Showing posts with label italo bocchino. Show all posts
Showing posts with label italo bocchino. Show all posts

Thursday, October 26, 2023

Il grillino cannone. Siore e siori, è tornato Di Battista

di Mauro Suttora

Rentrée di Dibba nei talk, stavolta a dire che Israele è pari ai nazisti alle Ardeatine. Ma noi gli vogliamo bene e lo avvertiamo: anche al circo Barnum, dopo i mangiaspade e il nano, l’ultima carta per attrarre il pubblico era la donna cannone

Huffingtonpost.it, 26 ottobre 2023 

Dovrebbe preoccuparsi, il simpatico Alessandro Di Battista. Perché quando al circo Barnum esaurivano il campionario di fenomeni da baraccone, e dopo i mangiafuoco e i mangiaspade non facevano più ridere neanche i gemelli siamesi o il nano imitatore di Napoleone, l’ultima risorsa per attrarre pubblico era la donna cannone.

Allo stesso modo i talk show hanno dovuto resuscitare l’ex deputato grillino, che è riapparso in tv un anno dopo aver deliziato le platee sull’Ucraina. Il copione è lo stesso, e di sicuro effetto. Si intitola "Sì, però". Allora era “Sì, Putin ha invaso l’Ucraina, però non dobbiamo mandarle armi”, o “però l’occidente ha provocato”. Oggi dice “Sì, Hamas ha compiuto la strage del 7 ottobre, però anche Israele ammazza i bambini”, o “però l’occidente dimentica la Palestina occupata”.

Risultato: il piacione di Roma Nord è diventato istantaneamente l’idolo degli estremisti islamici, si è trasformato in Dibbah d’Arabia. Le sue urla di martedì sera, sottotitolate in arabo e titolate “Finalmente un politico italiano dice la verità”, impazzano sulla rete dal Marocco all’Iraq.

Anche a noi, come a Crozza, piace Dibba. È una miniera inesauribile di bufale e gaffes. Il New York Times lo issò in testa alla classifica mondiale delle panzane dopo che riuscì a dire “Metà Nigeria è in mano ai terroristi di Boko Haram, l’altra metà al virus Ebola” (erano venti villaggi e venti casi in tutto). Il folklore continuò con “in Grecia cittadini disperati s’iniettano il virus dell’Aids per prendere il sussidio”.

Poi certi teppisti francesi che indossavano gilet gialli incendiarono i negozi degli Champs-Élysées, e lui trascinò il collega grillino Luigi Di Maio a Parigi a stringer loro la mano. Quando Di Maio divenne inopinatamente ministro degli Esteri, faticò a spiegare la cosa al presidente Emmanuel Macron. E ora che il povero Di Maio è stato nominato – sempre inopinatamente – inviato Ue nel Golfo, si trova sorpassato dall’ex amico in popolarità presso le masse arabe.

Dibbah ci diverte ogni volta che appare sul piccolo schermo. Lo spettacolo è assicurato, e infatti pare che incassi 2.500 euro a puntata per l’erezione delle audiences. Una volta si proclama “testimone oculare” di un inciucio non perché fosse lì presente, ma perché “ho letto le carte coi miei occhi”. Un’altra scivola sul congiuntivo: “Mi auguro che la Meloni non cedi su Casellati”. Nella foga scambia “soddisfamento” per “soddisfazione”, missili ipersonici per supersonici.

Sul Medio Oriente invece ha studiato. Non gli capiterà mai di confondere il Libano con la Libia, come successe a un sottosegretario agli Esteri 5 stelle. Però l’altra sera, dopo aver dato dell’ex fascista a Italo Bocchino e avere incassato “il fascista ce l’hai in casa, tuo padre”, l’ha sparata grossa: ha equiparato Israele ai nazisti, dicendo che la “rappresaglia su Gaza è come quella delle Fosse Ardeatine: si vuole arrivare a 33 bimbi palestinesi uccisi per ogni bimbo israeliano?”.

A parte il delirante paragone, nessuno lì per lì si è accorto dello svarione contabile: Hitler applicò la vendetta nella misura di uno a dieci: 33 soldati uccisi, 330 (molti ebrei) fucilati. Ma nella confusa matematica dibbiana Bibi Netanyahu risulta peggiore del comandante SS Herbert Kappler.

È probabile che ora Dibbah, sull’onda di questi exploit, venga ripescato anche dai 5 stelle e candidato all’Europarlamento da un Giuseppe Conte in debito d’ossigeno. Così il circo verrà trasmesso in Eurovisione. Titolo in inglese, questa volta: "Freak show".

Thursday, May 12, 2011

Le nozze di Mara Carfagna

"Mara, tutto perdonato: a giugno ci sposiamo"

Pace fatta tra la Carfagna e il fidanzato, dopo le rivelazioni di Bocchino. Marco Mezzaroma ha portato la sua bella ministra alle Maldive per Pasqua. Per un anticipo di luna di miele: lei ha già comprato il vestito di nozze nella natia Salerno

di Mauro Suttora

Oggi, 11 maggio 2011

Tutto perdonato. Marco Mezzaroma non si è scomposto di fronte alle rivelazioni di Italo Bocchino, che davanti ai milioni di telespettatori di Che tempo che fa ha confessato di avere avuto un'amicizia particolare con la ministra Mara Carfagna. L'erede della ricca famiglia di palazzinari romani è fidanzato da tre anni con Mara. Più o meno a quell'epoca, mese più mese meno, Bocchino giura di avere smesso di provocare sofferenze alla moglie Gabriella. Quindi l'onore è salvo.

Sembrava che il mat rimonio Carfagna-Mezzaroma, fissato per il 25 giugno, foss e rinviato o addirittura cancellato. Invece è stato confermato: si svolgerà in un castello alle porte di Roma, nella tenuta di Torre in Pietra di proprietà della famiglia Carandini. Famosa per due cose: il latte omonimo, e il conte Nicolò Carandini, capo del Partito liberale nel dopoguerra, e poi fondatore di quello radicale di Marco Pannella.

Ma torniamo al nostro Marco, invidiatissimo promesso sposo della più bella ministra d'Italia, a pari merito con Stefania Prestigiacomo. Per fugare ogni dubbio, a Pasqua ha portato Mara alle Maldive, in uno dei resort più lussuosi dell'arcipelago, il Palm Beach.

Più travagliata, invece, l'atmosfera nella famiglia Bocchino. La ricca moglie Gabriella Buontempo aveva aperto i giochi con un' intervista-confessione a un settimanale. In cui l' unico veleno veniva distillato contro la «sfasciafamiglie» Mara, accusata di non essersi posta il problema di rovinare la vita di una coppia sposata da tempo e con figli: «Si presentava ovunque andassi mo in vacanza. Andava addirittura dal mio stesso parrucchiere».

Poi una stilettata politica: «Un po' di delusione c'è stata. Anche per la scelta della persona. In politica, la Carfagna è sempre stata "telecomandata" da mio marito: segue tutto quello che lui dice. Se non era per Italo, mica li prendeva tutti quei voti in Campania». Altre considerazion i sono state fatte sulla capacità, da parte delle mogli italiane, di tollerare lunghe relazioni extraconiugali dei mariti: «Lo sapeva tutta Montecitorio. Da due anni e mezzo pure io. In Italia se non hai almeno un'amante sei uno sfigato».

La scorsa settimana Panorama ha scritto che la signora Bocchino chiederà il divorzio. Italo però ha smentito: «Ca...te in libertà, sto partendo per Parigi con lei».

Intanto, nella sua Salerno Mara è andata a comprare l'abito da sposa, accompagnata dalla mamma, dal fratello e dall'inseparabile cugina. Lei era commossa, e non lo ha nascosto nel negozio della sarta Pinella Passaro in corso Vittorio Emanuele: la stessa che aveva confezionato l' abito da sposa della madre di Mara quando, giovanissima, salì all' altare per sposare il preside Salvatore Carfagna. La Passaro dichiara di essere rimasta incantata dal ministro: «Ha un portamento da indossatrice e una raffinatezza innata. Ho disegnato per lei un abito che sarà all' insegna della sobrietà e dell' eleganza, da vera regina». Pare che Mara abbia scelto il vestito, ancora top secret, al primo colpo.

Mauro Suttora

Wednesday, May 04, 2011

La Carfagna si sposa

Oggi, 4 maggio 2011

di Mauro Suttora

Tutto perdonato. Marco Mezzaroma non si è scomposto di fronte alle rivelazioni di Italo Bocchino, che davanti a milioni di telespettatori di Che tempo che fa ha confessato di avere avuto una relazione clandestina con la ministra Mara Carfagna.
L’erede della ricca famiglia di palazzinari romani è fidanzato da tre anni con Mara. Più o meno a quell’epoca, mese più mese meno, Bocchino giura di avere smesso di tradire la moglie Gabriella con la stupenda Mara. Quindi l’onore è salvo.

Il castello Carandini

Per un po’ sembrava che il matrimonio, fissato per il 25 giugno, fosse rinviato o addirittura cancellato. Invece è stato confermato: si svolgerà in un castello alle porte di Roma, nella tenuta di Torre in Pietra di proprietà della famiglia Carandini. Famosa per due cose: il latte omonimo, e il conte Nicolò Carandini, capo del partito liberale nel dopoguerra, e poi fondatore di quello radicale di Marco Pannella.

Ma torniamo al nostro Marco, invidiatissimo promesso sposo della più bella ministra d’Italia, a pari merito con Stefania Prestigiacomo. Per fugare ogni dubbio, ha portato Mara per Pasqua alle Maldive, nel resort più lussuoso dell’arcipelago. E queste foto testimoniano la ritrovata armonia.

Più travagliata, invece, l’atmosfera nella famiglia Bocchino. La ricca moglie Gabriella Buontempo sembrava avere accettato le scuse e il pentimento pubblico di Italo, con un’intervista altrettanto pubblica a un settimanale. In cui l’unico veleno veniva distillato contro la «sfasciafamiglie» Mara, accusata di non essersi posta il problema di rovinare la vita di una coppia sposata da tempo e con figli: «Si presentava ovunque andassimo in vacanza. Andava addirittura dal mio stesso parrucchiere».

«Telecomandata da Italo»

Poi una stilettata politica: «Un po’ di delusione c’è stata. Anche per la scelta della persona. In politica, la Carfagna è sempre stata “telecomandata” da mio marito: segue tutto quello che lui dice. Se non era per Italo, mica li prendeva tutti quei voti in Campania».

Altre considerazioni sono state fatte sulla capacità, da parte delle mogli italiane, di tollerare lunghe relazioni extraconiugali dei mariti: «Lo sapeva tutta Montecitorio. Da due anni e mezzo pure io. In Italia se non hai almeno un’amante sei uno sfigato».

La scorsa settimana Panorama ha scritto che la signora Bocchino chiederà il divorzio. Italo però ha smentito: «Ca...te in libertà, sto partendo per Parigi con lei».

L’abito da sposa

Intanto, nella sua Salerno Mara è andata a comprare l’abito da sposa, accompagnata dalla mamma, dal fratello e dall’inseparabile cugina. Lei era commossa, e non lo ha nascosto nel negozio della sarta Pinella Passaro in corso Vittorio Emanuele: la stessa che aveva confezionato l’abito da sposa della madre di Mara quando, giovanissima, salì all’altare per sposare il preside Salvatore Carfagna.
La Passaro dice di essere rimasta incantata dal ministro: «Ha un portamento da indossatrice e una raffinatezza innata. Ho disegnato per lei un abito che sarà all’insegna della sobrietà e dell’eleganza, da vera regina». Pare che Mara abbia scelto il vestito, per ora top secret, al primo colpo.

Mauro Suttora

Wednesday, September 01, 2010

Fare futuro

LE PROVOCAZIONI DI FILIPPO ROSSI E DEGLI ALTRI GIORNALISTI FINIANI

di Mauro Suttora

Oggi, 25 agosto 2010

Provate a cercare su Google la parola «Fare futuro». Il nome della fondazione di Gianfranco Fini batte «fare l’amore» e «fare soldi» per cinque milioni di risultati contro mezzo milione e 400 mila, rispettivamente. Incredibile: le due attività più piacevoli della vita stracciate da un sito politico. Questo spiega ed è spiegato (causa ed effetto) dall’estate più pazza nella storia dei partiti italiani: un intero agosto passato da tv e giornali a registrare ogni sospiro di Fini e del suo nuovo avversario, il premier Silvio Berlusconi che lo rese «presentabile» nel 1993, e col quale appena due anni fa aveva fondato il Popolo della Libertà.

«Il berlusconismo è fatto di ricatti, menzogne, editti e killeraggio», ha scritto Filippo Rossi, direttore della rivista online di Fare futuro. Definizione durissima, che neppure gli oppositori del Partito democratico userebbero. Ormai siamo in territorio Di Pietro-Grillo. Presa di distanza immediata, quindi da parte dei 44 parlamentari transfughi finiani: «Editoriale fuori misura», hanno tagliato corto i capigruppo Italo Bocchino e Pasquale Viespoli.

Ma l’autore non fa marcia indietro: «A Fare futuro siamo commentatori e giornalisti», ci dice Rossi, «non facciamo direttamente politica, ma cultura. E registriamo sensazioni che abbiamo dentro di noi o attorno a noi».
Rossi come Vittorio Feltri? Il direttore del webmagazine finiano come quello de Il Giornale berlusconiano, che dopo la rottura non lascia passar giorno senza un titolo a nove colonne in prima pagina contro Fini? Giornalisti entrambi, Rossi e Feltri mitragliano all’impazzata. Poi arrivano i politici a smentire, attenuare, minimizzare. Ma intanto il danno è fatto, le parole sono state dette e scritte, il clima avvelenato.

Rossi non accetta il paragone con Feltri (o con Maurizio Belpietro, direttore di Libero, l’altro quotidiano belusconofilo altrettanto aggressivo): «Noi facciamo analisi politiche, non attacchi personali». Beh, accusare i berlusconiani di essere dei killer... «E cosa fanno da un anno, se non accusare Fini di qualsiasi nefandezza? Gettano cacca nel ventilatore, e alla fine qualche schizzo resta attaccato. Si sono ridotti ad attaccare il fratello della compagna di Fini, oppure a rovistare fra le fatture di una cucina Scavolini».

A proposito: non sarebbe meglio che Fini, per tacitare le accuse, dicesse sempre tutto e subito?
«In che senso?»
Che spieghi chi c’è dietro le società fantasma che hanno acquistato la casa di Montecarlo affittata dal fratello della sua compagna Elisabetta Tulliani, e se quella cucina l’ha comprata per lui. Magari aggiungendo: «Se ho commesso qualche stupidaggine, l’ho fatto per amore». Gli italiani capirebbero. Almeno quelli che tengono famiglia. Cioè quasi tutti.

«Ma figurarsi se il presidente della Camera deve abbassarsi a rispondere. Non può partecipare a questo gioco al massacro. Ha già dato abbastanza spiegazioni. D’altra parte, lo stesso Feltri ammette che si tratta soltanto di “questioni di galateo politico”. Non stiamo parlando certo di reati, di cui invece sono formalmente accusati vari dirigenti berlusconiani. Insomma, non è ridicolo che tutto il dibattito politico di una nazione, con i problemi che abbiamo, debba ruotare attorno a un piano rialzato a Montecarlo, una cucina componibile, una schedina Enalotto?»
Beh, è capitato anche a Clinton e Monica, a Sarkozy e Carla.
«Ecco. Invece noi vorremmo parlare di politica, possibilmente».

À la guerre comme à la guerre, però. Quindi, adesso ai giornali berlusconiani Elisabetta Tulliani risponde solo con querele: contro Il Giornale, Libero, il settimanale Panorama. Una linea dura suggerita probabilmente da Giulia Bongiorno, l’avvocata-deputata in questi giorni più vicina alla coppia Fini-Tulliani. Era stata lei a mettere una pietra tombale sul primo matrimonio di Fini con Daniela Di Sotto, trovando un accordo che impedisse alla signora di recriminare. Ora, invece, nessuna spiegazione all’opinione pubblica, nessun cedimento.

E poi ci sono i giornalisti mandati avanti a lanciare provocazioni, un po’ come vent’anni fa Gorbacev utilizzava Eltsin, «kamikaze della perestroika». Oltre a Rossi (ex Tempo e Italia Settimanale di Marcello Veneziani e Pietrangelo Buttafuoco) fra i finiani brilla la stella di Flavia Perina, direttrice del quotidiano dell’ex An, Il Secolo. Una somiglianza con la governatrice del Lazio Renata Polverini, ogni volta che apre bocca è un carico da novanta. I metodi del Pdl? «Stalinisti». La legge sul «processo breve», ritenuta non trattabile da Berlusconi? «Deve servire solo a snellire la macchina della giustizia». E poi, sul suo giornale, giù paginate urticanti per i benpensanti della destra vandeana. «Aperture» su tutto: coppie di fatto, testamento biologico, cittadinanza agli immigrati, procreazione assistita...
Gli ex missini sono diventati radicali? Hanno rubato loro il mestiere di baluardo della laicità? Con «dibattiti culturali» come questi, da parte dei finiani, scintille garantite.

Mauro Suttora

Wednesday, May 05, 2010

I 17 anni di Fini e Berlusconi

UNA STORIA DI ALTI E BASSI

di Mauro Suttora

Oggi, 28 aprile 2010

Che ci fosse qualcosa di strano, cominciarono a sospettarlo nel 2005. I radicali avevano lanciato il referendum per la procreazione assistita. Gianfranco Fini annunciò che avrebbe votato sì: un’eresia, a destra. Il Vaticano era contrarissimo. I massimi dirigenti di An (Ignazio La Russa, Maurizio Gasparri, Altero Matteoli) si chiedevano cosa fosse capitato al loro segretario. Commisero l’errore di parlarne ad alta voce nel bar La Caffettiera di Roma. Un giornalista ascoltò tutto, e pubblicò testualmente. Apriti cielo. «Gianfranco ha perso la testa per amore», sussurravano i malcapitati, riferendosi al pettegolezzo-principe di quelle settimane nella capitale: una supposta love story fra l’allora ministro degli Esteri e una sua bella collega di governo assai aperta in tema di diritti civili. Fini allora aveva in mano An: convocò uno a uno i reprobi e tolse loro ogni carica per molti mesi.

Sono passati cinque anni. An non c’è più, e l’unica arma rimasta in mano a Fini in quanto ex presidente sono i soldi: quelli del rimborso elettorale del 2006, che incasserà fino all’anno prossimo, più il patrimonio di 400 milioni di euro in sedi e uffici dell’ex Msi, che si è ben guardato dal conferire al Popolo delle Libertà (così come Ds e Margherita non hanno dato tutti i loro averi al Pd). Infine il quotidiano Il Secolo, che riceve dallo stato tre milioni di euro all’anno anche se vende solo tremila copie (ogni copia del Secolo costa quindi mille euro ai contribuenti...)

Quasi tutti i parlamentari ex An eletti nel Pdl hanno abbandonato il loro ex capo ora che si è scontrato platealmente con Silvio Berlusconi. Con Fini sono rimasti solo il ministro Andrea Ronchi, il viceministro Adolfo Urso, il vicecapo dei deputati Pdl Italo Bocchino, una dozzina di senatori e una trentina di deputati. Ma cos’è successo, veramente?

«Semplice: Fini si sente troppo vecchio, e Berlusconi troppo giovane», spiega a Oggi un parlamentare Pdl. «Fini a 58 anni si è stufato di appassire come delfino a vita. Ha cominciato a esserlo a 41 anni, e ora rischia di fare la patetica fine del principe Carlo d’Inghilterra, al quale l’ultraottuagenaria regina Elisabetta non si sogna di passare la corona. Proprio come Berlusconi, che a 74 anni si sente ancora pimpante e che, al massimo, lascerà la presidenza del Consiglio fra tre anni al fedele Tremonti o al fedelissimo Alfano per salire al Quirinale».

L’eterna storia di tanti vecchi leader della storia incuranti della successione, che hanno «ucciso» qualsiasi «giovane» facesse loro ombra, in base alla regola del «dopo di me il diluvio»? A pensarci bene, è capitato a tutti i grandi politici del XX° secolo: De Gaulle senza lo scrollone del ’68 non avrebbe abdicato per Pompidou, Churchill rimase premier fino a 81 anni, Roosevelt aspettò la morte piuttosto che vedere il vice Truman al proprio posto. Per non parlare dei dittatori Stalin, Mao o Franco, tutti morti con lo scettro in mano.

Ma la crisi del diciassettesimo anno fra Fini e Berlusconi non è solo una questione dinastica. I due non si sono mai veramente pigliati: la loro convivenza è stata piena di alti e bassi, provocati secondo i maligni anche dalla opposta statura fisica.

Oggi i fans di Silvio accusano Gianfranco di ingratitudine. Se non ci fosse stato lo storico «sdoganamento» del novembre 1993 all’inugurazione di un suo ipermercato a Casalecchio di Reno (Bologna), sostengono, con la dichiarazione di voto berlusconiana per Fini sindaco di Roma, l’Msi sarebbe rimasto una scoria neofascista. Consideriamo però che allora Berlusconi era solo il presidente della Fininvest, detestato dalla sinistra ma anche dagli ex dc di Martinazzoli e da quelli di Segni. Non aveva molte altre sponde da blandire quindi, dopo la scomparsa del Psi del suo amico Craxi.

Nel dicembre ’94 Umberto Bossi fa cadere il primo governo Berlusconi, e due anni dopo si allea con la sinistra permettendole di governare fino al 2001 (quante giravolte in politica!). Fini invece rimane fedele a Silvio, e quello rimane forse il periodo più felice del loro rapporto. Di quei mesi, invece, Berlusconi conserva l’incubo del governo «tecnico» di Lamberto Dini (1995-’96). Ancor oggi teme che qualcuno lo possa sostituire, non dopo una sconfitta elettorale, ma in nome di un’emergenza economica o giudiziaria (avviso di garanzia, incriminazione, condanna). E adesso il candidato ideale, vista la stima conquistata a sinistra, sarebbe proprio Fini, terza carica dello stato.

Il primo «tradimento» di Gianfranco risale alle europee del ’99, quando An cerca di allargarsi a spese di Forza Italia imbarcando nella coalizione «Elefante» Segni e perfino i radicali antiproibizionisti sulla droga di Marco Taradash. Ma il risultato è negativo (An cala dal 12 per cento al 10), e Fini deve tornare all’ovile.

Dopo la vittoria alle politiche del 2001 Gianfranco non s’impegna direttamente in un ministero. Già allora s’illude di ritagliarsi un ruolo «superiore» come vicepremier. Ma dopo tre anni si accorge che senza mani in pasta conta poco, e quindi per due anni fa il ministro degli Esteri. Va in Israele a dichiarare che «le leggi razziali del fascismo furono un male assoluto», mentre ancora nel ’94 considerava Mussolini «il maggiore statista italiano del secolo». Nel 2004 riesce a far dimettere il filoleghista Tremonti da ministro dell’Economia, salvo doverlo reinghiottire appena un anno dopo.

Intanto gli anni passano, lui scalpita. Ma Berlusconi raggiunge i 70 anni e non dà segni di stanchezza. Anzi, perso il voto del 2006 non si dà per vinto e un anno dopo annuncia la fusione di tutti i partiti del centrodestra nel Popolo delle Libertà. «Siamo alle comiche finali», risponde Fini sprezzante. Ma ancora una volta deve andare a Canossa e nel 2008 An, contrariamente all’Udc di Casini, sparisce dalla scheda elettorale per vincere, ma inglobato nel Pdl.

Per l’ennesima volta Fini si smarca, preferendo il ruolo istituzionale di presidente della Camera all’impegno governativo. E comincia lo stillicidio di critiche a Berlusconi. Nel settembre 2008 propone il voto agli immigrati con cinque anni di residenza (proprio lui, autore della legge Bossi-Fini). Poi critica i troppi voti di fiducia e decreti, che strozzano il Parlamento. Nel 2009 altri pugni nello stomaco al centrodestra: «Il Pdl è a rischio di cesarismo», sì al testamento biologico (caso di Eluana Englaro), il fuorionda tv: «Berlusconi confonde la leadership con la monarchia assoluta». Si mormora di un’alleanza di centro Fini-Casini-Rutelli-Montezemolo.

Il resto è storia degli ultimi giorni. Fini ormai sembra essersi alienato le simpatie del suo stesso centrodestra. Se si presentasse da solo al voto, prenderebbe il 7 per cento. «Eppure dico le stesse cose della Merkel, di Sarkozy, dei popolari spagnoli, della moderna destra europea», replica lui, serafico. E in politica, come nei film di James Bond, «mai dire mai».

Mauro Suttora

Thursday, April 02, 2009

Bocchino: il mio Fini privato

intervista a Italo Bocchino

di Mauro Suttora

Oggi, 1 aprile 2009

Eravamo quattro amici al bar. «Il bar Giolitti, di fronte a Montecitorio, dove ci trovavamo sempre Maurizio Gasparri, Ignazio La Russa ed io. Eravamo i tre moschettieri di Gianfranco Fini, e Pino Tatarella, più anziano di noi, era il nostro D’Artagnan».
Così Italo Bocchino, 41 anni, vicepresidente dei deputati Pdl, ricorda i «tempi eroici». Cioè vent’anni fa, quando dopo il crollo del muro di Berlino il presidente Francesco Cossiga («prima di Berlusconi») sdoganò il Msi.

I nostalgici neofascisti si trasformarono nei rispettabili moderati di Alleanza Nazionale. E ora anche An scompare, confluita nel Popolo delle libertà. «Ma quegli amici restano tali, perché l’amicizia non si può sciogliere», dice Bocchino. Che è fiero di occupare lo stesso ufficio d’angolo al quarto piano del palazzo dei gruppi di Montecitorio, «dove fino al ’99 stava Tatarella, morto troppo presto».

«Ricordo perfettamente la prima volta che incontrai Fini nell’85», ricorda Bocchino, «a una conferenza sull’atlantismo nella sede Msi di Terni. Io studiavo a Perugia e stavo negli universitari del Fuan. Lui guidava il Fronte della Gioventù, era già deputato, e mostrava una diversità lombrosiana rispetto ai militanti missini: moderato nei tratti, nei modi, negli argomenti».

Era il cocco di Giorgio Almirante, allevato apposta per succedergli.
«Una scelta lungimirante, quella di saltare tutta una generazione per modernizzare il partito. Ma il Msi era molto democratico al proprio interno, e Almirante non riuscì a imporre subito Fini segretario nell’87. Ci fu lotta con Pino Rauti, Franco Servello e Domenico Mennitti. Io ero il più giovane della corrente finiana, la mascotte dei quattro moschettieri. Gasparri era il motorino organizzativo, La Russa il fantasista. Il nostro rapporto andava oltre la politica, passavamo tutto il tempo assieme. Ho dormito per un anno sul divano del bilocale di 40 metri quadri di Gasparri e della sua santa moglie a Roma in via Gradoli – sì, quella del covo dei brigatisti che uccisero Moro. Lui andava in motorino alla sede del Secolo, io in bus a quella del partito in via della Scrofa. Ma anche a Milano, non ho mai dormito in albergo: sempre a casa di La Russa. E loro da me quando vengono a Napoli».

A proposito di Napoli: è vero che Berlusconi ha consigliato a Fabrizio Cicchitto, di cui lei è il vice, di vestirsi dal suo sarto napoletano Mazzuoccolo, visto che lei è sempre elegantissimo?
«Non solo: ho portato a farsi il guardaroba da lui anche Gasparri e Quagliariello, che guidano i senatori del Pdl. Un altro quartetto…»

Degli amici faceva parte anche Francesco Storace, che però si è allontanato.
«Fu Storace a farmi assumere come giornalista al Secolo: Gasparri stava alla redazione economica, Urso e Landolfi alla politica, lui agli interni, e fece una grande battaglia sindacale per me. Entrare nel giornale allora significava conquistare il primo stipendio fisso. Passai l’esame da professionista con Veltroni e Ferrara».

Nelle foto che pubblichiamo Fini, la sua compagna Elisabetta Tulliani e la figlia Carolina passeggiano a villa Borghese con lei, sua moglie Gabriella Buontempo e le vostre due figlie. Com’è il Fini privato? Il ghiacciolo che è in pubblico?
«Assolutamente no. Formalmente sembra freddo, ma nella sostanza è normalissimo. Ha forti passioni, ora che è diventato padre è rinato a vita nuova. Credo soffra un po’ per una certa difficoltà a esprimere i sentimenti, ma per un uomo abituato a ruoli di leadership da quando aveva 25 anni l’autocontrollo è normale. Né lui né io parliamo di politica fuori dal lavoro…»

E di che parlate?
«Di tutto, delle nostre famiglie, del mare, che è l’altra sua grande passione. Gli piace vivere semplicemente: siamo stati da poco a Parigi con le nostre signore, e ci siamo spostati in metro».

Mai una litigata in un quarto di secolo?
«Come no. Nel 2005, dopo che alcuni di noi suoi amici furono intercettati mentre sparlavamo di lui, ci tolse ogni carica. Non si è più fidato di nessuno fino al 2007, io ho rischiato perfino l’elezione. E stato un periodo molto pesante, ma l’abbiamo superato».

Mauro Suttora

Thursday, March 26, 2009

Da Mussolini a Silvio

Un curioso paradosso: i postfascisti di An più democratici dei «liberali» di Forza Italia: niente «Uomo della provvidenza» nel Popolo della Libertà

di Mauro Suttora

Oggi, 25 marzo 2009

Il congresso di scioglimento di An passerà forse alla storia perché conclude l'avventura sessantennale del Msi. Ma sicuramente passa alla cronaca per il debutto in pubblico della nuova compagna di Gianfranco Fini, Elisabetta Tulliani. Un cambio non solo simbolico: l'ex moglie di Fini, Daniela, rappresentava infatti il passato anche politico del presidente della Camera, poiché entrambi sono stati militanti neofascisti, con il braccio alzato nel saluto romano.

Ora gli ex di An andranno d'accordo con gli ex di Forza Italia, oppure il Popolo della libertà scricchiolerà nel giro di pochi mesi, com'è capitato al Partito democratico dove ex comunisti ed ex democristiani non si sono amalgamati? Finché c'è Silvio Berlusconi non ci dovrebbero essere problemi. Ma gli ex fascisti sono abituati a una maggiore democrazia interna nel loro partito, rispetto a Forza Italia. Il «culto del Capo» non fa per loro: neppure Giorgio Almirante, come ricorda Italo Bocchino in queste pagine, riusciva a imporre la propria volontà senza discutere.

Avremo così, nel grande partito del centrodestra, dei «liberali» che si affidano all'Uomo della provvidenza di Arcore, mentre gli ex nostalgici dell'Uomo della provvidenza di Predappio pretenderanno voti democratici e dirigenti eletti, non più nominati dall'alto. Lo ha anticipato Fini: «Niente culto della personalità per Berlusconi». Un curioso paradosso.

Thursday, January 08, 2009

Renzo Lusetti, il "vicepiacione"

Bello come il suo capo Francesco Rutelli, il deputato del pd indagato per i favori al faccendiere napoletano Romeo piace perfino a Berlusconi, che lo voleva arruolare. E si consola con la neomoglie in questo suo superattico romano

Oggi, 31 dicembre 2008

Perfino Silvio Berlusconi si era innamorato della sua bella faccia telegenica con sorriso permanente, e l’aveva invitato due volte ad Arcore nove anni fa per offrirgli un posto da dirigente di Forza Italia. Renzo Lusetti aveva appena stracciato la tessera dei popolari contro la segreteria Castagnetti, e la tentazione di passare con l’avversario fu forte. Ma alla fine rimase nel partito che lo aveva incoronato principe già ventenne, quando Ciriaco De Mita lo fece capo dei giovani democristiani.

A Roma era soprannominato «vicepiacione» da quando il «piacione» in carica, Francesco Rutelli, lo tirò fuori dalle secche di Tangentopoli imbarcandolo come assessore al comune di Roma di cui era sindaco. Fu in quel periodo, metà anni Novanta, che Lusetti conobbe il faccendiere napoletano Alfredo Romeo che ora lo ha inguaiato assieme al deputato Pdl Italo Bocchino: il faccendiere napoletano gestiva le case comunali.

Lo scorso maggio Lusetti si è sposato in seconde nozze con Vira Carbone, 39enne conduttrice Rai. Cerimonia civile nella chiesa sconsacrata di Caracalla finita su Cafonal del sito Dagospia, e ricevimento all’Hilton. Testimoni: Maria Grazia Cucinotta e Dario Franceschini. Molti gli invidiano la casa a due piani sulle pendici di Monte Mario, attico e superattico con entrata indipendente, vista sulla città, terrazze, boiseries, un lussuoso scalone di legno circolare che porta alla zona letto. «Vale tre miliardi», sussurrano gli ospiti. «Ma è di mio suocero, è intestata a lui e a mia moglie», precisa Lusetti a Oggi.

La signora Carbone Lusetti appare su Raiuno ogni weekend di primo mattino, nel programma Sabato, domenica &. Ed era in prima fila alla presentazione dell’ultimo libro di Bruno Vespa. Gran cerimoniere: Berlusconi. Il feeling trasversale continua.