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Monday, April 05, 2021

I grillini e la roba: quanto vale il loro database?

Dagli stipendi ai debiti con Rousseau, i soldi determinano molte decisioni politiche M5S: in gioco c'è il cuore del Movimento

di Mauro Suttora

HuffPost, 5 aprile 2021

“La Chiesa e la roba”, si intitolava un articolo pubblicato dal settimanale Il Mondo il 17 maggio 1960. L’autore, il radicale Ernesto Rossi, sosteneva che fosse la Roba, cioè i soldi, a orientare non poche scelte del Vaticano.

Oggi scopriamo che la Roba determina anche molte decisioni politiche dei grillini. È il cospicuo monte stipendi dei loro 240 parlamentari, infatti, a renderli assai riottosi rispetto alla promessa di lasciare il seggio dopo due mandati, per evitare il professionismo politico. 

E sono 450mila euro quelli in ballo con la società Casaleggio ereditata da Davide, il figlio del fondatore. Lui pretende il saldo di questa cifra non versata dai parlamentari (300 euro mensili ciascuno) per continuare a fornire i servizi di democrazia diretta, marchio di fabbrica del Movimento 5 stelle: primarie online, referendum, ratifiche di espulsioni, gestione del blog.

Loro non vogliono più dipendere dalla sua piattaforma Rousseau, la quale però contiene lo strumento più prezioso del M5S: l’elenco degli iscritti, la mailing list, il database. Che, in un partito senza sedi né dirigenti locali, organizzato solo su web, rappresenta il cuore del sistema. 
La società Casaleggio non ha mai aperto a nessuno questo scrigno. Incredibilmente, neanche i massimi dirigenti nazionali grillini, da Di Maio a Taverna, da Fico allo stesso Grillo, hanno accesso all’indirizzario dei circa 190mila aderenti.
 
Se un deputato vuole organizzare un evento nel suo collegio, non può invitare gli iscritti della sua città. Il povero Crimi, quando nel 2016 il candidato sindaco di Milano fu scelto con primarie vere, fisiche, dovette verificare una a una l’iscrizione di ogni votante su un computer al seggio del voto. La srl Casaleggio negò l’elenco perfino a lui, fidato proconsole lombardo.

Quanto può valere commercialmente, allora, questo mitico database M5s? 
“I database hanno un valore estremamente variabile, che dipende dal numero di soggetti contenuti, dalla quantità di dati e dalle condizioni che rendano possibile e lecita la cessione”, spiega uno dei massimi esperti italiani di diritto informatico e privacy, l’avvocato bresciano Federico Vincenzi. “Sono come una casa di valore enorme: se si scopre che è abusiva, il prezzo crolla. Egualmente, puoi avere migliaia di dati, ma senza un consenso valido per la loro cessione non si possono trasferire a nessuno”. 
E quindi? “Non so quali consensi ci siano nel database M5s. Dubito però che siano sufficienti a giustificare la cessione, o addirittura una vendita”.
Perchè? “Il Tribunale di Roma ha definito il rapporto tra utente e Facebook ‘contratto a rilevanza sociale’. Perciò alcune piattaforme, e Rousseau per definizione, non possono essere considerate semplici portali privati: incidono sul dibattito politico, sul futuro del Paese. Credo quindi che i dati delle persone, che si sono iscritte perché vorrebbero - ahimè, il condizionale è d’obbligo - partecipare direttamente al processo democratico, non possano essere oggetto di trattative o cessioni come se si trattasse di semplici dati da cedere per fini pubblicitari”.

Vede una via d’uscita? 
“Quella più naturale sarebbe chiedere un consenso specifico e consegnare solo i dati di chi dice sì. La situazione è inedita, non poteva esser prevista quando la piattaforma è stata creata. Vedo difficile riciclare vecchi consensi. Ne serve uno nuovo. Una seconda ipotesi potrebbe venire ‘dal basso’: gli utenti/elettori che desiderano essere trasferiti alla nuova dirigenza chiedono - come loro diritto - la portabilità: la Casaleggio non potrebbe opporsi”. 
E se non si raggiungesse un accordo? 
“I dati non sono delle parti, ma degli interessati. Non si può giocare con la democrazia. Debiti e crediti vanno regolati a parte. La soluzione non è fare il prezzo dei dati degli elettori”. 

Insomma, la società milanese non può tirare troppo sui soldi. Ora i grillini offrono 150mila per coprire i debiti, più un contratto di servizio per il futuro. Degradando però il rampollo Casaleggio al rango di un qualsiasi fornitore tecnico di assistenza telematica. Addio Rousseau e utopie palingenetiche.

“In ogni caso”, spiega Lorenzo Borrè, legale di molti grillini espulsi, “non ci si può sottrarre al passaggio del voto su Rousseau per approvare le modifiche statutarie che Conte proporrà, perché la piattaforma è attualmente l’unico strumento per votare un nuovo comitato direttivo, come previsto dagli Stati generali di novembre”. 
In realtà Conte è già stato acclamato Capo unico, e agisce come tale. 
“Ma legalmente, senza la ratifica di un voto online Conte non conta nulla”, avverte Borrè.

Insomma, bisogna rispettare lo statuto M5s: per fare inversione a U e tornare al Capo unico, i grillini devono passare per forza da Casaleggio. Senza accordo, il nuovo partito di Conte dovrebbe ricominciare da zero: costruirsi una nuova mailing list di iscritti e forse perfino rinunciare al simbolo. 
Quanto a Casaleggio, potrebbe continuare a usare il suo database solo accusando il nuovo movimento di aver violato lo statuto, per poi eleggere propri dirigenti scismatici.
Scenario fantascientifico. Ai grillini, tramontati gli ideali, non resta che spartirsi la Roba: “Dimmi quanti soldi vuoi”, cantava Zucchero.
Mauro Suttora

Friday, April 05, 2019

Lorenzo Borrè, l'avvocato incubo dei grillini

"ANCHE LA MULTA DEL GARANTE E' UNA NOSTRA VITTORIA"

di Mauro Suttora

Libero, 5 aprile 2019



«La condanna di ieri con annessa multa di 50mila euro del Garante della Privacy contro la piattaforma Rousseau, su cui si svolge online tutta la vita politica grillina, nasce da un nostro esposto dell’ottobre 2017 contro la profilazione dei votanti», dichiara l’avvocato Lorenzo Borrè di Roma a Libero.

Borrè è la bestia nera del Movimento 5 stelle. Il quale dal 2012 ha espulso centinaia di attivisti e 44 parlamentari, in un crescendo di autoritarismo che confina con la paranoia.
Tutti i grillini che in Italia fanno causa chiedendo i danni si rivolgono a lui. E lui si è ormai specializzato nella giungla di documenti che regola la vita di questo strampalato non-partito.

Proprio per sfuggire alle cause di Borrè, che finora ha ottenuto 75mila euro di risarcimenti per i suoi clienti, la società Casaleggio ha infatti cambiato statuto per la terza volta in otto anni, nel dicembre 2017. 

Peccato che l’avvocato Luca Lanzalone, che lo redasse, sia finito in carcere nel giugno 2018 per le tangenti del costruttore Parnasi sul nuovo stadio della Roma. 
Lanzalone, che verrà processato a luglio e che ha tuttora il divieto di dimora a Roma dopo mesi di arresti domiciliari, era considerato il vero sindaco di Roma al posto della evanescente Virginia Raggi. 
Era succeduto in questo suo ruolo di “vicario” romano a Raffaele Marra, anch’egli incarcerato e condannato a tre anni per corruzione.

Il primo a rivolgersi a Borrè è stato nel 2016 il professor Antonio Caracciolo, escluso dalle comunali di Roma e insultato pubblicamente da Grillo («È sporco dentro») per alcune sue asserite dichiarazioni negazioniste sull’Olocausto rivelatesi infondate.

Poi la mancata candidata sindaca di Genova Marika Cassimatis e la consigliera comunale Cristina Grancio di Roma, espulsa perché unica contraria allo stadio della Roma. 
Anche Ernesto Leone Tinazzi, popolare grillino romano che con i suoi voti fece eleggere Alessandro Di Battista nel 2013, e Andrea Aquilino, sono finiti in una delle periodiche purghe grilline.

Il caso più grottesco è quello di 23 attivisti napoletani accusati, in perfetto stile stalinista, di avere fondato una “corrente” con un gruppo Facebook segreto, come una volta i “deviazionisti”.

«A giorni attendo l’esito del ricorso contro l’espulsione del senatore De Falco, di fama schettiniana (“risalga subito a bordo, cazzo!”) reo di non aver votato la fiducia sul decreto sicurezza leghista», dice Borrè. Il quale è lui stesso un ex grillino, per qualche anno fino al 2016. Conosce quindi i suoi polli. E li infilza a suon di cavilli. Curioso destino, per un movimento nato con lo slogan «Legalità!», quello di dover sopportare le più cocenti e imbarazzanti sconfitte proprio nelle aule dei tribunali.
Mauro Suttora

Grillo assediato dai debiti

I PENTASTELLATI LO BOMBARDANO DI CAUSE. DECINE DI EX CACCIATI CHIEDONO I DANNI AL COMICO: FINORA È STATO CONDANNATO A RISARCIRE 75MILA EURO. IN PIU', LA MULTA DI 50MILA EURO DEL GARANTE DELLA PRIVACY. UN CONVEGNO A MILANO ANALIZZA IL M5S

di Mauro Suttora

Libero, 5 aprile 2019



Che sfortunato Davide Casaleggio. Proprio nel giorno delle primarie online per scegliere i candidati alle europee del 26 maggio, la sua piattaforma Rousseau è stata dichiarata fuorilegge dal Garante della Privacy: «Non garantisce gli standard minimi di segretezza e sicurezza del voto, che è manipolabile dagli organizzatori in qualsiasi momento, senza lasciar traccia». La sanzione è salata: 50mila euro.

Da sempre i dissidenti grillini denunciano l’assurdità di far votare gli iscritti del primo partito italiano sul server privato della società commerciale milanese Casaleggio & Associati. E senza alcuna certificazione esterna, tranne in due casi (le presidenziali 2013 e il voto per un nuovo statuto).

Il Garante avvertiva già da due anni della fragilità di Rousseau. Il rampollo Casaleggio, succeduto dinasticamente al padre Gianroberto dopo la sua morte tre anni fa, aveva assicurato di avere riparato le falle del sistema. Che però qualche burlone continua ad hackerare allegramente in varie votazioni. E che ora viene giudicato irregolare alla radice.

La tegola sul Movimento 5 stelle (M5s) arriva proprio alla vigilia di Sum 2019, che si apre domani a Ivrea: il convegno annuale in cui Casaleggio junior si autoproclama «guru del futuro», giurando pe di non essere il capo del M5s con Luigi Di Maio, ma un semplice «tecnico al servizio del movimento».

A Ivrea in livrea arriveranno domani, fra gli altri, Franco Bernabé (ex ad Eni e Telecom, dirigente del club Bilderberg, una volta odiato dai grillini complottisti), Marco Travaglio e l’allenatore Zeman. Sarà dura, questa volta, magnificare le doti di Rousseau («piattaforma per la democrazia unica al mondo«), ma rivelatasi una ciofeca.

Qualche grillino ora per disperazione sosterrà che si tratta di una vendetta in extremis del presidente della authority Garante della Privacy, Antonello Soro, ex deputato Pd, in scadenza quest’anno. Dimenticando che si tratta di un organo collegiale. 
Gli altri membri sono Augusta Iannini, moglie di Bruno Vespa, e Giovanna Bianchi Clerici, ex deputata leghista.

Ma la multa di 50mila euro rischia di essere nulla in confronto ai 75mila euro di risarcimento danni cui è già stato condannato finora il M5s nelle cause intentate dai numerosi grillini radiati ingiustamente in questi anni. 
Cifra che aumenterà di molto, perché riguarda solo i primi espulsi: Roberto Motta e Antonio Caracciolo a Roma hanno ottenuto 30mila euro nel 2018, Mario Canino sempre a Roma 22mila euro a gennaio, più sei attivisti napoletani. 

Sono pendenti altre nove cause con una trentina di “vittime” in tutta Italia: due a Palermo con l’ex deputato e capogruppo Riccardo Nuti, una a Genova con Marika Cassimatis, cacciata da Grillo dopo aver vinto le primarie per sindaco, altre due a Napoli con ben 23 attivisti, e altre quattro a Roma.

I soldi dovranno tirarli fuori Beppe Grillo e Davide Casaleggio. Ed è questo il principale motivo per cui il comico genovese si è allontanato dalla sua creatura: per non essere travolto finanziariamente dalla gestione autoritaria del movimento fondato nel 2009.

Intanto ieri i Cinquestelle sono stati messi sotto scrutinio in un convegno all’Umanitaria di Milano dall’associazione di giuristi Italiastatodidiritto, presieduta dall’avvocato Simona Viola.
 Il tema era: «Il M5s crede veramente alla democrazia, o si regge su princìpi non democratici riducendo i suoi 330 parlamentari a semplici portavoce?»

Per Fabrizio Cassella, docente di diritto costituzionale all’università di Torino, la risposta è chiara: «I Cinquestelle violano la Costituzione, che all’articolo 67 esclude il vincolo di mandato. Ogni parlamentare rappresenta la Nazione, e per approvare leggi nell’interesse generale dev’essere libero di argomentare, dibattere e negoziare, arrivando assieme ai suoi colleghi a una sintesi che bilanci i vari interessi particolari».

Ai deputati e senatori grillini, invece, tocca obbedire a una ferrea disciplina di partito. E chi osa dissentire viene punito con l’espulsione. È capitato a 40 di loro la scorsa legislatura, e ad altri quattro in questa.

Il comandante Gregorio De Falco, in particolare, che soltanto un anno fa fu l’acquisto più prestigioso nella nuova compagine parlamentare (noto per aver intimato al capitano Francesco Schettino di non abbandonare la sua nave), è stato cacciato a gennaio. Non aveva votato la fiducia sul decreto sicurezza.

«Mi rendo conto che difendere il divieto di vincolo di mandato in un Paese di trasformisti non è popolare», ammette l’avvocato Guido Camera, «ma in democrazia la forma è tutto. Possiamo avere idee diverse sul contenuto delle leggi, ma sulle regole del gioco per farle dobbiamo essere tutti d’accordo».

E i referendum, caposaldo della democrazia diretta propagandata dai grillini? 
«Guardiamo alla Svizzera, il loro Paese ideale», ha detto il professor Dino Guido Rinoldi dell’università Cattolica di Milano, «dove lo scorso 25 novembre i cittadini hanno detto no a un quesito che voleva ridurre l’efficacia dei trattati internazionali».

Tipico tema sovranista, ma gli elvetici si sono dichiarati ben felici di sottostare a leggi sovranazionali. «Principio presente anche nell’articolo 11 della nostra Costituzione: l’Italia consente alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni».

«In realtà nei referendum la domanda è sempre importante quanto la risposta», ha avvertito Valerio Onida, già presidente della Corte Costituzionale. Chi decide quali argomenti sottoporre a un sì e a un no, e in che forma? Nel caso dei grillini, è sempre la srl Casaleggio, dall’alto, a formulare i quesiti online per i suoi iscritti. Non c’è mai stata una votazione su iniziativa della base.

In questo senso una testimonianza preziosa è, dall’interno, quella di Nicola Biondo
Già responsabile della comunicazione dei deputati grillini, Biondo pubblica proprio in questi giorni il suo secondo libro sul M5s: Il sistema Casaleggio (ed. Ponte alle Grazie, con Marco Canestrari): «Il vero padrone del movimento non è mai stato Grillo, ma prima Gianroberto Casaleggio e poi il figlio Davide. 
Abbiamo così il partito che governa una delle principali potenze industriali del mondo in mano a una società privata. I grillini hanno avuto successo opponendosi al finanziamento pubblico dei partiti e alla Casta dei politici. Bene. Ma ora usano anche loro i milioni pubblici dei gruppi parlamentari e dei loro stipendi per finanziare la società commerciale che li dirige. 
Insomma, la Casta mantiene se stessa. Almeno prima il finanziamento ai partiti serviva anche per tenerne aperte le sezioni territoriali, palestra di democrazia. Adesso invece c’è solo la piattaforma Rousseau. Che finalmente è stata giudicata per quel che è: un imbroglio».
Mauro Suttora