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Sunday, August 04, 2024

Mondadori, Adelphi, Berlusconi: replay della guerra di Segrate?



di Mauro Suttora

Due quote e due nemici

Huffingtonpost.it, 4 agosto 2024

Ci risiamo, 36 anni dopo. La Mondadori di Marina Berlusconi acquisisce un'opzione per il 10% della casa editrice Adelphi. Gliela cede una figlia del fondatore Roberto Calasso. Soltanto due mesi fa però Feltrinelli, acerrima concorrente di sinistra della Mondadori, aveva acquistato anch'essa un 10% di Adelphi da un altro ramo di eredi. Due galli con la zampa  in un solo pollaio. 

Replay della guerra di Segrate? Nel 1988, dopo la prematura scomparsa di Mario Formenton, Leonardo Mondadori vendette a Silvio Berlusconi la sua quota della società di famiglia. "Traditore!", gli urlarono i parenti. Salvo, pochi mesi dopo, cedere anch'essi alle lusinghe del Cavaliere e consegnarli la maggioranza della Mondadori. La quale nel frattempo era diventata un gigante, perché Eugenio Scalfari aveva venduto la sua quota del gruppo Repubblica-Espresso a  Carlo De Benedetti, l'altro grande azionista di Mondadori.

Inizia così un duello all'ultimo lodo fra Berlusconi e De Benedetti. In palio il più grande editore italiano: libri, il principale quotidiano nazionale, decine di periodici. Il quasi monopolio dei settimanali, allora influenti politicamente e ricchi di pubblicità: Panorama ed Espresso, solo il rizzoliano Europeo restava fuori dal giro. 

Un lodo estromette De Benedetti dalla maxi-Mondadori, poi una spartizione ideata dall'andreottian-fascista Giuseppe Ciarrapico restituisce Repubblica ed Espresso all'Ingegnere. Il quale una ventina d'anni dopo, alla fine di tutti i processi, riuscirà anche a farsi dare da Berlusconi mezzo migliaio di milioni di euro, perché il famoso lodo era viziato da tangenti berlusconiane a uno dei tre giudici.

Oggi Adelphi è soltanto un editore medio-piccolo, il cui grande prestigio è inversamente proporzionale al conto economico. Ma egualmente sono in ballo i Berlusconi, la Mondadori sempre dominante nei libri, un concorrente di sinistra e tradimenti familiari. Auguriamo a tutti meno traversie giudiziarie, e soprattutto niente lodi. 

Wednesday, October 18, 2023

Esselunga, saga familiare, consumismo e comunismo

"Le ossa dei Caprotti" (Feltrinelli) è un libro avvincente come un romanzo che racconta la storia della catena più antica d'Italia

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 18 ottobre 2023 

Esselunga fa sempre notizia, anche se mezza Italia non può conoscerla: il più meridionale dei suoi 170 supermercati, infatti, sta a Roma. Dopo il dibattito incredibilmente ampio di tre settimane fa sul suo spot della pesca regalata da una bimba al padre separato, ecco ora un libro che racconta la storia della catena più antica d'Italia (il primo supermercato fu aperto nel 1957 in viale Regina Giovanna a Milano). Lo ha scritto Giuseppe Caprotti, 63 anni, figlio del fondatore Bernardo scomparso nel 2016: 'Le ossa dei Caprotti', ed. Feltrinelli. E già la scelta dell'editore di sinistra sarebbe dispiaciuta al padre, che quindici anni fa scrisse pure lui un libro, "Falce e carrello", in polemica con le Coop, concorrente commerciale ma anche politico.

Il primogenito Caprotti jr era l'erede designato del colosso della grande distribuzione. Il padre lo mandò a farsi le ossa in America, nei supermarket di Chicago. Poi lo nominò amministratore delegato consegnandogli la società. Ma dopo pochi anni lo estromesse brutalmente, accusandolo di ogni nefandezza: i padri-padroni non si limitano ai pastori sardi. 

Negli ultimi vent'anni ci sono state battaglie giudiziarie di ogni tipo. Solo adesso le acque si sono calmate, Esselunga è finita alla seconda moglie di Bernardo e a sua figlia, i due figli di primo letto sono stati liquidati uscendo dall'azienda. E Giuseppe è libero di raccontare la sua versione.

Il libro è un saggio su duecento anni di storia della famiglia Caprotti, industriali tessili della Brianza prima di darsi ai supermercati. Ma è avvincente come un romanzo. Le ossa del titolo sono quelle che tappezzano la chiesa di San Bernardino a Milano, dietro il Duomo: Bernardo amava portarci in lugubre visita i figlioletti Giuseppe e Violetta. Ma anche il teschio e lo scheletro di San Valerio, bene in vista nella cappella della villa di famiglia ad Albiate (Monza).

Una delle parti più interessanti del libro è quella sulla nascita dei supermercati in Italia. Che furono un'operazione economica, ma anche politica. I Caprotti, infatti, nei primi anni erano soci di minoranza di Nelson Rockefeller, il miliardario statunitense e vicepresidente di Gerald Ford (1974-77). La sua multinazionale Usa nel secondo dopoguerra esportò uno dei prodotti più tipici dell'American way of life prima in Venezuela e poi in tutta l'America latina. Infine, a metà anni 50, lo sbarco in Italia. La scelta dei partner italiani fu attenta: perfino la Cia venne consultata per garantire la loro fedeltà ai valori occidentali.

Può sembrare complottismo, e invece il supermercato, simbolo supremo del consumismo, era anch'esso una arma per conquistare con il soft power i cuori, le menti (e i portafogli) degli italiani, che durante la guerra fredda avevano il più grosso e minaccioso partito comunista del mondo libero. Lo dice d'altronde la parola stessa: al centro dell'economia di mercato non può che troneggiare il super-mercato. 

E infatti Caprotti scrive che il plenipotenziario di Rockefeller in Europa, Richard Boogaart, scelse l'Italia e in particolare Milano perché "si era reso conto che aveva una cittadinanza comunista molto ampia, ed era contento dell'opportunità di mostrare ai comunisti che un'azienda americana come un supermercato potesse funzionare bene". Rockefeller stesso in quegli anni pronunciò la famosa frase: "È difficile essere comunisti con la pancia piena". E credeva fermamente che abbassare i prezzi del cibo avesse lo stesso significato di un aumento dei salari.

Insomma, in questi tempi di inflazione galoppante e di tentativi di combatterla con accordi fra catene di supermercati, negozi e aziende produttrici, è interessante scoprire che anche il modo di fare la spesa può avere un significato politico. Ed è uno dei pochi punti su cui il pugnace anticomunista Caprotti senior avrebbe concordato con suo figlio, fine intellettuale laureato alla Sorbona, e forse proprio per questo da lui osteggiato.