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Monday, February 22, 2021

A difesa del Giorno del Ricordo di foibe ed esodo istriano

Derubricarli a una delle tante violenze della guerra è un disastro simbolico che riproduce le condizioni in cui si radica la violenza

di Mauro Suttora 

HuffPost, 22 febbraio 2021

Qualche nostalgico comunista e, inopinatamente, l’ottimo professor Alessandro Barbero di Raistoria, vorrebbe abolire il Giorno del Ricordo di foibe ed esodo istriano (10 febbraio). Per due motivi:

1) è stato promosso dai fascisti in contrapposizione o almeno bilanciamento della Giornata della Memoria della Shoah (27 gennaio) e del 25 aprile (Liberazione).

2) Le foibe sono solo una delle tante stragi della guerra, vanno contestualizzate. Furono l’inevitabile vendetta comunista e slava contro precedenti stragi fasciste e italiane.

La prima obiezione si supera constatando che il 10 febbraio è stato approvato nel 2004 dal 98% dei parlamentari italiani: tutti tranne Rifondazione comunista. La sinistra si associò proprio per non lasciare alla destra il monopolio del ricordo, e per creare una memoria condivisa.

Nel 2019 l’Europarlamento ha pronunciato la parola definitiva al riguardo: comunismo e nazifascismo sono entrambe ideologie totalitarie.

Il Giorno del Ricordo quindi si aggiunge, e certo non può fare concorrenza al 27 gennaio e al 25 aprile.

Ma è il secondo punto quello più insidioso. Derubricare le foibe e l’esodo a una delle tante violenze della guerra, infatti, è un disastro simbolico che riproduce le condizioni in cui si radica la violenza.

Negare l’unicità di foibe ed esodo (come, mille volte numericamente più grande, l’unicità della Shoa) significa considerare normale gettar vivi in un buco ad agonizzare per giorni donne e uomini civili innocenti legati col fil di ferro. Esattamente come i gasati di Auschwitz e i bruciati di Sant’Anna di Stazzema.

Non aver fatto i conti con gli orrori e le pulizie etniche e politiche dei partigiani del dittatore comunista Tito (certo, orrori uguali a quelli degli ustascia del fascista croato  Pavelic) ha provocato 50 anni dopo la strage di Srebrenica e le pulizie etniche del serbo Milosevic.

Il quale non a caso assommò in se i due mali del secolo: il nazionalismo nazifascista, e l’internazionalismo (finto) comunista.

Per questo l’annuale polemica sul Giorno del Ricordo è solo apparentemente una futile battaglia di parole, un’inutile disputa culturale fra storici cavillosi. 

Come dimostra la Turchia con il risorgere dell’autoritarismo militarista di Erdogan, negare le tragedie del passato (il genocidio armeno) porta a riprodurle (l’annientamento curdo).

Ammoniva infatti Edmund Burke: “Chi non conosce la propria storia è condannato a ripeterla”. Frase attribuita anche al filosofo Santayana, il quale però ne ha aggiunta una ben più inquietante: “Solo i morti hanno visto la fine della guerra”.

Mauro Suttora

Friday, August 01, 2008

Karadzic: parla Francesco Tullio

LA DIFESA SPREZZANTE DI KARADZIC LETTA DA UN COLLEGA PSICHIATRA

Il dottor Tullio ci spiega la strategia del "macellaio di Srebrenica". Il "patto" con Holbrooke e le ripercussioni americane

Il Foglio, 1 agosto 2008

Radovan Karadzic si è presentato davanti al Tribunale dell'Aia, sbarbato e ripulito, e ha deciso di difendersi orgogliosamente da solo dalle accuse di genocidio e crimini di guerra. Ha iniziato, durante l'udienza preliminare, sostenendo di avere un accordo con gli Stati Uniti che gli garantiva la libertà in cambio della sua uscita di scena. Un accordo siglato con Madeleine Albright, allora al dipartimento di stato, e con Richard Holbrooke, la mente degli accordi di pace di Dayton del 1995.

Il diplomatico americano ha seccamente smentito, aggiungendo di essere pronto ad andare a testimoniare all'Aia. Ma già nel pomeriggio di ieri alcuni analisti sottolineavano che la vicenda potrebbe diventare sensibile per la campagna elettorale statunitense: sia Albright sia Holbrooke infatti sono consulenti del candidato democratico Barack Obama, anche se non direttamente coinvolti nella campagna elettorale (fanno parte di quei 300 advisor che aiutano Obama a definire la sua strategia di politica estera, fra cui molti ex clintoniani).

Karadzic persegue un unico obiettivo: la destabilizzazione, per cui getta ombre sul suo arresto. considerato un successo dalla comunità internazionale.

“Nell’ex Jugoslavia oggi circolano altri diecimila assassini che hanno torturato e ucciso a sangue freddo, a Srebrenica e altrove. Ottima quindi la cattura di Radovan Karadzic, a meno che non se ne faccia il solito capro espiatorio, e liberatorio per tutti gli altri. Compresi noi occidentali che a Srebrenica non siamo intervenuti, e quindi siamo stati suoi complici passivi”.

Il dottor Francesco Tullio è uno psichiatra, ma impegnato da trent’anni sul fronte opposto a quello di Karadzic.
Parlando con il Foglio spiega quel che è successo e la psicologia di Karadzic, la sua difesa, il "patto col diavolo" denunciato per destabilizzare la comunità internazionale.
“Nel ’94 ero il responsabile medico della marcia di Sarajevo, 500 pacifisti italiani guidati dal vescovo di Molfetta Tonino Bello. Andammo dal generale serbo Velibor Veselinovic, che comandava gli assedianti. Quello promise di non spararci, e mantenne la parola”.

Così cominciò la carriera di peacekeeper del dottor Tullio: “Ganic, vicepresidente dei bosniaci musulmani assediati, ci mandò dai serbi per chiedere di riaprire i tubi dell’acqua. Quelli di Karadzic ci risposero: ‘Ok, ma per farlo abbiamo bisogno dell’elettricità, che invece hanno loro’. Tornammo da Ganic per proporre questo scambio. Ma non ci fu risposta”.

Tullio, militante pacifista, ha pubblicato studi studi per il Centro militare di studi strategici del ministero della Difesa italiano, è stato visiting professor all’università di Belgrado e ha collaborato con l’ufficio Onu della Farnesina. Il suo ultimo libro, ‘Il brivido della sicurezza - Psicopolitica del terrorismo’ (ed. Franco Angeli), è stato recensito un mese fa dall’Osservatore Romano. “Partendo dal conflitto dell’ex Jugoslavia ho descritto la relazione fra capo e massa nelle situazioni di polarizzazione bellica. E il rapporto fra crisi politico-economica, crisi psichica e attivazione distruttiva quando gli impulsi collettivi prevalgono sull razionalità”.

Niente di nuovo: la spirale perversa di Karadzic è simile a quella di Hitler ampiamente analizzata da Erich Fromm e tanti altri. Ma i ‘volenterosi esecutori’ del capo serbo sono ancora in Bosnia,e con gli estremisti delle altre fazioni rendono impossibile la partenza del contingente militare internazionale. Il generale genocida Ratko Mladic è latitante.

“La Serbia”, aggiunge Tullio, “è tuttora spaccata fra i nazionalisti e gli europeisti del presidente Tadic, che sperano di superare i revanscismi con l’entrata nell’Unione. Ma il complicato rapporto capo/massa rimane. I nazionalisti di Seselj cavalcano la tigre dei risentimenti esattamente come fece Karadzic, alimentando il circolo vizioso vittimismo-frustrazione-aggressività. Lo fanno tutti i politici del mondo, d’altronde. Ma in un contesto di crisi economica, come quello della Bosnia negli anni ’90, infiammare gli odi era un gioco da ragazzi. I serbi vedevano che l’intero ricco Occidente inondava di soldi Slovenia e Croazia, e siccome nessuno li ascoltava reagivano col fucile”.

Perché, i serbi avevano qualche ragione? “Non avevano ragione, ma noi occidentali dovevamo ascoltarli. Tutti i conflitti, anche i peggiori, si disinnescano con l’ascolto attivo. Altrimenti resta solo la violenza, che chiama altra violenza”.

Mauro Suttora