di Mauro Suttora
Oggi, 11 dicembre 2013
Doppia vittoria per Matteo Renzi
alle primarie del Partito democratico: 68 per cento con 2,6 milioni di votanti.
Il nuovo segretario del Pd appena due anni fa sembrava un esagitato che urlava
di voler rottamare tutti i dirigenti del proprio partito. Oggi se n’è
impadronito, e per chi non è salito sul suo carro (come gli accorti Walter
Veltroni ed Enrico Franceschini) si annunciano tempi duri.
«Ridurrò i costi della politica
di un miliardo», promette Renzi, «sostituirò i senatori con un’assemblea di
sindaci e presidenti di regione che lavoreranno gratis». Beppe Grillo trema: lo
scettro dell’Uomo nuovo passa nelle mani del sindaco di Firenze. Ma anche gli
altri protagonisti della politica italiana, da Silvio Berlusconi a Mario Monti,
sembrano cariatidi rispetto a questo 38enne arrembante.
Ecco chi sale e chi scende (in
politica, ma anche in economia, tv, mondo dello spettacolo e cultura) con
l’inizio dell’era Renzi.
Romano Prodi sale: ha deciso in
extremis di andare a votare, per vendicarsi dei 101 anonimi parlamentari Pd che
otto mesi fa lo pugnalarono nella corsa al Quirinale. Massimo D’Alema,
viceversa, scende: è stato lui il maggiore avversario del sindaco dentro al
partito, e anche adesso non si tira indietro: «Ne ho visti tanti, passerà anche
lui».
Piero Fassino, segretario Pd fino
al 2007 e oggi sindaco di Torino, sale: diventerà presidente del partito. Stefano
Fassina, viceministro dell’Economia ed esponente della sinistra interna, non
condividerà il nuovo corso liberale.
Carlo De Benedetti, proprietario
del giornale La Repubblica, ha messo le vele al vento: «È necessario saltare
una generazione per cambiare il pd». Eugenio Scalfari invece, quasi 90enne
fondatore di quel quotidiano, ha scritto sprezzante: «Renzi è un avventuriero,
come piacione meglio Fabio Volo e i suoi libri».
Tempi duri per Mario Orfeo,
direttore del Tg1: troppo accondiscendente con il premier Enrico Letta. Salgono
in Rai le quotazioni di Monica Maggioni, direttrice Rainews (nonostante il buco
sulla morte di Nelson Mandela), e Gerardo Greco (Agorà, Rai3).
Tempi durissimi per Susanna
Camusso e tutti i sindacati: «È arrivato il momento di discutere seriamente dei
loro bilanci e del loro ruolo in questo mondo del lavoro che cambia così
velocemente», minaccia Renzi. Il cui volto nuovo, in tv, è l’angelica ma tosta 33enne
Maria Elena Boschi, sua concittadina avvocata, una dei pochi deputati renziani.
Jovanotti è passato da Veltroni a
Matteo, surfando sull’onda delle canzoni adottate come inni alle convention di
Firenze. Fabio Fazio invece pare abbia votato Pier Luigi Bersani alle scorse
primarie e Gianni Cuperlo in queste: doppio fallo. Come per il regista/attore
Nanni Moretti.
Debora Serracchiani, rottamatrice
della prima ora, adesso è governatrice della regione Friuli-Venezia Giulia. Per
lei un futuro a Roma (ministro?). Della variopinta corte renziana fanno parte
anche Oscar Farinetti (Eataly, presente a Leopolda 2) e lo scrittore Alessandro
Baricco. Pippo Baudo ha votato per lui nel gazebo di piazza del Popolo.
Fra gli antipatizzanti nel mondo
dello spettacolo Sabrina Ferilli (comunista storica, arroccata a Cuperlo come
Monica Guerritore), Alba Parietti («Renzi ha una figura berlusconiana»), gli
attori Elio Germano (sprezzante: «Sono di sinistra, quindi col Pd non c’entro»)
e Riccardo Scamarcio: «Incredibile che dei politici vestano giubbotti di pelle.
Gli attori siamo noi, perché vogliono rubarci il mestiere? È avanspettacolo».
Duro anche Claudio Sabelli Fioretti (Un giorno da pecora, Radio2): ««La linea
di Renzi sarà un dramma per il Pd».
Fra i simpatizzanti, Victoria
Cabello («È l'uomo del rinnovamento che serve al Pd e all'Italia») e Neri
Marcorè: «Ha carisma e capacità». Il regista Fausto Brizzi (Notte prima degli esami, Femmine contro
maschi), ospita Renzi a casa sua quando dorme (raramente) a Roma.
Sarà strage fra i dirigenti Pd:
Anna Finocchiaro, Rosy Bindi, Bersani, Franco Marini, anche giovani ministri
come Andrea Orlando (Ambiente). Il sottosegretario alla Presidenza del
Consiglio Filippo Patroni Griffi e il viceministro dello Sviluppo economico
Antonio Catricalà sono detestati da Renzi in quanto boiardi di Stato: «Chi
guadagna di più nella pubblica amministrazione? Ridurre la burocrazia vale due
punti di Pil».
Fuori anche la ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri
per le telefonate ai Ligresti. Niente di buono in vista, infine, per Berlusconi
(che preferì Enrico Letta a Renzi come premier in aprile), Monti e Letta stesso
(nonostante la colleganza di partito: due galli in un pollaio sono troppi).
Si sono invece riciclati in tempo
Roberto Giachetti, Goffredo Bettini, Paolo Gentiloni. Che però dovranno
obbedire a Luca Lotti, nuovo vice-Renzi a Roma. Gran furbo anche il ricco
costruttore ed editore Francesco Gaetano Caltagirone che fiutando il nuovo corso ha incontrato Renzi e ora lo
loda, preferendolo al genero Pier Ferdinando Casini.
Nel mondo economico sono renziani
anche il gestore di fondi Davide Serra (liquidato come «speculatore delle
Cayman» da Bersani), Andrea Guerra (ad Luxottica), Francesco Micheli (banca
Lazard, 10 mila euro da suo figlio Carlo al comitato Renzi), il finanziere Guido
Roberto Vitale (5 mila euro), Yoram Gutgeld (ex consulente McKinsey, fatto
eleggere deputato) e Fabrizio Palenzona (vicepresidente Unicredit e potente
capo dell’Aiscat, concessionarie autostradali).
Mauro Suttora
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