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Sunday, July 31, 2022

I due mandati grillini sono una barzelletta. Imparino dai radicali

Da sempre nelle democrazie il divieto di ricandidarsi è considerato il principale antidoto alle incrostazioni di potere. Gli ultimi che in Italia hanno provato a limitare la durata dei politici, prima di Grillo, li facevano ruotare a metà mandato

di Mauro Suttora

Huffpost, 31 Luglio 2022  


Altro che due mandati. Gli ultimi che in Italia hanno provato a limitare la durata dei politici al potere, prima di Grillo, li facevano ruotare a metà mandato. Due anni e mezzo, e poi via. 

Dieci anni è troppo, inutile e crudele. Troppo, perché due lustri sono un'eternità; inutile, perché come dimostrano i grillini quasi tutti trovano trucchi per continuare; crudele, perché dopo un tempo così lungo è un'agonia tornare al precedente lavoro (Vito Crimi era dovuto emigrare da Palermo a Brescia per fare fotocopie in tribunale) o reperirne uno nuovo. 

Una suora divorzista, un obiettore antimilitarista, un intellettuale omosessuale e un avvocato garantista: questi furono i deputati che nel 1976 i radicali scelsero per subentrare a metà mandato ai loro primi quattro eletti (Pannella, Bonino, Mellini e Adele Faccio). Erano arrivati secondi nelle preferenze: suor Marisa Galli, Roberto Cicciomessere, Angelo Pezzana e Franco De Cataldo. Cominciarono da subito a frequentare Montecitorio come deputati supplenti: aiuto prezioso che raddoppiava le forze, visto che non esistevano ancora i portaborse.

La mossa dei radicali ebbe particolare risonanza, perché già allora montava la polemica contro l'inamovibilità dei politici di carriera: in particolare dei democristiani, da trent'anni al governo senza interruzione. Le turnazioni radicali a metà mandato proseguirono nelle legislature successive, tanto che Pannella alla fine si ritrovò una pensione notevolmente decurtata.

Anche i verdi all'inizio promisero la rotazione a metà mandato. Ma dei consiglieri regionali e comunali eletti nel 1985 pochi mantennero l'impegno: fra gli altri Michele Boato in Veneto e Nanni Salio a Torino (dopo un solo anno). Spesso i verdi, per dimostrare il loro disinteresse verso le poltrone, si candidavano in ordine alfabetico. Quindi quasi sempre ottenevano più preferenze quelli con cognome A o B. I quali però alla scadenza dei due anni e mezzo non lasciavano la carica, nonostante l'assoluta casualità della loro elezione. 

Uno dei casi più spiacevoli avvenne a Milano. Non solo i consiglieri comunali Antoniazzi e Barone nel 1987 non si dimisero, ma vennero nominati assessori dal furbo sindaco socialista Pillitteri, che formò così la prima giunta rossoverde d'Italia.

Erano tempi duri per gli eletti di movimenti 'alternativi' che cedevano alle lusinghe del potere: vidi un assessore verde lasciare la sua auto blu a un isolato dall'assemblea di partito cui doveva partecipare, e arrivare a piedi per non farsi notare. I grillini odierni invece ci hanno messo poco ad adeguarsi.

Da sempre nelle democrazie il divieto di ricandidarsi è considerato il principale antidoto alle incrostazioni di potere. 2500 anni fa Atene e Roma stabilirono in un anno la durata di arconti e consoli, oggi i presidenti Usa e francesi hanno limiti di otto e dieci anni. Ma il record di velocità appartiene ai priori della repubblica di Firenze: a casa dopo soli due mesi.

Mauro Suttora


Saturday, June 04, 1994

eurodeputati, affare miliardario



LA DOLCE VITA DEGLI EUROPRIVILEGIATI

"Non contiamo niente. Ma che stipendi, ragazzi"

di Mauro Suttora

Europeo, 1 giugno 1994

La sua sigla è MEP V-I. Significa Membro del Parlamento europeo, verde, italiano. Si chiama Virginio Bettini, è nato a Nova Milanese (Milano) 51 anni fa, è docente universitario a Venezia, è stato eletto a Strasburgo nel 1989. Detiene il record di presenze all'Europarlamento: 68 sedute su 68 quest'anno, en plein anche l'anno scorso (60 su 60). Mai una malattia, mai una distrazione. Abbiamo quindi passato una giornata assieme a lui per capire com'è il lavoro di un eurodeputato.

«Bettini sempre presente? La politica non si fa con il sedere»: riferiamo all'interessato questa velenosa battuta rifilatagli da un collega. Lui non si scompone: «Ma io non mi limito affatto a stare seduto e a riscaldare la sedia come fa la maggioranza degli italiani quando è presente. In questi cinque anni ho presentato sei rapporti, e ne avrei fatti altri due se i socialisti non me lo avessero impedito».

Cosa sono i "rapporti", onorevole Bettini? «Sono le relazioni che si preparano prima di discutere in aula un determinato argomento. Bisogna seguirle dall'inizio alla fine, anche nelle varie commissioni parlamentari, e soprattutto difenderle nei confronti del governo comunitario, cioè la Commissione, e del Consiglio, cioè in ministri dei 12 Paesi membri. Un lavoraccio che dura mesi, a volte anni. Tant'è vero che ogni deputato in una legislatura in media ne fa due o tre».

L'onore - e l'onere di preparare un rapporto viene assegnato in proporzione alla consistenza numerica di ciascun gruppo politico. I verdi sono pochi, 30 su 518, quindi si dovevano mettere d'accordo con gli altri partiti della sinistra (i 180 socialisti, soprattutto) per ottenerli. Bettini, da buon ecologista, si è accaparrato quelli sulla conversione a produzioni civili dell'industria bellica e sulle energie pulite (sole, vento, biomasse).

Poi però sono entrato in rotta di collisione con alcuni socialisti, per i quali la "conversione" delle fabbriche d'armi si sarebbe dovuta risolvere semplicemente dando ad esse più quattrini», racconta Bettini, «e così nel '94 la mia commissione, sulle politiche regionali e la pianificazione, importante perché distribuisce molti finanziamenti, ha assegnato nove rapporti ma nessuno ai verdi».

A Strasburgo Bettini ha una stanza all'hotel Terminus, di fronte alla stazione. «Non è caro per i prezzi di qui: 500 franchi francesi a notte, 140 mila lire. Ci sto una settimana al mese. Il calendario delle sessioni viene fissato all'inizio di ogni anno: sono un prenotato fisso».

I soldi. Ne parliamo subito, Bettini? Come mai voi verdi, così attenti agli sprechi, non alzate la voce contro gli stipendi scandalosamente alti degli eurodeputati?
«Attenzione, non voglio difendere nessuno, ma lo scandalo nasce a Roma. Per legge, infatti, le nostre indennità sono agganciate a quelle dei Parlamenti nazionali. Gli inglesi, per esempio, prendono meno della metà di noi. Spagnoli e greci un terzo, un quarto».

C'E' CHI FA ASSUMERE LA MOGLIE O I FIGLI

Sì, ma metà dei 45 milioni al mese che guadagnate ve li dà l'Europa, e con scarsi controlli. «È vero. Qualche collega, specie i democristiani, si è preso come "assistente" parenti, figli, mogli, lasciandoli poi in eredità al Parlamento dopo averli fatti assumere come funzionari. Però anche qui, attenti: chi fa l'eurodeputato a tempo pieno, e quindi sta tre settimane al mese a Bruxelles e una a Strasburgo, spende parecchio».

Bettini è un eurodeputato atipico. Dal suo albergo al Parlamento sono vari chilometri, bisogna attraversare tutta Strasburgo. Lui usa la bici. La mette nel parcheggio sotterraneo, vicino alle Mercedes degli eurodeputati tedeschi. Per tutti gli eletti sono comunque sempre a disposizione le auto del Parlamento: li scarrozzano gratis all'aeroporto, a pranzo, dall'amante. Una ventina di autisti in divisa, aspettando di essere chiamati, ammazza il tempo guardando la tv in una saletta al piano terra.

Un altro benefit sono gli sconti di Air France e della belga Sabena: anche sugli aerei Parigi e Bruxelles si fanno concorrenza, sperando di vincere l'eterna battaglia sulla sede del parlamento. Finora ha prevalso la follia: due sedi lussuosissime, una nella francese Strasburgo, l'altra nella capitale belga. Più una terza (per gli uffici permanenti di migliaia di funzionari e traduttori) a metà strada, a Lussemburgo.

Per non scontentare nessuno, due giorni al mese di seduta plenaria sono stati trasferiti a Bruxelles, dove si riuniscono anche le commissioni (due settimane al mese) e i gruppi parlamentari (una settimana mensile, tranne il prossimo luglio quando si distribuiranno tutti gli incarichi del nuovo Parlamento).

La giornata dell'eurodeputato inizia prestissimo. Alle otto si riuniscono i vari gruppi, che mettono a punto la strategia per la seduta in aula, dove i lavori iniziano alle nove. Per risultare presenti basta firmare un foglio all'entrata dell'aula. Di lunedì la seduta dura fino a mezzanotte. «Così qualcuno arriva verso le undici di sera, firma, va a dormire e si è guadagnato il gettone di presenza da 400 mila lire», commenta perfido Bettini.

In aula cominciano i dolori. Perché a Strasburgo non c'è un Parlamento: c'è una catena di montaggio. Ogni deputato può parlare al massimo un minuto e mezzo, poi si passa al voto. Se ha già parlato uno del proprio partito, si ha diritto a 45 secondi. Dietro al banco della presidenza c'è un enorme tabellone elettronico rosso che fa il conto alla rovescia in secondi al malcapitato che osa prendere la parola.

Di solito sono i greci a sforare. Continuano a parlare, gesticolando e sudando, per due o tre minuti anche dopo che è stato levato loro l'audio, per cui nessuno li può sentire né dal vivo né in cuffia. Incredibile, per i disciplinati deputati tedeschi. I quali hanno proposto di installare una sirena tipo Corrida per zittire i logorroici.

Ai numerosi visitatori dell'Europarlamento (ogni deputato può invitare a spese dell'Europa una ventina di persone l'anno, molti optano per le scolaresche) l'attività in aula, così frenetica, risulta incomprensibile. Gli stessi deputati, che non riescono a passare ogni mezz'ora dalla politica vitivinicola alla Macedonia, per poi planare sulle diagnosi prenatali e i trasporti della Vallonia, votano mansueti seguendo alla cieca la mano alzata del proprio capogruppo.

E IN  OGNI UFFICIO C'È il PIED-A-TERRE...

Pausa di pranzo: Bettini torna nel suo ufficietto moquettato di quattro metri per cinque con bagno e letto (tutti gli eurodeputati ne hanno uno), si cambia, mette la tuta e va a fare jogging. Quando piove scende in sauna (sconti anche lì, ma fra qualche mese, quando la Finlandia entrerà in Europa, diventerà sovraffollata). Il palazzo offre anche due self-service e un ristorante (quest'ultimo riservato agli eletti e ai loro ospiti).

Dalle 15 alle 19 (spesso anche dalle 21 alle 24) di nuovo votazioni in aula. Bettini fa anche parte dell'intergruppo animali, che riunisce tutti gli eurodeputati animalisti. È l'unica commissione alla quale gli inglesi partecipano con impegno, si riunisce una volta al mese per due-tre ore. Uno dei più assidui è un lepenista francese. Su un banco sonnecchia uno spagnolo: «È lì solo per controllare che non si vietino le corride», sorride Bettini.

Al venerdì tutti partono. Pochi per Bruxelles, dove bisognerebbe continuare a lavorare. Molti eletti italiani prendono l'aereo per Roma o Milano. E nessuno li rivede più fino al mese dopo. Riescono così a guadagnare 10 milioni al giorno.
Mauro Suttora

Saturday, March 02, 1985

Se sei verde ti tirano la Petra

Germania Ovest/La leader degli ecologisti contesta il suo movimento

Opportunisti. Bugiardi. Noiosi. Petra Kelly descrive in questa intervista esclusiva i difetti dei verdi tedeschi. E rivela sorprendenti progetti

di Mauro Suttora

Europeo, 2 marzo 1985




 

Saturday, October 08, 1983

Gli ecologisti tedeschi



IL MIO VERDE È PIU’ VERDE DEL TUO

Germania/Il movimento ecologista si spacca

Fondamentalisti, realpolitici, nonviolenti, filoamericani, gandhiani... Che cosa nasconde il fiorire di tante correnti all’interno del partito che sorprese tutti alle elezioni di sei mesi fa?

Europeo, 8 ottobre 1983

di Mauro Suttora

«Non vogliamo cadere nelle mani dei comunisti e del loro modo vecchio, burocratico e perdente di fare politica. Basta con il minoritarismo di sinistra», afferma deciso Ernst Hoplitschek, leader degli ecologisti berlinesi. E così da quest’estate i grünen, iverdi di Berlino Ovest, si sono messi in proprio, iniziando una campagna autonoma di iscrizioni e separandosi dalla Lista alternativa, con la quale avevano ottenuto il sette per cento e nove consiglieri due anni fa.

Berlino è da sempre il laboratorio politico della Germania. Tutto ciò che accade nella ex capitale prima o poi si ripercuote a livello nazionale. Così è stato, ad esempio, per il ritorno della Cdu al potere, avvenuto a Berlino già nel settembre 1981. E’ probabile, quindi, che le frizioni all’interno del partito verde e fra questo e gli altri settori della sinistra extraparlamentare che finora lo hanno appoggiato si moltiplichino nei prossimi mesi.

Già ci sono alcuni segni. A Brema, dove nel 1979 per la prima volta i verdi superarono alle elezioni la soglia-ghigliottina del cinque per cento, le votazioni appena avvenute hanno visto la concorrenza reciproca di ben tre formazioni ecologiste: quella dei verdi federali, la «Bremer grune liste» più conservatrice e localista, e la Lista alternativa del lavoro, piena di comunisti. Ma anche nel resto della Germania la presenza fra i verdi di molti marxisti sta cominciando a creare molti problemi agli ecologi meno politicizzati, e si vanno già formando due tendenze contrapposte all’interno del piccolo partito approdato in Parlamento da soli sei mesi: «fondamentalisti» e «realpolitici».

Forti soprattutto in Assia e ad Amburgo, i fondamentalisti criticano «dalle fondamenta» la società dei consumi, seguendo le teorie apocalittiche di Rudolph Bahro, 48 anni, intellettuale incarcerato e poi espulso (1978) dalla Germania Est, dov’era stato un importante tecnocrate in campo economico. Adesso, pur non essendo deputato, è l’ideologo e l’eminenza grigia dei verdi. Predica la «Ausstieg aus der Industriegesellschaft», l’uscita dalla società industriale che produce sempre più armi e fame.
Ma l’aspetto più controverso delle proposte di Bahro riguarda la strategia elettorale: egli afferma che sarebbe miope per i verdi limitarsi a fare la pulce a sinistra dell’Spd, e che essi devono rivolgersi invece a un elettorato molto più ampio, anche di destra, con un programma di «conservazione dei valori».

E quali sarebbero questi «valori» capaci di attrarre gli elettori democristiani di Helmut Kohl e Franz Strauss? La vita, minacciata dalle bombe atomiche; la comunità e la privacy, minacciate dall’invadenza dello stato assistenziale e poliziesco (vinta quest’anno la battaglia contro il censimento, i verdi si stanno ora battendo contro l’introduzione della carta d’identità magnetica, prevista per il 1984, considerata uno strumento di maggiore controllo sociale); le foreste, amate visceralmente da ogni tedesco e rovinate dalle piogge acide; l’unità della Germania, spezzata dalla divisione in blocchi nemici.

Ai fondamentalisti si contrappongono i realpolitici di Brema, Baviera e Baden-Wurttemberg, nonché i rossoverdi che mirano ancora al coinvolgimento degli operai (in settembre a Bonn il deputato Eckhart Stratmann ha organizzato un «foro dell’acciaio» assieme a delegati di fabbrica). I realpolitici vengono bollati in tal modo a cuasa della loro disponibilità ad allearsi con i socialisti, mentre per Bahro fra Spd e Cdu non c’è molta differenza.
«E gli emarginati, gli omosessuali, i carcerati, gli stranieri? Ci dimenticheremo di loro per correre dietro ai piccolo-borghesi?», domanda Thomas Ebermann, capogruppo dei verdi alla Dieta di Amburgo, preoccupato di perdere i contatti con i gruppi spontanei di protesta che fioriscono al di fuori della vita istituzionale. E anche i giovani estremisti «alternativi» delle grandi città non ne vogliono sapere di cercare i modi e le parole per attrarre «i fascisti della Cdu».

Ma non sono soltanto le grandi questioni ideologiche o le strategie elettorali a dividere i verdi. Si discute anche, e con ripercussioni che vanno al di là dell’area alternativa, di violenza e nonviolenza. Dove comincia l’una e finisce l’altra? Un sit-in davanti a una base Nato è già una forma di violenza?
Lukas Beckmann, 30 anni, deputato e tesoriere del partito, è stato appena condannato a pagare una multa di 500 marchi, a scelta all’erario o ad Amnesty International, per avere bruciato un missile di cartone davanti alla sede dell’Spd di Bonn. «Volevo far cambiare loro idea sugli euromissili», si è difeso. E per la verità, viste le ultime posizioni del partito di Willy Brandt su Cruise e Pershing 2, sembra esserci riuscito.

Lo stesso Beckmann due settimane fa, a una riunione del comitato che coordina le mainifestazioni pacifiste d’autunno, ha dichiarato: «Nonviolenza non vuol dire rispetto della legalità: non ci limiteremo a bloccare gli accessi alle basi americane in Germania, ci entreremo dentro». Quanti sono d’accordo?

All’inizio di agosto un deputato regionale verde dell’Assia, Frank Schwalba-Hoth (non si è ripresentato alle elezioni domenica scorsa, preferendo tornare alla propria professione di insegnante), ha spruzzato del sangue addosso a un generale americano durante un ricevimento ufficiale. «Ha offeso la dignità di un uomo», è stato il duro commento di Petra Kelly, ex collaboratrice di Martin Luther King e quindi nonviolenta integrale. «Orrendo», ha rincarato il suo compagno, l’ex generale ora pacifista Gert Bastian, che conserva ancora un certo rispetto per le divise nonostante sui giornali appaia sempre più frequentemente in foto mentre viene trascinato via di peso dai sit-in antimilitaristi. L’«azione del sangue» è stata però approvata da parecchi altri, comprsi gli stessi verdi dell’Assia.

Iniziatori del movimento per la pace, i verdi sin dalla loro nascita quattro anni fa vengono accusati di essere antiamericani. Una delle loro principali preoccupazioni è dimostrare il contrario: «Non ce l’abbiamo con gli americani, ma con tutti gli eserciti d’occupazione». Gandhiani convinti, hanno sostituito il vecchio «Yankee go home» con il gentilissimo «Soldato, lascia l’esercito e vieni con noi».

«Nessuna accondiscendenza verso slogan del tipo “Violenza contro i piedipiatti” in voga fra gli autonomi», assicura Hoplitschek, il capo dei verdi berlinesi. Ci tengono a ricordare che nel novembre ’81, quando l’allora leader sovietico Leonid Breznev andò a Bonn, gli organizzarono contro un corteo di ventimila persone. Per protestare contro il golpe del generale Wojciech Jaruzelski in Polonia si rifiutarono di partecipare a qualsiasi iniziativa assieme al Dkp, il partito comunista della Germania Ovest finanziato da Mosca. E anche dopo l’incidente del jumbo coreano (abbattuto dai sovietici il primo settembre, provocando la morte di 269 persone) non sono mancate le condanne.

«Non siamo fedeli all’Est o all’Ovest, ma al genere umano», sta scritto nel loro programma. Eppure, dice il deputato Joschka Fischer, «per me ogni negozio di McDonald’s rappresenta una garanzia che la vecchia Germania non rinascerà più. Ogni hamburger, anche se io li detesto e li trovo immangiabili, è un pezzo di libertà. Siamo tutti americani, e la nostra cultura democratica la dobbiamo agli Stati Uniti. Ma non all’America ufficiale: a quella degli anni Sessanta, dei diritti civili e della musica pop».

In giugno Petra Kelly (sempre più pallida e nervosa, ma affascinante quando investe le platee con la sua eloquenza ispirata e torrenziale) ha compiuto un lungo tour negli Stati Uniti invitata dal Freeze movement, l’organizzazione che propone di congelare gli arsenali atomici ai livelli attuali.

E a sottolineare la distanza dall’Unione Sovietica c’è l’atteggiamento che i verdi tengono nei confronti del dissenso tedesco orientale. Roland Jahn, espulso dal governo di Berlino Est per la colpa di avere organizzato un movimento pacifista indipendente, è stato «adottato» dai verdi. Da anni il cantautore Wolf Biermann, anch’egli dissidente esiliato dal rtegime di Erich Honecker, si esibisce durante le loro manifestazioni.

Divisi sul piano ideologico, impegnati a differenziarsi da un movimento pacifista ambiguo (anche il premio Nobel della letteratura Heinrich Böll ha controbattuto le accuse di filosovietismo e di pacifismo a senso unico: «Non mettiamo in pericolo la democrazia, la usiamo») e decisi a rompere uno dei tradizionali tabù della sinistra, l’antiamericanismo, i verdi hanno dovuto fare i conti anche con alcuni curiosi e imbarazzanti incidenti di percorso.

All’indomani delle elezioni del 6 marzo si viene a sapere che l’ultrasettantenne Werner Vogel, eletto nelle liste col simbolo del girasole, il quale si accingeva a presiedere la seduta inaugurale del Bundestag risultandone il decano, aveva trascorsi nazisti. Niente di gravissimo, in un paese dove perfino il passato del presidente della Repubblica Karl Carstens non è immacolato. Ma subito il vecchietto amante della natura è stato costretto a dimettersi.

In agosto poi c’è stato l’«affare del sesso». «Il verde che palpa le tette alle segretarie», ha titolato a tutta pagina con la sua solita eleganza la Bild Zeitung. E così finisce la carriera di deputato di Klaus Hecker, 53 anni, sposato con tre figli: «Sì, ho fatto qualche avance alle ragazze dello staff: mi sentivo tanto solo a Bonn d’estate...»
Il gruppo parlamentare lo invita a dimettersi. Un certo puritanesimo femminista imperante tra i verdi fa addirittura dichiarare a una deputatessa: «La lotta contro i missili e contro il potere maschilista è una cosa sola». In questo clima antifallico, Hecker viene paragonato a un Pershing e non gli rimane che fare le valigie.

Mauro Suttora

I verdi in Germania

"Né a sinistra né a destra: siamo avanti"
Come lavorano i verdi nel Parlamento tedesco

di Mauro Suttora
Europeo, 8 ottobre 1983




Willy Brandt, lanziano presidente dei socialdemocratici tedeschi, ha pronosticato una durata di soli altri quattro anni per i verdi. L'impatto con il Parlamento in effetti è stato molto duro per un partito in cui mai nessuno ha fatto politica di professione: dilettantismo vuol dire freschezza e onestà, ma anche ingenuità e passi falsi. 
Per esempio, durante la campagna elettorale per le regionali del 25 settembre in Assia e a Brema, per ben due volte i verdi sono rimasti fuori dai dibattiti televisivi perché si ostinavano a mandare negli studi tv degli emeriti sconosciuti invece dei parlamentari uscenti, in omaggio ai propri principi di "democrazia di base" e di uguaglianza. 

Fautori della democrazia diretta, i verdi eletti nelle istituzioni sono sottoposti a vincolo di mandato e tengono periodicamente delle assemblee di consultazione con i propri elettori. Questo spesso tarpa le ali a iniziative personali delle personalità più brillanti: Petra Kelly e gli altri deputati che in maggio erano andati a protestare contro gli armamenti a Berlino Est, venendo arrestati ed espulsi, sono stati criticati non per l'azione in sé, ma perché non ne avevano parlato prima con la "base". Per i verdi infatti è importantissimo rispettare la volontà degli attivisti. 

Ormai sono in 120 a Bonn a lavorare a tempo pieno per i verdi: una cifra considerevole per un partito "alternativo" (i cugini radicali italiani non danno lavoro a più di 60 persone fra Roma e Bruxelles). Oltre ai deputati e allo staff di segreteria ci sono i 28 vicedeputati, pronti a subentrare nella carica fra un anno e mezzo, a metà legislatura, ma già adesso impegnati a tempo pieno. 

"Non siamo né a sinistra né a destra: siamo davanti", proclamavano i grünen prima delle elezioni del marzo scorso. Così nell'aula del Bundestag li hanno messi in centro, in fila per due. A parte l'elegante avvocato Otto Schily e l'ex generale Gert Bastian, sempre impeccabile, i deputati maschi hanno i capelli lunghi in media trenta centimetri. Abbigliati in salopette e sandali di sughero, sono l'immagine fedele del 5,6 per cento di tedeschi che li ha votati.
Mauro Suttora