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Tuesday, April 20, 2021

Grillo scagiona il figlio

“E tutte le vittime tritate dal populismo a 5 Stelle?”

intervista a Mauro Suttora di Federico Ferraù

Ilsussidiario.net, 20 aprile 2021

“Grillo dovrebbe ricordarsi di tutti politici e personaggi tritati dal populismo a 5 Stelle negli ultimi 15 anni, da Bassolino a Bertolaso. Ora è la nemesi”

Arriva e si siede davanti alla webcam. Esplode, subito. “Mio figlio è su tutti i giornali come uno stupratore seriale”. Eccolo il motivo. È un crescendo. Grillo gesticola, urla. Se la prende con l’informazione. Ciro Grillo, il figlio del fondatore e garante del Movimento 5 Stelle, è indagato con tre amici dalla procura di Tempio Pausania con l’accusa di violenza sessuale di gruppo.

I fatti risalgono alla notte tra il 15 e il 16 luglio 2019, la vittima è una ragazza italo-svedese. “Gli stupratori vengono presi e interrogati in galera o ai domiciliari”, invece suo figlio e gli amici “sono lasciati liberi per due anni, perché?”, urla Grillo. “Perché vi siete resi conto che non è vero niente che c’è stato lo stupro. Perché una persona che viene stuprata la mattina, al pomeriggio va in kitesurf e dopo otto giorni fa la denuncia… vi è sembrato strano. Sì, è strano” grida come una furia il leader di M5s. E ancora: “C’è il video, si vede che lei è consenziente, che c’è il gruppo che ride, che sono ragazzi di 19 anni”. Lo show disperato di Grillo finisce poco dopo.

Un messaggio violento e sessista: le reazioni sono pressoché concordi nel condannare il nuovo abuso mediatico della vittima. La famiglia della ragazza, attraverso il legale Giulia Bongiorno, parla di “farsa ripugnante”. Qualcuno fa notare che dall’exploit di Grillo traspare un’ignoranza completa delle più elementari nozioni di giustizia penale, insieme ad un’immagine della giustizia come arma brutale, la stessa che il giustizialista Grillo ha sventolato per anni nelle piazze. “Io ci ho messo 6 mesi per denunciare la violenza”, dice Federica Daga, deputata M5s.

“Grillo dovrebbe ricordarsi di tutti politici e personaggi tritati dal populismo a 5 Stelle negli ultimi 15 anni, da Bassolino a Bertolaso. Ora è la nemesi” dice Mauro Suttora, giornalista, collaboratore dell’Huffington, giornalista e scrittore, da anni attento osservatore del fenomeno grillino. “In un Paese normale” commenta “il 19 aprile 2021 segnerebbe la fine del Grillo politico”.

Ciro Grillo è innocente fino al terzo grado di giudizio. Se ne parliamo è a motivo del padre, che ieri ha diffuso un messaggio immediatamente subissato di critiche. Perché è intervenuto?

Per una plateale crisi isterica, direi. Non so trovare altri motivi. Non si era mai visto un politico, un comico, un padre, o semplicemente un uomo, perdere la testa in modo così evidente e violento. E volersi mostrare in pubblico, filmandosi e offrendosi online. Se non fosse grottesco, sarebbe tragico: una specie di re Lear al pesto genovese.

Abbiamo visto lo sfogo di un Grillo iper-garantista. I conti tornano?

Guardandolo urlare mi è venuta in mente Federica Guidi, figlia di un potente industriale. Oggi probabilmente nessuno la ricorda, ma fu ministra dello Sviluppo economico dal 2014 al 2016, nel governo Renzi. Se passerà alla storia, sarà per essersi lamentata col fidanzato perché lui la trattava come una “sguattera guatemalteca”. Li intercettavano, e per la soddisfazione di Grillo quelle sue parole furono pubblicate, illegalmente perché erano umiliazioni private, senza alcun nesso con l’accusa di “traffico di influenze” per cui era indagato il fidanzato. Lei no, non era neppure indagata. Però i forcaioli grillini chiesero subito le sue dimissioni, e le ottennero. Un anno dopo il caso fu archiviato, ma alla Guidi non ridiedero la poltrona. Solo che lei ci risparmiò una sceneggiata alla Grillo, cui avrebbe avuto diritto.

Allora chi altri dovrebbe difendere, Grillo, oltre al proprio figlio?

Dovrebbe ricordarsi di tutti politici e personaggi tritati dal populismo a 5 Stelle negli ultimi 15 anni, da Bassolino a Bertolaso. Ora è la nemesi.

“Che Beppe Grillo usi il suo potere mediatico e politico per assolvere il figlio è vergognoso” ha detto la Boschi. Che cosa ci dice dal punto di vista mediatico l’iniziativa di Grillo?

Ci dice che in realtà i meno colpevoli per la disavventura del figlio siamo proprio noi giornalisti. Che abbiamo sempre trattato coi guanti i guai privati dei suoi figli. Tutti sapevamo di certe vicende di droga del passato – non di Ciro – ma nessuno le ha mai sfruttate, la privacy familiare è stata rispettata. E così in questi quasi due anni di inchiesta per il presunto stupro di Porto Cervo. Un’eternità. Quasi tutti i tg non avevano neanche dato la notizia dell’imminente incriminazione. Se il padre non avesse sbroccato, la maggioranza degli italiani l’avrebbe ignorata.

Come commenti le poche difese imbarazzate provenienti da M5s?

È questo il risvolto più grave, da un punto di vista politico. Perché i grillini sono ancora il partito più grosso in Parlamento, e accettano di essere guidati da un uomo con evidenti problemi di equilibrio. I più furbi si sono chiusi in un dignitoso silenzio, ma nessuno osa prenderne le distanze.

Lo sfogo mediatico di Grillo non dovrebbe imporre una svolta garantista?

Il garantismo non lo conoscono, i grillini. Sarebbe come pretendere che un felino diventi vegetariano. Per la legge del contrappasso, il povero Ciro è stato più danneggiato che difeso dalla piazzata paterna.

Come inciderà questa vicenda?

In un Paese normale il 19 aprile 2021 segnerebbe la fine del Grillo politico. Ma un Paese che tre anni fa gli ha dato un terzo dei voti non è normale. I grillini più accorti si sono già riciclati. Di Maio si è definito “liberale e moderato”. Di Battista almeno evita certi trasformismi alla Conte.

A proposito di Conte e non solo lui; in M5s è il caos.

Dopodomani scade l’ultimatum del rampollo Casaleggio, che pretende 450mila euro dai parlamentari grillini. Se non glieli danno, lui si terrà il prezioso indirizzario dei 190mila registrati al Movimento. Ne vedremo di tutti i colori.

Federico Ferraù

Wednesday, May 18, 2016

Cos'è Casa Pound?

ECCO I FASCISTI DEL TERZO MILLENNIO A Bolzano hanno superato il 6%, con tre eletti. Orasi presentano a Roma, Torino, Milano e Napoli. Un anno fa stavano con Salvini. Adesso l’estrema destra è tornata sola. Ma l’ha sdoganata perfino la Boschi

Oggi, 18 maggio 2016

di Mauro Suttora

Difficile far somigliare una tartaruga a una svastica. Ci provano, con un simbolo nero su sfondo rosso, come nelle inquietanti bandiere naziste, i «fascisti del terzo millennio» (autodefinizione) di CasaPound.

Il movimento ha ottenuto un clamoroso 6% al voto di Bolzano, eleggendo tre consiglieri comunali. E ora guarda con speranza al 5 giugno, quando presenterà proprie liste a Roma, Torino, Latina e Lanciano (Chieti). A Milano c’è un’alleanza con il candidato sindaco Nicolò Mardegan (ex An, Pdl e Ncd), a Napoli con Marcello Taglialatela (deputato Fdi), a Sulmona (L’Aquila) con la lista Sovranità.

A dare una mano alla notorietà dei neofascisti si è aggiunta Maria Elena Boschi: ha accusato i propri colleghi Pd di «votare come CasaPound» se diranno no alla riforma costituzionale nel referendum di ottobre. «Ringrazio per lo spot, le manderò un mazzo di rose rosse», ha replicato alla ministra Simone Di Stefano, vicepresidente dei casapoundini.

Ma cos’è CasaPound? E perché si chiama così? Tutto è iniziato nel 1994, quando il Msi (Movimento sociale italiano) andò al governo con Silvio Berlusconi e si trasformò in An (Alleanza nazionale).

I missini più estremisti rifiutarono la svolta, e si frantumarono in partitini come Fiamma Tricolore, La Destra, Forza Nuova. I movimentisti si diedero a lotte sociali, e nel 2003 occuparono un palazzo a Roma, in via Napoleone III, fra la stazione Termini e Santa Maria Maggiore: casa Pound, appunto, in ricordo del poeta fascista statunitense Ezra (riquadro nella pagina seguente).

Perché proprio Pound? 
«Per le sue teorie economiche», spiega a Oggi Di Stefano, «perché era contro l’usura delle banche e voleva che il popolo si riappropriasse della moneta nazionale». Teoria propagandata negli anni 90 dal professor Giacinto Auriti e fatta propria anche da Beppe Grillo.

Nel 2008 Gianluca Iannone, musicista e presidente di CasaPound, si candida con La Destra di Daniela Santanché e Francesco Storace. Alle politiche 2013 ottengono 47mila voti (0,14%), un po’ più della Fiamma di Luca Romagnoli e la metà di Forza Nuova di Roberto Fiore, entrambi detestati.

Con Mario Borghezio

Due anni fa alle europee fanno eleggere il leghista Mario Borghezio e inizia la collaborazione con Matteo Salvini, culminata con il comizio comune a piazza del Popolo nel febbraio 2015. Poi però la Lega preferisce tornare all’alleanza con il Pdl, vittoriosa alle regionali in Veneto e Liguria.

La nuova spaccatura nel centrodestra per le comunali di Roma, con Berlusconi e Marchini da una parte e Salvini e Giorgia Meloni dall’altra, non ha fatto rientrare nei giochi CasaPound, che nella capitale spera di ottenere almeno un seggio con il 3,5%: «In realtà Salvini ha messo la Meloni a friggere», maligna Di Stefano, «e lei c’è cascata con tutte le scarpe».

A Milano invece il centrodestra si presenta unito con Stefano Parisi. Il quale rifiuta qualsiasi contatto con l’estrema destra, e ha protestato per la presenza nelle liste della Lega del neofascista 25enne Stefano Pavesi.

Così, i candidati di CasaPound hanno trovato ospitalità nella lista Noi x Milano dell’avvocato Mardegan. Seconda capolista è Angela De Rosa: «Priorità alla lotta contro l’immigrazione e i rom, e per la sicurezza».
Ma questo lo dicono anche Lega e Fratelli d’Italia.
«Sì, ma cosa potranno fare, alleati con i moderati di Forza Italia?»
E allora voi mettetevi con Forza Nuova.
«No, loro sono confessionali».
In che senso?
«Cattolici. Sono contro le unioni gay».
Ah, voi siete a favore?
«Sì, siamo laici. Ci opponiamo solo alle adozioni».
Ma in lista con voi a Milano c’è il Popolo della famiglia dell’integralista Mario Adinolfi.
«È solo un’alleanza tecnica».

CasaPound in Italia ha duemila tesserati (15 euro l’anno), sedi in ogni regione, 15 librerie, venti pub, otto associazioni sportive (pallanuoto, hockey, immersione, moto, ma anche le più marziali paracadutismo e pugilato del “circolo combattenti”), web radio e tv.

Contro i centri sociali

Senta, Di Stefano, anche quest’anno, come ogni 29 aprile, alla commemorazione per il vostro martire Sergio Ramelli a Milano c’erano cortei contrapposti, tensione, traffico bloccato, elicotteri della polizia.
«Lo dica ai centri sociali, che vengono sempre a disturbarci».
Ma sono passati 40 anni ormai.
«E ne sono passati 70 dalla fine della guerra civile, anche noi vorremmo andare oltre».

«Oltre», per CasaPound, significa chiudere le frontiere agli immigrati, cacciare i rom di nazionalità non italiana, mutuo sociale (senza interessi), e soprattutto «sovranità». Ovvero: no euro. In questo siete uguali ai grillini. «No, siamo l’esatto contrario: crediamo nella politica, non siamo antipolitici e qualunquisti».
Mauro Suttora

EZRA POUND: 12 ANNI DI MANICOMIO CRIMINALE AL POETA USA MUSSOLINIANO

È stato uno dei maggiori poeti del Novecento, e solo le sue idee politiche gli hanno impedito di vincere il Nobel. Ezra Pound, nato nell’Idaho, visse dal 1925 al ’45
a Rapallo (Genova).

Era contro il marxismo e il capitalismo. Incontrò una sola volta Mussolini, nel ’33, ma ne rimase affascinato e lo paragonò a Jefferson, terzo presidente Usa. Durante la guerra tenne 600 discorsi di propaganda per il regime alla radio italiana, attaccando «gli ebrei, banchieri usurai». Aderì alla Repubblica di Salò, nel ’45 fu arrestato e consegnato agli americani.

Subì un tracollo mentale, gli fu diagnosticata una schizofrenia e passò 12 anni in un manicomio criminale a Washington. Nel 1957 i suoi amici Hemingway e Robert Frost riuscirono a farlo liberare, e Pound tornò in Italia. Morì a Venezia nel ’72, dov’è sepolto, circondato dall’affetto di poeti come Ferlinghetti e Pasolini.

Nel 2011, dopo due omicidi razzisti avvenuti a Firenze, la figlia di Ezra Pound ha dichiarato di procedere per vie legali contro CasaPound perché riteneva infangato il nome di suo padre: «Un’organizzazione politica compromessa come questa non ha nulla a che fare con lui».
Mauro Suttora

Wednesday, December 16, 2015

I babbi imbarazzano Boschi, Renzi e Lotti

Scandalo banche fallite: i tormenti della giovane ministra

ORA SONO I PADRI A IMBARAZZARE I FIGLI

Maria Elena Boschi attaccata per i maneggi del suo babbo, ai vertici dell’Etruria fallita. Ma anche Renzi senior, invece di godersi la pensione, inguaia il premier

di Mauro Suttora

Oggi, 16 dicembre 2015

Svantaggi della gioventù. Finora erano i figli a inguaiare i politici: Piccioni, Leone, Donat-Cattin, Bossi, Lupi. Ma quando i politici sono giovani, sono i padri che possono diventare imbarazzanti.

Maria Etruria Boschi: così ormai è soprannominata dai maligni la ministra più bella e potente nella storia d’Italia. Perché suo padre è stato per quattro anni consigliere d’amministrazione della banca Etruria, appena fallita con tre miliardi di buco. Ma soprattutto perché il «babbo” - come lo chiama lei, con affetto toscano - nell’ultimo anno era stato nominato vicepresidente.

Non che l’avesse raccomandato lei. Anzi. Quello era un posto che scottava. Nel 2014 la storica banca di Arezzo aveva già centinaia di milioni in crediti “incagliati”, di debitori che non potevano più pagare. Era sull’orlo del disastro, come il contiguo Monte dei Paschi di Siena.

Gli ispettori della Banca d’Italia, allarmati, avevano effettuato due ispezioni, sfociate in una maximulta di due milioni e mezzo di euro a 18 amministratori e sindaci di Banca Etruria per «violazioni di disposizioni sulla governance, carenze nell’organizzazione, nei controlli interni e nella gestione nel controllo del credito, omesse e inesatte segnalazioni alla vigilanza».
In particolare, Pier Luigi Boschi è stato condannato a pagare ben 144mila euro.

Nominato dopo di lei

Nel maggio 2014 il presidente multato è mandato via, sostituito da Lorenzo Rosi. Al quale viene un’idea: promuovere vicepresidente Boschi, la cui figlia poche settimane prima era diventata ministro delle Riforme nel governo Renzi. Un altro figlio lavorava da sette anni in banca Etruria (oggi si è dimesso), occupandosi proprio dei crediti “incagliati”.
 
Sembrava una buona idea: nell’Italia delle conoscenze, vantare una figlia ministro poteva contribuire alla salvezza della banca. Un qualche aiutino da Roma per l’istituto agonizzante, un po’ di benevolenza da Bankitalia e Consob.

Invece, niente. Le emissioni di obbligazioni (quelle oggi carta straccia) non riescono a raddrizzare il buco finanziario. Un anno fa Etruria è una delle dieci banche popolari italiane beneficiate dal decreto governativo che le trasforma in spa. Il valore delle sue azioni sale del 65% in pochi giorni. Ma nel febbraio di quest’anno la banca viene commissariata, e tre settimane fa arriva la liquidazione.

La promozione di babbo Boschi, imprenditore agricolo, dirigente di Confcooperative, democristiano da sempre e poi popolare-Margherita-Pd come Renzi, fu solo una captatio benevolentiae a fin di bene? Probabile. Ci fu un conflitto d’interessi per il decreto che fece aumentare le azioni? La famiglia Boschi ne possedeva, ma il valore era già crollato dai 17 euro l’una del 2007 a un euro. Quanto a movimenti sospetti o favoritismi per fidi concessi ad amici, i magistrati indagano.

L’imbarazzo, però, non è solo di Maria Elena. Anche il padre del premier Matteo Renzi riesce a metterci del suo. Dopo aver danneggiato la reputazione del figlio finendo indagato per la bancarotta della sua ditta (nonostante un mutuo da 697mila euro concesso da un terzo “papà debordante”, quello del sottosegretario Luca Lotti, anch’egli dirigente di un’altra banca locale toscana), ora si scopre che negli ultimi mesi l’iperattivo signor Tiziano si è messo in affari proprio con l’ex presidente di Etruria, il Rosi. E che scorrazza per tutta Italia, da Sanremo a Fasano in Puglia, per propagandarne i progetti di outlet.

Ma tutti questi ultrasessantenni ancora così vogliosi di far soldi non potrebbero pensionarsi, lasciando in pace i loro giovani virgulti premier, ministra e sottosegretario?
Mauro Suttora

Wednesday, December 09, 2015

Intervista a Forattini

Nuovo libro-antologia del padre della satira contemporanea. Che continua a sparare a zero. Renzi? «Un fenomeno passeggero» Grillo? «Meglio resti in teatro» La Boschi? «Non so disegnare donne belle». E così via, sbeffeggiando

di Mauro Suttora

Oggi, 2 dicembre 2015

È il suo 58esimo libro. Dopo cinque milioni di copie vendute, il Forattone (Mondadori) è anche un po’ antologia «perché le mie prime raccolte non si trovano più». In più, asta per il Fai delle sue vignette.

Giorgio Forattini, 84 anni, è il padre della satira italiana. Prima di lui, in Francia, Plantu e Wolinski: «I miei modelli. Poco testo, disegni muti».

Cominciò tardi.
«A 40 anni. Prima ero rappresentante di commercio. Sempre in giro per l’Italia in auto. I cortei del ’68 mi infastidivano: bloccavano il traffico».

Però cominciò in un giornale comunistissimo.
“Sì, Paese Sera. Facevo il grafico. Poi Panorama, divenni famoso per il Fanfani tappo di spumante eiettato col referendum del divorzio».

Fondatore di Repubblica esattamente 40 anni fa: gennaio 1976.
«Mi chiamò Melega, ex di Panorama. Sto nella foto della prima copia in tipografia, col direttore Scalfari».

Lo legge?
«No. Scrive ancora Scalfari? Pare che ora parli solo col papa e con Dio». 
 
E D’Alema?
«C’è ancora D’Alema? Fu per causa sua che me ne andai da Repubblica».

Cosa successe?
«Lui querelò me, ma non il giornale. Caso unico. Il direttore Ezio Mauro non mi difese. Così andai alla Stampa: Agnelli mi offriva la prima pagina».

Anche i giornalisti furono freddi.
«Ordine, sindacato: tutti zitti».

Il fax le cambiò la vita.
«Non dovevo più andare in redazione ogni giorno. Disegnavo da casa, da Roma, Milano, Parigi. Ero libero».

Si fa per dire.
«No, veramente. Quasi mai censurato. Al massimo Scalfari mi telefonava: “Ce ne mandi un’altra?”»

Ora mette le sue vignette sul web.
«Sì, nel mio sito. Gratis. Mi viene un’idea al giorno, disegno e pubblico. Quella sulla strage di Parigi l’ha fatta vedere Porro su Virus, a Rai2».

Che pensa di Renzi?
«Lo ritraggo col naso di Pinocchio».

Bugiardo?
«Non lo condidero importante. È un fenomeno passeggero».

La Boschi?
«Non riesco a disegnarla. Le belle donne non sono caricaturabili».

La Bindi?
«C’è ancora la Bindi? E la Jotti? Con loro sì che mi divertivo».

Grillo?
«Che torni al teatro. Sarebbe un ottimo personaggio della tragedia greca».

Lei, come Pansa, è passato dalla sinistra alla destra. Perché?
«A destra hanno più senso dell’humour. E a sinistra, troppi radical chic».

Ora vanno in barca, fanno vino.
«Avevo previsto questa involuzione. Misi Berlinguer in vestaglia: scandalo, qualcuno voleva linciarmi».

La accusano di essersi inacidito.
«Chi? Per strada mi salutano tutti con simpatia».

Quelli di sinistra.
«Solo loro mi considerano un nemico. A destra al massimo si lamentano».

Chi preferisce, fra i colleghi?
«Altan, Vincino. Crozza. Giannelli: lo mandai io al Corriere della Sera».

Che personaggi ha risparmiato?
«Ho preso in giro papi su singoli episodi. Ma Dio per me è un vecchio bonario. Non sono mai stato blasfemo».

Il politico più tollerante con lei?
«Spadolini. Mi chiedeva sempre i miei disegni più perfidi su di lui».

Il più irascibile?
«Craxi. Ma era un vero politico».

Perché, oggi non sono veri?
«Non ci sono più i partiti. La partitocrazia ha perso».

Quindi lei ha vinto.
«Eh. Magari».
Mauro Suttora

Wednesday, May 13, 2015

Renzi: ma dura?


BISIGNANI RACCONTA I SEGRETI DELLA VITA PRIVATA DEL PREMIER

di Mauro Suttora

Oggi, 6 maggio 2015

Luigi Bisignani ha colpito ancora. Dopo le 160mila copie de L'uomo che sussurra ai potenti due anni fa, lui e Paolo Madron sono tornati in testa alle classifiche col loro nuovo libro, I potenti al tempo di Renzi. L'editore è Chiarelettere: lo stesso di Beppe Grillo, Gianroberto Casaleggio, Marco Travaglio e altri giornalisti estremisti di sinistra del Fatto Quotidiano. Sorprendente, per un faccendiere («Preferirei la definizione di triangolatore») democristiano come lui
.
Bisignani torna al mestiere che aveva praticato vent'anni all'agenzia Ansa: il giornalista. Svela un Matteo Renzi privato e segreto grazie alle preziose “gole profonde” che ha conosciuto nei decenni a palazzo Chigi: portinai, camerieri, funzionari anche di modesto livello. I quali, raccontando la vita quotidiana del presidente del Consiglio, riescono con piccoli aneddoti a spiegare il "renzismo" meglio di tanti politologi.

Le camicie bianche, per esempio: Renzi è capace di cambiarne anche sei nella stessa giornata, per mantenere immacolato il suo marchio di fabbrica. Con annesse lampade abbronzanti che gli fanno risaltare il viso sul bianco dei colletti.

Oppure le fiere rivalità che lancinano il suo “cerchio magico”: la povera Simona Bonafè, una volta sua fiera scudiera, ridotta ad autoesiliarsi all’Europarlamento (in cambio di uno stipendio d’oro) dopo essere stata sorpassata e distrutta da Maria Elena Boschi.

La quale, si chiede mezza Italia, avrà ammaliato anche Matteo con i suoi occhioni?
«Sulle donne e sui soldi non riusciranno mai a distruggere Renzi», taglia corto Bisignani. «Anche perché sua moglie Agnese è una gran donna, capace di tenere i piedi per terra. E cerca di farglieli tenere anche a lui: lo sgrida perché prende troppo spesso l’elicottero. “Quando torni a casa prendi il treno”, è il suo saggio consiglio».

Dopo le nove di sera Renzi si barrica nel suo appartamento privato di palazzo Chigi e fa entrare soltanto gli amici stretti. Lontano dai salotti romani carichi di tentazioni (la Boschi invece è stata avvistata chez Carlo De Benedetti, editore di Repubblica-Espresso), le sue serate finiscono spesso con pizze a domicilio e battute scherzose alla Amici miei

Con il fedelissimo Luca Lotti (sottosegretario che ha rimpiazzato Graziano Del Rio come numero due) e l’ex vigilessa avellinese Antonella Manzione, sorella del sottosegretario all’Interno Domenico, Renzi prende in giro avversari e alleati. Angelino Alfano, per esempio, è soprannominato Checco perché assomiglia a Zalone.

Durerà?
«Soltanto se allarga il suo cerchio magico. Ma non so se ne sarà capace, perché da quando aveva 25 anni - quindi da un quindicennio - si comporta allo stesso modo: rottama tutti, tranne gli amici».

Con un’energia impressionante.
«È come Berlusconi. Un rullo compressore. Nel 1984 il Cavaliere aveva già due reti tv, Canale 5 e Italia Uno. Comprò anche Retequattro da Mondadori, e tutti gli dissero: “Sei pazzo, non ti permetteranno di avere tre canali, ti distruggeranno”. Dopo due anni prese anche il Milan, di nuovo contro il parere di molti amici, con folle lucidità. Renzi è uguale».

Per questo Berlusconi lo ha corteggiato.
«Sì, lo avrebbe voluto in Forza Italia. Alla fine del 2010 ci fu il loro famoso incontro ad Arcore. Ma Renzi confidò a un amico: “Se vado nel Pdl, non potrò mai essere il numero uno”».

Da un anno e mezzo lo è.       
«Renzi stravince, ma con gli italiani. Nel Palazzo, invece, il giochino si è rotto. Lo accusano di voler fare “l’uomo solo al comando”, il duce, ma il 60 per cento della gente non capisce queste critiche».

Quindi lui va avanti come un carro armato.
«Con l'Italicum esce vincitore alla grande. Parla al Paese, non al Palazzo. E se c’è un minimo di ripresa economica vincerà le elezioni, a cominciare da quelle del 31 maggio in sette regioni. Sarà facile per Renzi battere i partiti del centrodestra, molto più difficile sconfiggere i suoi avversari interni del Pd, le varie minoranze».

Non era mai successo, nel dopoguerra.
«Oltre a Berlusconi, che però ha creato il suo partito personale, soltanto due politici italiani nel recente passato sono stati accentratori come Renzi: Craxi e De Mita. Ma sono durati pochi anni. E comunque, quello degli anni 80 era un altro mondo».
Mauro Suttora

Wednesday, December 18, 2013

Renzi: buoni e cattivi


di Mauro Suttora

Oggi, 11 dicembre 2013

Doppia vittoria per Matteo Renzi alle primarie del Partito democratico: 68 per cento con 2,6 milioni di votanti. Il nuovo segretario del Pd appena due anni fa sembrava un esagitato che urlava di voler rottamare tutti i dirigenti del proprio partito. Oggi se n’è impadronito, e per chi non è salito sul suo carro (come gli accorti Walter Veltroni ed Enrico Franceschini) si annunciano tempi duri.

«Ridurrò i costi della politica di un miliardo», promette Renzi, «sostituirò i senatori con un’assemblea di sindaci e presidenti di regione che lavoreranno gratis». Beppe Grillo trema: lo scettro dell’Uomo nuovo passa nelle mani del sindaco di Firenze. Ma anche gli altri protagonisti della politica italiana, da Silvio Berlusconi a Mario Monti, sembrano cariatidi rispetto a questo 38enne arrembante.

Ecco chi sale e chi scende (in politica, ma anche in economia, tv, mondo dello spettacolo e cultura) con l’inizio dell’era Renzi.

Romano Prodi sale: ha deciso in extremis di andare a votare, per vendicarsi dei 101 anonimi parlamentari Pd che otto mesi fa lo pugnalarono nella corsa al Quirinale. Massimo D’Alema, viceversa, scende: è stato lui il maggiore avversario del sindaco dentro al partito, e anche adesso non si tira indietro: «Ne ho visti tanti, passerà anche lui».
 
Piero Fassino, segretario Pd fino al 2007 e oggi sindaco di Torino, sale: diventerà presidente del partito. Stefano Fassina, viceministro dell’Economia ed esponente della sinistra interna, non condividerà il nuovo corso liberale.

Carlo De Benedetti, proprietario del giornale La Repubblica, ha messo le vele al vento: «È necessario saltare una generazione per cambiare il pd». Eugenio Scalfari invece, quasi 90enne fondatore di quel quotidiano, ha scritto sprezzante: «Renzi è un avventuriero, come piacione meglio Fabio Volo e i suoi libri».

Tempi duri per Mario Orfeo, direttore del Tg1: troppo accondiscendente con il premier Enrico Letta. Salgono in Rai le quotazioni di Monica Maggioni, direttrice Rainews (nonostante il buco sulla morte di Nelson Mandela), e Gerardo Greco (Agorà, Rai3).

Tempi durissimi per Susanna Camusso e tutti i sindacati: «È arrivato il momento di discutere seriamente dei loro bilanci e del loro ruolo in questo mondo del lavoro che cambia così velocemente», minaccia Renzi. Il cui volto nuovo, in tv, è l’angelica ma tosta 33enne Maria Elena Boschi, sua concittadina avvocata, una dei pochi deputati renziani.

Jovanotti è passato da Veltroni a Matteo, surfando sull’onda delle canzoni adottate come inni alle convention di Firenze. Fabio Fazio invece pare abbia votato Pier Luigi Bersani alle scorse primarie e Gianni Cuperlo in queste: doppio fallo. Come per il regista/attore Nanni Moretti.

Debora Serracchiani, rottamatrice della prima ora, adesso è governatrice della regione Friuli-Venezia Giulia. Per lei un futuro a Roma (ministro?). Della variopinta corte renziana fanno parte anche Oscar Farinetti (Eataly, presente a Leopolda 2) e lo scrittore Alessandro Baricco. Pippo Baudo ha votato per lui nel gazebo di piazza del Popolo.

Fra gli antipatizzanti nel mondo dello spettacolo Sabrina Ferilli (comunista storica, arroccata a Cuperlo come Monica Guerritore), Alba Parietti («Renzi ha una figura berlusconiana»), gli attori Elio Germano (sprezzante: «Sono di sinistra, quindi col Pd non c’entro») e Riccardo Scamarcio: «Incredibile che dei politici vestano giubbotti di pelle. Gli attori siamo noi, perché vogliono rubarci il mestiere? È avanspettacolo». Duro anche Claudio Sabelli Fioretti (Un giorno da pecora, Radio2): ««La linea di Renzi sarà un dramma per il Pd».

Fra i simpatizzanti, Victoria Cabello («È l'uomo del rinnovamento che serve al Pd e all'Italia») e Neri Marcorè: «Ha carisma e capacità». Il regista Fausto Brizzi (Notte prima degli esami, Femmine contro maschi), ospita Renzi a casa sua quando dorme (raramente) a Roma.

Sarà strage fra i dirigenti Pd: Anna Finocchiaro, Rosy Bindi, Bersani, Franco Marini, anche giovani ministri come Andrea Orlando (Ambiente). Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Filippo Patroni Griffi e il viceministro dello Sviluppo economico Antonio Catricalà sono detestati da Renzi in quanto boiardi di Stato: «Chi guadagna di più nella pubblica amministrazione? Ridurre la burocrazia vale due punti di Pil». 

Fuori anche la ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri per le telefonate ai Ligresti. Niente di buono in vista, infine, per Berlusconi (che preferì Enrico Letta a Renzi come premier in aprile), Monti e Letta stesso (nonostante la colleganza di partito: due galli in un pollaio sono troppi).

Si sono invece riciclati in tempo Roberto Giachetti, Goffredo Bettini, Paolo Gentiloni. Che però dovranno obbedire a Luca Lotti, nuovo vice-Renzi a Roma. Gran furbo anche il ricco costruttore ed editore Francesco Gaetano Caltagirone  che fiutando il nuovo corso ha incontrato Renzi e ora lo loda, preferendolo al genero Pier Ferdinando Casini.

Nel mondo economico sono renziani anche il gestore di fondi Davide Serra (liquidato come «speculatore delle Cayman» da Bersani), Andrea Guerra (ad Luxottica), Francesco Micheli (banca Lazard, 10 mila euro da suo figlio Carlo al comitato Renzi), il finanziere Guido Roberto Vitale (5 mila euro), Yoram Gutgeld (ex consulente McKinsey, fatto eleggere deputato) e Fabrizio Palenzona (vicepresidente Unicredit e potente capo dell’Aiscat, concessionarie autostradali).
Mauro Suttora