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Wednesday, May 19, 2021

I due ultranovantenni del Mondo

Il racconto di Angiolo Bandinelli, le foto di Paolo Di Paolo

di Mauro Suttora

HuffPost, 19 maggio 2021


Angiolo Bandinelli ha 94 anni. Partigiano a Roma, iscritto al partito d’azione, poi fondatore di quello radicale con Marco Pannella. Segretario del partito ai tempi pioneristici, mezzo secolo fa, fra marce antimilitariste, caso Braibanti (l’omosessuale accusato di plagio), divorzio e obiezione di coscienza alla naja. 

Infine deputato nel 1986, ma soltanto per un anno e soltanto perché Spadaccia “ruotò” in suo favore (mica come i grillini che frignano perché devono abbandonare le poltrone dopo dieci anni: gli eletti radicali lasciavano il seggio a metà legislatura, dopo appena due anni e mezzo).

In realtà il suo gesto più memorabile, in politica, fu offrire uno spinello, lui consigliere comunale, al sindaco di Roma nel 1979: il popolarissimo comunista Petroselli, che lo amava anche fra gli insulti.

Ammiro Bandinelli da 40 anni, da quando lo vedevo tirare la volata al pupillo Rutelli nei congressi radicali, perché fu giornalista del leggendario settimanale Il Mondo di Mario Pannunzio. Scrisse una cinquantina di articoli su quella bibbia dei liberali di sinistra, che si spense con il suo fondatore nel 1968 (data non casuale).

Ora il ragazzo Bandinelli ha pubblicato una bellissimo racconto: La Perla (edizioni Galaad). Lui è un poligrafo voltairiano, gli piace il passo breve, quindi scrivere articoli sul Foglio e libretti Millelire per Stampa alternativa di Marcello Baraghini, altro nume della controcultura.

Sottotitolo di La Perla: “Favola senechiana”. Perché?, gli chiedo per e-mail (basta telefonate, è sordo). “Perché è piena di morti, come nelle tragedie di Seneca”, mi risponde dalla sua bella casa romana al parco Nemorense.

Ha litigato con tutti, sia i radicali di destra (il partito che ora raccoglie firme con i leghisti per separare i procuratori dell’accusa dai giudici) che quelli di sinistra (Bonino, +Europa). Tratta male anche me: “Non capisci un c. di politica, come tutti i milanesi”. Per questo lo amo.

Paolo Di Paolo ha 96 anni, due più di Bandinelli. È stato il fotografo storico del Mondo, paginate in bianco e nero che spiegavano tutto da sole. Chiuso il settimanale, nell’ultimo mezzo secolo non ha più voluto lavorare.  È venuto a Milano per inaugurare una mostra di sue foto organizzata dalla figlia alla galleria Sozzani di Corso Como 10 a Milano: La lunga strada di sabbia, aperta fino a fine agosto.

Sono le immagini che illustrarono un reportage di Pier Paolo Pasolini del 1959 sulla rivista Successo. Viaggio geniale sulle coste della penisola da Ventimiglia a Muggia (Trieste), nell’Italia del boom. Non so se sono più belle le foto o il testo, raccolto in libro da Guanda. Ma sicuramente le parole scritte di Pasolini guadagnarono dalle immagini di Di Paolo, e viceversa. 

Ho incrociato da poco l’inchiesta pasoliniana scrivendo il mio libro ‘Confini, storia e segreti delle nostre frontiere’. Folgorante la descrizione dell’unica turista che i due scovarono a prendere il sole sulla spiaggia a Ventimiglia: “Una giovincella olandese, bella come un cipressetto”. La foto di Di Paolo vidima il giudizio di Pasolini.

Mauro Suttora

 

Monday, April 05, 2021

I grillini e la roba: quanto vale il loro database?

Dagli stipendi ai debiti con Rousseau, i soldi determinano molte decisioni politiche M5S: in gioco c'è il cuore del Movimento

di Mauro Suttora

HuffPost, 5 aprile 2021

“La Chiesa e la roba”, si intitolava un articolo pubblicato dal settimanale Il Mondo il 17 maggio 1960. L’autore, il radicale Ernesto Rossi, sosteneva che fosse la Roba, cioè i soldi, a orientare non poche scelte del Vaticano.

Oggi scopriamo che la Roba determina anche molte decisioni politiche dei grillini. È il cospicuo monte stipendi dei loro 240 parlamentari, infatti, a renderli assai riottosi rispetto alla promessa di lasciare il seggio dopo due mandati, per evitare il professionismo politico. 

E sono 450mila euro quelli in ballo con la società Casaleggio ereditata da Davide, il figlio del fondatore. Lui pretende il saldo di questa cifra non versata dai parlamentari (300 euro mensili ciascuno) per continuare a fornire i servizi di democrazia diretta, marchio di fabbrica del Movimento 5 stelle: primarie online, referendum, ratifiche di espulsioni, gestione del blog.

Loro non vogliono più dipendere dalla sua piattaforma Rousseau, la quale però contiene lo strumento più prezioso del M5S: l’elenco degli iscritti, la mailing list, il database. Che, in un partito senza sedi né dirigenti locali, organizzato solo su web, rappresenta il cuore del sistema. 
La società Casaleggio non ha mai aperto a nessuno questo scrigno. Incredibilmente, neanche i massimi dirigenti nazionali grillini, da Di Maio a Taverna, da Fico allo stesso Grillo, hanno accesso all’indirizzario dei circa 190mila aderenti.
 
Se un deputato vuole organizzare un evento nel suo collegio, non può invitare gli iscritti della sua città. Il povero Crimi, quando nel 2016 il candidato sindaco di Milano fu scelto con primarie vere, fisiche, dovette verificare una a una l’iscrizione di ogni votante su un computer al seggio del voto. La srl Casaleggio negò l’elenco perfino a lui, fidato proconsole lombardo.

Quanto può valere commercialmente, allora, questo mitico database M5s? 
“I database hanno un valore estremamente variabile, che dipende dal numero di soggetti contenuti, dalla quantità di dati e dalle condizioni che rendano possibile e lecita la cessione”, spiega uno dei massimi esperti italiani di diritto informatico e privacy, l’avvocato bresciano Federico Vincenzi. “Sono come una casa di valore enorme: se si scopre che è abusiva, il prezzo crolla. Egualmente, puoi avere migliaia di dati, ma senza un consenso valido per la loro cessione non si possono trasferire a nessuno”. 
E quindi? “Non so quali consensi ci siano nel database M5s. Dubito però che siano sufficienti a giustificare la cessione, o addirittura una vendita”.
Perchè? “Il Tribunale di Roma ha definito il rapporto tra utente e Facebook ‘contratto a rilevanza sociale’. Perciò alcune piattaforme, e Rousseau per definizione, non possono essere considerate semplici portali privati: incidono sul dibattito politico, sul futuro del Paese. Credo quindi che i dati delle persone, che si sono iscritte perché vorrebbero - ahimè, il condizionale è d’obbligo - partecipare direttamente al processo democratico, non possano essere oggetto di trattative o cessioni come se si trattasse di semplici dati da cedere per fini pubblicitari”.

Vede una via d’uscita? 
“Quella più naturale sarebbe chiedere un consenso specifico e consegnare solo i dati di chi dice sì. La situazione è inedita, non poteva esser prevista quando la piattaforma è stata creata. Vedo difficile riciclare vecchi consensi. Ne serve uno nuovo. Una seconda ipotesi potrebbe venire ‘dal basso’: gli utenti/elettori che desiderano essere trasferiti alla nuova dirigenza chiedono - come loro diritto - la portabilità: la Casaleggio non potrebbe opporsi”. 
E se non si raggiungesse un accordo? 
“I dati non sono delle parti, ma degli interessati. Non si può giocare con la democrazia. Debiti e crediti vanno regolati a parte. La soluzione non è fare il prezzo dei dati degli elettori”. 

Insomma, la società milanese non può tirare troppo sui soldi. Ora i grillini offrono 150mila per coprire i debiti, più un contratto di servizio per il futuro. Degradando però il rampollo Casaleggio al rango di un qualsiasi fornitore tecnico di assistenza telematica. Addio Rousseau e utopie palingenetiche.

“In ogni caso”, spiega Lorenzo Borrè, legale di molti grillini espulsi, “non ci si può sottrarre al passaggio del voto su Rousseau per approvare le modifiche statutarie che Conte proporrà, perché la piattaforma è attualmente l’unico strumento per votare un nuovo comitato direttivo, come previsto dagli Stati generali di novembre”. 
In realtà Conte è già stato acclamato Capo unico, e agisce come tale. 
“Ma legalmente, senza la ratifica di un voto online Conte non conta nulla”, avverte Borrè.

Insomma, bisogna rispettare lo statuto M5s: per fare inversione a U e tornare al Capo unico, i grillini devono passare per forza da Casaleggio. Senza accordo, il nuovo partito di Conte dovrebbe ricominciare da zero: costruirsi una nuova mailing list di iscritti e forse perfino rinunciare al simbolo. 
Quanto a Casaleggio, potrebbe continuare a usare il suo database solo accusando il nuovo movimento di aver violato lo statuto, per poi eleggere propri dirigenti scismatici.
Scenario fantascientifico. Ai grillini, tramontati gli ideali, non resta che spartirsi la Roba: “Dimmi quanti soldi vuoi”, cantava Zucchero.
Mauro Suttora

Wednesday, March 31, 2010

Radicali, geniali perdenti

LE MOSCHE COCCHIERE DELLA SINISTRA

di Mauro Suttora

Libero, 31 marzo 2010

Negli stessi minuti in cui Emma Bonino ha perso per 77 mila voti la sfida laziale con Renata Polverini, una sua omonima trionfava: Emma Marrone, vincitrice di ‘Amici’ su Canale 5. Così ora sono tre le Emme nazionali: non va dimenticata la Marcegaglia di Confindustria.

Ma proprio in quei momenti dopo mezzanotte nei quali è apparso chiaro che i postfascisti ciociari e i reazionari reatini restituivano la transnazionale Emma B. al suo ambiente naturale (Bruxelles, New York, Davos, L’Aia), i radicali si erano già rialzati dal k.o.: riuniti nella loro sede nazionale dietro al Pantheon, ascoltavano Marco Pannella il quale, immune da depressioni e autocritiche, descriveva fino alle tre di notte le «iniziative di lotta che ci impegneranno da domattina».

È questa la terapia che i pannelliani adottano dopo ogni sconfitta: far finta di niente, e ricominciare immediatamente a macinare politica «contro il regime». Hanno fatto così l’anno scorso, quando per la prima volta dopo trent’anni sono stati eliminati dall’Europarlamento (colpa della tagliola veltroberlusconiana al 4%): il giorno dopo stavano già pianificando l’attuale voto regionale. È successo nel 2006, quando la rediviva Rosa nel pugno con i socialisti abortì in un pugno di mosche. L’allora segretario radicale Daniele Capezzone ripartì come un razzo a criticare il suo non ancora capo Berlusconi e, per par condicio, i propri (in teoria) allora alleati Prodi e Fassino. E fu così anche nel 2005, quando dopo la sconfitta del referendum sulla fecondazione assistita concepirono, appunto, la Rosa nel pugno.

È da sessant’anni che Pannella perde. All’inizio degli anni ’50 esordì già in minoranza nel Pli di Malagodi. Con Eugenio Scalfari se ne andò e fondò il partito radicale. Subito batoste: zero eletti al comune di Roma nel ’56, e due anni dopo alle politiche l’1,4%, ma con il Pri. In pratica, votarono per loro solo i lettori dei due settimanali «laici»: Il Mondo e L’Espresso. Non domi, i radicali da allora hanno sempre preteso di dettare la linea politica a tutti (Pci, Psi, Pri, Pli, Psdi) dall’alto del nulla del proprio consenso popolare. «Mosche cocchiere»: così, citando la favola di Fedro, Togliatti liquidava gli intellettuali che volevano comandare, o almeno consigliare e ammonire i capi, senza però sporcarsi le mani con il «sangue e merda» (© Rino Formica) della politica reale, dei voti conquistati porta a porta nelle periferie (anche a Frosinone), del contatto con le miserie della gente e i suoi vizi. Perché il vizio di tutti gli idealisti illuminati d’Italia, da Pisacane al partito d’Azione a Ugo La Malfa, è sempre stato quello che gli scienziati della politica definiscono «minoritarismo».

Ancor oggi, i radicali sono onestamente convinti di aver ragione pur essendo una microminoranza. Vendola è riuscito a strappare il 10% per il suo partitino in Puglia, sull’onda della vittoria personale? I radicali in Lazio si sono fermati al solito tre per cento, nonostante il traino della Bonino.

Nel ’99 Emma & Marco agguantarono il loro unico successo: otto per cento alle europee con punte del 18% in varie città del nord, secondo partito dopo Forza Italia. Allora stavano a destra, liberali e liberisti. Poi però non si accordarono con Berlusconi, e ripiombarono alle percentuali abituali. Chiunque, al loro posto, si sarebbe ritirato da un pezzo. Loro invece, geniali e coriacei, ora vogliono insegnare al povero Bersani come guidare il Pd. Perché solo i radicali sono il sale della democrazia, i partigiani della legalità. Non per nulla stanno dietro al Pantheon, casa di «tutti gli dei».

Mauro Suttora

Thursday, April 02, 2009

Prefetti digiuni di economia

Il commissario del governo non sa molto di finanza

Una sola laurea in economia tra i venti rappresentanti dello stato nelle regioni

di Mauro Suttora

Il Mondo, 3 aprile 2009

Due su 20. L' unico con una laurea in Economia (oltre a quella di prammatica in Legge) è il prefetto di Cagliari Salvatore Gullotta. L' unico con una qualche esperienza di lavoro a contatto con una banca è quello di Milano, Gian Valerio Lombardi, che dopo le lauree in Legge e Scienze politiche a Napoli all' inizio degli anni '70 fece uno stage a Londra alla Commercial Bank of Australia.

Tutti gli altri 18 prefetti dei capoluoghi di regione d' Italia sono digiuni di conoscenze bancarie. Dovranno, quindi, dotarsi di ottimi consulenti per affrontare il compito cui sono chiamati dal governo: quello di sorvegliare l'attività degli istituti nell' erogazione del credito. La mancanza di competenza diretta sulle materie economiche non è una colpa, per i prefetti. La loro carriera, infatti, si svolge nell'ambito del ministero dell' Interno, dove prevalgono altre importanti funzioni: sicurezza, amministrazione statale, diritto pubblico. Il prefetto di Parma Paolo Scarpis, per esempio, è stato questore a Milano; quello di Sassari, Marcello Fulvi, questore a Roma; quello di Cremona, Tancredi Bruno, ha diretto prigioni. All'ultimo concorso per la carriera prefettizia soltanto una sulle 35 domande dell' esame orale riguardava lontanamente l' economia: un quesito di scienza delle finanze, sulla normativa del sostituto d' imposta.

È quasi impossibile, per un non laureato in legge, passare il concorso da prefetto. Ce l' hanno fatta in pochi, soprattutto donne, come Annamaria Cancellieri (prefetto a Genova) e Maria Augusta Marrosu (Gorizia), laureate in Scienze politiche. In maggioranza assoluta i prefetti provengono dalla Campania, quasi tutti oltre la sessantina, pochissime le donne (Genova, Varese, Gorizia, Campobasso).

Quello, infine, che vale per i prefetti dei capoluoghi di regione vale anche per i commissari di governo di altre città importanti sedi, talvolta, di importanti gruppi bancari. Anche a Bergamo, Brescia, Sondrio, Novara, Siena la quasi totalità dei prefetti è laureata in Giurisprudenza.

PREFETTURA nome anni (nato a) laurea

capoluoghi di regione

MILANO: Gian Valerio Lombardi, 62 (Napoli), legge, sc.pol.
TORINO: Paolo Padoin, 63 (Firenze), legge
AOSTA: Pasquale Manzo, 60 (Napoli), legge
GENOVA: Annamaria Cancellieri, 65 (Roma), sc.pol.
VENEZIA: Guido Nardone, 65 (Napoli), legge
TRIESTE: Giovanni Balsamo, 59 (Catania), legge
TRENTO: Michele Mazza, 62 (Napoli), legge
BOLZANO: Fulvio Testi, 61 (Roma), legge
BOLOGNA: Angelo Tranfaglia, 60 (Avellino), legge
FIRENZE: Andrea De Martino, 61 (Caserta), legge
ANCONA: Giovanni D’Onofrio, 67 (Benevento), legge
PERUGIA: Enrico Laudana, 62 (Caserta), legge
ROMA: Giuseppe Pecoraio, 58 (Napoli), legge
L’AQUILA: Aurelio Cozzani, 66 (Roma), legge
CAMPOBASSO: Carmela Pagano, 56 (Cosenza), legge
NAPOLI: Alessandro Pansa, 57 (Salerno), legge
BARI: Carlo Schilardi, 60 (Lecce), legge
POTENZA: Luigi Riccio, 62 (Catanzaro), legge
REGGIO C.: Antonio Musolino, 57 (Reggio C.), legge
PALERMO: Giancarlo Trevisone, 63 (Roma), legge
CAGLIARI: Salvatore Gullotta, 65 (Catania), legge, economia

altre province:

NOVARA: Giuseppe Amelio, 59 (Catanzaro), legge
ALESSANDRIA: Francesco Castaldo, 55 (Salerno), legge
VERCELLI: Pasquale Minunni, 62 (Lecce), legge
BERGAMO: Camillo Andreana, 62 (Napoli), legge
BRESCIA: vicario Attilio Visconti, 47 (Benevento), legge
SONDRIO: Chiara Marolla, 59 (Roma), legge
COMO: Sante Frantellizzi, 64 (Frosinone), legge
VARESE: Simonetta Vaccari, 55 (Siena), legge
PAVIA: Ferdinando Buffoni, 62 (Sassari), legge
CREMONA: Tancredi Bruno, 60 (Cuneo), legge
VERONA: vicario Elio Fallaci, 57 (Napoli), legge
VICENZA: Piero Mattei, 65 (Lucca), legge
PADOVA: Michele Gallerano, 63 (Napoli), legge
TREVISO: Vittorio Capocelli, 63 (Lecce), legge
UDINE: Ivo Salemme, 60 (Napoli), legge
GORIZIA: Maria Augusta Marrosu, 55 (Salerno), sc.pol.
LA SPEZIA: Vincenzo Santoro, 62 (Trapani), legge
PARMA: Paolo Scarpis, 63 (Macerata), legge
REGGIO E.: Bruno Pezzato, 67 (Lecce), legge
SIENA: Giulio Cazzella, 61 (Lecce), legge
PISA: Benedetto Basile, 60 (Palermo), legge
LIVORNO: Domenico Mannino, 62 (Reggio C.), legge
PESCARA: Paolo Orrei, 61 (Benevento), legge
FOGGIA: Antonio Nunziante, 59 (Bari), legge
MESSINA: Francesco Alecci, 62 (Catania), legge
SASSARI: Marcello Fulvi, 63 (Roma), legge

Tuesday, December 16, 2008

Morte di Carlo Caracciolo

«(...) Il 1° ottobre 1955 uscì L'Espresso. Vivevo in provincia (...). L'aria fresca ci veniva dai giornali che leggevamo, soprattutto dall'Europeo di Arrigo Benedetti e dal Mondo di Mario Pannunzio.
Erano i nostri Vangeli laici. Ci sentivamo sì di sinistra, ma soprattutto laici e liberali. Rammento un couplet, un ritornello, che faceva al caso nostro: «Se non ci conoscete - guardateci i calzini. - Noi siamo i liberali - del conte Carandini». Pure noi portavamo i calzini lunghi, mentre le nostre madri li volevano corti, più facili da lavare. Anche per questo L'Espresso divenne subito una delle nostre bandiere».

Giampaolo Pansa,oggi sul Riformista

Friday, March 13, 1998

Giacinto Auriti

chi e' l' ispiratore di Beppe Grillo

CHE STRANA COPPIA

Dietro l'ultima crociata del comico genovese contro la Banca d'Italia c'e' un docente di diritto internazionale, consulente di Alleanza nazionale

di Mauro Suttora

settimanale «Il Mondo», 13 marzo 1998

"Una volta c'erano i gangster, adesso si chiamano bankster. Sono i governatori delle banche centrali mondiali: Tietmeyer, Greenspan, Matsushita. Comandano loro, sono i nuovi Toto' Riina, hanno tutto in mano. Ti prestano i tuoi soldi e ti chiedono pure gli interessi...". "Anche qui da noi, il vero padrone del Paese e' il governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio. I ministri del Tesoro dei governi italiani sono sempre stati i camerieri della Banca d'Italia..."

Come avranno avuto modo di sentire i suoi tanti fan, quest'anno il bersaglio principale del nuovo spettacolo di Beppe Grillo e' la Banca d'Italia. Nessuno conosce, pero', l'ispiratore dell'ultima crociata del comico genovese, un professore universitario abruzzese. Per la precisione Giacinto Auriti, 74 anni, docente di diritto internazionale alla facolta' di giurisprudenza a Teramo e avvocato cassazionista. Ma non solo, perche' il professore, oltre che di Grillo, e' consulente anche di Alleanza nazionale, tanto che parlamentari di An, Forza Italia e Ccd hanno presentato una proposta di legge per concretizzare le sue teorie sulla "moneta popolare". Anche se il discepolo piu' accanito del professore resta Nicola Cucullo, sindaco di Chieti dal 1993, rieletto tre mesi fa con il 59% dei voti. Cucullo milita nel Movimento sociale-Fiamma tricolore di Pino Rauti, e ha dedicato la sua ultima vittoria a Benito Mussolini. Singolare compagnia, per l'anarchico-verde di sinistra Beppe Grillo.

"Io sono apartitico", precisa Auriti. "Anche Rifondazione comunista mi ha invitato ai suoi convegni, vado da chi mi chiama". E' stato Grillo, pero', ad andare da lui un anno fa, a una conferenza tenutasi ad Atri (Teramo) per il Corso di perfezionamento postuniversitario in Studi dei valori giuridici e monetari diretto dal professore. E a rimanerne conquistato. Tanto da nominarlo sul campo ispiratore delle tesi del suo nuovo spettacolo.

Esproprio

Auriti, infatti, conduce da anni una solitaria battaglia contro la Banca d'Italia, che accusa, senza ombra di smentite e senza il beneficio del dubbio, di "avere espropriato i cittadini della sovranita' monetaria". "Oggi noi ci illudiamo di essere i proprietari dei soldi che abbiamo in tasca", sostiene convinto, "ma in realta' non e' cosi'. Tutti sappiamo, infatti, che anche se sulle banconote leggiamo 'lire centomila pagabili a vista al portatore', la Banca d'Italia non ci dara' mai l'equivalente in oro. Quindi, la Banca d'Italia spaccia per moneta una falsa cambiale. I cittadini sono convinti che la moneta sia dello Stato, ma non e' cosi': e' Bankitalia a emetterla e a 'prestarla' poi allo Stato e alle banche pretendendo gli interessi. Ma perche' lo Stato, cioe' tutti noi, quando ha bisogno di soldi e' costretto a chiederli in prestito, con gli interessi, alla Banca d'Italia? Chi e' disposto a pagare l'affitto per una casa di sua proprieta'?".

Com'e' evidente, l'invettiva del suggeritore di Grillo non va tanto per il sottile, anche quando affronta aspetti delicati e complessi. "Una volta le Casse di risparmio erano enti morali, ma oggi sono anch'esse spa, cioe' societa' anonime a scopo di lucro. Da sola la Cariplo controlla il 19 % della Banca d'Italia. Ma adesso, dopo il suo matrimonio con il privatissimo Banco Ambroveneto, c'e' il rischio che la Banca d'Italia cada in mano a dei privati. Non sono solo io a dirlo, tant'e' vero che molti vogliono riportare Bankitalia sotto il controllo del Tesoro. Ma a quel punto, tanto varrebbe che fosse il ministro a firmare le banconote, e non piu' il governatore della Banca d'Italia".

Il trattato di Maastricht, pero', vieta il controllo politico sulle banche centrali. E qui il professor Auriti va a nozze: "Infatti. Noi stiamo regalando il principale potere di uno Stato, quello di battere moneta, a dei governatori centrali che nessuno ha mai eletto. Bella democrazia. Perfino Carlo Azeglio Ciampi si e' reso conto di quest'assurdita', e ha chiesto una qualche forma di controllo democratico sulla futura Banca centrale europea".

Domanda d'obbligo: ma se il sistema attuale funziona bene, perche' cambiarlo?
"Perche' e' una truffa", esclama il professore. "I cittadini, oltre a ignorare che la moneta non e' dello Stato, sono convinti che essa abbia un valore perche' esiste una certa quantita' di oro depositato nelle Banche centrali. Ma anche questo e' falso. Dal 1971, come si sa, e' stata abolita la convertibilita' in oro e oggi il valore nominale del denaro in circolazione supera, solo nei Paesi occidentali, di 10-12 volte quello dell'oro nei forzieri".

Secondo Auriti e Grillo le banconote sono solo dei pezzi di carta. "Dobbiamo riappropriarci dei nostri soldi istituendo la "proprieta' popolare della moneta" e dando a ogni cittadino il diritto di percepire la sua quota di reddito dell'emissione monetaria e del capitale amministrato dallo Stato. Bisogna cominciare dal basso. Il consiglio comunale di Chieti, ma anche quelli di Teramo e Pescara, hanno gia' detto si' al mio progetto..."

Chi poi cerca un esempio nella realta' lo puo' gia' trovare in America: la citta' di Ithaca, 40 mila abitanti, nello Stato di New York, ha emesso sue banconote. E cosi' altre citta' statunitensi piu' grandi, come Santa Fe, Kansas City e Indianapolis. Con l'approvazione dei tribunali. Insomma, il comico genovese e il suo singolare ispiratore vogliono tornare agli assegnini da 100 o 500 lire che le banche italiane stampavano vent'anni fa, quando mancavano gli spiccioli. Altro che Euro.

Mauro Suttora

Saturday, February 08, 1997

Hollywood a Milano

Cinema e computer: la rivoluzione digitale sbarca in Italia

CHIP, SI GIRA

Il film Nirvana di Gabriele Salvatores apre il nuovo filone. E alcune società milanesi scoprono il business degli effetti speciali, dando vita a una Hollywood sui Navigli

di Mauro Suttora
Il Mondo, 8 febbraio 1997

Passera' alla storia indipendentemente dai successi di critica e di incasso Nirvana, il nuovo film del regista Gabriele Salvatores (premio Oscar 1992 per Mediterraneo) uscito nelle sale venerdi' 24 gennaio. E' infatti la prima pellicola italiana che fa un massiccio uso di effetti speciali. E non quelli tradizionali, del genere mostri, pupazzi o sangue finto. Qui gli interventi sono elettronici, o piu' precisamente digitali, proprio come nelle megaproduzioni tecnologicamente piu' avanzate di Hollywood, da Forrest Gump a Jurassic Park

La neve, per esempio, e' tutta finta. Addio macchine che sputavano fiocchi bianchi nascoste sopra la cinepresa: adesso la neve si inserisce direttamente sulla pellicola con il computer. Ma c'e' di piu'. All'inizio Salvatores voleva girare un film itinerante, ed era gia' andato in Marocco e in India per individuare le location. Poi, anche per problemi di budget, ha deciso di concentrare tutte le riprese nella fabbrica abbandonata dell'Alfa Romeo al Portello di Milano. Ma non per questo mancano le scene ambientate a Marrakech o a Bombay: la realta' virtuale, infatti, aiuta a spostare anche i set dei film. 

Salvatores e' entusiasta: "Questo e' il mio primo lavoro subliminale, psichedelico, in cui vengono fuori i miei sogni e i miei riferimenti, da Jerry Garcia a Timothy Leary", dice. "Grazie al computer invento ogni trucco, creo paesaggi, pianto un cristallo nella fronte di un'attrice, aggiungo o tolgo un personaggio. La possibilita' di scegliere direttamente su video i ciac e di controllare subito gli effetti mi ha permesso liberta' espressiva e un gran risparmio di tempo e denaro".

Milano come Hollywood. 
Ma cosa c'e' dietro allo sforzo culminato con Nirvana? Davvero si puo' ormai parlare di "Hollywood sui Navigli", visto che tutti gli effetti digitali del film sono stati creati a Milano? A che punto e' lo stato dell'arte tecnologico ed economico in questo campo? 

"Quello di cui pochi si sono accorti", spiega Franco Gaieni, amministratore delegato della societa' di effetti digitali milanese Chinatown, "e' che proprio negli ultimi mesi sono arrivate in Italia delle nuove macchine che ci hanno permesso di colmare il gap con Londra e gli Stati Uniti. Ormai siamo allineati al meglio che c'e' nel mondo".

 Prodotti leader sono le piattaforme Onyx della Silicon graphics e i vari software Inferno, Flame, Flint o Fire della canadese Discreet Logic, che crea programmi in esclusiva per la Silicon graphics. Inoltre, e' presente sul mercato italiano la societa' inglese Quantel che vende prodotti proprietari che integrano hardware e software. Risultato? "Fino a qualche anno fa le agenzie pubblicitarie italiane andavano a produrre all'estero il 40 % dei loro spot, adesso la percentuale e' scesa al dieci", dice Stefano Raina, direttore della Digitalvideo di Milano.

 Il ritmo del progresso tecnologico e' impressionante. Ancora nel giugno scorso Salvatores ha dovuto spedire a Londra la sua pellicola per prepararla al trattamento elettronico. Ma adesso anche a Roma, negli studi di Cinecitta', e' arrivato lo scanner Cineon Kodak che archivia in forma digitale su supporto magnetico Dlt (Digital linear tape) il negativo originale della pellicola in 35 millimetri: grazie a questo processo la qualita' del film viene interamente preservata. 

Il costo degli investimenti tecnologici e' notevole: basti dire che un'altra delle maggiori societa' milanesi, la Interactive, che ha fatto camminare in cielo Zucchero nel video della sua ultima canzone Menta e rosmarino, e che ha assistito Roman Polanski nel filmato su Vasco Rossi, ha dovuto sborsare piu' di quattro miliardi per assicurarsi, unica in Italia, i sistemi Domino e Inferno. 

Pochi studi specializzati. 
E' difficile stimare il valore del mercato degli effetti speciali oggi in Italia: quello della produzione di spot pubblicitari si aggira intorno ai 250 miliardi annui, e all'interno di questa cifra la "post - produzione" (ovvero tutto cio' che avviene dopo che la scena e' stata girata, dal montaggio all'inserimento del suono, fino alle sigle) assorbe il 20 - 25%. Una sessantina di miliardi, quindi, che coprono anche i costi degli effetti digitali. 

Gli studi specializzati si contano sulle dita di una mano (a Milano, oltre a quelli citati, ci sono anche 2 Kappa, Media Cube e Imaginaction, mentre a Roma operano Eta Beta, Sbp, Frame by Frame e Sergio Stivaletti), e la loro dimensione medio - piccola rende assai onerosi gli investimenti.

 "Come ogni cosa nel mondo dei computer", spiega Stefano Marinoni di Digitalia, la societa' milanese che ha realizzato gli effetti speciali del film di Salvatores, "anche le nostre macchine hanno tempi di obsolescenza rapidissimi: dopo un anno e mezzo, al massimo due anni, sono gia' vecchie, superate da altre novita'. Ma la legge italiana prevede tempi di ammortamento di tre anni, e per noi questo e' assurdo: una sola piattaforma Onyx della Silicon graphics, infatti, costa mezzo miliardo".

 Leader del mercato hardware e' la Silicon graphics: l'anno scorso, dopo la fusione con Cray research, la multinazionale californiana con sede a Mountain View ha toccato i cinquemila miliardi di fatturato in lire, con utili per 180 miliardi. Da dieci anni opera anche una filiale italiana con sede a Rozzano (Milano) e 75 dipendenti: nel 1996 ha fatturato una sessantina di miliardi, con un balzo del 70 % rispetto all'anno precedente. 

"Il grande pubblico associa il nostro nome agli effetti speciali di Hollywood", dice il direttore marketing Paolo Vitali, "ma in realta' le macchine per video e film rappresentano solo il 15 per cento del nostro giro d'affari, anche se questo e' un segmento che controlliamo quasi totalmente". Il vero business, per la Silicon, e' quello del Caid (Computer aided industrial design): dal Centro ricerche Fiat all'Agip, a Benetton, non c'e' ormai visual designer che possa fare a meno delle proiezioni bi e tridimensionali dei computer Silicon o dei suoi concorrenti Sun e Hewlett Packard. "Il mercato dell'entertainment invece in Italia e' estremamente ridotto e verticale", nota sconsolato Vitali. 

Tutti i professionisti del settore fanno spot e documentari industriali per guadagnare, ma sognano il cinema. Pero', fino a quando in Italia si produrranno soltanto poche decine di film all'anno (70 nel 1995, 90 l'anno scorso), e' difficile pensare a sbocchi significativi per gli effetti digitali sul grande schermo. 

Know how senza industria. 
Fra l'altro, c'e' un problema di costi: un solo spot pubblicitario di trenta secondi ha spesso a disposizione un budget da un miliardo, cioe' la meta' del costo medio di un intero film italiano lungo un'ora e mezzo. Insomma, esistono in Italia attrezzature paragonabili a quelle di Hollywood; gli operatori, siano italiani che si sono specializzati a Londra, New York e Los Angeles, o tecnici anglosassoni che si sono stabiliti a Milano, garantiscono lo stesso livello di professionalita' dei "maghi" americani; non mancano giovani registi in gamba e i costi sono competitivi. 

Peccato che, per i film, manchi tutto il resto. Cioe' un'industria del cinema nazionale cosi' com'e' esistita fino a vent'anni fa, che grazie al numero dei film girati garantisca la massa critica necessaria al ritorno degli investimenti. Finche' non rinascera', le meraviglie digitali si troveranno solo negli spot. Oppure nei film made in Hollywood.
Mauro Suttora 

Saturday, November 16, 1996

Spot delle calze Sanpellegrino

Spot bocciati. Ma la polemica fa vendere

Per il giurì il carosello con Banderas denigra i rivali. Ma per l'azienda è pubblicità gratuita. E il fatturato...

di Mauro Suttora

Il Mondo, 16 novembre 1996

Tutta pubblicità!" Ostentano tranquillità nella sede di Ceresara, in provincia di Mantova, i dirigenti della Csp (Calze San Pellegrino) international. Il loro spot con Antonio Banderas e Valeria Mazza è stato censurato giovedi' 31 ottobre dal giuri' di autodisciplina pubblicitaria con l'accusa di essere "ingannevole" perche' mostra un collant che non si rompe neanche rimanendo impigliato a un gemello, e "denigratorio" perche' offenderebbe le altre calze vantando la resistenza delle Sanpellegrino.

Lo spot, almeno nella versione italiana, verrà ritoccato e rimesso nel circuito ma senza drammatizzare. In fondo anche una bocciatura può diventare un'opportunita'. La polemica si trasforma in pubblicita' gratuita per una industria che cresce a ritmo elevato senza problemi di recessione: terza in Italia dopo Golden lady e Filodoro, settima in Europa, decima nel mondo, ha fatturato 111 miliardi nel 1993, 130 l'anno dopo, 191 nel 1995 e ne prevede per questo bilancio 215. Quanto all'utile, e' schizzato dal mezzo miliardo di tre anni fa agli 11 miliardi del 1995. "Non posso rivelare il costo dello spot, che comunque abbiamo pagato un occhio della testa visto che era diretto da Giuseppe Tornatore, prodotto da Gianni Nunnari e Quentin Tarantino con la musica di Ennio Morricone e la fotografia di Tonino Delli Colli", dichiara Gianfranco Bossi, 53 anni, da sei direttore della Csp dopo esperienze in Henkel, Beyersdorf e Mondadori.

Socio svizzero.
La Csp, come le altre grandi aziende della calza italiana, quasi tutte concentrate nel triangolo mantovano, investe in pubblicita' il 10 % del fatturato: una ventina di miliardi, quindi, quest'anno. Lo stesso spot viene trasmesso in alcuni dei 40 paesi dove l'azienda mantovana esporta i suoi tre marchi: Sanpellegrino (fascia media), Oroblu (fascia alta) e New opportunity (discount ed est europeo). Il carosello incriminato Banderas - Mazza, che in Italia va in onda dal primo ottobre, aveva gia' debuttato un mese prima in Russia, dove Csp nel giro di tre anni ha conquistato la leadership di mercato con vendite per 20 miliardi di lire: ogni settimana partono da Ceresara per Mosca due tir con 200 mila paia di calze.

Fondata nel 1972 dai fratelli Enzo e Francesco Bertoni, rispettivamente presidente e amministratore delegato, la Csp l'anno scorso ha accolto come socio di minoranza l'Ubs, Unione di banche svizzere, che e' subentrata agli altri due fondatori decisi a disimpegnarsi. Il boom dell'azienda ha tre ragioni: l'export, il marketing e l'innovazione. Negli anni Novanta la quota di esportazione e' cresciuta dal 15 al 45 % e c'e' ancora spazio per migliorare: l'export nazionale di calze e collant e' del 64 % . Tanto più che lo sbocco estero e' una necessita' visto il ristagno del mercato nazionale.

"La causa, in Italia come nel resto del mondo e' della lycra", spiega Bossi, "il materiale che ha fatto aumentare di un terzo la durata di calze e collant e quindi diminuire di una percentuale corrispondente le vendite". Per stimolare i consumi, allora, la Csp ha spinto al massimo il marketing. L'anno scorso ha lanciato i collant Shock up, ovvero la "calza che alza", provvista di una banda avvolgente per sollevare i glutei. Successo immediato: 30 miliardi di vendite (il prezzo di fabbrica rappresenta il 50 % di quello finale). Quest'anno la replica. "Poiche' nella classifica dei problemi delle donne la cellulite e' al terzo posto dopo i rapporti familiari e i soldi", dice Bossi, "abbiamo inventato le calze Excell oroblu con lo slogan cellulite ko".

Meglio Mantova del Far east.
La via dell'innovazione paga: oggi Csp realizza piu' della meta' del fatturato con prodotti nati negli ultimi tre anni. Nei due nuovi stabilimenti di Ceresara e della vicina Rivarolo i 650 dipendenti diretti, per due terzi donne, confezionano ogni anno 70 milioni di paia di calze. Anzi, di collant, che ormai coprono il 90 % del mercato, per il resto composto da calze classiche da giarrettiera, autoreggenti e gambaletti. Il tasso di automazione e' elevato. Il costo del lavoro rappresenta soltanto il 25 % del prezzo finale, contro il 50 % degli altri capi di abbigliamento, e questo è il motivo per cui la produzione non e' emigrata nel sud-est asiatico. Un panel di 60 dipendenti riceve ogni lunedì un paio di nuove calze, le usa, le lava e il venerdi' compila una scheda col giudizio. Per la distribuzione Csp dispone di 80 agenti in Italia pagati a provvigione e di 40 distributori per l'estero. "Avevamo filiali a Parigi, Londra e Bruxelles ma le abbiamo chiuse: i costi erano eccessivi", spiega Bossi. Solo il 5 % della produzione va alle private label, ma almeno una di queste e' prestigiosa: l'azienda mantovana e' fra i pochi fornitori non britannici della catena Marks & Spencer.