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Sunday, February 25, 2024

Cancellate piazze o medaglie per Tito, ma non la storia
















La destra italiana vuole togliere al maresciallo Tito l'onorificenza della Repubblica che l'Italia gli conferì nel 1967. La disputa appartiene al folklore simbolico. Ma una seria e imparziale analisi storica sulle sue imprese non può che essere impietosa

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 26 febbraio 2024

A Lubiana la via principale era dedicata al maresciallo Tito. Ma subito dopo l'indipendenza della Slovenia, nel 1991, il nome dell'ex presidente jugoslavo fu cancellato e la strada ribattezzata "via Slovenia". Nella capitale croata Zagabria, invece, la centrale piazza Tito è sopravvissuta fino al 2017. E quando cambiò di nome, con soli 26 voti contro 20, l'ex presidente croato di sinistra Ivo Josipović plaudì la decisione di conservarne le vecchie targhe in un museo: "Così potremo rimetterle dopo che vinceremo le prossime elezioni".

Fortunatamente per gli abitanti della piazza questo non è accaduto. Immaginate il fastidio di dover cambiare il proprio indirizzo a ogni cambio di governo. Notevole comunque il ritardo della Croazia rispetto alla Slovenia nell'applicare la 'cancel culture', nuovo nome à la page per il revisionismo storico. Zagabria infatti riuscì a emanciparsi dalla Jugoslavia serbofasciocomunista di Slobodan Milosevic solo dopo una guerra sanguinosa (100mila morti) e lunga (tre anni, 1992-95); Lubiana invece se la cavò con un conflitto di nove giorni e 62 vittime.

L'ottimo Ugo Magri critica  la destra italiana che vuole togliere a Tito non il nome delle poche vie italiane che gli sono dedicate (in tre capoluoghi di provincia - Parma, Reggio Emilia, Nuoro - e una decina di paesi), ma l'onorificenza della Repubblica che l'Italia gli conferì nel 1967. Tutto il mondo libero anticomunista in realtà rispettò il dittatore comunista fino alla sua morte nel 1980. Al suo funerale partecipò perfino Maggie Thatcher. Ci faceva infatti comodo avere uno stato cuscinetto che ci separasse dal blocco sovietico, cui Tito si era ribellato nel 1948.

Se le damnatio memoriae toponomastiche spiacciono solo a chi deve mutare domicilio, c'è da scommettere invece che il dibattito sul cavalierato a Josip Broz detto Tito scatenerà i nostri nostalgici fascisti e comunisti. Quanti anni devono passare per sottrarre la storia alla polemica politica contingente? Perché la revoca dell'onorificenza al fondatore della Jugoslavia comunista può apparire oziosa o balzana.

Tuttavia il giudizio storico su Tito non può essere assolutorio, in nome di una realpolitik che valeva finché il satrapo ci era utile, ma non deve proseguire nei decenni. Innanzitutto per rispetto verso gli jugoslavi stessi: la guerra civile jugoslava 1941-45 fu, con i suoi due milioni di morti, la più sanguinosa d'Europa. E la responsabilità di tanta ferocia non fu solo degli occupanti tedeschi e italiani, ma anche dei due capi jugoslavi: il fascista croato Ante Pavelić e il comunista Tito. 

Gli italiani lamentano 15mila fra infoibati, fucilati e desaparecidos. Ma le foibe furono arma usuale dei titini, con 100mila sloveni e croati, anche civili, inghiottiti vivi nei burroni carsici.

Sempre in tema di percentuali, è bene precisare che l'occupazione italiana fece 20mila vittime: solo l'1% del totale. Con 16mila morti e dispersi fra i soldati italiani. Perché in guerra le si prende e le si dà. 

Insomma, senza assolvere Mussolini che attaccò la Jugoslavia, non scambiamo Tito per uno statista. Ruppe con Mosca? Anche la Cina di Mao lo fece. Non allineato? Anche Nicolae Ceausescu in politica estera si distingueva per la fronda contro l'Urss. Ma all'interno opprimeva la sua Romania come Stalin la sua Urss e Tito la Jugoslavia. Stesse purghe contro i capi comunisti 'devianti': il maresciallo incarcerò il delfino Milovan Gilas, e sgominò la Primavera croata di Savka Dabcević nel 1971 come quella cecoslovacca.

Si dice infine: gran merito di Tito l'aver mantenuto la Jugoslavia in pace per 40 anni. Morto lui, sono riesplosi i nazionalismi balcanici. Bella forza: tutte le dittature mantengono la pace. Quella dei cimiteri. È vero il contrario: come una pentola a pressione, la repressione titina ha aggravato le tensioni fino allo scoppio della seconda guerra civile degli anni 90. 

Insomma: la disputa sulla medaglia italiana a Tito appartiene al folklore simbolico. Ma una seria e imparziale analisi storica sulle sue imprese non può che essere impietosa. Slovenia e Croazia ci sono già arrivate da tempo.


Monday, October 16, 2023

Istriani e palestinesi. Le sliding doors di due popoli senza terra

Nel ’47-’48 due guerre perse provocarono un milione di profughi. Quelli dell’Istria hanno preso una strada, quelli di Palestina un’altra. Perché i secondi sono stati sfruttati anche dagli amici, e amici di un mondo bellicoso

di Mauro Suttora 

Huffingtonpost.it, 17 ottobre 2023 

Quasi contemporaneamente, nel 1947-48, due guerre perse provocarono un milione di profughi: 300mila istriani rifugiati in Italia, e 700mila palestinesi scappati da quello che per l’Onu avrebbe dovuto essere il loro nuovo stato, accanto a Israele.

Attenzione: in entrambi i casi non fu pulizia etnica. Nessuno, né il maresciallo Tito né David Ben Gurion, obbligò italiani e palestinesi ad andarsene. Fu una fuga spontanea. Certo provocata anche dal terrore per foibe e per massacri tipo Deir Yassin (commesso dal futuro Nobel per la pace Menachem Begin, pensate un po’). 

Ma le stragi fra israeliani e palestinesi nei trent’anni precedenti erano state reciproche, e nel 1948 non furono certo gli israeliani a invadere la “Grande Palestina” araba prevista dall’Onu. Al contrario, vennero loro attaccati da tutti i Paesi arabi. Non solo quelli confinanti, Egitto, Giordania, Siria, Libano: anche da Iraq, Arabia Saudita, perfino Yemen.

Miracolosamente il neonato Israele sopravvisse al tentativo di sopprimerlo in culla, feroce quanto il 7 ottobre di Hamas: vinse la guerra e molti palestinesi preferirono andarsene. Non tutti: rimasero in 160mila, il primo nucleo degli attuali due milioni di palestinesi cittadini israeliani (su dieci milioni di abitanti d’Israele), che godono degli stessi diritti politici e civili degli ebrei, tranne il dovere della leva militare. Probabilmente sono gli arabi più liberi del pianeta.

Insomma, le guerre si vincono, si pareggiano, si perdono. In quest’ultimo caso, da sempre esse producono profughi. “Esuli”, preferivano chissà perché essere chiamati gli istriani e dalmati fuggiti in Italia dalle meraviglie del comunismo jugoslavo. Forse suonava più nobile di “profughi”. O poetico, e in effetti da Dante a Foscolo, da Mazzini a Garibaldi, quanti eroi sradicati e raminghi.

Fatto sta che molti dei rifugiati nostrani dopo aver perso tutto finirono anch’essi nei campi profughi. Ma nel giro di pochi anni si rifecero una vita trovando nuove case e lavori. Nessuno ha rivendicato mai nulla, in tre quarti di secolo neanche al più fanatico è passato per la testa di fondare un Fronte di liberazione dell’Istria. Neanche un petardo. L’Italia aveva attaccato la Jugoslavia, aveva perso, e amen.

Non così i palestinesi. Che sono stati sempre usati dai “fratelli arabi” come mezzo di pressione contro Israele. Ammassati in condizioni miserevoli nei campi profughi ai suoi confini, e peggio stanno meglio è, perché così aumenta l’odio verso Israele.

Gaza e Cisgiordania rimasero la prima egiziana fino al 1979, e la seconda giordana fino al 1994, quando furono firmati i trattati di pace con Israele. Perché in tutti quei decenni l’Egitto non diede Gaza ai palestinesi, né la Giordania Gerusalemme Est e la Cisgiordania, affinché lì nascesse il loro stato promesso dall'Onu?

In realtà quanto questi cari “fratelli arabi” amino i palestinesi lo hanno dimostrato re Hussein di Giordania col massacro del Settembre Nero nel 1970, e l’Egitto ancora in queste ore bloccando il valico di Rafah con Gaza.

Ora i profughi palestinesi sono aumentati da 700mila a cinque milioni. Gli unici rifugiati al mondo che hanno diritto a ereditare il titolo, si fanno mantenere in eterno da Onu e Ue e continuano a premere su Israele. Ormai sono passate quattro generazioni.

Nel frattempo le guerre non smettono di provocare esodi. I croati nel 1995 hanno cacciato dalla Krajna di Knin i terribili serbi, che però inopinatamente si sono rassegnati.

L’ultima fuga, quella dei centomila armeni espulsi dal Nagorno Karabach. Per fortuna non tutti hanno sempre voglia di rivincita, di tornare, di ricorrere al terrorismo per vendicarsi. Sarà vigliaccheria, sarà pigrizia, sarà quieto vivere, sarà dolente saggezza. Oppure i Rokes: “Bisogna saper perdere”. Come mi dicevano sorridenti mio padre e mio nonno, esuli nel 1944 dalla loro isola oggi croata di Lussino: “Cos te vol, mulo. G’avemo perso”. Non ditelo ai palestinesi. E neanche agli altrettanto bellicosi israeliani e iraniani, russi e ucraini.

Friday, February 10, 2023

Foibe ed esodo: colpa di una spia inglese

Venerdì 10 febbraio si celebra il Giorno del Ricordo, ma pochi ricordano il nome di James Klugmann, al soldo di Stalin, che nel 1942 convinse Winston Churchill ad aiutare i partigiani comunisti di Tito in Jugoslavia invece di quelli monarchici del generale Draza Mihailović

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 10 febbraio 2023

I 350mila profughi di Istria e Dalmazia possono ringraziare un certo James Klugmann, per il loro esodo e le foibe. Oggi si celebra il Giorno del Ricordo, ma pochi ricordano il nome della spia inglese al soldo di Stalin che nel 1942 convinse Winston Churchill ad aiutare i partigiani comunisti di Tito in Jugoslavia, invece di quelli monarchici del generale Draza Mihailović.

Soltanto grazie all'appoggio inglese Tito conquistò il proprio Paese, sbaragliando non solo gli occupanti tedeschi e italiani, ma anche tutti i suoi nemici interni: fascisti ustascia croati, cetnici serbi, musulmani bosniaci, cattolici sloveni, democratici e liberali di ogni nazionalità.

La Jugoslavia nell'aprile 1941 era stata invasa dai nazifascisti, dopo il golpe filoinglese che l'aveva spostata dall'orbita dall'Asse a quella degli angloamericani. Ma fino all'estate l'unica resistenza fu quella dei partigiani dell'ex re Pietro, perché i comunisti jugoslavi rispettavano il patto Molotov-Ribbentrop fra Urss e Germania. Tito cominciò la sua guerriglia solo dopo l'attacco di Hitler a Stalin.

Nel febbraio 1942 il trentenne James Klugmann fu incredibilmente messo alla guida dell'ufficio jugoslavo del nuovo spionaggio militare inglese, il Soe (Special operations executive). Come fu possibile che un notorio comunista raggiungesse quella carica? Qualcuno incolpa un bombardamento aereo tedesco che aveva distrutto gli archivi del MI5, l'intelligence britannica. 

In ogni caso la talpa si mise subito all'opera. Gli inglesi monitoravano Balcani e Medio Oriente dal Cairo, e da lì Klugmann faceva partire per Londra rapporti che screditavano i partigiani jugoslavi democratici, lodando invece la pugnacia dei comunisti titini. Così i notevoli aiuti che gli alleati paracadutavano sulla Jugoslavia furono pian piano dirottati dai guerriglieri di Mihailović a quelli di Tito. 

L'unico a obiettare fu il Foreign office. Con lungimiranza, il ministero degli Esteri britannico si preoccupava per gli effetti a lungo termine del massiccio aiuto a quello che già sapevano sarebbe tornato ad essere il nemico, dopo la caduta di Hitler: il comunismo internazionale. Ma le perplessità furono superate da due argomenti. Primo, i partigiani titini erano in effetti più feroci e determinati dei monarchici, perché appartenevano a tutte le etnie jugoslave (serbi, croati, sloveni), mentre i cetnici erano solo serbi. Secondo: gli angloamericani stavano aiutando anche Stalin, superando le differenze ideologiche.

Ma l'opera di disinformazione di Klugmann riuscì a convincere Churchill che Tito potesse essere più efficace per l'unico scopo che interessava allora gli inglesi: ammazzava più tedeschi di Mihailović, teneva maggiormente impegnate le divisioni della Wehrmacht, distogliendole così dagli altri fronti.

Naturalmente la storia non si riscrive con i 'se'. Tuttavia il destino della Jugoslavia, e degli italiani di Istria e Dalmazia, sarebbe stato sicuramente diverso se, come in Italia, anche lì i partigiani vittoriosi nel 1945 fossero risultati di diverse estrazioni, senza un monopolio comunista.

Nel dopoguerra Klugmann, promosso maggiore, riprese tranquillamente la sua militanza nel partito comunista inglese, del quale scrisse la storia ufficiale. Fu sospettato di far parte dei 'Cambridge five', le famose cinque spie che facevano il doppio gioco per i sovietici. La realtà era ancora peggiore: fu proprio lui a reclutare Burgess, Philby, Maclean, Blunt e Cairncross. 

Ma la clamorosa verità è emersa solo con l'apertura degli archivi Kgb nel 1990 e di quelli inglesi nel 1997. Nel frattempo Klugmann era morto tranquillo nel suo letto, a 65 anni nel 1977. Dopo aver regalato a istriani e dalmati esilio e foibe, e agli jugoslavi mezzo secolo di dittatura, sfociata nella seconda guerra civile degli anni '90.

Monday, February 22, 2021

A difesa del Giorno del Ricordo di foibe ed esodo istriano

Derubricarli a una delle tante violenze della guerra è un disastro simbolico che riproduce le condizioni in cui si radica la violenza

di Mauro Suttora 

HuffPost, 22 febbraio 2021

Qualche nostalgico comunista e, inopinatamente, l’ottimo professor Alessandro Barbero di Raistoria, vorrebbe abolire il Giorno del Ricordo di foibe ed esodo istriano (10 febbraio). Per due motivi:

1) è stato promosso dai fascisti in contrapposizione o almeno bilanciamento della Giornata della Memoria della Shoah (27 gennaio) e del 25 aprile (Liberazione).

2) Le foibe sono solo una delle tante stragi della guerra, vanno contestualizzate. Furono l’inevitabile vendetta comunista e slava contro precedenti stragi fasciste e italiane.

La prima obiezione si supera constatando che il 10 febbraio è stato approvato nel 2004 dal 98% dei parlamentari italiani: tutti tranne Rifondazione comunista. La sinistra si associò proprio per non lasciare alla destra il monopolio del ricordo, e per creare una memoria condivisa.

Nel 2019 l’Europarlamento ha pronunciato la parola definitiva al riguardo: comunismo e nazifascismo sono entrambe ideologie totalitarie.

Il Giorno del Ricordo quindi si aggiunge, e certo non può fare concorrenza al 27 gennaio e al 25 aprile.

Ma è il secondo punto quello più insidioso. Derubricare le foibe e l’esodo a una delle tante violenze della guerra, infatti, è un disastro simbolico che riproduce le condizioni in cui si radica la violenza.

Negare l’unicità di foibe ed esodo (come, mille volte numericamente più grande, l’unicità della Shoa) significa considerare normale gettar vivi in un buco ad agonizzare per giorni donne e uomini civili innocenti legati col fil di ferro. Esattamente come i gasati di Auschwitz e i bruciati di Sant’Anna di Stazzema.

Non aver fatto i conti con gli orrori e le pulizie etniche e politiche dei partigiani del dittatore comunista Tito (certo, orrori uguali a quelli degli ustascia del fascista croato  Pavelic) ha provocato 50 anni dopo la strage di Srebrenica e le pulizie etniche del serbo Milosevic.

Il quale non a caso assommò in se i due mali del secolo: il nazionalismo nazifascista, e l’internazionalismo (finto) comunista.

Per questo l’annuale polemica sul Giorno del Ricordo è solo apparentemente una futile battaglia di parole, un’inutile disputa culturale fra storici cavillosi. 

Come dimostra la Turchia con il risorgere dell’autoritarismo militarista di Erdogan, negare le tragedie del passato (il genocidio armeno) porta a riprodurle (l’annientamento curdo).

Ammoniva infatti Edmund Burke: “Chi non conosce la propria storia è condannato a ripeterla”. Frase attribuita anche al filosofo Santayana, il quale però ne ha aggiunta una ben più inquietante: “Solo i morti hanno visto la fine della guerra”.

Mauro Suttora