Ritratto di un politico maestro nel riciclarsi
Libero, sabato 21 febbraio 2009
di Mauro Suttora
«Dovete iscrivervi tutti all’Lsd». Udine, estate 1978. Ogni tanto, diciottenne in bici, facevo un salto alla sede del partito radicale, attirato più dalle belle ragazze che dal fascino di Pannella. E un pomeriggio Rita, una di loro, mi intimò di darle tremila lire «per l’Lsd».
«E che sarebbe, questo Lsd?» «Lega Socialista per il Disarmo», sorride Rita, estasiata. «Ma da quando in qua sei antimilitarista?» «Dalla scorsa settimana. Sono andata a Roma, ho incontrato Francesco Rutelli. Lui ha fondato l’Lsd. Ed è bellissimo…»
La seconda volta che m’imbattei in Rutelli fu un anno dopo. Sempre impegnato contro gli eserciti, aveva organizzato con Adele Faccio una Carovana di protesta da Bruxelles (sede Nato) a Varsavia (sede dell’omonimo patto). Ci andai, mi piaceva questa equidistanza fra sovietici e yankee. Presi tenda e sacco a pelo, m’imbarcai su uno dei sei pullman pieni di radicali. Dormivamo in campeggi e palestre di scuole. Le pacifiste tedesche erano affascinanti. C’era anche una sedicenne Sabina Guzzanti che suonava la chitarra. Però Rutelli mi deluse. Lui, con gli altri capetti radicali, non dormiva con noialtri. Dirigeva i sit-in di fronte alle basi militari col megafono, e poi spariva in albergo.
Arrivati al muro Berlino Est fummo manganellati dai vopos, le guardie di frontiera. In Polonia non arrivammo mai. Però io m’ero appassionato alla nonviolenza, e cominciai a leggere Gandhi. Così l’anno dopo, quando Rutelli fondò con lo scrittore Carlo Cassola il mensile ‘L’Asino’, me ne facevo mandare da Roma venti copie che rivendevo agli amici. ‘L’Asino’ era un famoso giornale antimilitarista e anticlericale fondato da Guido Podrecca che all’inizio del ’900 vendeva centomila copie. Poi fu chiuso dai fascisti. La versione rutelliana durò due anni. «Franciasco», come lo chiamavano le sue adepte romane (fra cui Eugenia Roccella), ci scriveva scintillanti articoli contro le spese militari e i missili atomici.
Nel frattempo, a soli 25 anni, Rutelli era diventato segretario nazionale del Partito radicale. Ancora oggi qualche morboso curiosone ogni tanto mi chiede quanti dei giovani politici messi in orbita da Pannella (da Rutelli a Capezzone) siano passati per il suo letto. «Non ne ho idea», rispondo sincero.
Dopo due anni Pannella vuole far spazio a una sua nuova scoperta, Giovanni Negri. Ma Rutelli oppone una fiera resistenza, riesce a restare sveglio tutta una notte mentre il capo radicale parla in riunione fino alle quattro del mattino, e alla fine riesce a farsi nominare vicesegretario assieme a Negri e a un altro giovanissimo: Gaetano Quagliariello.
Negli anni ’80 continuo a seguire con simpatia la carriera di Rutelli, che anch’io reputo bello e simpatico (secondo la mia fidanzata, invece, assomiglia ad Alberto Sordi). Lui sposa Barbara Palombelli, mia collega all’Europeo, e continua a organizzare proteste contro le parate militari del 2 giugno: in mutande e scolapasta in testa fa sfilare in piazza Venezia le «trippe disarmate».
A un certo punto però Pannella gli toglie lo stipendio, costringendolo a «ruotare»: un’usanza giusta ma crudele per dimostrare che i deputati radicali non sono attaccati alle poltrone, e che quindi si dimettono a metà mandato. Il povero Rutelli deve riciclarsi con i verdi, e a un certo punto è perfino costretto a elemosinare collaborazioni giornalistiche a Feltri, allora direttore dell’Europeo.
Ma in politica la ruota gira sempre, e nell’89 i verdi raggiungono il sette per cento: quarto partito italiano. Trionfo di Rutelli che ne diventa il capo. E nel ’93 Ciampi lo nomina ministro dell’Ambiente. Ma lui si dimette dopo un solo giorno per protesta contro il Parlamento che nega l’autorizzazione a procedere contro Craxi. In quei giorni tumultuosi di Tangentopoli Berlusconi debutta in politica «sdoganando» Fini, e candidando il segretario del Msi sindaco di Roma. A Pannella viene l’idea di contrapporgli Rutelli, che viene eletto.
Non abitando allora a Roma non so come valutare Rutelli, sindaco per otto anni. Però mi ha impressionato la scena di giubilo cui una distinta signora si è abbandonata sull’autobus 52 la scorsa primavera, quando giunse la notizia che Francesco aveva perso il nuovo tentativo di salire al Campidoglio dopo Veltroni: come mai tanto astio?
Mi ha colpito anche la cattiveria di una biografia a lui dedicata dall’editore di Kaos (un ex radicale che gli aveva pubblicato dei libri): ‘Cicciobello del potere’. Viene staffilato come «mediocre politicante che fa carriera a colpi di opportunismi, spregiudicatezze e aria fritta: passato dalle lotte contro la fame nel mondo agli appetiti dei palazzinari romani, dalle campagne anticlericali alle genuflessioni in Vaticano, dall’antimilitarismo ai campi da golf…»
Nel ’99, con Cacciari ed Enzo Bianco, fonda il movimento dei sindaci. Poi si allea con Di Pietro, Prodi e Parisi: dall’Asino all’Asinello. Quindi, nel 2001, viene mandato al sacrificio contro un arrembante Berlusconi. Candidato premier per la sinistra, perde ma si consola: «Solo due punti di distacco». Infine, lui ex radicale, riesce nel miracolo di diventare capo degli ex democristiani nella Margherita. Io lo ammiro per questo, oltre che per essersi risposato in chiesa con la Palombelli. Mi spiace che Andrea De Carlo lo abbia sbertucciato nel romanzo ‘Mare delle verità’ (2006). E lo penso sempre quando passo davanti alla stupenda fontana di piazza Esedra con le naiadi nude scolpite da Mario Rutelli, di cui è bisnipote.
Mauro Suttora