo quindici anni è stato un disastro. Ci voleva un volto nuovo. Abbiamo regalato la capitale alla destra».
Quattro a Rutelli, cinque a D’Alema e Di Pietro, sei a Franceschini, sei più a Veltroni: questa è la severa pagella Serracchiani ai capi del centrosinistra.
«Veramente secondo me Di Pietro non ha nulla a che fare col centrosinistra: nel suo partito personale ha riciclato di tutto».
Visto il voto a D’Alema, inutile chiederle se appoggerà il suo candidato Pierluigi Bersani al congresso d’autunno, contro Franceschini.
«Ci vogliono facce nuove».
«A destra sono capaci di tutto, a sinistra sono buoni a nulla»: all’inizio del libro lei cita questa tremenda frase di Marco Pannella contro i politici italiani. La condivide?
«Dobbiamo fare di tutto per smentirlo».
Mauro Suttora