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Thursday, August 17, 2017

Le valute locali regionali

NIENTE SESTERZI, PER ORA, A ROMA. MA LE VALUTE COMPLEMENTARI SONO REALTA’ GIA' IN VARIE REGIONI. A PARTIRE DALLA SARDEGNA. IL PIONIERE FU IL PROFESSOR GIACINTO AURITI, 17 ANNI FA IN ABRUZZO
di Mauro Suttora
Oggi, 17 agosto 2017

Non si chiamerà “sesterzio” la nuova moneta complementare di Roma, ma la città guidata dai grillini vuole affiancare all’euro un sistema di pagamento autonomo. Il Movimento 5 stelle, infatti, è critico nei confronti della valuta europea, e cerca di trovare alternative che diano fiato all’economia locale.
Qualche settimana fa abbiamo scritto scherzosamente che questa moneta parallela potrebbe prendere il nome dalla celebre moneta simbolo di Roma antica. L’ufficio stampa della sindaca Virginia Raggi ci scrive che la «presunta proposta della Sindaca di Roma («il ripristino del sesterzio, antica moneta romana») non è mai stata avanzata dalla sindaca Raggi e pertanto l’affermazione è destituita di qualunque fondamento». Ne prendiamo atto.
Eppure qualcosa è allo studio. Ha detto per esempio l’assessore al Bilancio di Roma Andrea Mazzillo: «Stiamo studiando, all’interno del progetto “Fabbrica Roma”, l’introduzione di una moneta complementare per favorire le economie locali attraverso lo scambio di servizi tra aziende».
La valuta complementare non è una bizzarria. Molti antieuro, dai leghisti a Fratelli d’Italia, la stanno studiando. E perfino Silvio Berlusconi l’ha ipotizzata come moneta nazionale, sotto il controllo della Banca d’Italia: un ritorno alla lira, accanto all’euro.
Infine, fu proprio Beppe Grillo a solidarizzare con l’eccentrico professore Giacinto Auriti che, in polemica con il «signoraggio» a suo avviso praticato dalla Banca d’Italia, nell’estate del 2000 convinse decine di negozianti del suo paese, Guardiagrele (Chieti), a farsi pagare in Simec (Simbolo econometrico). Dopo venti giorni la Guardia di Finanza sequestrò l’invenzione del professor Auriti. Poi un giudice gli diede ragione e dissequestrò i Simec, ma ormai i cittadini di Guardiagrele si erano messi paura.
Oggi che i bitcoin sono accettati in tutto il mondo come mezzo di pagamento elettronico, è più facile sfidare il monopolio delle valute ufficiali. Così da dieci anni a Napoli, Firenze e Pistoia molti esercizi commerciali adottano per i propri scambi reciproci lo “scec” («sconto che cammina»), una specie di baratto legalizzato. Ed esistono il Sardex, il Liberex, il Samex, il Marchex, il Valdex (riquadro sopra).
I vantaggi? «Permettere a privati e aziende di scambiarsi beni elettronicamente, basandosi sulla fiducia di appartenere allo stesso territorio e compensando debiti e crediti. Così la liquidità gira più veloce», spiegano da Serramanna (Vs) i fondatori di Sardex. 
Nomi più attraenti
Certo che, se invece di queste fredde e tecnocratiche locuzioni, si ripristinassero i gloriosi nomi delle monete italiane pre-lira (riquadro qui accanto), forse le valute complementari locali risulterebbero più attraenti.
Come il sesterzio, che durò più di mezzo millennio e accompagnò lo splendore dell’impero romano.
Mauro Suttora

Wednesday, May 18, 2016

Cos'è Casa Pound?

ECCO I FASCISTI DEL TERZO MILLENNIO A Bolzano hanno superato il 6%, con tre eletti. Orasi presentano a Roma, Torino, Milano e Napoli. Un anno fa stavano con Salvini. Adesso l’estrema destra è tornata sola. Ma l’ha sdoganata perfino la Boschi

Oggi, 18 maggio 2016

di Mauro Suttora

Difficile far somigliare una tartaruga a una svastica. Ci provano, con un simbolo nero su sfondo rosso, come nelle inquietanti bandiere naziste, i «fascisti del terzo millennio» (autodefinizione) di CasaPound.

Il movimento ha ottenuto un clamoroso 6% al voto di Bolzano, eleggendo tre consiglieri comunali. E ora guarda con speranza al 5 giugno, quando presenterà proprie liste a Roma, Torino, Latina e Lanciano (Chieti). A Milano c’è un’alleanza con il candidato sindaco Nicolò Mardegan (ex An, Pdl e Ncd), a Napoli con Marcello Taglialatela (deputato Fdi), a Sulmona (L’Aquila) con la lista Sovranità.

A dare una mano alla notorietà dei neofascisti si è aggiunta Maria Elena Boschi: ha accusato i propri colleghi Pd di «votare come CasaPound» se diranno no alla riforma costituzionale nel referendum di ottobre. «Ringrazio per lo spot, le manderò un mazzo di rose rosse», ha replicato alla ministra Simone Di Stefano, vicepresidente dei casapoundini.

Ma cos’è CasaPound? E perché si chiama così? Tutto è iniziato nel 1994, quando il Msi (Movimento sociale italiano) andò al governo con Silvio Berlusconi e si trasformò in An (Alleanza nazionale).

I missini più estremisti rifiutarono la svolta, e si frantumarono in partitini come Fiamma Tricolore, La Destra, Forza Nuova. I movimentisti si diedero a lotte sociali, e nel 2003 occuparono un palazzo a Roma, in via Napoleone III, fra la stazione Termini e Santa Maria Maggiore: casa Pound, appunto, in ricordo del poeta fascista statunitense Ezra (riquadro nella pagina seguente).

Perché proprio Pound? 
«Per le sue teorie economiche», spiega a Oggi Di Stefano, «perché era contro l’usura delle banche e voleva che il popolo si riappropriasse della moneta nazionale». Teoria propagandata negli anni 90 dal professor Giacinto Auriti e fatta propria anche da Beppe Grillo.

Nel 2008 Gianluca Iannone, musicista e presidente di CasaPound, si candida con La Destra di Daniela Santanché e Francesco Storace. Alle politiche 2013 ottengono 47mila voti (0,14%), un po’ più della Fiamma di Luca Romagnoli e la metà di Forza Nuova di Roberto Fiore, entrambi detestati.

Con Mario Borghezio

Due anni fa alle europee fanno eleggere il leghista Mario Borghezio e inizia la collaborazione con Matteo Salvini, culminata con il comizio comune a piazza del Popolo nel febbraio 2015. Poi però la Lega preferisce tornare all’alleanza con il Pdl, vittoriosa alle regionali in Veneto e Liguria.

La nuova spaccatura nel centrodestra per le comunali di Roma, con Berlusconi e Marchini da una parte e Salvini e Giorgia Meloni dall’altra, non ha fatto rientrare nei giochi CasaPound, che nella capitale spera di ottenere almeno un seggio con il 3,5%: «In realtà Salvini ha messo la Meloni a friggere», maligna Di Stefano, «e lei c’è cascata con tutte le scarpe».

A Milano invece il centrodestra si presenta unito con Stefano Parisi. Il quale rifiuta qualsiasi contatto con l’estrema destra, e ha protestato per la presenza nelle liste della Lega del neofascista 25enne Stefano Pavesi.

Così, i candidati di CasaPound hanno trovato ospitalità nella lista Noi x Milano dell’avvocato Mardegan. Seconda capolista è Angela De Rosa: «Priorità alla lotta contro l’immigrazione e i rom, e per la sicurezza».
Ma questo lo dicono anche Lega e Fratelli d’Italia.
«Sì, ma cosa potranno fare, alleati con i moderati di Forza Italia?»
E allora voi mettetevi con Forza Nuova.
«No, loro sono confessionali».
In che senso?
«Cattolici. Sono contro le unioni gay».
Ah, voi siete a favore?
«Sì, siamo laici. Ci opponiamo solo alle adozioni».
Ma in lista con voi a Milano c’è il Popolo della famiglia dell’integralista Mario Adinolfi.
«È solo un’alleanza tecnica».

CasaPound in Italia ha duemila tesserati (15 euro l’anno), sedi in ogni regione, 15 librerie, venti pub, otto associazioni sportive (pallanuoto, hockey, immersione, moto, ma anche le più marziali paracadutismo e pugilato del “circolo combattenti”), web radio e tv.

Contro i centri sociali

Senta, Di Stefano, anche quest’anno, come ogni 29 aprile, alla commemorazione per il vostro martire Sergio Ramelli a Milano c’erano cortei contrapposti, tensione, traffico bloccato, elicotteri della polizia.
«Lo dica ai centri sociali, che vengono sempre a disturbarci».
Ma sono passati 40 anni ormai.
«E ne sono passati 70 dalla fine della guerra civile, anche noi vorremmo andare oltre».

«Oltre», per CasaPound, significa chiudere le frontiere agli immigrati, cacciare i rom di nazionalità non italiana, mutuo sociale (senza interessi), e soprattutto «sovranità». Ovvero: no euro. In questo siete uguali ai grillini. «No, siamo l’esatto contrario: crediamo nella politica, non siamo antipolitici e qualunquisti».
Mauro Suttora

EZRA POUND: 12 ANNI DI MANICOMIO CRIMINALE AL POETA USA MUSSOLINIANO

È stato uno dei maggiori poeti del Novecento, e solo le sue idee politiche gli hanno impedito di vincere il Nobel. Ezra Pound, nato nell’Idaho, visse dal 1925 al ’45
a Rapallo (Genova).

Era contro il marxismo e il capitalismo. Incontrò una sola volta Mussolini, nel ’33, ma ne rimase affascinato e lo paragonò a Jefferson, terzo presidente Usa. Durante la guerra tenne 600 discorsi di propaganda per il regime alla radio italiana, attaccando «gli ebrei, banchieri usurai». Aderì alla Repubblica di Salò, nel ’45 fu arrestato e consegnato agli americani.

Subì un tracollo mentale, gli fu diagnosticata una schizofrenia e passò 12 anni in un manicomio criminale a Washington. Nel 1957 i suoi amici Hemingway e Robert Frost riuscirono a farlo liberare, e Pound tornò in Italia. Morì a Venezia nel ’72, dov’è sepolto, circondato dall’affetto di poeti come Ferlinghetti e Pasolini.

Nel 2011, dopo due omicidi razzisti avvenuti a Firenze, la figlia di Ezra Pound ha dichiarato di procedere per vie legali contro CasaPound perché riteneva infangato il nome di suo padre: «Un’organizzazione politica compromessa come questa non ha nulla a che fare con lui».
Mauro Suttora

Sunday, April 07, 2013

Grillini complottisti

VITA ALL'INTERNO DEL MOVIMENTO 5 STELLE

di Mauro Suttora

Sette (Corriere della Sera), 5 aprile 2013

«Lo avevo individuato come un povero cretino. Invece è un miserabile stronzo». Non ho mai preso tanti insulti in vita mia come dopo l'articolo che ho scritto quattro mesi fa su Sette, raccontando la mia vita di attivista nel Movimento 5 stelle (M5S). Non ho subìto volantinaggi sotto la redazione, come fecero quelli del Poe (Partito operaio europeo) negli anni '80 dopo un mio articolo sull’Europeo. Ma online si è scatenato l'inferno.

Poco male. Un titolista mi aveva definito «infiltrato», e i grillini si eccitano davanti a questa parola. Vedono infatti complotti dappertutto. Beppe Grillo ora si sente addirittura assediato da «orde di troll»: quelli che lo criticano sul suo blog, e che lui accusa di essere pagati dagli avversari.

Pensavo che i troll fossero solo personaggi di Ibsen finché non sono stato definito così pure io. Pazienza. Ho continuato a frequentare il movimento e a partecipare ai dibattiti online sul Meetup lombardo, sul sito pbworks di Milano, sulle pagine Facebook. M5S infatti non ha sedi fisiche. E alla fine ho votato Grillo.

Si è verificato però un fenomeno curioso: quando si è diffusa la mia fama di «eretico» ho cominciato a ricevere mail private di attivisti che denunciano soprusi interni, manovre, scorrettezze. Ho chiesto a due dirigenti che farne. Quelli mi hanno risposto: «Pubblicale online. La Rete non perdona».

Così ho inguaiato un povero ex assessore Pdl di Como che si era candidato alle regionali: il riciclato, dopo lunga diatriba, non è stato eletto. Poi una mail anonima ha rivelato una «cordata» monzese alle primarie online, dov'era possibile dare tre preferenze. Controllo: in effetti il trio ha sbaragliato tutti i candidati della provincia di Milano, che pure ha il quadruplo degli abitanti. Nulla di strano, le cordate sono una vecchia usanza: per impedirle un referendum impose la preferenza unica nel 1991 (segnando l'inizio della fine per Bettino Craxi, che invitò invano gli elettori ad «andare al mare»). Ironico che Grillo, antisocialista, subisca ora trucchi tipici del Psi.

Denuncio, e subisco di nuovo una marea di «vaffa». Perché i grillini saranno anche nuovi e simpatici, però nei dibattiti intestini sono abbastanza simili agli altri. E così ecco i pusillanimi che in privato ti danno ragione ma in pubblico non si esprimono, i carrieristi che vogliono mantenere buoni rapporti con tutti, i furbi che si arrampicano sui vetri, i fedeli alla linea…

Alla fine una dei tre, senatrice di Monza, si dimette alla prima seduta. Ma i dirigenti lombardi riescono comunque a non mandare a Roma la senatrice più votata alle primarie di Milano, Paola Bernetti, considerata «dissidente» e mobbizzata. Insomma, anche il M5S non è composto solo da verginelle.

Ma la mossa più buffa di Grillo e del guru Gianroberto Casaleggio è stata quella di nominare due blogger, Claudio Messora e Daniele Martinelli, «consulenti» per la comunicazione dei gruppi parlamentari. Badanti, commissari politici, addetti stampa? Dopo qualche giorno di gaffes, i malcapitati sono stati retrocessi al punto di partenza: consulenti. Di non si sa bene che. Quel che si sa, invece, è quel che contengono i loro blog. Messora ha raggiunto la notorietà con la bufala dei terremoti che si potrebbero prevedere. E in fatto di complottismo non lo batte nessuno. Tutta colpa dei massoni: la crisi dell’euro, il disastro Moby Prince, Ustica, i bimbi che scompaiono in Italia e nel mondo, il traffico di organi… È massoneria Emma Bonino, naturalmente (dal blog Byoblu, 15 marzo 2013).

Messora è spesso invitato a L’Ultima parola di Gianluigi Paragone su Rai2 (programma vietato a tutti gli altri grillini, in quanto talk show), dove abbondano pittoreschi blogger che diffondono teorie complottiste degne di Roberto Giacobbo nella parodia che ne fa Maurizio Crozza («Kazzenger»). Si azzuffa su Trattato di Lisbona, Mes o Fiscal Compact con un altro soggettone, l’economista «alternativo» Paolo Barnard, in un clima alla Funari.

Il secondo «consulente» degli eletti grillini, il bergamasco Martinelli, predilige invece il salotto di Barbara D’Urso su Canale 5. La sua nomina ha sollevato proteste dei suoi conterranei M5S di Bergamo: «Trombato con Idv alle regionali 2010, alle comunali di Milano 2011 e contemporaneamente a quelle di Treviglio. Ci ha provato anche con noi, alle primarie lo scorso dicembre. Ha preso pochissimi voti. Poi è sparito».

In compenso, Martinelli appena nominato ha messo subito le cose a posto con l‘Euro: «È un complotto massonico», ha sparato. Le bestie nere del paranoici antieuropeisti si chiamano Bilderberg e Trilateral. Chiunque abbia osato accettare un invito di questi club internazionali, così segreti che pubblicano gli elenchi dei partecipanti sui loro siti, è marchiato per sempre. Per spaventarsi basta qualsiasi nome inglese, quindi vanno bene anche Aspen o Goldman Sachs.

È un sottobosco contiguo ma in parte sovrapposto ai grillini, che non leggono i giornali (molti neanche i libri), si abbeverano solo su internet, e quindi sono facile preda dei cialtroni. Per esempio Gian Paolo Vanoli, che ha imperversato per mesi sul Meetup lombardo demonizzando i vaccini, finché ha dichiarato «Provocano l’omosessualità, che è una malattia». E anche: «L’Aids non esiste» (complotto delle multinazionali per vendere medicine, lo conferma Messora). «L’urinoterapia cura tutte le malattie, così a mia moglie sono tornate le mestruazioni a 70 anni; basta bere la seconda della giornata, non la prima». E infine: «L’ipnosi è un buon metodo contraccettivo».

I cospirazionisti del web negano l’11 settembre (il crollo delle Torri di New York fu una messinscena ebraica), vogliono curare il cancro col bicarbonato, si preoccupano per le «scie chimiche» (quelle degli aerei, che verrebbero irrorate apposta per alterare il clima). 

Ma la mania attualmente più gettonata è quella contro il «signoraggio bancario». La crisi dell’euro, infatti, ha fatto rinascere la polemica sulla sovranità monetaria iniziata vent’anni fa dal professor Giacinto Auriti, con qualche buon argomento contro le banche centrali. Una battaglia fatta propria da Grillo, che però negli ultimi tempi l’ha un po’ abbandonata. I suoi «economisti», invece, hanno buon gioco nel constatare che i Paesi di Eurolandia hanno perso la potestà di battere moneta, assunta dalla Bce. E quale bersaglio più facile della Banca centrale europea, «potere forte non eletto»? I Meetup grillini ribollono di invettive.

Nella famosa puntata di Servizio pubblico a gennaio con Silvio Berlusconi, Michele Santoro invitò una certa Francesca Salvador, signora veneta che si lanciò nel solito lamento contro le banche che strozzano i poveri imprenditori. La Salvador è attiva nell’associazione Salusbellatrix che tiene conferenze sugli argomenti più disparati. Tutti però accomunati da un mistero mondiale da scoprire o una truffa planetaria da svelare, dall’Aids alla pedofilia. 
Non manca l’antisemitismo, con un’accusa di nazismo a Israele, e con la spiegazione della strage dei ragazzini in Norvegia nel 2011: Oslo punita per essere stata la prima a riconoscere lo stato palestinese…

Anche nei Meetup M5S ogni tanto qualche sciagurato definisce Israele «fascista», e non sempre viene zittito all’unanimità come ci si aspetterebbe. Questo mi tocca vedere nei siti grillini, assieme alle tante cose belle che mi hanno spinto a votarli. Ma se oso scriverlo su Sette, sono guai: complotto!
Mauro Suttora

www.cinquantamila.it

Wednesday, February 27, 2013

I tre Grillo



IL TRIONFO DEL MOVIMENTO 5 STELLE

È una rivoluzione. Nella storia dei paesi occidentali non era mai successo che un gruppo di sconosciuti dilettanti della politica, al debutto, diventasse il primo partito. 
Ora il futuro degli italiani dipende dalle scelte del suo leader. 
Per capire che cosa ci aspetta, ecco chi è l’uomo che ha sbancato alle elezioni


Oggi, 25 febbraio 2013

di Mauro Suttora

Chi è veramente Beppe Grillo? Probabilmente non lo sa neppure lui. Troppo distanti sono le tre versioni di questo 64enne geniale: prima cocco della tv del regime democristiano (figlioccio di Pippo Baudo, 1977-92), poi apostolo dell’ecologia antitecnologica (spaccava computer sul palco dei teatri, 1993-2004), infine cantore della Rete e capopopolo (2005-oggi).

Il punto di svolta è la sera del 15 novembre 1986. Durante Fantastico 7, il varietà del sabato sera presentato da Baudo, gli scappa l'ormai leggendaria battuta contro Bettino Craxi, allora premier e capo del Psi, l’uomo più potente d’Italia: «I socialisti erano in Cina, e Martelli chiede a Craxi: “Ma se qui sono tutti socialisti, a chi rubano?”».

La vulgata recita che da allora, dopo furibonda telefonata di Craxi a Baudo, Grillo sarebbe stato espulso dalla Rai. Nient’affatto. Anzi, ogni sua successiva apparizione era garanzia di audience, perché l’odore di zolfo attirava gli spettatori. Fin dove si sarebbe spinto il comico nell’offesa? Nel frattempo, inoltre, il dc Ciriaco De Mita aveva fatto fuori Craxi. Quindi via libera a Grillo per memorabili e lunghe comparsate a Sanremo nell’88 e '89. Dove con i suoi impareggiabili tempi teatrali, apparentemente spontanei e invece studiatissimi (come oggi), poteva andare avanti all’infinito sul filo del rasoio del vaffa al politico.

I suoi autori allora erano Michele Serra (oggi ancora a Sanremo a scrivere testi, ma per Fabio Fazio) e Stefano Benni. Memorabile l’insulto a Jovanotti, che ancora lo odia.
Altra curiosità: sì, Grillo ha lavorato anche per Silvio Berlusconi. Almeno tre Telegatti, ma anche il suo terzo e ultimo film, scritto da Benni e prodotto dalla berlusconiana Rete Italia. Musiche di Fabrizio De Andrè, coprotagonista Jerry Hall, moglie di Mick Jagger dei Rolling Stones. Berlusconi non si arricchì grazie a questo film, ma oggi può dichiarare con sufficienza: «Sì, Grillo ha lavorato per me. Ottimo comico, è rimasto tale».

Intanto però, sulle orme di Giorgio Gaber, Grillo preferisce il teatro (poi i palasport, con prezzi non popolari) alla tv. E vira sull’ecologia. Il suo primo recital si chiama ironicamente Buone notizie. E trova uno sbocco tv nel dicembre ’93, quando grazie a Tangentopoli i partiti allentano il controllo sulla Rai. Vanno in onda due puntate del Beppe Grillo Show in prima serata su Rai1. Uno sfracello: 15 milioni incollati a sentire Grillo già trasformato in Savonarola.

Ed ecco Beppe nella sua seconda incarnazione. Successo straordinario nelle tournée, tutto esaurito, incassi e redditi miliardari. Villa a Porto Cervo, yacht, bella vita, la seconda moglie persiana Parvin (ex di un calciatore). Insomma, ognuno si porta dietro le sue contraddizioni: anticonsumista, ma vita privata molto smeralda accanto a Flavio Briatore (ho scritto «accanto», caro avvocato di Grillo, non «con»).

Oltre all’ambientalismo l’inesauribile Beppe, curioso ed eclettico come tutti gli autodidatti (non si è laureato, e neppure il suo guru Gianroberto Casaleggio) trova altri bersagli: il signoraggio delle banche, combattuto dal professor Giacinto Auriti, e soprattutto le memorabili campagne da difensore dei piccoli azionisti Telecom e Parmalat, contro le grandi truffe di regime.

Il terreno erà già seminato per il terzo Grillo: il politico che surfa sulla Rete. Casaleggio gli compare davanti nel camerino, è amore a prima vista. Poi la decisione di lanciare il blog nazionale e attrarre proseliti nei Meetup (piattaforma Usa, scelta contestata dai puristi di sinistra). Infine, nel 2007, il primo Vaffa-Day.

Il resto è storia. In memoria del Vaffa, la V del MoVimento 5 Stelle resta in maiuscolo. E maiuscolo è il vaffa appena decretato dagli elettori contro tutti gli altri partiti.
Così, abbiamo la prima rivoluzione guidata da un miliardario simpaticissimo, e dal suo moVimento che ha sede (Casaleggio Associati) fra Montenapoleone e La Scala, a Milano, in una zona da 20 mila euro al metro quadro. Buon divertimento.
Mauro Suttora

Tuesday, November 27, 2007

lib magazine intervista suttora

Mauro Suttora risponde

Mauro Suttora è un privilegiato. Già. Leggi il suo libro, "No Sex in the city" (Cairo edizioni, 2006) e lo invidi ogni pagina. Sempre di più. Per studiare l'antropologia del popolo americano, sceglie autonomamente di partire dalle donne e di studiarne ogni loro antro. Giornalista della Rizzoli Corriere della Sera (scrive su Oggi, che lui definisce "fantastico settimanale pop"), vive tra Roma e Manhattan. E' columnist di Newsweek e del New York Observer. In Italia, di tanto in tanto, i suoi articoli vengono pubblicati sul Foglio. Noi di LibMagazine, siccome siamo fortunati, lo abbiamo avvicinato. Piacevolissimo!

LibMagazine: l'America è la più grande democrazia del mondo. Alla base della democrazia il pluralismo: politico, culturale. La cosa che più mi ha colpito del suo libro "No Sex in the city" è invece il modo semplicistico con cui gli Americani, le Americane si accostino alle problematiche. Ragionamenti semplici, poca analisi, il tutto all'interno di un perimetro di valori e di regole di vita elementari e che non lasciano spazio per flessibilità. Il tempo è denaro, come si direbbe, e quello che conta è il fare. E' tutto proprio cosi?

Mauro Suttora: Sì, ed è per questo che amo gli americani. Perché, come diceva Giolitti - che ho scoperto qui a Roma pensano sia un gelataio - quando hanno finito di dire quel che devono dire, hanno finito anche di parlare. Insomma, sono l'esatto contrario di Pannella. Ieri sera ho assistito alla presentazione romana di "Piena disoccupazione", l'ultimo libro di Massimo Gaggi, corrispondente da New York del Corsera. Enrico Letta, che anche se fa il giovanilista è nato che era già molto vecchio, invece di dire "Non sono d'accordo su questa parte del libro", è riuscito a pronunciare queste parole: "Mi pongo in rapporto dialettico con questa parte del libro". Sono rabbrividito: mi è sembrato di ripiombare in una sezione del Pci degli anni '70, dove i giovani Veltroni strologavano in sociologhese. Un americano non riuscirebbe mai a dire "mi pongo in rapporto dialettico" neanche sotto tortura. Comunque, lei ha ragione: non confondiamo semplicità con semplicismo.

LibMagazine: Alla domanda precedente mentivo. La cosa che mi ha colpito di più del suo libro è stata l'onda verde in Taxi. Arrapante!

Mauro Suttora: Beh, allora deve spiegare di che si tratta. A Manhattan, grazie ai semafori intelligenti e al fatto che tutte le avenues tranne la Park sono a senso unico, se in auto si imbrocca un verde e si mantiene una velocità di crociera media, si riescono a superare senza fermarsi tutti gli incroci, per chilometri. I tassisti sono abilissimi in questo. E io ho avuto una fidanzata americana che quand'era un po' brilla, tornando a casa in taxi la notte da un ristorante o un club, si eccitava, alzava la gonna e mi montava addosso. La prima volta mi imbarazzai perché temevo che il tassista ci spiasse dallo specchietto, nonostante i vetri divisori dei taxi di New York. Poi invece scoprii che tutti erano indifferenti, anche quelli delle auto vicine che davano una sbirciatina quando ci fermavamo per un rosso. Però capitava raramente, perché c'era appunto l'onda verde che manteneva il taxi in continuo movimento, senza rallentamenti agli incroci.

LibMagazine: torno serio. Si dice spesso che l'Italia è il paese dei furbi. La struttura della cosa pubblica è tale che per dimenarsi occorre "sapersi muovere". Mi chiedo se anche nell'America che si è fatta da sé; l'America in cui si partì tutti uguali correndo lungo praterie per conquistarsi il proprio pezzo di terra occorre "sapersi muovere". Mi chiedo se è un paese in cui il "non furbo" può sopravvivere.

Mauro Suttora: Un conto è essere furbi, un altro "sapersi muovere". Lì devi essere sempre "aggressive". Per noi questo è un aggettivo deteriore, per loro invece una qualità indispensabile e ammirata. Non solo nel business, anche nei rapporti umani. Per evitare il peggiorativo, tradurrei con "determinato". Diciamo che mentre in Italia si fa carriera al 70% per parentela e raccomandazioni e al 30 per merito, lì le percentuali sono invertite.
Io ho cominciato come columnist a Newsweek semplicemente andando per caso a pranzo con un caporedattore che, interessato da quello che gli dicevo sull'Onu, mi ha chiesto: perché non lo scrivi? E quattro giorni dopo il mio articolo era in pagina. Mentre in Italia per diventare opinionista di Panorama o Espresso devi avere almeno 50 anni, scrivere da 20, stare nel partito giusto e frequentare qualche combriccola...
A New York invece vai a un aperitivo, a una festa, a una riunione, ovunque, e tutti fanno "social networking". Cioè ti abbordano, ti domandano chi sei e che fai, ti valutano in pochissimi minuti di conversazione cordiale, e se fai colpo o se pensano che gli servi, che si possono fare affari o sesso assieme, ti danno il loro biglietto da visita e pretendono il tuo. Sono curiosissimi, sempre pronti al nuovo. Cioè l'esatto contrario delle feste o incontri in Italia, dove tutti se ne restano barricati nel gruppo dei propri amici e se vedono uno nuovo lo guatano in tralice... Mi viene in mente una bellissima canzone degli Eagles del '76, nel disco 'Hotel California': “New Kid in Town”. Ecco, il nuovo ragazzo che arriva in città ha più possibilità negli Usa che in Italia.

LibMagazine: un mercato così libero, come è quello Americano, è trasportabile in Europa?

Mauro Suttora: Penso di sì, col tempo. In Inghilterra e Irlanda è già così. Ma non è vero che negli Usa il mercato sia così selvaggio. Si perde il lavoro anche senza giusta causa con un preavviso di due settimane, ma lo si trova alla stessa velocità. E c'è il sussidio di disoccupazione per sei mesi. Lì è tutto un turbinio di cambiamenti. Se non ti piace una cosa - un lavoro, una moglie - invece di lamentarti cambi. Ma anche in Italia i giovani hanno contratti a termine, il posto fisso è diventato raro. Solo che qui la parola "precario" è negativa, mentre negli Usa tutto è sempre precario. Anche il capo della banca più potente rischia di essere licenziato dall'oggi al domani. Se penso a certe cariatidi italiane...

LibMagazine: ma per tutti questi appartenenti ai ceti benestanti, che Lei ha avuto modo di frequentare durante la sua permanenza a New York, quanto conta la religione? La sua osservanza?

Mauro Suttora: E' un fatto privatissimo. Molti fanno donazioni, anche perché sono deducibili dalle tasse, e non esiste alcun finanziamento pubblico alle chiese. Quando spiego l'8 per mille o il referendum sulla fecondazione assistita, mi guardano come se venissi da un Paese sottosviluppato. Ma anche gli Usa hanno le loro aree di sottosviluppo, con i pastori evangelici e televisivi nel Texas e nel sud. Sono micidiali, buffissimi.

LibMagazine: Ho letto con gusto il suo "catalogo dei culi di Manhattan". Innanzitutto mi dica:"Ma che rapporto ha lei con il suo culo?"

Mauro Suttora: Copione, è la stessa domanda che ho fatto intervistando Jennifer Lopez. Vent'anni fa il mio attraeva pederasti di ogni nazionalità, ma rimasi vergine (a proposito: mi piace la parola "pederasta", è scorretta quanto "invertito", nessuno la usa più da decenni). Comunque il vero genio in questo campo è Massimo Fini, con il suo sublime "Di(zion)ario erotico", edizioni Marsilio 2001. Io ho solo affibbiato le dieci diverse tipologie di culo da lui individuate a ciascun quartiere di Manhattan.

LibMagazine: la prego, sia indulgente, insisto sul lato B. Per Libmagazine, se la sente di catalogare queste coppie: Bush jr. e Al Gore - Obama e Mrs.Clinton - Berlusconi e Veltroni?

Mauro Suttora: Immagino uguali i sederi di Hillary e Walter: sono quelli flaccidi e colloquiali. Bush e Berlusconi probabilmente hanno quello militare: piccolo, duro e antipatico. Quello di Al Gore non m'interessa, basta la faccia: che cazzo ha fatto per l'ecologia negli otto anni in cui è stato al governo? Quanto a Obama, deve possedere chiappe diffidenti e avare, come quelle dei toscani...

LibMagazine: ma è proprio vero che con i democratici al governo non si sarebbe fatta una politica estera così "espansiva" ? LibMagazine teme di no!

Mauro Suttora: LibMagazine ha ragione nel ritenere i democratici Usa militaristi quasi quanto i repubblicani, e la riprova arriverà fra un anno con la presidente Clinton. Infatti suo marito negli anni '90 non abbassò le spese militari: si limitò a non alzarle, nonostante la scomparsa della minaccia sovietica. Però cagate come le invasioni di Afghanistan e Iraq poteva farle solo Bush.
La frase più memorabile la ricordo pronunciata da un neocon al Council on Foreign Relations, un club di Manhattan dove politici, miliardari e accademici si illudono di governare il mondo. Questo tale Max Boot (nomen omen: Massimo Stivale) nel 2003 sostenne che gli Usa avrebbero portato la democrazia a Kabul e Bagdad così come fecero con Roma, Berlino e Tokio. Come se noi prima del loro arrivo fossimo stati abitati da tribù di allevatori di capre... Comunque, visto che arriccia il naso, le comunico che essere antimilitaristi è di destra, perché i liberali sono per lo stato leggero, mentre non c'è niente di più pesante delle forze armate.

LibMagazine: vino preferito? Glielo chiedo perché vorrei capire quanto è vera l'America dipinta da Sideways, quel film in cui un gruppo di amici viaggia in California lungo itinerari enogastronomici, improbabili e non sempre super-pregiati (enologicamente).

Mauro Suttora: Veramente quelli di Sideways sono due sfigati che la metà basta. Gli statunitensi non capiscono nulla di vini. Qualsiasi nostro beone della Carnia è più ferrato di loro. Nel mio libro racconto che i newyorkesi accettano di pagare somme spropositate nei bar, anche 15 dollari, per qualsiasi bicchiere di vini imprecisati. Ti chiedono soltanto: "Red or white?", senza specificare altro. Ma è molto trendy atteggiarsi a esperti enologi. Anch'io, che di vini mi importa nulla, lo faccio a volte per darmi un tono. E il bello è che mi prendono sul serio. Sono un neocon dei vini.

LibMagazine: l'America consuma ciò che viene prodotto in Cina e India. Imperversa la serializzazione e la parcellizzazione del lavoro. La verticalità nella specializzazione alla orizzontalità. Valore educativo e formativo fondamentale e del quale si è occupato recentemente, in una lectio Magistralis, George Steiner. Ma che tipo di scuola forma gli Americani? Dove nasce questo patriottismo, questo forte attaccamento alla famiglia, alla comunità?

Mauro Suttora: Madonna come parla difficile. Io sono solo un umile cronista, come dice Bordin di Radio radicale. E poi lei usa parole inquietanti come patriottismo e famiglia. Fronterré, non è che sotto l'aspetto liberale in lei batte un cuore un po' fascistone, come Capezzone? Ho fatto l'anno 1976/77 in un liceo di Madison (Connecticut) con una borsa di studio Afs/Intercultura, ho preso il diploma e avevo A, cioè il voto massimo, in tutte le materie. E questo dice tutto sul livello dei loro licei. I primi quattro anni delle loro università, gli "undergraduate", equivalgono a un nostro buon liceo. Poi cominciano a fare sul serio. E in campo scientifico sono imbattibili: in un solo isolato della Columbia University a New York insegnano e sperimentano più premi Nobel che in tutta Europa.
Quanto allo spirito civico, è vero: ne hanno molto più di noi. Ma è semplicemente un retaggio della civiltà nordeuropea, degli emigrati anglosassoni e poi tedeschi e scandinavi. Per loro "community" significa veramente comunità. E questo a livello locale è magico. Sul patriottismo, invece, io sto con Dürrennmatt, che disse: "Quando lo stato si prepara ad ammazzare, si fa chiamare patria". Ho visitato il cimitero militare di Arlington, mi sono commosso davanti alle tombe dei Kennedy, ma vedendo tutte quelle croci di giovanissimi soldati le ho subito associate alle facce grasse e rubizze di certi grandi azionisti di industrie belliche come Boeing o General Electric o Northrop - tanto per non far nomi - diventati miliardari mandandoli a farsi ammazzare. Ma mi scusi, scivoliamo sempre in politica. Comunque grazie per l'accenno a Steiner, mi è piaciuto il suo Correttore di Bozze. Mi riprometto di leggere anche Lectio Magistralis, così mi solleverò dai livelli di Bordin.

LibMagazine: Dove andiamo? Dinamismo Atlantico. Già. Pensa che le donne italiane ci metteranno tanto a diventare così nomadi con le domande?

Mauro Suttora: Ah, sì, la frase preferita della mia ex fidanzata americana Marsha quando improvvisamente diventava seria e voleva fare il punto della situazione fra noi (traduzione: sposarsi) era: "Mauro, dove stiamo andando?". Io di solito le rispondevo: "Ma perché bisogna andare da qualche parte? Non si può restare qui, fermarsi? Non va bene così?". E lei si imbestialiva. Giustamente. Perché il motto dell'America è: "On the road". Sempre in movimento, Kerouak. E' per questo che gli Stati Uniti ci affascinano. Tutti alla costante ricerca di nuove avventure. Senza scoraggiarsi mai. Provando e riprovando. Come cantava Janis Joplin: "Try, just a little bit harder". Provaci, con un po' piu' d'impegno. In Italia invece siamo depressi perché ci rassegnamo troppo presto. In questo potrebbe avere ragione perfino Bush: a forza di rimanere in Iraq, magari alla fine vince veramente lui.
Anche la mia Marsha era testardissima, ci dava dentro finché non otteneva quel che voleva. In ogni campo: lavoro, amore. Dolcemente aggressiva, determinata. E se alla fine andava a sbattere, almeno non si trascinava dietro i rimpianti di noi europei decadenti. "A bad day is when you think about things that might have been", un giorno brutto è quando pensi a come le cose avrebbero potuto essere, sostiene nella sua 'Slip sliding Away' il mio filosofo preferito, Paul Simon (senza Garfunkel). Il peggio è Magris, con le sue troiate sulla Mitteleuropa. Ragazzi, so di che parlo, sono figlio di profughi dalla splendida isola di Lussino, ho fatto l'università a Trieste, adoro esteticamente il Caffè degli Specchi, ma di fronte a certe seghe passatiste non posso che ribattere all'americana: "Move on", andiamo avanti, procediamo. Quasi rivaluto i marinettiani.

LibMagazine: Cosa salva noi Europei? Cosa ci difende dalla subliminale e markettara capacità di persuasione d'oltreoceano?

Mauro Suttora: Nulla. Ci siamo fatti persuadere da Stalin, Hitler, Mussolini, e poi per passare dai giganti ai nani da Fanfani, Craxi, e oggi Berlusconi, Veltroni, Prodi. Prodi, ma ci rendiamo conto? Uno che appena apre bocca sembra un mongoloide. Pardon, diversamente dotato. "Verbally challenged", sfidato verbalmente, lo definivano gli inglesi quand'era presidente Ue a Bruxelles.

LibMagazine: Negli anni 90 si parlava del primato della economia sulla politica. Oggi diremmo che all'interno della economia vige il primato del marchio sul prodotto. La promozione, la comunicazione alla manifattura. Lo spopolamento delle fabbriche, la loro chiusura ha rotto quel meccanismo secondo il quale il produttore diventava anche consumatore dei beni che aveva contribuito a produrre. Nike, Shell sono simboli di una economia che veicola valori, idee, ma non produce nulla. Sono scoppiati scandali per lo sfruttamento dei lavoratori, ma il dato più preoccupante a mio avviso è l'interruzione di un certo ricambio generazionale di competenze, di saper fare. Cosa ne pensa?

Mauro Suttora: Fronterré, le ribadisco che lei parla troppo complicato. Intuisco animalescamente qualcosa di quello che mi dice e penso di concordare su quasi tutto, perché sono un figlio della controcultura anni '60 e quindi anch'io mi sono abbeverato a Marcuse e Pasolini. Posso solo risponderle che vesto Oviesse a dei marchi mi frega un cazzo, però anche questo è pericoloso perché a forza di sentirmi dire "fregauncazzo" la povera Marsha pensava che fosse un sinonimo di "fa niente", "non importa". Così quando un barista in Italia le ha chiesto se voleva acqua liscia o frizzante, lei ha risposto "fregauncazzo".
Sì, sono totalmente anticonsumista. Però rispetto al "ricambio generazionale di competenze" che si sarebbe interrotto, dipende quali. Mio padre è competente in marketing, ma se fosse stato operaio alla Breda per me sarebbe stato lo stesso, sono indifferente ai suoi "saperi" in quel campo. Invece mio nonno insegnava greco e latino, e io mi sento un suo seppure indegno discendente. Ecco, se nelle loro high school imparassero il greco e il latino forse gli americani sarebbero perfetti.

LibMagazine: lei giustamente fa notare che l'America fa molto la guerra perché fa poco l'amore. LibMagazine la ringrazia per aver cercato di invertire la rotta. Nel suo piccolo si intende!

Mauro Suttora: veramente ho ipotizzato l'esatto contrario: che in Usa oggi si faccia poco l'amore perché si fa molto la guerra. Nel senso dell'ideologia che permea il tutto, ovviamente. Non so, vediamo se riesco a contraddirmi popperianamente: negli anni '60 si faceva la guerra (in Vietnam) ma si faceva molto anche l'amore. La differenza è che allora i giovani erano 'obbligati' tutti a fare la guerra, mentre ora a morire ci vanno solo i volontari: o i fanatici, o i poveracci con nulla di meglio da fare.

LibMagazine: ha Lei una domanda per LibMagazine?

Mauro Suttora: Perché sono sempre più belle le cose fatte gratis, come questa intervista, invece di quelle a pagamento? Forse bisognerebbe abolire i soldi, come dice ogni tanto Beppe Grillo ricordando quel genio del professor Giacinto Auriti.

Michele Fronterre'

Friday, March 13, 1998

Giacinto Auriti

chi e' l' ispiratore di Beppe Grillo

CHE STRANA COPPIA

Dietro l'ultima crociata del comico genovese contro la Banca d'Italia c'e' un docente di diritto internazionale, consulente di Alleanza nazionale

di Mauro Suttora

settimanale «Il Mondo», 13 marzo 1998

"Una volta c'erano i gangster, adesso si chiamano bankster. Sono i governatori delle banche centrali mondiali: Tietmeyer, Greenspan, Matsushita. Comandano loro, sono i nuovi Toto' Riina, hanno tutto in mano. Ti prestano i tuoi soldi e ti chiedono pure gli interessi...". "Anche qui da noi, il vero padrone del Paese e' il governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio. I ministri del Tesoro dei governi italiani sono sempre stati i camerieri della Banca d'Italia..."

Come avranno avuto modo di sentire i suoi tanti fan, quest'anno il bersaglio principale del nuovo spettacolo di Beppe Grillo e' la Banca d'Italia. Nessuno conosce, pero', l'ispiratore dell'ultima crociata del comico genovese, un professore universitario abruzzese. Per la precisione Giacinto Auriti, 74 anni, docente di diritto internazionale alla facolta' di giurisprudenza a Teramo e avvocato cassazionista. Ma non solo, perche' il professore, oltre che di Grillo, e' consulente anche di Alleanza nazionale, tanto che parlamentari di An, Forza Italia e Ccd hanno presentato una proposta di legge per concretizzare le sue teorie sulla "moneta popolare". Anche se il discepolo piu' accanito del professore resta Nicola Cucullo, sindaco di Chieti dal 1993, rieletto tre mesi fa con il 59% dei voti. Cucullo milita nel Movimento sociale-Fiamma tricolore di Pino Rauti, e ha dedicato la sua ultima vittoria a Benito Mussolini. Singolare compagnia, per l'anarchico-verde di sinistra Beppe Grillo.

"Io sono apartitico", precisa Auriti. "Anche Rifondazione comunista mi ha invitato ai suoi convegni, vado da chi mi chiama". E' stato Grillo, pero', ad andare da lui un anno fa, a una conferenza tenutasi ad Atri (Teramo) per il Corso di perfezionamento postuniversitario in Studi dei valori giuridici e monetari diretto dal professore. E a rimanerne conquistato. Tanto da nominarlo sul campo ispiratore delle tesi del suo nuovo spettacolo.

Esproprio

Auriti, infatti, conduce da anni una solitaria battaglia contro la Banca d'Italia, che accusa, senza ombra di smentite e senza il beneficio del dubbio, di "avere espropriato i cittadini della sovranita' monetaria". "Oggi noi ci illudiamo di essere i proprietari dei soldi che abbiamo in tasca", sostiene convinto, "ma in realta' non e' cosi'. Tutti sappiamo, infatti, che anche se sulle banconote leggiamo 'lire centomila pagabili a vista al portatore', la Banca d'Italia non ci dara' mai l'equivalente in oro. Quindi, la Banca d'Italia spaccia per moneta una falsa cambiale. I cittadini sono convinti che la moneta sia dello Stato, ma non e' cosi': e' Bankitalia a emetterla e a 'prestarla' poi allo Stato e alle banche pretendendo gli interessi. Ma perche' lo Stato, cioe' tutti noi, quando ha bisogno di soldi e' costretto a chiederli in prestito, con gli interessi, alla Banca d'Italia? Chi e' disposto a pagare l'affitto per una casa di sua proprieta'?".

Com'e' evidente, l'invettiva del suggeritore di Grillo non va tanto per il sottile, anche quando affronta aspetti delicati e complessi. "Una volta le Casse di risparmio erano enti morali, ma oggi sono anch'esse spa, cioe' societa' anonime a scopo di lucro. Da sola la Cariplo controlla il 19 % della Banca d'Italia. Ma adesso, dopo il suo matrimonio con il privatissimo Banco Ambroveneto, c'e' il rischio che la Banca d'Italia cada in mano a dei privati. Non sono solo io a dirlo, tant'e' vero che molti vogliono riportare Bankitalia sotto il controllo del Tesoro. Ma a quel punto, tanto varrebbe che fosse il ministro a firmare le banconote, e non piu' il governatore della Banca d'Italia".

Il trattato di Maastricht, pero', vieta il controllo politico sulle banche centrali. E qui il professor Auriti va a nozze: "Infatti. Noi stiamo regalando il principale potere di uno Stato, quello di battere moneta, a dei governatori centrali che nessuno ha mai eletto. Bella democrazia. Perfino Carlo Azeglio Ciampi si e' reso conto di quest'assurdita', e ha chiesto una qualche forma di controllo democratico sulla futura Banca centrale europea".

Domanda d'obbligo: ma se il sistema attuale funziona bene, perche' cambiarlo?
"Perche' e' una truffa", esclama il professore. "I cittadini, oltre a ignorare che la moneta non e' dello Stato, sono convinti che essa abbia un valore perche' esiste una certa quantita' di oro depositato nelle Banche centrali. Ma anche questo e' falso. Dal 1971, come si sa, e' stata abolita la convertibilita' in oro e oggi il valore nominale del denaro in circolazione supera, solo nei Paesi occidentali, di 10-12 volte quello dell'oro nei forzieri".

Secondo Auriti e Grillo le banconote sono solo dei pezzi di carta. "Dobbiamo riappropriarci dei nostri soldi istituendo la "proprieta' popolare della moneta" e dando a ogni cittadino il diritto di percepire la sua quota di reddito dell'emissione monetaria e del capitale amministrato dallo Stato. Bisogna cominciare dal basso. Il consiglio comunale di Chieti, ma anche quelli di Teramo e Pescara, hanno gia' detto si' al mio progetto..."

Chi poi cerca un esempio nella realta' lo puo' gia' trovare in America: la citta' di Ithaca, 40 mila abitanti, nello Stato di New York, ha emesso sue banconote. E cosi' altre citta' statunitensi piu' grandi, come Santa Fe, Kansas City e Indianapolis. Con l'approvazione dei tribunali. Insomma, il comico genovese e il suo singolare ispiratore vogliono tornare agli assegnini da 100 o 500 lire che le banche italiane stampavano vent'anni fa, quando mancavano gli spiccioli. Altro che Euro.

Mauro Suttora