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Monday, November 25, 2024

Qualcuno si è accorto che l'Onu ha scagionato Netanyahu?

Nelle stesse ore in cui il Tribunale penale internazionale emetteva il mandato di arresto, il coordinatore umanitario delle Nazioni Unite per i Territori palestinesi occupati ridimensionava sensibilmente le accuse

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 25 novembre 2024

Per un'incredibile coincidenza, nelle stesse ore di giovedi 21 novembre in cui il Tpi (Tribunale penale internazionale) emetteva il mandato di arresto contro Benjamin Netanyahu, l'Onu ha smentito la principale accusa contro il premier israeliano. L'Unocha (United nation office for the coordination of humanitarian affairs) ha infatti pubblicato un comunicato che attenua notevolmente la responsabilità di Israele per il presunto intenzionale affamamento dei civili di Gaza.

Muhannad Hadi, arabo di Giordania, coordinatore umanitario dell'Onu per i Territori palestinesi occupati, di ritorno da Gaza, ha affermato testualmente: "Quest'anno i tir dell'Onu con gli aiuti umanitari sono stati saccheggiati 75 volte, e quindici degli attacchi sono avvenuti dopo il 4 novembre. Bande armate hanno fatto irruzione nei magazzini Onu per circa tre dozzine di volte. Proprio la scorsa settimana al conducente di un convoglio hanno sparato in testa. È finito in ospedale assieme ad un altro camionista".

Certo, per più di sei settimane Israele ha bloccato ogni importazione commerciale. "Ma nello stesso periodo" ha spiegato Hadi, "l'aumento degli assalti ai convogli umanitari, causato dal collasso dell'ordine pubblico, ha paralizzato ulteriormente la nostra capacità di consegnare gli aiuti".

Da chi sono composte le bande che depredano gli aiuti? Israele punta il dito su Hamas, che le controllerebbe e farebbe in modi che i viveri arrivino ai propri simpatizzanti. In ogni caso, a Israele toccherebbe decuplicare i propri soldati a Gaza se dovesse scortare ogni singolo convoglio per proteggerlo dagli sciacalli durante il tragitto e la distribuzione degli aiuti. Non mantenere l'ordine pubblico in un territorio occupato è anch'esso un crimine di guerra imputabile a Netanyahu?

Quanto all'abuso dell'accusa di "genocidio", il 13 novembre una delle principali avversarie di Israele, l'attivista italiana proPal Francesca Albanese inopinatamente nominata relatrice Onu per i territori palestinesi, ha chiarito in un'intervista a Tribune, giornale inglese di estrema sinistra, la sua singolare interpretazione: "Per avere un genocidio basta l'intento di distruggere un gruppo, in tutto o in parte, attraverso anche uno solo di questi atti: uccisione, atti che infliggono grave dolore fisico o mentale, creazione di condizioni di vita che portano alla distruzione di un gruppo, trasferimento forzato di bambini, prevenzione delle nascite".

Peccato che, applicando cotanti criteri estensivi, i colpevoli di genocidio nel mondo ammonterebbero a diverse migliaia. Altro che Netanyahu. 

Friday, January 26, 2024

Il magnifico gioco d’equilibro della Corte dell’Aja

GENOCIDIO A GAZA?

Non possono esultare né filopalestinesi né fan israeliani. Il procedimento va avanti, ma intanto si chiede a Israele di prendere misure che evitino rischi genocidiari. Sentenza in parte votata anche dal giudice nominato da Netanyahu

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 26 gennaio 2024

È rimasta solo la giudice ugandese Julia Sebutinde a difendere strenuamente Israele al tribunale Onu dell’Aja. La sentenza provvisoria di oggi, che invita lo stato ebraico ad applicare misure per evitare un genocidio a Gaza, è stata infatti approvata perfino dal giudice israeliano Aharon Barak, nelle parti in cui condanna le frasi d’odio pronunciate da alcuni ministri israeliani e auspica maggiore assistenza alla popolazione civile.

La giudice africana Sebutinde è una dei 15 membri permanenti della Corte. A loro si aggiungono come giudici ad hoc solo per questo procedimento i due rappresentanti delle parti in causa: Israele e Sud Africa, il Paese che ha trascinato lo stato ebraico davanti alla giustizia internazionale con la gravissima accusa di genocidio.

“Ignobile, ripugnante”, l’ha bollata il governo di Benjamin Netanyahu. Il quale però oggi ha dovuto incassare la prima decisione del Tribunale: la tesi sudafricana non è priva di fondamento, quindi il processo si farà. Attenzione, però: non per genocidio, ma per “atti” che potrebbero provocarlo.

E in attesa della sentenza, prevista in tempi non brevi, ecco alcune “misure provvisorie” per proteggere i civili di Gaza. Non il cessate il fuoco, come speravano i palestinesi, ma l’impegno da parte israeliana a evitare azioni che colpiscano ulteriormente i civili.

Sentenza pilatesca? L’unica possibile. Il “non luogo a procedere” o il “difetto di competenza” erano infatti irrealistiche speranze israeliane. Certo, finire sotto processo per genocidio è un duro colpo per il popolo che un genocidio lo ha subìto (come armeni, ruandesi, cambogiani), e per lo stato che dal genocidio è nato. Anche la coincidenza dei tempi è uno sfregio: proprio domani si celebra il Giorno della Memoria per ricordare la Shoa.

Tuttavia essere accusati non vuol dire essere condannati, e oggi Israele incassa a proprio favore l’unica decisione precisa del tribunale Onu: l’intimazione ai terroristi di Hamas di liberare gli ostaggi israeliani, senza condizioni.

Più imbarazzante, semmai, è che durante la lunga lettura della pre-sentenza la presidente statunitense della Corte, Joan Donoghue, abbia citato parola per parola alcune frasi particolarmente dure pronunciate non da estremisti di destra come il ministro israeliano Bezalel Smotrich, ma dal presidente d’Israele Isaac Herzog, dal ministro della Difesa Yoav Gallant e da quello degli Esteri Israel Katz. 

Sull’onda dell’emozione per le stragi del 7 ottobre non furono pochi, infatti, i politici israeliani che si lasciarono andare a comprensibili auspici di “eliminazione totale” di Hamas. Che però gli avversari d’Israele, con in prima linea inopinatamente il Sud Africa, hanno avuto buon gioco a equivocare come punizione collettiva verso tutti i civili di Gaza.

Intelligente invece il voto “diviso” dell’87enne giudice israeliano Barak: no alle parti della sentenza che sanzionano direttamente Israele, sì alle altre meno impegnative. Barak, sopravvissuto all’Olocausto nella sua Lituania e rifugiatosi con la famiglia a Roma per due anni prima di emigrare in Israele nel 1947, è un ex presidente della Corte costituzionale israeliana, grande avversario di Netanyahu. Ciononostante il premier lo ha nominato all’Aja.

Male fanno i tifosi palestinesi a esultare per la sentenza odierna, così come sbagliano i fan(atici) proisraeliani a rifiutare ogni giudizio dell’Onu. Nella Corte infatti siedono giudici provenienti da Paesi filoisraeliani come Germania, Giappone, Belgio, Francia, Australia, Usa. E il comportamento della giudice ugandese Sebutinde dimostra che molti di loro, se non tutti, sono dotati di indipendenza intellettuale. Semplicemente, a Israele non conviene autocollocarsi al di sopra delle leggi che regolano la comunità internazionale. Perché evocare il genocidio è oltraggioso, ma contenersi limitando la vendetta può rivelarsi saggio.