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Wednesday, July 15, 2020

Se il tribalismo colpisce anche il NY Times

La responsabile degli op-ed si dimette


Mauro Suttora

15 luglio 2020, Huffington Post


articolo sull'HuffPost

Povero John Kennedy. “Un Paese che ha paura di far scegliere ai propri cittadini il vero e il falso in un mercato libero è un Paese che ha paura dei propri cittadini”, disse nel 1962 per il ventennale di Voice of America, la radio del governo Usa usata contro i nazifascisti e poi contro i comunisti.

Pensavamo tutti che gli Stati Uniti fossero il non plus ultra della libertà, e in particolare della libertà d’informazione. Invece le dimissioni quasi contemporanee di Bari Weiss dal New York Times e di Andrew Sullivan dal New York Magazine ci ricordano che gli statunitensi possono essere anche intolleranti: dalla Lettera scarlatta al proibizionismo, dal Ku Klux Klan al maccartismo.

La 36enne Bari Weiss non era una semplice giornalista del Times, né un’opinionista. Era una editor delle pagine op-ed del principale quotidiano Usa. Il quale ha l’ottima abitudine non solo di separare perfino fisicamente, in pagine e redazioni diverse, le notizie dalle opinioni (pratica per noi esotica), ma anche di distinguere i commenti fra quelli che esprimono la linea ufficiale del giornale (editoriali) e quelli aperti a qualsiasi tendenza (op-ed, appunto: open editorials).

Eugenio Scalfari ricorse alla testatina “Diverso parere” quando quasi 40 anni fa ospitò il liberale Alberto Ronchey su Repubblica, orientata a sinistra. E ogni tanto anche oggi qualche direttore affianca un proprio articolo a un altro che lo contraddice. Ma non è frequente, nell’Italia delle parrocchie contrapposte. Ammettiamolo: non siamo popperiani.

Ammiravamo per questo il giornalismo anglosassone. E invece anche per loro è arrivato il momento del “tribalismo”, come lo definisce la Weiss nella sua brillante lettera di dimissioni, che andrebbe tradotta e proposta a tutti gli opinionisti fai-da-te nei social.

Weiss, ex Wall Street Journal, era stata imbarcata dal sussiegoso Times quattro anni fa per proporre un “diverso parere” ai propri lettori, disorientati dalla vittoria di Trump. Da allora ha scritto e fatto pubblicare opinioni di destra su un giornale di sinistra. Esercizio intellettualmente stimolante (“vediamo cos’hanno da dire questi zoticoni di trumpiani”), ma neurologicamente devastante per lei. Soprattutto dopo le due recenti ondate di ‘correttezza politica’ che hanno sommerso gli Usa. O perlomeno Manhattan, dove si concentrano i lettori del Times e Trump non arriva al 20%.

Il primo tornado è stato nel 2017 il ‘Me too’: la riscossa antimaschilista dopo lo scandalo Weinstein. Anche solo sospettare che qualche attrice potesse avere usato invece che subìto il divano del produttore era impensabile. La lettera S di sessismo stava lì pronta per essere marchiata a fuoco sul grasso pancione del maiale, come Noomi Rapace in ‘Uomini che odiano le donne’.

Da due mesi invece infuria il ‘Black Lives Matter’, la riscossa antirazzista dopo l’omicidio Floyd. E una delle vittime è stato il diretto superiore della Weiss, il capo degli editoriali del NY Times spinto alle dimissioni per aver osato pubblicare l’op-ed di un senatore repubblicano favorevole all’intervento dell’esercito per fronteggiare sommosse violente.

La Weiss è stata a sua volta sommersa di tweet con ogni tipo di insulto e accusa, dall’ormai inflazionato ‘razzista’ al simpatico ‘nazista’, visto che è ebrea.

Stessa storia per Andrew Sullivan, altro storico commentatore controcorrente: vent’anni fa provocò borborigmi nei benpensanti di sinistra Usa perché proprio lui, progressista (e gay, anche se c’entra poco), appoggiò le guerre di Bush junior (come Biden, d’altronde, anche se ora non gli piace ricordarlo).

Sullivan e Weiss probabilmente ora fonderanno un sito dei senzapatria. Impresa voltairiana rischiosissima, perché sia nel giornalismo che in politica, e sia negli Usa che in Italia, vince invece il tribalismo. O di qua o di là, ciascuno nella propria tribù. Felici di sentirsi ripetere le rispettive “narrazioni” (sinonimo di fandonie propagandiste) di destra e sinistra. I politici devono farsi votare ogni quattro anni, i giornali devono farsi comprare o cliccare ogni giorno. Ma il principio è lo stesso: attirare e fidelizzare i già convinti. Così il mercato si estremizza e scompaiono, al centro, neutrali e moderati. Politicamente e commercialmente sciapi, asettici, poco interessanti.

In tv o Fox o Cnn. Nella stampa o Washington Post (di Jeff Bezos, Amazon) e New York Times (di editore puro) a sinistra; oppure New York Post e Wall Street Journal (di Murdoch) a destra.
Tertium non datur. Per certi progressisti ora il tumore alla cervice non è più prerogativa femminile, perché così si discriminano i maschi trans, ex donne. 
E secondo certi conservatori Biden è in combutta con Bill Gates per vaccinare (avvelenare) il mondo intero con la scusa del covid.

A pensarci bene, però, la sinistra Usa ha già vinto. Perché la da loro detestata Bari Weiss non si definisce di destra. Dice che è “di centro”. Quindi perfino per lei “destra” è una parola vergognosa. Non ha neppure il coraggio e l’onestà di confessare la propria tribù. Pretende di essere al di sopra delle parti. Perché in fondo anche lei è una giornalista privilegiata, addirittura pagata per distillare opinioni. Perciò irrimediabilmente radical chic, è la sentenza finale del Napalm 51 americano (di entrambe le tifoserie: contrapposte, ma simmetricamente eguali).
Mauro Suttora

Wednesday, December 09, 2015

Intervista a Forattini

Nuovo libro-antologia del padre della satira contemporanea. Che continua a sparare a zero. Renzi? «Un fenomeno passeggero» Grillo? «Meglio resti in teatro» La Boschi? «Non so disegnare donne belle». E così via, sbeffeggiando

di Mauro Suttora

Oggi, 2 dicembre 2015

È il suo 58esimo libro. Dopo cinque milioni di copie vendute, il Forattone (Mondadori) è anche un po’ antologia «perché le mie prime raccolte non si trovano più». In più, asta per il Fai delle sue vignette.

Giorgio Forattini, 84 anni, è il padre della satira italiana. Prima di lui, in Francia, Plantu e Wolinski: «I miei modelli. Poco testo, disegni muti».

Cominciò tardi.
«A 40 anni. Prima ero rappresentante di commercio. Sempre in giro per l’Italia in auto. I cortei del ’68 mi infastidivano: bloccavano il traffico».

Però cominciò in un giornale comunistissimo.
“Sì, Paese Sera. Facevo il grafico. Poi Panorama, divenni famoso per il Fanfani tappo di spumante eiettato col referendum del divorzio».

Fondatore di Repubblica esattamente 40 anni fa: gennaio 1976.
«Mi chiamò Melega, ex di Panorama. Sto nella foto della prima copia in tipografia, col direttore Scalfari».

Lo legge?
«No. Scrive ancora Scalfari? Pare che ora parli solo col papa e con Dio». 
 
E D’Alema?
«C’è ancora D’Alema? Fu per causa sua che me ne andai da Repubblica».

Cosa successe?
«Lui querelò me, ma non il giornale. Caso unico. Il direttore Ezio Mauro non mi difese. Così andai alla Stampa: Agnelli mi offriva la prima pagina».

Anche i giornalisti furono freddi.
«Ordine, sindacato: tutti zitti».

Il fax le cambiò la vita.
«Non dovevo più andare in redazione ogni giorno. Disegnavo da casa, da Roma, Milano, Parigi. Ero libero».

Si fa per dire.
«No, veramente. Quasi mai censurato. Al massimo Scalfari mi telefonava: “Ce ne mandi un’altra?”»

Ora mette le sue vignette sul web.
«Sì, nel mio sito. Gratis. Mi viene un’idea al giorno, disegno e pubblico. Quella sulla strage di Parigi l’ha fatta vedere Porro su Virus, a Rai2».

Che pensa di Renzi?
«Lo ritraggo col naso di Pinocchio».

Bugiardo?
«Non lo condidero importante. È un fenomeno passeggero».

La Boschi?
«Non riesco a disegnarla. Le belle donne non sono caricaturabili».

La Bindi?
«C’è ancora la Bindi? E la Jotti? Con loro sì che mi divertivo».

Grillo?
«Che torni al teatro. Sarebbe un ottimo personaggio della tragedia greca».

Lei, come Pansa, è passato dalla sinistra alla destra. Perché?
«A destra hanno più senso dell’humour. E a sinistra, troppi radical chic».

Ora vanno in barca, fanno vino.
«Avevo previsto questa involuzione. Misi Berlinguer in vestaglia: scandalo, qualcuno voleva linciarmi».

La accusano di essersi inacidito.
«Chi? Per strada mi salutano tutti con simpatia».

Quelli di sinistra.
«Solo loro mi considerano un nemico. A destra al massimo si lamentano».

Chi preferisce, fra i colleghi?
«Altan, Vincino. Crozza. Giannelli: lo mandai io al Corriere della Sera».

Che personaggi ha risparmiato?
«Ho preso in giro papi su singoli episodi. Ma Dio per me è un vecchio bonario. Non sono mai stato blasfemo».

Il politico più tollerante con lei?
«Spadolini. Mi chiedeva sempre i miei disegni più perfidi su di lui».

Il più irascibile?
«Craxi. Ma era un vero politico».

Perché, oggi non sono veri?
«Non ci sono più i partiti. La partitocrazia ha perso».

Quindi lei ha vinto.
«Eh. Magari».
Mauro Suttora