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Friday, July 21, 2023

Il "regalo" di Stalin alla Polonia? Putin vaneggia, ecco perché



Non c'è nulla per cui i polacchi debbano ringraziare, perché dopo il conflitto mondiale la Polonia si ritrovò con una superficie totale di 312mila chilometri quadri, contro i 386mila dell'anteguerra. Una perdita di 74mila kmq particolarmente ingiusta per un Paese che nel 1939 era stato aggredito e spartito fra Adolf Hitler e il dittatore sovietico

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 21 luglio 2023

Ha molto torto e poca ragione, come sempre, il Vladimir Putin che ora minaccia la Polonia: "Parte del suo territorio è regalo di Stalin, glielo ricorderemo". 

Nel 1945 l'Unione Sovietica, vincitrice della guerra mondiale, pretendeva di espandersi a ovest. Lo fece direttamente a spese della Polonia, occupando tutta la sua parte orientale. E indirettamente a spese della Germania, togliendole le regioni storiche Prussia, Pomerania, Slesia e parte del Brandeburgo, girate a Varsavia fino ai fiumi Oder e Neisse, come parziale compensazione dell'amputazione subìta a est. 

Ma non c'è nulla per cui i polacchi debbano ringraziare Stalin, perché nel colossale scambio ci persero, e molto. Infatti la Polonia si ritrovò con una superficie totale di 312mila chilometri quadri, contro i 386mila dell'anteguerra. Una perdita di 74mila kmq. particolarmente ingiusta per un Paese che nel 1939 era stato aggredito e spartito fra Adolf Hitler e il dittatore sovietico.

Fu il più gigantesco spostamento di confini nella storia d'Europa. Una vera e propria dislocazione per centinaia di chilometri verso ovest. Decine di milioni di profughi polacchi e tedeschi furono vittime di un'immensa pulizia etnica, espulsi e costretti a lasciare le proprie case e campi dove vivevano da secoli.

Ne beneficiarono la Lituania, che recuperò la capitale storica Vilnius/Wilno, la Bielorussia e l'Ucraina, cui andò Lviv/Leopoli, ma anche la Russia, che si annesse direttamente come exclave la Prussia settentrionale, culla tedesca con la città di Königsberg, patria di Emmanuel Kant. La quale venne ribattezzata Kaliningrad, imponendole artificialmente il nome del gerarca stalinista Michail Kalinin.

Insomma, fu un "regalo" particolarmente avvelenato quello di Stalin alla Polonia, e con gran guadagno per Mosca. Sarebbe come se l'Italia fosse stata amputata di Veneto e Friuli, e compensata a ovest con Provenza e Savoia. 

A onor del vero, l'attuale confine orientale della Polonia con la Bielorussia ricalca quello proposto già nel 1919 dal ministro degli Esteri inglese George Curzon, che rispettava le complicate prevalenze etniche in regioni oggi scomparse come Galizia, Rutenia, Podlachia o Volinia.

Ma l'esuberanza nazionalista della Polonia, rinata dopo la sua sparizione e spartizione secolare fra gli imperi tedesco, russo e austriaco, impose all'Urss una frontiera penalizzante. Quindi Stalin ebbe gioco facile durante le conferenze di Yalta e Potsdam nell'imporre a Winston Churchill e agli Usa le proprie rivendicazioni territoriali. 

Più difficile oggi per Putin spacciare le sue falsificazioni storiche. Particolarmente pericolose, perché rischiano di accendere nuovi focolai bellici a Kaliningrad e nel corridoio lituano di Suwalki, che collegherebbe l'exclave russa alla Bielorussia putiniana.




Saturday, May 06, 2023

Dio salvi il re, le carrozze e l'incoronazione. Se è questo che vogliono i sudditi, diamoglielo

La monarchia è un ente così inutile che non vale neanche la pena combatterla. C'è, e buonanotte. Attrazione turistica, miniera di gossip, cerniera istituzionale. Perchè rinunciarci?

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 6 maggio 2023 

"Her Majesty is a pretty nice girl, but she doesn't have a lot to say (...) Someday I'm gonna make her mine". "Sua Maestà è una ragazza carina, ma non ha molto da dire (...) Prima o poi me la faccio": sono le parole dell'ultima canzone nell'ultimo disco dei Beatles, Abbey Road, 1969. Dura solo 23 secondi, e il suo titolo non appare sulla copertina dell'Lp.

Molto 'naughty', birichino, l'autore Paul McCartney. In Italia magari qualcuno l'avrebbe denunciato per vilipendio. Gli inglesi invece adorano questo humour sottile. Mentre detestano sparate melodrammatiche come quella dell'altro beatle John Lennon, che in quei mesi restituì alla regina il titolo di baronetto per protesta contro lo scarso successo del suo 45 giri 'Cold Turkey'. 

A proposito della nomina a baronetti: fu ancora Lennon a rivelare che si fumarono una canna nei bagni di Buckingham Palace nel 1965, prima di ricevere il titolo. E sempre Lennon capitanò la fronda sbarazzina quando, durante un concerto alla presenza della regina madre e della principessa Margaret, invitò il pubblico ad accompagnare 'Twist and Shout' battendo le mani. "Voialtri invece", aggiunse rivolgendosi al palco reale, "fate tintinnare i vostri gioielli".

Ecco, i Beatles (unici inglesi a eguagliare la fama planetaria della regina) rappresentano bene il massimo grado di contestazione cui è sottoposta la Corona britannica. Più silenziosi ma concreti i Rolling Stones: pare che Mick Jagger abbia portato a termine con Margaret l'impresa solo sognata da McCartney. Adesso i tifosi scozzesi dei Rangers di Glasgow cantano: "Carlo, l'incoronazione mettitela in quel posto!" Ma sono solo cori da stadio. Quando si è trattato di votare la secessione dalla monarchia inglese, anche in Scozia hanno vinto gli unionisti.

Prevale l'indifferenza: ai due terzi dei britannici, e ai tre quarti degli under 25, la cerimonia di oggi non interessa. Ma è un disinteresse per niente bellicoso, anzi benevolo: la maggioranza assoluta degli inglesi si dichiara comunque monarchica. Come quel proverbio romanesco: "Se ci sei sono contento, se sparisci nun m'accorgo". Forse la monarchia è un ente così inutile che non vale neanche la pena combatterla. C'è, e buonanotte. Attrazione turistica, miniera di gossip, cerniera istituzionale. Perchè rinunciarci? Per sostituirla con un esangue presidente civile? Peggio: per passare a un regime presidenziale come in Usa o Francia, con il rischio di eleggere soggettoni tipo Donald Trump o Boris Johnson?

 "Quaeta non movere", non tocchiamo ciò che funziona. Quindi becchiamoci pure Carlo e Camilla. Se saranno una disgrazia, non dureranno molto: l'anagrafe è quella che è. Poi, un'onesta successione è garantita per il prossimo mezzo secolo con l'equilibrato William, sua moglie che piace alle commesse, e suo figlio George che mostra già movenze da monarca. Poi, certo, ci sono anche le disgrazie. Ma le paturnie del principe Harry hanno dominato le classifiche mondiali delle vendite di libri negli ultimi mesi: la sua autobiografia ha avuto più successo di quella di Winston Churchill. Se è questo che vogliono i sudditi, diamoglielo. Come il favoloso corteo odierno con le carrozze. 

Ho lavorato 22 anni nel settimanale Oggi. Ogni volta che abbiamo dedicato la copertina a un resoconto scritto dalla nostra impareggiabile 'royal correspondant' Michela Auriti, le vendite schizzavano all'insù. Quindi God save the King. E salvi anche le tirature dei giornali. 

Friday, February 10, 2023

Foibe ed esodo: colpa di una spia inglese

Venerdì 10 febbraio si celebra il Giorno del Ricordo, ma pochi ricordano il nome di James Klugmann, al soldo di Stalin, che nel 1942 convinse Winston Churchill ad aiutare i partigiani comunisti di Tito in Jugoslavia invece di quelli monarchici del generale Draza Mihailović

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 10 febbraio 2023

I 350mila profughi di Istria e Dalmazia possono ringraziare un certo James Klugmann, per il loro esodo e le foibe. Oggi si celebra il Giorno del Ricordo, ma pochi ricordano il nome della spia inglese al soldo di Stalin che nel 1942 convinse Winston Churchill ad aiutare i partigiani comunisti di Tito in Jugoslavia, invece di quelli monarchici del generale Draza Mihailović.

Soltanto grazie all'appoggio inglese Tito conquistò il proprio Paese, sbaragliando non solo gli occupanti tedeschi e italiani, ma anche tutti i suoi nemici interni: fascisti ustascia croati, cetnici serbi, musulmani bosniaci, cattolici sloveni, democratici e liberali di ogni nazionalità.

La Jugoslavia nell'aprile 1941 era stata invasa dai nazifascisti, dopo il golpe filoinglese che l'aveva spostata dall'orbita dall'Asse a quella degli angloamericani. Ma fino all'estate l'unica resistenza fu quella dei partigiani dell'ex re Pietro, perché i comunisti jugoslavi rispettavano il patto Molotov-Ribbentrop fra Urss e Germania. Tito cominciò la sua guerriglia solo dopo l'attacco di Hitler a Stalin.

Nel febbraio 1942 il trentenne James Klugmann fu incredibilmente messo alla guida dell'ufficio jugoslavo del nuovo spionaggio militare inglese, il Soe (Special operations executive). Come fu possibile che un notorio comunista raggiungesse quella carica? Qualcuno incolpa un bombardamento aereo tedesco che aveva distrutto gli archivi del MI5, l'intelligence britannica. 

In ogni caso la talpa si mise subito all'opera. Gli inglesi monitoravano Balcani e Medio Oriente dal Cairo, e da lì Klugmann faceva partire per Londra rapporti che screditavano i partigiani jugoslavi democratici, lodando invece la pugnacia dei comunisti titini. Così i notevoli aiuti che gli alleati paracadutavano sulla Jugoslavia furono pian piano dirottati dai guerriglieri di Mihailović a quelli di Tito. 

L'unico a obiettare fu il Foreign office. Con lungimiranza, il ministero degli Esteri britannico si preoccupava per gli effetti a lungo termine del massiccio aiuto a quello che già sapevano sarebbe tornato ad essere il nemico, dopo la caduta di Hitler: il comunismo internazionale. Ma le perplessità furono superate da due argomenti. Primo, i partigiani titini erano in effetti più feroci e determinati dei monarchici, perché appartenevano a tutte le etnie jugoslave (serbi, croati, sloveni), mentre i cetnici erano solo serbi. Secondo: gli angloamericani stavano aiutando anche Stalin, superando le differenze ideologiche.

Ma l'opera di disinformazione di Klugmann riuscì a convincere Churchill che Tito potesse essere più efficace per l'unico scopo che interessava allora gli inglesi: ammazzava più tedeschi di Mihailović, teneva maggiormente impegnate le divisioni della Wehrmacht, distogliendole così dagli altri fronti.

Naturalmente la storia non si riscrive con i 'se'. Tuttavia il destino della Jugoslavia, e degli italiani di Istria e Dalmazia, sarebbe stato sicuramente diverso se, come in Italia, anche lì i partigiani vittoriosi nel 1945 fossero risultati di diverse estrazioni, senza un monopolio comunista.

Nel dopoguerra Klugmann, promosso maggiore, riprese tranquillamente la sua militanza nel partito comunista inglese, del quale scrisse la storia ufficiale. Fu sospettato di far parte dei 'Cambridge five', le famose cinque spie che facevano il doppio gioco per i sovietici. La realtà era ancora peggiore: fu proprio lui a reclutare Burgess, Philby, Maclean, Blunt e Cairncross. 

Ma la clamorosa verità è emersa solo con l'apertura degli archivi Kgb nel 1990 e di quelli inglesi nel 1997. Nel frattempo Klugmann era morto tranquillo nel suo letto, a 65 anni nel 1977. Dopo aver regalato a istriani e dalmati esilio e foibe, e agli jugoslavi mezzo secolo di dittatura, sfociata nella seconda guerra civile degli anni '90.

Wednesday, March 10, 2021

Letta, Renzi e l'arte della scomparsa

di Mauro Suttora

Huffpost,10 marzo 2021

Se dirà sì alla segreteria pd, l’autoesilio di Enrico Letta sarà durato metà della prigionia del conte di Montecristo. Sette anni, dopo quella scena inobliabile del febbraio 2014 quando non guardò in faccia Matteo Renzi mentre gli stringeva la mano consegnandogli il campanellino da premier.

Sette anni lontano dalle beghe politiche nostrane, dimissioni anche dal Parlamento e dal Pd (tessera rinnovata solo due anni fa, dopo l’elezione a segretario di Zingaretti).


Due incarichi prestigiosi a Parigi: direttore della Scuola di Affari internazionali di Sciences Po (la fucina dell’élite francese con l’Ena), e dell’Istituto Jacques Delors. Conferenze in tutto il mondo, da San Diego in California a Sidney. Nessuna consulenza pagata da satrapi mediorientali.


Unica carica conservata in Italia: direttore dell’Arel, il centro studi del maestro Nino Andreatta. Chiuso VeDrò, il suo think tank accusato dal sottosegretario grillino all’Interno Sibilia di essere il “Bilderberg italiano”, occulto potere forte, incubo dei complottisti.


Il ritorno trionfale di Letta dimostra che se in amore vince chi fugge, in politica può risorgere soltanto chi scompare. Ci aveva pensato anche Renzi, quando promise di dimettersi se avesse perso il suo referendum del dicembre 2016. Qualcuno gli consigliò di passare le consegne anche in caso di vittoria, per girar pagina e andare a nuove elezioni.


Invece Renzi è rimasto aggrappato al cortile dei palazzi romani. Ha perpetuato il suo personale think tank della Leopolda. Nel 2017 si sfogò contro il rivale Letta in un’autobiografia: “Non lo pugnalai alle spalle, fu il Pd a cambiare cavallo. Il suo governo era immobile, l’unica cosa che fece fu aumentare l’Iva. Alle primarie Pd Enrico prese solo l’11 per cento”.


“Disgustoso”, replicò durissimo Letta, abbandonando per una volta il suo aplomb. «Il silenzio mantiene meglio le distanze. Da tempo ho deciso di guardare avanti, e non saranno queste ennesime scomposte provocazioni a farmi cambiare idea. Gli italiani sono saggi, sanno giudicare».


E il giudizio dei sondaggi oggi è impietoso per Renzi, confinato al 3%. Grazie alle sue capacità manovriere sopraffine è stato lui a decidere la nascita dei nostri ultimi due governi, il Conte 2 e il Draghi ecumenico. Ma il consenso è volato da un’altra parte, posandosi ora proprio sulla testa del detestato rivale.


Perché l’arte della scomparsa non è da tutti. La praticano solo i veri statisti. Churchill ha avuto tre vite politiche resuscitando due volte, nel 1940 e nel 1951, dopo lunghi isolamenti. La “traversata del deserto” di De Gaulle durò dodici anni, fino al trionfale ritorno nel 1958.


Anche i cavalli di razza italiana sapevano prendersi intervalli. Fanfani, soprannominato ‘Rieccolo’, fu dato per politicamente morto infinite volte, e altrettante tornò a palazzo Chigi: l’ultima a 79 anni, nel 1987. Il suo amico/rivale Moro aveva la cattedra universitaria cui dedicarsi quando non governava.


Il 55enne Letta e il 46enne Renzi hanno ancora una vita politica davanti a loro. Il primo, se accetterà la segreteria pd, è ben posizionato per succedere a Draghi. E il secondo s’inventerà sicuramente qualcosa per soddisfare la sua straboccante personalità.

Mauro Suttora

Wednesday, June 22, 2016

Berlusconi vecchio? Adenauer mollò a 87 anni

di Mauro Suttora

Oggi, 15 giugno 2016




«Sono morto così tante volte», mormorò Calvero alla fine di Luci della ribalta di Charlie Chaplin. Altrettante sono le volte che Silvio Berlusconi è stato dato per finito: politicamente, economicamente, giudiziariamente e anche fisicamente. L’ultima tre anni fa, quando arrivò la condanna che lo fece decadere da senatore. La penultima nel 2011, quando perse per la terza volta la premiership.

E poi tumori alla prostata, avvisi di garanzia a Napoli, duomi in testa, sconfitte al voto per sei centesimi di percentuale (nel 2006), sentenze di pretori che oscuravano tutte le sue tv, ulivi, tradimenti di delfini (Casini, Fini, Alfano), distruzioni di protettori (Craxi)…

Fra tre mesi diventa ottuagenario. De Gaulle alla sua età lasciò l’Eliseo, Fanfani Palazzo Chigi. Ma Silvio pensa a Churchill premier oltre gli 80 anni, e soprattutto ad Adenauer cancelliere fino a 87. Sogna di vincere le prossime elezioni contro il 41enne Renzi e il grillino Di Maio, che ha mezzo secolo meno di lui.

In questi giorni guarda fuori dalla finestra, al sesto piano dell’ospedale San Raffaele. Vede la torre con i ripetitori della sua Mediaset, che nonostante stia in un posto chiamato col poco poetico nome di Cologno Monzese da 35 anni fa sognare metà dei telespettatori italiani.

Sotto scorre via Olgettina, e lasciamo stare. Dietro c’è la sua Milano 2, città di 10mila abitanti inaugurata nel 1972. Grazie alla contemporanea nascita del contiguo ospedale dell'amico don Verzè, Berlusconi riuscì a far deviare le rotte degli aerei in decollo da Linate: cosi' decollo' anche la sua fortuna. Più in là c’è il primo villaggio Edilnord di Brugherio, di cui proprio venti giorni fa è andato a festeggiare le 50 candeline.

Insomma, gira tutto qui attorno il mondo di Silvio. Che per la prima volta si affida pubblicamente a Dio, mentre i dirigenti del suo partito devono affidarsi ancora a lui. Ha voglia zio Fedele Confalonieri ad avvertirli: «Forza Italia impari a fare a meno di Berlusconi». Loro senza di lui non sanno che pesci pigliare: anche perché hanno appena pigliato un disastroso 4% a Roma e Torino. Si consolano con la Milano di Stefano Parisi e Maria Stella Gelmini al 20% (il doppio della Lega), Trieste, e Cosenza conquistata col 60%.

Gli unici politici che hanno potuto vedere il Capo in ospedale sono Gianni Letta e Niccolò Ghedini. Ma il primo in qualità di amico personale, il secondo come avvocato. Gli altri si devono accontentare di telefonate. Anche perché la figlia primogenita Marina ha preso in mano la situazione ed è inflessibile. Ha fatto bloccare Denis Verdini e Carlo Rossella che si erano presentati non annunciati al San Raffaele.

Nella suite con nove camere e tre bagni che don Verzè, prima del fallimento e scomparsa nel 2011, fece allestire apposta per lui, Berlusconi riceve solo parenti e amici stretti. È arrivata la figlia Eleonora, che gli sta regalando il suo nono nipotino (il padre è di nuovo il modello Guy Binns), e gli ha portato gli auguri dell’ex moglie Veronica Lario.

Molto presente anche il figlio più giovane, il 27enne Luigi. Al quale due anni fa Silvio aveva passato la storica segretaria Marinella Brambilla, ora 54enne, dopo che questa era entrata in urto con la senatrice Maria Rosaria Rossi. Ora pare che quest’ultima sia finita in disgrazia, accusata da Marina Berlusconi di non essersi accorta che il padre stava male e di averlo spremuto troppo per la campagna elettorale a Roma. Si sussurra anche di uno scontro con la fidanzata Francesca Pascale, che però è sempre presente.

Pare che in questi giorni dentro a Forza Italia stia prevalendo il “clan del Nord”. Aumentano le quotazioni del presidente della regione Liguria Giovanni Toti al toto-successione. Ma non scendono quelle di Mara Carfagna al Sud, visto il buon risultato del candidato forzista Lettieri a Napoli, che ha battuto quella del Pd per il ballottaggio, seppur senza speranza, con il sindaco Luigi De Magistris.

Il Milan ai cinesi, la tv a pagamento al francese Bollorè: Berlusconi si sta alleggerendo dei settori in perdita. In politica invece, dopo le vittorie del 1994, 2001 e 2008, Silvio sta ancora cercando rivincite e coltivando passioni. Quindi, se il cuore sarà d’accordo, la pensione aspetterà.
Mauro Suttora

Wednesday, January 02, 2013

Silvio VI°


La resurrezione di Berlusconi, che si candida per la terza volta

Oggi, 20 dicembre 2012

di Mauro Suttora

Età di alcuni personaggi storici quando "tornarono in campo":

Churchill 76 (come Berlusconi oggi)
De Gaulle 68
Napoleone 46
Mussolini 60
Peron 78
Fanfani 74, 79
Giolitti 77

Aveva gli stessi anni di Silvio Berlusconi oggi (76) Winston Churchill nel 1951, quando tornò premier sei anni dopo la bocciatura da parte degli ingrati inglesi, nonostante avesse vinto la Seconda guerra mondiale. E Juan Domingo Peron era ancora più anziano nel 1973, quando a 78 anni ridiventò presidente del'Argentina.

Non è questione d'età, quindi. La «resurrezione» di Berlusconi, che si candida presidente del Consiglio per la sesta volta un anno dopo l'uscita da palazzo Chigi per opera di Mario Monti e di Giorgio Napolitano, ha parecchi precedenti nella storia.

Data la statura del personaggio, cominciamo con Napoleone. Il quale perse il potere giovanissimo, a 46 anni nel 1814, ma in fretta lo riconquistò dopo pochi mesi d'esilio all'isola d'Elba. Non è comunque un paragone beneaugurante per il nostro Silvio: com'è noto il suo ritorno durò appena cento giorni, prima della definitiva sconfitta a Waterloo nel 1815 e il secondo esilio in un'isola assai più lontana, Sant'Elena.

Più a lungo durò il tragico «secondo tempo» di Benito Mussolini, dopo la defenestrazione del 25 luglio 1943. Nel giro di due mesi il dittatore era già tornato a guidare la repubblica di Salò. Che però, reggendosi solo grazie ai tedeschi, dopo un anno e mezzo crollò.

Sono quelli di due grandi leader democratici, quindi, gli esempi più promettenti per Berlusconi. Churchill durò al potere quattro anni nella sua terza vita politica (dopo la prima come ministro conservatore dal 1908 al ’29 e la seconda come premier anti-Hitler dal ’40 al ’45). Nel 1955 abbandonò per sempre il potere, ma senza essere sconfitto: lasciò spontaneamente Downing Street al suo delfino Anthony Eden, dopo aver vinto anche il Nobel della Letteratura.

L’altro famoso «revenant» del ’900 è stato il generale Charles De Gaulle. Dimessosi sdegnoso da presidente nel 1946, fu richiamato in servizio a furor di popolo nel ’58, all’età di 68 anni. Un anno da premier, e poi ben dieci anni come primo presidente della Quinta Repubblica francese. Neppure il maggio ’68 riuscì a scalzarlo. Se ne andò un anno dopo, ma lasciando anche lui l’Eliseo al fedelissimo Georges Pompidou.

Molto più lungo, e in esilio a Madrid, il «digiuno» patito da Peron dopo la fine della sua prima presidenza (1946-’55): diciotto anni. Tornò a Buenos Aires nel ’73 a fianco della seconda moglie Isabel, che però non riuscì a sostituire la prima moglie Evita nel cuore degli argentini. E dopo otto mesi il vecchio populista morì d’infarto.
    
E in Italia? Berlusconi può rifarsi a due anziani statisti richiamati in servizio per risolvere situazioni turbolente. Il 77enne liberale Giovanni Giolitti nel 1920 formò il suo quinto governo, sei anni dopo il quarto, di fronte alle opposte turbolenze rosse e nere. Ma durò appena un anno, e alla fine i fascisti prevalsero.

Meno drammatici gli ultimi ritorni al governo del democristiano aretino Amintore Fanfani, già premier nel 1954, nel ’58 e poi fino al ’63, prima di diventare il ministro degli esteri di Aldo Moro con il centrosinistra. Nel 1982, a 74 anni, sostituì per pochi mesi Giovanni Spadolini a palazzo Chigi, perché la Dc non voleva andare al voto dell’83 sotto il primo premier laico.
Soprannominato «rieccolo» da Indro Montanelli, Fanfani guidò di nuovo il governo nel 1987 per la sesta volta a ben 79 anni: appena tre mesi, anche qui giusto il tempo di gestire le elezioni dopo la defenestrazione del socialista Bettino Craxi.
Mauro Suttora   
        

Wednesday, May 30, 2012

Cassino: ecco chi la sacrificò

IL VERO MOTIVO DELLA BATTAGLIA CHE DISTRUSSE L'ABBAZIA:
Gli alleati volevano tenere i tedeschi lontani dalla Francia. Così assediarono per otto mesi il monastero. Ora un documentario su History svela cosa accadde e perché

di Mauro Suttora

Oggi, 23 maggio 2012

È stata una delle battaglie più lunghe della storia: quasi nove mesi. E fra le più sanguinose: 50 mila soldati alleati morti, 20 mila tedeschi e migliaia di civili italiani. Il primo spaventoso bombardamento angloamericano su Cassino (Frosinone) avvenne appena due giorni dopo l’illusione che con l’armistizio la guerra fosse finita: il 10 settembre 1943. Ma la cittadina e la sovrastante abbazia, fondata da San Benedetto nel 529, furono liberate soltanto il 18 maggio ’44.

Perché ci volle così tanto tempo? Il documentario Cassino, 9 mesi all’inferno, in onda su History (canale 407 di Sky) venerdì 25 maggio alle 21, rivela che la vera strategia alleata non era vincere presto, ma combattere a lungo. Grazie a documenti e testimonianze inedite, il regista Fabio Toncelli ha ricostruito i retroscena politico-militari della campagna anglo-americana in Italia nell’inverno 1943-44, i drammatici errori dei comandi, e le reciproche diffidenze nello schieramento alleato.

Cassino si trovava proprio sulla Linea Gustav che tagliava l’Italia in due fra il Tirreno (foce del Garigliano) e l’Adriatico (all’altezza di Ortona, in provincia di Chieti). Questa linea di fortificazioni era stata costruita dai nazisti dopo il «tradimento» dell’Italia non più fascista, guidata dal maresciallo Pietro Badoglio. Le truppe tedesche la scelsero come fronte di resistenza dopo lo sbarco alleato a Salerno, nel settembre ’43, perché era il punto più stretto della penisola italiana. Ma soprattutto perché l’abbazia di Montecassino controllava da un’altura la principale via d’accesso a Roma, con la statale Casilina.

Sacrificarsi per la Normandia

In attesa dello sbarco in Francia, il compito assegnato agli alleati in Italia era tenere impegnata la macchina bellica nazista, a qualunque costo e il più a lungo possibile. E questo segnò il destino di Cassino.

Dall’attacco a Monte Lungo a quello al fiume Rapido, fino al bombardamento del monastero, fu un susseguirsi di operazioni militari definite dagli stessi protagonisti “suicide”, e spesso basate su presupposti errati.
I documenti d’archivio con le clamorose dichiarazioni del premier britannico Winston Churchill e del generale Dwight Eisenhower, comandante delle truppe statunitensi in Europa, fanno capire le vere finalità della campagna di Cassino. Sono confermate dalle testimonianze dei soldati e dai racconti dei civili, ormai ottantenni.

La linea Gustav a Cassino era imprendibile. Già negli ultimi mesi del ’43 gli alleati avevano capito che, nonostante i bombardamenti, era impossibile sfondare in quella parte del fronte. I tedeschi erano ben piazzati sulle alture, anche se non si erano installati dentro l’abbazia.

Il generale francese Alphonse Juin, che comandava le truppe francesi composte in gran parte da arabi delle colonie (i «marocchini» diventati poi tristemente famosi per la libertà di stupro loro concessa, come mostra il film La Ciociara con Sophia Loren), lanciò quindi i suoi a dicembre in una spedizione di aggiramento all’interno, sulle Mainarde. Riuscirono a creare un varco, ma poi gli alleati non insistettero.

Perché? In realtà, quel che volevano Churchill ed Eisenhower, svanita la speranza di una veloce liberazione dell’Italia, era impegnare il maggior numero possibile di divisioni naziste nella nostra penisola. Obiettivo: distoglierle il più a lungo possibile dal già previsto sbarco in Francia. Indecisi inizialmente fra il Mediterraneo e la Normandia, alla fine gli alleati optarono per quest’ultima.

In quei mesi eroici e convulsi soltanto Churchill aveva capito il vero problema della guerra. Che non era più vincere i tedeschi, ma contenere la futura minaccia sovietica. Il premier britannico avrebbe fatto di tutto per impedire che Stalin si impadronisse di metà Europa, come poi accadde. Di qui le trattative segrete con Benito Mussolini per una pace separata con Salò: se il Duce avesse convinto Adolf Hitler a ritirare le sue truppe dall’Italia, i nazisti le avrebbero inviate sul fronte orientale, rallentando l’avanzata russa. E gli alleati avrebbero potuto egualmente sbarcare in Francia.

Carneficina anche ad Anzio

È nel quadro di queste strategie, e nel timore che i tedeschi riuscissero ad arrivare alla bomba atomica prima degli americani, che si spiega lo stallo di Cassino.

Il generale Mark Clark, comandante delle truppe statunitensi in Italia, mordeva invece il freno. Voleva passare alla storia come il liberatore di Roma, e per questo sbarcò ad Anzio nel gennaio ’44, alle spalle di Cassino. Si era quindi stabilita una testa di ponte a soli 50 km dalla capitale, aggirando ancora un volta la linea Gustav. Niente da fare. Nonostante la via verso Roma fosse libera e raggiungibile in poche ore, le truppe da sbarco alleate preferirono consolidare le loro posizioni. Così i tedeschi ebbero il tempo di riorganizzarsi, di contrattaccare, e fu una carneficina.

Dovettero passare altri quattro mesi fino alla liberazione della capitale, il 4 giugno 1944. Nel frattempo, ci andò di mezzo anche l’abbazia. Che, in quanto territorio neutrale (apparteneva giuridicamente allo Stato della Città del Vaticano), non poteva essere bombardata dagli alleati, i quali detenevano il dominio dell’aria.

Ma i nazisti ne approfittarono: stiparono a pochi metri dalle mura esterne enormi depositi di munizioni. Gli angloamericani sostenevano che erano anche entrati nell’abbazia, e da lì bersagliavano gli assedianti. Non era così, e nella guerra della propaganda i tedeschi nei mesi seguenti usarono le foto dell’abbazia distrutta come esempio di una pretesa «barbarie» degli alleati.

In ogni caso, nel maggio ’44 tutto è pronto per lo sbarco segreto in Normandia. Churchill ed Eisenhower non hanno più bisogno di tenere impegnate le otto divisioni tedesche in Italia, per paura che ripieghino in Francia. Danno quindi il via libera a Clark. E, ancora una volta, la Linea Gustav viene aggirata dai francesi, questa volta sui monti Aurunci.
Mauro Suttora

Monday, August 23, 2010

Reportage: Irlanda del Nord

IL CIELO SOPRA BELFAST

Un nuovo quartiere per celebrare i cent'anni del Titanic. Il vecchio mercato coperto tirato a lucido. Chef stellati acclamati da tutta Europa. Frotte di giovani che popolano storici pub e night club very cool. E la guerra civile? L'hanno messa al muro...

di Mauro Suttora

I viaggi del Sole, agosto 2010

Se arrivate a Belfast in aereo, controllate sul biglietto la sigla dell'aeroporto. Bfs? È quello internazionale. Qui giunge l'unico volo diretto con l'Italia, da Roma (Aer Lingus). Ma se provenite da Londra, ci sono buone probabilità che atterriate nell'unico aeroporto al mondo intitolato a un calciatore: George Best. Il campione nato a Belfast vinse Coppa dei Campioni e Pallone d'oro con il Manchester United nel 1968. Indisciplinato, geniale e alcolista, è morto nel 2005 a soli 59 anni, ma per gli inglesi è rimasto un idolo popolare amato quanto i Beatles. E in Irlanda del Nord lo è ancora di più.

Ora John Kindness, lo scultore che undici anni fa realizzò la statua più curiosa di Belfast, un salmone blu (Big Fish) di dieci metri a Donegall Quay sul fiume Lagan, ne sta preparando un'altra di George Best ad altezza naturale. Verrà collocata nel punto più bello della città, il prato davanti al palazzo del Comune, quando i nordirlandesi smetteranno di litigare anche sull'importanza di George Best, oltre che sull'altra celebrità contemporanea locale, il rocker Van Morrison, che però li ha snobbati trasferendosi in California.

Il sole dopo la tempesta

L'importante, intanto, è che abbiano smesso di combattere, i nordirlandesi. Tutte le guerre sono stupide, ma quella civile fra cattolici e protestanti, durata tre decenni (1968-98) e costata tremila morti, lo è stata in particolar modo. A noi italiani piace drammatizzare tutto, e abbiamo chiamato "Anni di Piombo" quelli del nostro terrorismo. I britannici e gli irlandesi, viceversa, amano l'understatement, e si riferiscono alla loro nuova e crudele Guerra dei Trent'anni semplicemente come The Troubles. Letteralmente: i problemi, i disordini.

Ora l'ex capo dell'Ira Martin McGuinness è vicepremier. Il capo del braccio politico Sinn Féin, Gerry Adams, pure lui accusato di terrorismo, è un rispettato parlamentare britannico. E l'ultraottantenne leader degli estremisti protestanti, il reverendo Ian Paisley, sta per essere nominato Lord dalla Regina Elisabetta. Il merito di aver messo d'accordo le opposte fazioni, per la cronaca, va all'ex presidente Usa Bill Clinton.

Oggi chi vuole rendersi conto dell'atmosfera cupa in cui l'Ulster era precipitato per tre decenni può effettuare un giro turistico fra i murales cattolici e protestanti nelle rispettive roccaforti, Falls Road e Shankill Road, alla periferia ovest di Belfast. Il muro che separa i quartieri adiacenti e diseredati è ancora in piedi, e gli slogan non sono affatto pacifici: dall'una e dall'altra parte, simmetricamente simili, abbondano le invettive militariste. Anche quando si commemorano Bobby Sands e gli altri suicidi tramite sciopero della fame del 1981. Ma è roba del passato. Merito anche dei tanti film (a cominciare da La moglie del soldato di Neil Jordan), libri (come Eureka Street di Robert McLiam Wilson) e canzoni ( Sunday Bloody Sunday degli U2) che hanno smitizzato le figure degli "eroi" violenti.

Così, dopo dodici anni di pace, oggi Belfast è ridiventata una tranquilla città di mezzo milione di abitanti, un po' irlandese e un po' britannica, non bella, ma affascinante, soprattutto se la si frequenta il venerdì e il sabato sera, quando i giovani invadono la scena. Con divertenti orde di ragazze rumorose e un po' brille che vagano per la città in minigonna e scarpe laccate dai colori fosforescenti. Il rock prevale sulle ballate tradizionali. Si fa amicizia subito con tutti, magari in piedi davanti al bancone, sorseggiando birra nelle serate affollatissime. Che però, almeno nei pub, terminano all'una di notte. Dopo, chi vuole proseguire la festa si trasferisce sotto il Merchant Hotel di Waring Street, dove c'è la discoteca migliore della città: Ollie's.

Appuntamento al pub

Le decine di pub continuano però a essere l'attrazione principale della città. I più caratteristici sono visitabili con un giro a piedi di due ore: il Pub Walking Tour (www.belfastpubtours.com, tel. 0044-2892683665, chiedere di Judy). Utile, anche perché alcuni dei locali migliori sono nascosti in vicoli secondari difficilmente scovabili senza una guida.
Il Morning Star in Pottinger's Entry, per esempio, nato già nel 1810, fu ristorante per marinai e posta per il cambio dei cavalli. Vicino, guarda caso, oggi c'è una sala corse e i clienti più assidui del locale sono proprio gli scommettitori. Il White's Tavern è invece il più antico: 1630. Nel Wine Cellar Entry suonano folk dal vivo. Mentre il Kelly's Cellars in Bank Street, datato 1720 e pieno di cimeli, espone la scritta in gaelico Céad míle fáite, centomila benvenuti.

Infine il John Hewitt (intitolato all' omonimo poeta, 1907-1987), in Donegall Street, nel quartiere studentesco dell'università dell'Ulster accanto alla severa cattedrale protestante di Belfast, St. Anne, che ha conquistato il titolo di miglior gastropub di quest'anno. Perché, al contrario di quello che si possa pensare, la cucina irlandese è squisita e molto raffinata. Qualunque cosa ci sia nel piatto: zuppe di pesce, di verdura o di cereali; salmone, nasello, o rombo; cozze o ostriche; filetto di manzo, agnello, anatra, coniglio, o vellutati e purè di patate; pane di cereali o bap, la pagnotta soffice di Belfast, o ancora le scones, le focaccine da imburrare.

E la nave va

Il gioiello di Belfast adesso è il cantiere del Titanic, dove cent'anni fa fu progettato e costruito il transatlantico. Da poco è visitabile sia via mare con un tour dal porto (www. laganboatcompany.com, tel. 0044-2890330844, partenze di fronte alla scultura Big Fish, chiedere del loquacissimo Derek), sia via terra grazie a un piccolo museo che sarà ampliato in vista del centenario del varo nel 2012.
Su quelli che una volta furono gli sterminati cantieri navali Harland and Wolff, con le loro due maxigru gialle soprannominate Sansone e Golia, sta sorgendo la città del futuro: quel Titanic Quarter, sulla Queen's Island, dedicato alla nave più conosciuta della storia, costruita qui a partire dal 1909 e affondata nel viaggio inaugurale per la nota collisione con l'iceberg.
Gli irlandesi ci tengono a precisare: «Quando salpò da Belfast era perfetta, tutta a posto. Non è colpa nostra se chi era al timone, guarda caso un inglese, il capitano Edward Smith, l'ha portata al disastro».

Il futuro oltre la crisi

Oggi Belfast non detiene più il primato mondiale per la costruzione delle navi da crociera, ma le gru all'opera ci sono lo stesso. Sono quelle che stanno costruendo il nuovo quartiere residenziale: un investimento da sette miliardi di sterline e di quindici anni di lavori per nuovi edifici nell'area portuale che era rimasta abbandonata. Certo la crisi si fa sentire e i lavori vanno a rilento, ma entro il 2012 dovrebbe essere pronto il nuovo, grande museo del Titanic, a forma di transatlantico, per festeggiare degnamente il secolo di un mito che continua a generare lavoro e intrattenimento.

E il restyling, si fa per dire, ha colpito anche un'altra icona cittadina, il St. George's Market , lo storico mercato coperto da poco restaurato, con banchi di formaggi, pâté, carne, pesce, bacon, salsicce, biscotti, dolci. Il suo fascino non è stato intaccato neppure dall' apertura di due sterminati centri commerciali moderni in centro, Victoria Square e Castle Court, con le loro centinaia di negozi e decine di ristoranti. Persino il tradizionale stile irlandese cerca venti di novità. Così Avoca (41 Arthur Street, tel. 0044-2890279950, www.avoca.ie), catena di boutique dell'orgoglio tessile made in Ireland, dagli abiti all'arredamento, indugia tra stampe e colori di tendenza.

Per finire, vale la pena recarsi appena fuori città e vedere il palazzo di Stormont. Enorme, inversamente proporzionale al numero di abitanti dell' Irlanda del Nord (appena 1,7 milioni), fu costruito dagli inglesi come ostentazione del loro potere dopo l' indipendenza del resto d' Irlanda nel 1921. Volevano una copia del Campidoglio di Washington, ma dopo la crisi economica del 1929 l'edificio rimase senza cupola.


Tutta Belfast in 10 mosse

1. Donegall Square
Il grande prato rasato di fronte al palazzo del Comune, costruito in stile rinascimentale nel 1906 al posto dell'antico White Linen Hall, è più di una semplice distesa verde. Qui ci si sdraia a prendere il (raro) sole, ed è uno dei principali luoghi di ritrovo della città (www. gotobelfast.com). Sul lato nord della piazza, la Linen Hall Library è una vecchia e silenziosa biblioteca con visite guidate (www.linenhall.com).

2. Palazzo di Stormont
A 7 km da Belfast, è l'ex sede del Parlamento nordirlandese, e oggi ospita la Northern Ireland Assembly. Vicino all'edificio c'è il castello omonimo. Gli edifici sono chiusi al pubblico, ma il grande parco è aperto fino alle 19.30. Upper Newtownards Road, tel. 0044-2890520700.

3. The Crown Liquor Saloon
Il pub più importante della città, voluto da Patrick Flanagan nel 1885, all'interno di un edificio del 1826 in perfetto stile vittoriano con interni decorati in vetri e piastrelle colorate. Un vero monumento cittadino. 46 Great Victoria Street, tel. 00442890243187, www.crownbar.com.

4. St. George's Market
Lo storico mercato coperto è uno degli edifici più antichi della città. Quasi 250 negozi che vendono di tutto, dall'antiquariato alla frutta fresca. 12-20, East Bridge Street, tel. 0044-2890435704, www.belfastcity.gov.uk/stgeorge.

5. Victoria Square Un moderno shopping center che occupa un intero isolato con 50 negozi e 17 ristoranti. 1 Victoria Square, tel. 0044-2890322277, www.victoriasquare.com.

6. Castle Court
L'altro enorme centro commerciale è tristemente famoso perché subì ben nove attentati dell'Ira: cinque durante la costruzione e quattro dopo l'apertura. Un altro punto caldo della città. Si trova all' incrocio tra Royal Avenue e Berry Street (tel. 0044-2890234591, www.westfi eld.com/castlecourt).

7. Titanic's Dock
Un museo realizzato nei cantieri, allora tra i più grandi del mondo, che costruirono il Titanic a cui, in questa zona a un km a nord dell'Odyssey Arena, è dedicato l'intero quartiere. In attesa del 2012 e del centenario del transatlantico (tel. 00442890737813, www.titanicsdock.com e www.titanicinbelfast.com).

8. Le vie dei murales
Oltre 130 murales nella parte ovest della città che raccontano la guerra civile irlandese. Ci sono quelli dell'Ira in Falls Road, e quelli dei protestanti in Shankill Road. Tra i più famosi, il grande murale che ritrae Bobby Sands, l'attivista nordirlandese morto per lo sciopero della fame nel 1981. Si organizzano anche visite guidate (info, www. belfastattractions.co.uk/peacewall.php).

9. Quartiere Universitario
Un isolato su Donegall Street che a pochi passi riunisce tre icone cittadine: la Chiesa di Sant'Anna, la prima cattedrale protestante e quella che contiene la croce celtica più grande d'Irlanda; l'University of Ulster, un campus specializzato nell'insegnamento delle arti figurative, e il John Hewitt Bar, dedicato al famoso poeta socialista di Belfast e che ospita famosi artisti e musicisti locali (www.thejohnhewitt.com).

10. Ulster Museum
Nelle vicinanze della Queen's University, l'università più importante e famosa della città, l'edificio, che si trova all'interno del Giardino Botanico (da non perdere anche la Palm House, edificio interamente in vetro e ferro battuto), ospita il Museo Nazionale e le Gallerie d'Arte dell'Irlanda del Nord. Botanic Gardens, tel. 0044-2890440000, www.ulstermuseum.org.uk.


L'ARTE DI INVECCHIARE

È la distilleria di whiskey più antica del mondo. Anche di tutte quelle scozzesi. E attenzione: whiskey si scrive con la "e", all'irlandese. Fu nel 1608 che il signor Bushmills chiese e ottenne dal re Giacomo I la licenza. E oggi più di 100 mila turisti la visitano ogni anno. Si vede il malto essiccato in enormi forni chiusi, che poi va a fermentare mescolato a lievito e acqua di sorgente. Tre distillazioni invece delle due dello scotch, quindi invecchiamento nelle enormi botti. Dopo un'attesa che va da tre a ventuno anni, arriva il momento dell'imbottigliamento (con macchinari italiani). Durante la visita il profumo può dare alla testa. E alla fine c'è la degustazione, con assaggi paralleli di scotch e bourbon americano. Dal 2005 il whiskey Bushmills fa parte della multinazionale Diageo, che produce anche gli champagne Dom Pérignon e Moët&Chandon.
Per prenotare i tour guidati: tel. 0044-2820733218, www.bushmills.com. Si dorme e si mangia nell'adiacente Bushmills Inn, 9 Dunluce Road, www.bushmillsinn.com, tel 0044-2820732339.


I sentieri di san Patrizio

Dagli antichi conventi ai nuovi musei, dal cuore del Mourne ai villaggi costieri, gli itinerari per conoscere la regione settentrionale del Paese. Tra scogliere e seafood bar. Sulle orme del santo irlandese

Irlanda e san Patrizio, coppia inscindibile. Fiumi di birra nelle parate verdi del 17 marzo in tutto il mondo, ma anche percorso spirituale sulle orme del monaco che nel IV secolo cristianizzò l'isola del trifoglio. Si comincia da Downpatrick, a sud di Belfast, dove sorge il St. Patrick Centre (saintpatrickcentre.com), un museo interattivo con video che mostrano Patrizio che racconta la propria vita e grande schermo con filmati per completare la spiegazione. Vicino, c'è la sua tomba: una lastra di granito su un prato accanto alla cattedrale (protestante) di Downpatrick. Insieme al santo sono sepolte reliquie di altri famosi santi irlandesi, come Brigida e Colombano.

Ma per immergersi nell'atmosfera in cui fiorì il monachesimo di quell'epoca, conviene raggiungere la vicina isola di Mahee, nel grande golfo di Strangford Lough (20 km a sud di Belfast). Qui sorge la collina del Nendrum Monastic Site (ni-environment.gov.uk/nendrum), il convento più antico d' Irlanda, dove il custode Norman Patton, da Pasqua a settembre, illustra brillantemente la vita quotidiana dell' epoca. Ne rimangono pochi ma significativi resti, dopo la distruzione da parte dei Vichinghi prima dell'anno Mille.

La capitale ecclesiastica di tutta l'Irlanda (sud compreso), è invece Armagh, paese di 15 mila abitanti dove, su due colli, sorgono, una di fronte all'altra, le principali cattedrali irlandesi: una cattolica e costruita solo nel XIX secolo, l'altra protestante. Sono il simbolo della sanguinosa divisione di cinque secoli e sono state edificate qui, dove i primati d'Irlanda hanno sempre rifiutato di andarsene, e non a Dublino o a Belfast, perché qui si stabilì san Patrizio.

Accanto a quella protestante è consigliabile una visita alla Public Library (armaghrobinsonlibrary.org), fondata nel 1771, e custode della prima edizione dei Viaggi di Gulliver annotata da Jonathan Swift, che si può sfogliare.
Sempre a sud di Belfast, si trova la residenza georgiana di Hillsborough, sede del segretario britannico per l'Irlanda del Nord (detestato dai cattolici) e dei reali inglesi quando arrivano a visitare la loro parte di isola. Il parco è aperto al pubblico, e anche il villaggio omonimo merita una visita.

Ma per chi desidera una full immersion nella natura dell'Irlanda del Nord, c'è il Tollymore Park Forest, un immenso parco attrezzato sui monti Mourne con campeggio, centro outdoor e orto botanico (tollymore.com). Un vero paradiso per escursionisti e sportivi e per chi, come le scolaresche da Irlanda e Inghilterra, vuole provare una spedizione in tenda.

Arrivati sulla costa, Dundrum è la patria dei frutti di mare pescati nella baia di fronte. Ampia la scelta di seafood bars, tra cui lo storico Mourne (mourneseafood. com). Alle porte di Newcastle, c'è invece uno dei più caratteristici golf hotel della regione: lo Slieve Donard Resort, con l'immancabile spa (slieve-donard.hotel-rv. com).
Poco oltre il confine, che ormai non ci si accorge più di varcare se non fosse per il cambio sterlina-euro, il menhir celtico in mezzo al campo da golf del Ballymascanlon House Hotel, vicino a Dundalk, rappresenta l'attrazione nella contea di Louth (www. ballymascanlon.com).

Ma anche a nord di Belfast la costa nasconde meraviglie. Una strada panoramica tocca tutte le nove glens, le baie con villaggi storici fra cui Cushendun e Carnlough. Qui sorge il Londonderry Arms Hotel, costruito nel 1848 e comprato da Winston Churchill per trascorrervi le vacanze (glensofantrim.com). Verso Ballycastle, il paesaggio si fa sempre più scosceso. Dopo questa piccola cittadina dell'Antrim, c'è un ponte di corda sospeso a 24 metri sul mare tra pareti rocciose: il Carrick-A-Rede Rope Bridge, massima attrazione per grandi e piccini.

Prima di Bushmills, ecco la maggiore meraviglia naturale dell'Irlanda del Nord, le scogliere della Giant's Causeway: 40 mila rocce basaltiche esagonali alte fino a 160 metri. Qui le antiche leggende celtiche raccontano di giganti che lasciavano le impronte dei loro piedi camminando fra l'isola e la prospiciente Scozia.
Infine, all'estremo nord dell'Irlanda del Nord, il castello di Dunluce. Costruito nel XIII secolo dal conte dell'Ulster ma ormai abbandonato, divenne famoso in tutto il mondo nel 1973: quando i Led Zeppelin lo utilizzarono per illustrare la copertina del loro disco Houses of the Holy.

COME ARRIVARE

Aer Lingus (www. aerlingus.com) vola a Belfast International da Roma Fiumicino a partire da 50 euro.
Flybe (www.flybe.com) vola a Belfast City Airport da Milano Malpensa da 300 euro. Flybe ha anche voli interni da Belfast per Newcastle e altre città dell' Irlanda del Nord. Per i diversi collegamenti con treni e bus consultare il sito del turismo della città www.gotobelfast.com.

DOVE MANGIARE

James Street South
È il ristorante più alla moda di Belfast a due passi dal municipio. Il proprietario-chef Niall McKenna è stato incoronato dalla Bbc come il migliore dell'Irlanda del Nord. 21 James Street, tel. 0044-2890434310, jamesstreetsouth.co.uk. Menu a partire da 18 euro.

Ginger Bistro
Cucina elaborata dentro un locale chic ricavato nell' ex infermeria di un carcere: lombatina con insalata giapponese, wasabi e ginger, fi letto di nasello con insalata calda di patate e fagiolini. 7-8 Hope Street, tel. 0044-2890244421, www.gingerbistro.com. Menu da 7 euro.

McHugh's Bar
Uno dei migliori pub, fra la torre pendente del principe Albert e la statua del Salmone lungo il fiume Lagan. 29-31 Queen's Square, www.mchughsbar.com, tel 00442890509999. Prima colazione da 2,50 euro.

Bittles Bar
Alle pareti sono appesi due grandi quadri: uno ritrae sul bancone i maggiori scrittori irlandesi (Joyce, Oscar Wilde, George Bernard Shaw e Beckett), l' altro i due eroi moderni di Belfast (il calciatore George Best e il musicista Van Morrison). Ideale per uno spuntino. Victoria Square, tel. 00442890311088. Menu da 15 euro.

The John Hewitt Bar
Il miglior gastropub del 2010. Oltre a una ricca carta di birre e vini, fi letto di salmone alla griglia, agnello al cumino, maiale grigliato in salsa di pepe nero. A due passi dalla Cattedrale. 51 Donegall Street, tel. 00442890233768, www. thejohnhewitt.com. Menu da 8,50 euro.

Bar Retro
Nella piazza principale di Hillsborough, ottima cucina e ambiente raffinato. Anche per lunch fugaci. Si trova a 20 chilometri da Belfast. 3 The Square, Hillsborough, Contea di Down, tel. 00442892682985, www. barretrohillsborough. co.uk. Menu a partire da 20 euro

Manor Park
Il miglior ristorante irlandese 2010 è ad Armagh, dove, dal 1152, ci sono le dimore degli arcivescovi della Chiesa anglicana e di quella cattolica. Lo chef James Neilly prepara piatti ispirati alla cucina francese con ingredienti di stagione. A 55 km da Belfast. 2 College Hill, Armagh, tel. 00442837515353, www. manorparkrestaurant. co.uk. Menu a partire da 25 euro.

DOVE DORMIRE

Fitzwilliam Hotel
Un quattro stelle nuovissimo, elegante e centrale. Alla sera, il bar del pianoterra si anima di bella gente. Great Victoria Street, Belfast, tel. 004428 90442080, www. fitzwilliamhotelbelfast. com. Speciali offerte estive con doppia a partire da 127 euro.

Europa
L'hotel più famoso di Belfast, inaugurato quarant'anni fa e tristemente celebre perché fra il 1972 e il '94 l'Ira lo ha danneggiato con bombe per ben 33 volte. Ci hanno dormito Bill Clinton nel 1994, quando venne a siglare la pace tra gli irlandesi, e sua moglie Hillary nel 2009 come segretario di Stato. Great Victoria Street, tel. 00442890271066, www.hastingshotels. com/europa-belfast. Doppia da 170 euro.

Merchant Hotel
Una nuova estensione di questo elegante hotel in stile déco, con 38 nuove camere e una nuova lussuosa spa viene inaugurata nell'estate 2010. L'hotel ospita anche la discoteca Ollie's, la migliore della città. 35-39 Waring Street, tel. 00442890234888, www. themerchanthotel.com e www.olliesclub.com. Doppia speciale estate da 230 euro.

Slieve Donard Resort
Uno dei migliori golf hotel della regione, con tanto di bella spa annessa, vicino a Mourne Mountains e alla città di Downpatrick, nella contea di Down, sudest dell'Irlanda del Nord. A 250 chilometri da Belfast. Downs Road, Newcastle, tel. 00442843721066, www. hastingshotels.com/ slieve-donard-resort-andspa. Doppia a partire da 242 euro.

Londonderry Arms Hotel
Qui, in questo villaggio di pescatori, sulla costa della contea di Antrim, Winston Churchill passava le sue vacanze. A 46 chilometri da Belfast. 20 Harbour Road, Carnlough, tel. 0044-2828885255, glensofantrim.com. Doppia da 115 euro.

Mauro Suttora

Wednesday, April 07, 2010

Carlo Vallauri: "Mussolini segreto"

dal sito www.scenaillustrata.com:

CLARETTA PETACCI – MUSSOLINI SEGRETO (RIZZOLI, MILANO, 2009)

PAGINE INQUIETANTI SULLA VITA QUOTIDIANA DI MUSSOLINI dai DIARI 1932-1938
giovedì 25 marzo 2010
di Carlo Vallauri

AUTORE DEL LIBRO : a cura di Mauro Suttora

La pubblicazione del diario di Claretta (DIARI 1932-1938) offre al lettore pagine inquietanti sulla vita quotidiana del capo del governo italiano negli anni decisivi nei quali Mussolini modifica sostanzialmente le sue linee di politica estera, con l’aggressione all’Etiopia e l’alleanza con Hitler, che porteranno alla disastrosa guerra.

Come premessa gli eventuali dubbi sull’autenticità del “diario” vengono fugati dall’iniziale richiamo all’opinione di autorevoli studiosi degli Archivi di Stato, anche se appare sorprendente la sistematicità dell’intero scritto – giorno per giorno, per tanti anni – con la riproduzione “esatta” delle parole pronunciate dal “duce”. Ma presupposta come valida la “verità” del documento, su di esso esprimiamo alcune osservazioni.

Risulta allora che per tutti quegli anni, quasi quotidiani erano gli incontri e le conversazioni telefoniche (ora dopo ora) tra il grande capo e l’umile e devota innamorata che utilizza scaltramente quel rapporto per chiedere (ed ottenere) favori per il padre ed il fratello e contemporaneamente “sistemare” il marito (ufficiale di aeronautica), dal quale si separa. Con la giovinetta il maturo ma sempre aitante leader carismatico tiene a mantenere un incessante rapporto sessuale, di pieno appagamento, stando ai commenti immediati sull’esito di ogni “incontro” a palazzo Venezia o nel capanno della spiaggia di Castelporziano, messo a disposizione da Casa Reale.

Durante queste lunghe “sedute”, Mussolini parla soprattutto dei rapporti che egli ancora ha con altre due sue amanti che si trascina appresso (sin dentro Villa Torlonia) da anni ma che paiono a lui indispensabili più per ragioni psicologiche che di affetto, anche se una delle due signore asserisce che i suoi due figli sono la conseguenza di precedenti relazioni con il dittatore. Sono queste le pagine più noiose per la loro ripetitività ma anche specchio di una mentalità piuttosto ristretta rispetto alla rilevanza e grandiosità degli impegni governativi cui Mussolini avrebbe dovuto attendere.

Più interessanti appaiono le considerazioni man mano espresse sugli eventi politici in corso. Sotto questo aspetto è ancora più grave – rispetto a quanto già emerso in passato – la superficialità dei giudizi espressi su americani, inglesi e francesi, giudicati su stereotipi negativi, in base a considerazioni vacue, specchio di una incredibile ignoranza e disattenzione su situazioni reali da parte di uno dei “grandi” d’Europa in quella fase storica. Altrettanto affrettate e “leggere” le correlative opinioni sulla situazione interna italiana, ignorando – almeno sembra- il gran capo i dati concreti del paese rispetto alle esaltazioni continue del “bene” che, a suo avviso, il regime sembrava fare all’Italia tutta.

Di maggior rilievo umano sono le notizie desumibili sulle piccole vicende della vita a casa Mussolini, i rapporti con la moglie (la cui figura esce, a nostro avviso, come rafforzata nella sua personalità rispetto alle malefatte del marito), l’irrequietezza della figlia Edda, il disagio matrimoniale del figlio Bruno, vittima innocente delle scelte del padre, la compostezza del figlio Vittorio – peraltro già emersa in altri libri (da Zangrandi come di cineasti) – il metodico sistema di controllo e vigilanza attorno al capo del governo, che pure – a quanto si legge nel diario – circolava talvolta tra le persone comuni senza particolari scorte, a Roma e in Romagna. Nota “piccante” – la maggiore sorpresa del libro – la narrazione dell’incontro sulla spiaggia tra il Primo Ministro e la principessa Maria Josè ed i relativi commenti.

Veniamo ad altri oggetti di conversazione tra i due amanti: opinioni e valutazioni di film, spettacoli teatrali, come giudizi di Mussolini nei confronti della borghesia salottiera di Roma e il disprezzo che egli manifesta verso gli anti-fascisti che proprio in quell’epoca (1936-37) davano al fascismo lezioni di resistenza nelle carceri, al confino sino alla sconfitta inflitta in terra di Spagna dalle Brigate Internazionali ai legionari inviati dal governo di Roma in aiuto del gen. Franco.

Colpiscono altresì le affermazioni generiche sui problemi più gravi di quell’epoca, a cominciare dalla preparazione militare, ed è ciò che, a nostro avviso, emerge come il fattore più distruttivo della personalità del capo, per la sua assoluta trascuratezza – per tanti anni – nel corso delle sue vivaci giornate, rispetto alla vera situazione del paese. Sembra quasi impossibile constatare come vi fosse una totale disattenzione verso le preoccupazioni quotidiane della maggioranza degli italiani, quasi vivessero tutti nel regno di Bengodi.

Nessun libro scritto sul fenomeno storico del fascismo getta una luce tanto negativa sulla mente di quell’uomo, pure esaltato da Churchill e da Freud. Ai “nostalgici” tuttora esistenti dovrebbe essere resa obbligatoria la lettura di questo libro per liberarli dall’inganno perpetrato allora ad una intera generazione e di cui non pochi italiani sono ancora “prigionieri”.

Potremmo continuare su altre pagine rivelatrici di una mente incapace di comprendere ad es. il dramma degli ebrei quando ne vengono minate le esistenze, oltre alla conferma della risibile infatuazione per Hitler, conferma (dopo la precedente fase d’antipatia) della fragilità dei convincimenti di un uomo a cui sono state attribuite virtù quasi divine, ma a cui poteva soggiacere una povera illusa come Claretta, a sua volta finita vittima del suo stesso idolo. Ne escono meglio i figli di Mussolini, con la “normalità” delle loro vite, travolte dalla tragedia comune a tutti gli italiani.

recensione su www.scenaillustrata.com

Monday, November 23, 2009

"Mussolini segreto": introduzione


QUESTO DIARIO

Claretta Petacci è l’amante più famosa nella storia d’Italia. Figlia del medico del Vaticano Francesco Saverio, ha vent’anni quando conosce Benito Mussolini nel 1932. Abita in famiglia a Roma proprio accanto a villa Torlonia, sulla via Nomentana, dove il dittatore vive con la possessiva moglie Rachele e i figli.

Dei primi cinque anni di relazione rimangono solo biglietti, lettere, e le trascrizioni di qualche telefonata o colloquio. Il diario comincia nell’ottobre 1937, un anno dopo l’inizio dei loro rapporti intimi. Ed è sterminato. La Petacci, infatti, è una grafomane: le pagine del solo 1938 sono 1810.

Abbiamo quindi operato una selezione, eliminando molti fogli ripetitivi con fantasie amorose o episodi insignificanti. Quel che rimane, tuttavia, è di estremo interesse.
Se Renzo De Felice, massimo storico del fascismo, avesse potuto leggere questi diari accanto a quelli di Ciano, Bottai e De Bono, il resoconto seppur ebbro d’amore della Petacci gli avrebbe permesso di precisare meglio quello che lui stesso definisce ‘cambio d’umore’ del duce dopo la proclamazione dell’impero nel ‘36: “Mussolini si rinchiuse in se stesso. Non aveva amici, non frequentava nessuno fuori dai rapporti d’ufficio, diffidava di tutto e si sentiva circondato da collaboratori fragili e insicuri”, scrive De Felice [Mussolini il duce, 1936-1940, Einaudi 1981, pagg. 274-75]. E questo, paradossalmente, all’apogeo del fascismo.

Il problema è che, dal ‘37 in poi, il dittatore deve telefonare almeno una dozzina di volte al giorno alla gelosissima Claretta. La quale lo sospetta - e a ragione - di incontrare altre amanti a palazzo Venezia, e perfino a villa Torlonia. Lì infatti, in una dépendance, alloggia una favorita del duce: Romilda Ruspi Mingardi. Cosicché anche di sera, tornato a casa, a Mussolini tocca chiamare ogni mezz’ora la Petacci per tranquillizzarla.
Lei annota maniacalmente l’orario e il contenuto di ogni telefonata, e fornisce un resoconto quasi stenografico, parola per parola, dei pomeriggi d’amore a palazzo Venezia o sulla spiaggia reale di Castelporziano.

Insomma, abbiamo per la prima volta una cronaca intima, minuto per minuto, della vita quotidiana del fondatore del fascismo. Con momenti esilaranti, che ricordano il film Il grande dittatore di Charlie Chaplin. Come quando il duce, rientrando dal balcone di palazzo Venezia dopo uno dei suoi roboanti discorsi, si lamenta di quanto gli facciano male “gli stivaloni”. Oppure quando l’uomo più potente d’Italia - e fra i più importanti del mondo - s’inginocchia di fronte a Claretta, (sper)giurandole fedeltà eterna fino al successivo tradimento. O quando le sussurra parole d’amore di nascosto da casa, terrorizzato che la moglie Rachele possa sorprenderlo. Come in un vaudeville.

Proprio in quelle settimane maturano gravissimi eventi: l’Asse con i nazisti, le leggi razziali, l’annessione dell’Austria alla Germania. Hitler e Mussolini preparano la tragedia più grande della storia umana. Il dittatore comanda, controlla e opprime 44 milioni di italiani. Ma una volta all’ora, dalle nove del mattino alle dieci di sera, fine settimana inclusi, il suo cervello è da un’altra parte: deve telefonare all'amante. E negare o scusarsi per le scappatelle da traditore seriale.

Poiché all’epoca non esistevano registratori, non si possono considerare fedeli al cento per cento i resoconti di questi diari. Ma non c’è neppure motivo di dubitare che quelle parole il Benito innamorato le abbia pronunciate.

Claretta è un’amante ossessiva, ossessionata e ossessionante. Usa la scrittura del diario anche come terapia, non avendo null’altro da fare nelle sue giornate se non vivere per Mussolini. Non ha mai lavorato, ha lasciato la scuola dopo il ginnasio. Ma non ha ragioni per mentire, o distorcere la realtà. Almeno quella percepita dal suo cuore, appassionato fino allo spasimo, tanto da farsi uccidere col suo Benito nel 1945.

Ecco quindi, dopo settant'anni, il duce privato. Furbo e ingenuo assieme, falso e sincero, brillante e vergognoso. Spesso puerile fino all’imbarazzo. Così tipicamente italiano, vanaglorioso, maschilista. Ma vero.

Questi diari hanno una storia complicata e affascinante. Il 18 aprile 1945, prima di seguire per l’ennesima volta il suo duce nell’ultima fuga, Claretta li affida alla contessa Rina Cervis, che li seppellisce nel giardino della propria villa a Gardone (Brescia). Nel ’50 i carabinieri li trovano e li confiscano. Da allora tutti i governi italiani hanno imposto il segreto di stato sul loro contenuto, anche se è probabile che siano passati al vaglio dei servizi segreti statunitense e inglese.

Essi fanno parte, infatti, delle tragiche e ancora in parte misteriose vicende dipanatesi negli ultimi giorni della guerra: la cattura di Claretta e Mussolini a Dongo (Como), la loro prima (e ultima) notte assieme, la fucilazione il giorno dopo, i corpi appesi in piazzale Loreto a Milano. E le domande, tuttora senza una risposta definitiva, sull’oro di Dongo (il tesoro della Repubblica sociale sequestrato ai gerarchi in fuga), sui documenti che Mussolini portava con sé illudendosi che gli salvassero la vita, su un possibile carteggio con Winston Churchill per una pace separata. E il premier inglese che, di tutti i posti al mondo, sceglie proprio il lago di Como per le sue vacanze nell’estate ’45, forse alla ricerca di qualcosa.

Il segreto imposto sui diari di Claretta in questi sette decenni ha provocato una marea di supposizioni, centinaia di articoli e decine di libri. La sorella Miriam si è battuta fino alla sua morte, nel ’91, per averli indietro dallo stato. La sua battaglia è stata continuata da Ferdinando Petacci, nipote di Claretta, ultimo e unico erede della famiglia e quindi titolare dei diritti di pubblicazione dei diari.

Nel 2003 ho conosciuto e intervistato Ferdinando a Phoenix in Arizona (Usa), dove vive. All'età di tre anni era nell’auto con la zia a Dongo quando fu arrestata dai partigiani, e suo padre Marcello venne fucilato. Egli è convinto, come alcuni storici, che Claretta e Marcello siano stati spie inglesi o almeno tramiti fra Mussolini e i servizi segreti britannici, e che proprio per questo siano stati eliminati. Ferdinando Petacci espone questa tesi nella prefazione. Forse i diari di Claretta scioglieranno qualche mistero, quando lo stato li desecreterà allo scadere dei settant’anni dalla loro compilazione.

Ma il contenuto di questi diari è già abbastanza esplosivo (per le frasi pronunciate da Mussolini su Hitler e contro gli ebrei, il papa, la moglie, la principessa Maria José di Savoia, i francesi, gli inglesi, gli spagnoli) anche senza sapere se Claretta fosse un’informatrice, oltre che una venticinquenne follemente innamorata del suo potente amante.

Scrive infatti il 15 ottobre 1950 Emilio Re, ispettore generale degli Archivi di Stato, nella sua relazione su questi diari per il ministero degli Interni: “Si cercano i diari di Mussolini. I più veri e importanti diari di Mussolini sono proprio questi della Petacci, dove il dittatore ridiventa uomo, si rivela senza trucchi e senza artefici. Nei diari e nelle lettere c’è non solo la vita sentimentale del dittatore, ma anche quella politica e quindi, nei momenti cruciali, la vita dell’intero Paese. La Petacci era tutt’altro che priva d’ingegno e qualche volta - quando non le faceva velo la gelosia - dotata anche di una notevole penetrazione. Non era soltanto l’amica del dittatore, ma ne era anche, per così dire, la ‘fiduciaria’, qualche volta l’incitatrice, se non la consigliera. Di qui l’interesse pubblico, l’importanza straordinaria e fuori dal comune che rivestono”.

Ringrazio l’Archivio Centrale dello Stato, la cui lunga custodia di questi documenti ne garantisce l’autenticità (a differenza di tanti altri presunti diari di Mussolini o Hitler), il sovrintendente Aldo G. Ricci e la dottoressa Luisa Montevecchi, curatrice del Fondo Petacci. Grazie anche all’impeccabile lavoro di Veronica Albonico, che mi ha aiutato a decifrare migliaia di fogli quasi illeggibili.

Mauro Suttora
Milano, novembre 2009

Saturday, November 21, 2009

Il Piccolo (Trieste): Perché Diari segreti?

Perché i diari di Claretta sono rimasti invisibili per oltre sessant'anni?

il Piccolo
pagina 23 sezione Cultura

Trieste, 21 novembre 2009

Per oltre sessant’anni nessuno ha potuto leggerli. Perchè sui diari di Claretta Petacci è stato imposto il segreto di Stato. E adesso? Finalmente il veto è caduto, ma solo per quanto riguarda il periodo che va dal 1932 al 1938. Le altre carte, che raccontano il periodo più difficile (quello delle leggi razziali, dell’entrata in guerra, dell’8 settembre, dell’arresto di Benito Mussolini, della Repubblica di Salò, fino alla morte, rimasta avvolta nel mistero) sono ancora inaccessibili. Su quei diari ha lavorato a lungo Mauro Suttora, giornalista del gruppo Rcs. Che pubblica adesso un’ampia selezione dei documenti nel libro Claretta Petacci ”Mussolini segreto” (Rizzoli, pagg. 533, euro 21).

A invogliare alla lettura, se ce ne fosse bisogno, è la prefazione scritta da Ferdinando Petacci, nipote dell’amante del Duce, che vive da tempo in Arizona. Da bambino, quando aveva tre anni e mezzo, si ritrovò a viaggiare nel piccolo corteo di macchine che il 27 aprile del 1945 portò il capo del fascismo e la sua amante dritti verso la morte. Da allora si è sempre chiesto: perché lo Stato italiano ha fatto scendere il silenzio sulle carte di sua zia? Claretta Petacci era solo un’amante o una spia degli inglesi? O, addirittura, insieme al fratello Marcello «collaborarono con Mussolini per arrivare a una pace separata con l’Inghilterra»? La merce di scambio sarebbe stato il carteggio tra il Duce e Winston Churchill, «molto compromettente per il premier britannico».

Insomma, dopo una prefazione del genere, inutile negare che viene voglia di lanciarsi alla disperata a leggere i diari di Claretta. Che, purtroppo, deluderanno il lettore fin dalle prime pagine. Che cosa emerge da questa carte? Una marea di promesse d’amore fatte da un uomo profondamente infedele, una sorta di ”serial lover”, alla sua giovanissima, gelosissima amante. E poi il ritratto di un uomo, Mussolini, che pensa soprattutto ad apparire forte, virile, che è terrorizzato dal fatto di invecchiare e parla spesso della morte. E che non evita gli scivolini nel ridicolo. Come quando lamenta i dolori dell’ulcera provocati dal polverone che si è alzato attorno all’omicidio di Matteotti. O come quando frigna che gli stivaloni, indossati per avere un aspetto più virile, lo fanno soffrire molto.

Nei diari di Claretta, i grandi eventi del ’900 passano in secondo piano rispetto alla girandola di amanti di Mussolini e alla gelosia ossessiva della Petacci. Il Duce le racconta di alcuni imbarazzanti incontri con la principessa Maria José, che si distendeva mezza nuda vicino a lui sulla spiaggia quasi a volersi offrire. Sparla spesso e volentieri di donna Rachele, la moglie: «Una contadina». Spara a zero sugli antifascisti, se la prende con Franco che tentenna in Spagna, manda insulti e maledizioni agli ebrei. Si mostra amico di Hitler, anche se lo teme profondamente. Ma, soprattutto, tempesta di telefonate la sua Claretta. A ogni ora del giorno, della notte. Per prometterle che non la tradirà più. Anche se sa benissimo che, quando gli arriverà la prima donna disponibile, la tradirà di nuovo. ( a.m.l.)

Monday, November 16, 2009

Corriere della Sera: libro 'Mussolini segreto'

DOCUMENTI INEDITI DAL ’32 AL ’38.
LE CONFIDENZE DEL CAPO DEL FASCISMO



Mussolini segreto nei diari della Petacci

Furibondo con ebrei e Pio XI, spavaldo nelle fantasie erotiche: le confessioni del Duce alla sua amante

Corriere della Sera, 16 novembre 2009

Avete presente il Benito Mussolini descritto nei ricordi di seguaci e parenti, o quello che emerge dai suoi pretesi «diari» acquistati da Marcello Dell’Utri, di cui gli storici negano l’autenticità? Un uomo bonario, attaccato alla famiglia, diffidente verso i nazisti, ossequioso nei riguardi del Papa, generoso con gli ebrei e dubbioso sulle leggi razziali.
Ebbene, dai diari della sua amante, Claretta Petacci, esce un ritratto opposto in tutto e per tutto: un Duce ferocemente antisemita, che rivendica il suo razzismo di lunga data, sprezzante verso la moglie, insofferente dei Savoia, ammaliato dalla potenza del Terzo Reich, furibondo con Pio XI per le sue parole in difesa degli ebrei.

Le eloquenti confidenze del Duce, trascritte dalla Petacci e qui anticipate, provengono dal volume Mussolini segreto (Rizzoli, pp. 521, € 21), in uscita dopodomani, nel quale Mauro Suttora ha raccolto una sintesi dei diari di Claretta dal 1932 al 1938. Per i primi anni si tratta di biglietti e brevi annotazioni, ma dall’ottobre 1937 il resoconto diventa fluviale. Naturalmente non tutto il contenuto dei diari può essere preso per oro colato. Sulla sincerità dei proclami di amore eterno, delle recriminazioni di Mussolini verso la moglie (afferma di essere stato tradito per lungo tempo) o di certe vanterie erotiche (sostiene che Maria José di Savoia, moglie del principe Umberto, avrebbe tentato di sedurlo) è lecito nutrire dubbi. Ma non si vede perché il Duce avrebbe dovuto alterare i suoi giudizi politici parlando con Claretta.

Oggetto di un lungo contenzioso tra lo Stato e la famiglia Petacci, che non ha mai smesso di rivendicarli, ma ha visto respingere le sue richieste, i diari si trovano all’Archivio di Stato, «la cui lunga custodia di questi documenti — sottolinea Suttora — ne garantisce l’autenticità».
Dopo il primo blocco, altre annate saranno desecretate «allo scadere dei settant’anni dalla loro compilazione». E secondo Ferdinando Petacci, nipote e oggi unico erede di Claretta, potrebbero contenere novità esplosive, tali da far ritenere che l’amante del Duce fosse in qualche modo collegata a Winston Churchill. Ma anche se l’ipotesi si rivelasse infondata, il contributo di queste carte alla conoscenza dell’uomo Mussolini resta indiscutibile.
Antonio Carioti

Wednesday, March 19, 2003

E' sparito il diario di Claretta

Il furto dell' epistolario Mussolini Petacci ha ragioni politiche?

"Quel carteggio scotta. Mia zia sapeva che gli inglesi avevano chiesto aiuto a Mussolini per l' armistizio con Hitler", rivelò un mese fa a Oggi il nipote della Petacci, Ferdinando (a lato, col nostro cronista) "Hanno rubato i documenti che potevano mettere in imbarazzo gli inglesi", dice lo storico Luciano Garibaldi

di Mauro Suttora

Oggi 19/03/2003

Il giallo si complica. E i misteri sulla morte di Benito Mussolini, invece di dissolversi, si infittiscono. Il nuovo soprintendente dell' Archivio di Stato, Maurizio Fallace, ha denunciato ai carabinieri il furto di tutta l' annata 1937 del carteggio fra il dittatore fascista e la sua amante, Claretta Petacci, e del diario di quest' ultima. L' unico erede della Petacci, il nipote sessantenne Ferdinando che vive a Phoenix, in Arizona, un mese fa aveva lanciato proprio dalle colonne del nostro giornale, in un' intervista esclusiva, l' allarme sul destino degli scottanti documenti: "Qualcuno non vuole che la verità esca fuori" (Oggi n. 6, 5 febbraio 2003). E adesso la notizia che diario e lettere sono già stati saccheggiati da mani ignote fa lievitare i sospetti.

Ma cosa contiene di così esplosivo il carteggio Mussolini Petacci?
"In teoria, nessuno dovrebbe saperlo", risponde lo storico Luciano Garibaldi, uno dei massimi esperti di quel periodo e autore di molti libri (gli ultimi: La pista inglese, edizioni Ares, e Un secolo di guerre, ed. White Star), "perché da 58 anni tutti i governi lo hanno coperto con il segreto di Stato. Che però per legge dura solo cinquant' anni. Cosicché alla sua scadenza, nel 1995, chiesi di esaminarlo. Ma l' Archivio mi impedì la consultazione, accampando un ulteriore periodo di vent' anni per proteggere la privacy delle persone coinvolte. Allora mi rivolsi direttamente al ministro degli Interni dell' epoca, Giorgio Napolitano, specificando che mi sarei accontentato di sfogliare, sotto il vigile occhio dei funzionari dell' Archivio, soltanto alcune pagine dei diari fra gli ultimi mesi del 1944 e il gennaio del 1945".

Perché questa autolimitazione ?

"Perché ero venuto in possesso delle trascrizioni delle telefonate fra Mussolini e Claretta, intercettate dai tedeschi che controllavano tutto. Da quei colloqui emergono i contatti segreti che il Duce aveva con emissari inglesi di Winston Churchill. "Riuscirò a convincere Hitler", dice Mussolini alla sua amante, che in quel periodo drammatico era diventata anche la sua confidente politica. Lui si sfogava con lei perché ormai non si poteva fidare quasi più di nessuno".

Cosa voleva Churchill da Mussolini?

"Bloccare l' Unione Sovietica che stava dilagando troppo velocemente in Europa, mentre gli occidentali erano ancora fermi sul Reno".

E lei cosa voleva scoprire nei diari segreti di Claretta?

"Quello che scrisse, almeno nei giorni corrispondenti alle date delle telefonate intercettate dai nazisti. Lei ascoltava tutto, e durante le sue lunghe notti insonni a villa Fiordaliso, sul lago di Garda, scriveva moltissimo. Infatti i suoi diari hanno una mole mostruosa, ben 15 mila pagine: mille per ogni diario, come confidava alla sorella Miriam".

E perché Napolitano non le ha permesso di consultarli, visto che il periodo del segreto di Stato è scaduto e il suo lavoro è di tipo storico scientifico, non certo alla ricerca di pettegolezzi privati ?

"La sua è stata una risposta curiosa. Sosteneva che i funzionari dell' Archivio avevano già provveduto a consultare i diari e non avevano trovato nulla di ciò che ci interessava".

Quindi qualcuno ha già letto e studiato i documenti segreti. E come mai è sparito proprio l' anno 1937 ?

"Le lettere di quell' anno non dovrebbero contenere rivelazioni importanti dal punto di vista politico. Con tutta probabilità si tratta veramente di corrispondenza d' amore e di lamentele da parte dell' amante di un uomo che faceva ancora il galletto e si concedeva altre avventure galanti. Magari saranno state vendute a caro prezzo a qualche collezionista privato miliardario. Ce ne sono tanti, in giro per il mondo".

Il valore commerciale del carteggio e del diario, quindi, potrebbe essere alto. È per questo che il nipote Ferdinando chiede di riaverli ?

"Petacci ha tutto il diritto di rientrarne in possesso, come unico erede vivente. Scaduto il termine dei cinquant' anni di segreto di Stato, se non gli vengono restituiti è un furto".

Ferdinando Petacci aveva soltanto tre anni quando l' auto su cui si trovava assieme alla zia Claretta, al padre Marcello Petacci, alla madre e al fratellino venne bloccata a Dongo, sulla riva del lago di Como, nell' aprile 1945. Suo padre venne fucilato, nonostante avesse dichiarato di essere in contatto con gli inglesi (o forse proprio per questo), la mamma violentata dai partigiani e il fratello non si riprese più dallo choc. Ora vive in Arizona e pretende che i suoi diritti vengano rispettati. Anche quello alla privacy: come si fa, infatti, a opporlo proprio ai parenti più stretti ?

Ma l' Archivio di Stato ha intenzioni differenti: "Quest' anno, trascorsi settant' anni, renderemo consultabili i primi atti del carteggio e del diario, quelli relativi al 1933", annuncia il sovrintendente Fallace. Ed è stato proprio durante una riunione preparatoria per questa pubblicazione che è stato scoperto il furto.

Luciano Garibaldi avverte però: "Già nel 1950, quando i documenti vennero scoperti dai carabinieri sotterrati in un baule nel giardino della villa dei conti Cervis, ai quali Claretta li aveva affidati prima di fuggire da Gardone, qualcuno si premurò di purgarli delle parti più compromettenti. D' altra parte, questo è stato il destino subito da tutti i documenti che potevano provare qualcosa di imbarazzante per gli inglesi. Quelli che Mussolini aveva consegnato al fidato ambasciatore giapponese Shinrokuro Hidaka per esempio: vent' anni fa gliene chiedemmo conto, e lui rispose sibillino di avere consegnato tutto al suo governo. Che naturalmente oppose anch' esso il segreto di Stato. Ugualmente sparite nel nulla sono poi le copie fotografiche che Mussolini consegnava al ministro Carlo Alberto Biggini".

Ma siamo sicuri che esistano le prove dei contatti fra Mussolini e Churchill?

"Non bisogna certo pensare a lettere dirette che iniziavano "Caro Winston" o "Caro Benito", ma sui rapporti tramite emissari nessuno può più dubitare. Pietro Carradori, l' autista del Duce, mi ha rivelato nel ' 94 di averlo trasportato due volte la notte, di nascosto, da Salò a Ponte Tresa al confine con la Svizzera per incontrarli. E anche i partigiani che parteciparono a quelle vicende, ormai anziani, negli anni Novanta hanno cominciato a incrinare il muro di omertà alzato per mezzo secolo: Urbano Lazzaro, il famoso comandante Bill che catturò sia Mussolini che Marcello Petacci, ha scritto due libri. Peccato che l' Istituto Storico della Resistenza di Pavia non permetta ancora l' ascolto delle cassette con la testimonianza di un altro partigiano, ormai deceduto".

Insomma, i misteri sull' oro di Dongo (il tesoro sparito dei gerarchi fascisti) e sulle uccisioni dei partigiani che non accettarono la versione ufficiale continuano. Dureranno ancora per dodici anni, se il governo non si decide a togliere il segreto (che negli Stati Uniti dura solo trent' anni). E forse per sempre, se malauguratamente si verificherà qualche altro strano "furto".

Mauro Suttora