di Mauro Suttora
Huffpost,10 marzo 2021
Se dirà sì alla segreteria pd, l’autoesilio di Enrico Letta sarà durato metà della prigionia del conte di Montecristo. Sette anni, dopo quella scena inobliabile del febbraio 2014 quando non guardò in faccia Matteo Renzi mentre gli stringeva la mano consegnandogli il campanellino da premier.
Sette anni lontano dalle beghe politiche nostrane, dimissioni anche dal Parlamento e dal Pd (tessera rinnovata solo due anni fa, dopo l’elezione a segretario di Zingaretti).
Due incarichi prestigiosi a Parigi: direttore della Scuola di Affari internazionali di Sciences Po (la fucina dell’élite francese con l’Ena), e dell’Istituto Jacques Delors. Conferenze in tutto il mondo, da San Diego in California a Sidney. Nessuna consulenza pagata da satrapi mediorientali.
Unica carica conservata in Italia: direttore dell’Arel, il centro studi del maestro Nino Andreatta. Chiuso VeDrò, il suo think tank accusato dal sottosegretario grillino all’Interno Sibilia di essere il “Bilderberg italiano”, occulto potere forte, incubo dei complottisti.
Il ritorno trionfale di Letta dimostra che se in amore vince chi fugge, in politica può risorgere soltanto chi scompare. Ci aveva pensato anche Renzi, quando promise di dimettersi se avesse perso il suo referendum del dicembre 2016. Qualcuno gli consigliò di passare le consegne anche in caso di vittoria, per girar pagina e andare a nuove elezioni.
Invece Renzi è rimasto aggrappato al cortile dei palazzi romani. Ha perpetuato il suo personale think tank della Leopolda. Nel 2017 si sfogò contro il rivale Letta in un’autobiografia: “Non lo pugnalai alle spalle, fu il Pd a cambiare cavallo. Il suo governo era immobile, l’unica cosa che fece fu aumentare l’Iva. Alle primarie Pd Enrico prese solo l’11 per cento”.
“Disgustoso”, replicò durissimo Letta, abbandonando per una volta il suo aplomb. «Il silenzio mantiene meglio le distanze. Da tempo ho deciso di guardare avanti, e non saranno queste ennesime scomposte provocazioni a farmi cambiare idea. Gli italiani sono saggi, sanno giudicare».
E il giudizio dei sondaggi oggi è impietoso per Renzi, confinato al 3%. Grazie alle sue capacità manovriere sopraffine è stato lui a decidere la nascita dei nostri ultimi due governi, il Conte 2 e il Draghi ecumenico. Ma il consenso è volato da un’altra parte, posandosi ora proprio sulla testa del detestato rivale.
Perché l’arte della scomparsa non è da tutti. La praticano solo i veri statisti. Churchill ha avuto tre vite politiche resuscitando due volte, nel 1940 e nel 1951, dopo lunghi isolamenti. La “traversata del deserto” di De Gaulle durò dodici anni, fino al trionfale ritorno nel 1958.
Anche i cavalli di razza italiana sapevano prendersi intervalli. Fanfani, soprannominato ‘Rieccolo’, fu dato per politicamente morto infinite volte, e altrettante tornò a palazzo Chigi: l’ultima a 79 anni, nel 1987. Il suo amico/rivale Moro aveva la cattedra universitaria cui dedicarsi quando non governava.
Il 55enne Letta e il 46enne Renzi hanno ancora una vita politica davanti a loro. Il primo, se accetterà la segreteria pd, è ben posizionato per succedere a Draghi. E il secondo s’inventerà sicuramente qualcosa per soddisfare la sua straboccante personalità.
Mauro Suttora