Showing posts with label roberto cicciomessere. Show all posts
Showing posts with label roberto cicciomessere. Show all posts

Sunday, July 31, 2022

I due mandati grillini sono una barzelletta. Imparino dai radicali

Da sempre nelle democrazie il divieto di ricandidarsi è considerato il principale antidoto alle incrostazioni di potere. Gli ultimi che in Italia hanno provato a limitare la durata dei politici, prima di Grillo, li facevano ruotare a metà mandato

di Mauro Suttora

Huffpost, 31 Luglio 2022  


Altro che due mandati. Gli ultimi che in Italia hanno provato a limitare la durata dei politici al potere, prima di Grillo, li facevano ruotare a metà mandato. Due anni e mezzo, e poi via. 

Dieci anni è troppo, inutile e crudele. Troppo, perché due lustri sono un'eternità; inutile, perché come dimostrano i grillini quasi tutti trovano trucchi per continuare; crudele, perché dopo un tempo così lungo è un'agonia tornare al precedente lavoro (Vito Crimi era dovuto emigrare da Palermo a Brescia per fare fotocopie in tribunale) o reperirne uno nuovo. 

Una suora divorzista, un obiettore antimilitarista, un intellettuale omosessuale e un avvocato garantista: questi furono i deputati che nel 1976 i radicali scelsero per subentrare a metà mandato ai loro primi quattro eletti (Pannella, Bonino, Mellini e Adele Faccio). Erano arrivati secondi nelle preferenze: suor Marisa Galli, Roberto Cicciomessere, Angelo Pezzana e Franco De Cataldo. Cominciarono da subito a frequentare Montecitorio come deputati supplenti: aiuto prezioso che raddoppiava le forze, visto che non esistevano ancora i portaborse.

La mossa dei radicali ebbe particolare risonanza, perché già allora montava la polemica contro l'inamovibilità dei politici di carriera: in particolare dei democristiani, da trent'anni al governo senza interruzione. Le turnazioni radicali a metà mandato proseguirono nelle legislature successive, tanto che Pannella alla fine si ritrovò una pensione notevolmente decurtata.

Anche i verdi all'inizio promisero la rotazione a metà mandato. Ma dei consiglieri regionali e comunali eletti nel 1985 pochi mantennero l'impegno: fra gli altri Michele Boato in Veneto e Nanni Salio a Torino (dopo un solo anno). Spesso i verdi, per dimostrare il loro disinteresse verso le poltrone, si candidavano in ordine alfabetico. Quindi quasi sempre ottenevano più preferenze quelli con cognome A o B. I quali però alla scadenza dei due anni e mezzo non lasciavano la carica, nonostante l'assoluta casualità della loro elezione. 

Uno dei casi più spiacevoli avvenne a Milano. Non solo i consiglieri comunali Antoniazzi e Barone nel 1987 non si dimisero, ma vennero nominati assessori dal furbo sindaco socialista Pillitteri, che formò così la prima giunta rossoverde d'Italia.

Erano tempi duri per gli eletti di movimenti 'alternativi' che cedevano alle lusinghe del potere: vidi un assessore verde lasciare la sua auto blu a un isolato dall'assemblea di partito cui doveva partecipare, e arrivare a piedi per non farsi notare. I grillini odierni invece ci hanno messo poco ad adeguarsi.

Da sempre nelle democrazie il divieto di ricandidarsi è considerato il principale antidoto alle incrostazioni di potere. 2500 anni fa Atene e Roma stabilirono in un anno la durata di arconti e consoli, oggi i presidenti Usa e francesi hanno limiti di otto e dieci anni. Ma il record di velocità appartiene ai priori della repubblica di Firenze: a casa dopo soli due mesi.

Mauro Suttora


Sunday, August 13, 2017

Radicali: Spadaccia media fra Bonino e pannelliani

di Mauro Suttora

Libero, 13 agosto 2017


Cosa faranno i radicali alle politiche? Accreditati di un 2%, possono risultare preziosi sia per Renzi che per Berlusconi.

Emma Bonino si sta muovendo con Marco Cappato e il sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova per una lista Forza Europa, che potrebbe attrarre Mario Monti e altri centristi laici come il ministro Calenda. 
A seconda della legge elettorale, si presenteranno soli, apparentati al Pd, o contratteranno posti nella lista Pd come nel 2008.

Ma da due anni i radicali sono spaccati. La rottura fra la Bonino e Marco Pannella si è estesa dopo la morte di quest'ultimo nel maggio 2016 a tutti i boniniani e pannelliani: da una parte l'ex ministra degli Esteri, Gianfranco Spadaccia, Cappato, Mario Staderini, Roberto Cicciomessere; dall'altra Maurizio Turco, Rita Bernardini e Sergio D'Elia.


Questi ultimi controllano il Prntt (Partito radicale nonviolento transnazionale transpartito), la cui lunghezza del nome è inversamente proporzionale al numero degli iscritti: se non arriveranno a 3mila entro la fine dell'anno, hanno deciso di sciogliersi.


I boniniani invece sono riuniti in Radicali italiani (segretario Riccardo Magi), che hanno appena compiuto l'exploit di raccogliere 30mila firme per un referendum che mette in gran difficoltà la sindaca grillina di Roma Virginia Raggi: togliere all'Atac il monopolio del trasporto pubblico nella capitale.

Cappato guida l'Associazione Coscioni per l'eutanasia e la libertà della scienza. E la buonista Bonino è attiva soprattutto nella campagna pro-immigrati Ero Straniero.

Anche i transnazionali macinano politica: hanno appena concluso una Carovana di mezzo mese in Sicilia per i loro tradizionali obiettivi sulla giustizia: amnistia, indulto, no all'ergastolo, separazione delle carriere fra magistrati inquirenti e giudicanti.

Un garantismo che in teoria potrebbe avvicinarli al centrodestra. Ma loro negano qualsiasi prospettiva elettorale.

Ora qualcuno cerca un rammendo fra le due fazioni. Spadaccia, 82 anni, grande vecchio radicale (ex segretario e parlamentare, per decenni braccio destro di Pannella), ha mandato una lettera a Turco & co. annunciando la propria iscrizione (200 euro annui), ma chiedendo l'apertura di un dibattito interno e spazi su radio radicale: "Quali obiettivi ci diamo di fronte alla crisi della democrazia liberale e dello stato di diritto, il dissolvimento dell'Unione Europea e il travolgimento dei diritti umani?"


Con Spadaccia, tendono la mano ai separati in casa una trentina di boniniani. E sul fronte opposto, l'altro grande vecchio radicale Angiolo Bandinelli, 90 anni, ha già rotto con l'estremismo antiboniniano di dirigenti come Turco e Valter Vecellio (la Bernardini è più possibilista).


Sullo sfondo c'è la partita per Radio radicale, che finora è rimasta neutrale dando spazio a tutti, ma che Turco ora vuole ridurre sotto il proprio controllo.

E la radio riceve 10 milioni annui di soldi pubblici come organo di partito e trasmettitrice delle sedute parlamentari.

Mauro Suttora

Friday, May 20, 2016

Pannella/Bonino: un amore finito male

DOPO LA MORTE DI MARCO, EMMA FA PACE. TROPPO TARDI

di Mauro Suttora

Libero, 20 maggio 2016

Lui ha fatto politica per 70 anni: prima tessera da quindicenne (liberale) nel 1945. Lei esordì 40 anni fa, con un aborto e un arresto. Lui si portava appresso 120 chili (se non digiunava) per 190 cm. di altezza. Lei ne pesa 50 per un metro e 60. Agli antipodi anche la parlantina: barocco e fluviale lui, concreta e concisa lei.

Apostoli della democrazia diretta, dal 1974 hanno raccolto 67 milioni di firme per 122 referendum. Ne hanno vinti 35: divorzio, aborto, finanziamento pubblico ai partiti, obiezione di coscienza alla naja, voto ai 18enni, caccia, chiusura manicomi e centrali nucleari…

Marco Pannella ed Emma Bonino: dall’alto del proprio due per cento hanno cambiato la storia d’Italia dal 1970 a oggi. Sono il contrario di Beppe Grillo, loro imitatore: senza voti (e dal 2013 senza deputati) contano molto, mentre i grillini hanno tanti voti ma contano poco.

Formavano una coppia inossidabile. In tanti avevano cercato di separarli. Nel 1999, dopo il successo della lista Bonino alle europee (secondo partito col 12% al nord), Silvio Berlusconi definì Emma «protesi di Pannella».

Ma lei fino all'estate scorsa era rimasta fedele all’uomo che la fece entrare in Parlamento a 28 anni, con gli zoccoli da femminista. Uniti perfino dai tumori: entrambi ai polmoni, più una metastasi al fegato per Marco.

Fegatoso era stato l’attacco di lui a lei: «Non viene più alle riunioni di partito, non sappiamo che faccia». In realtà la Bonino è di nuovo attiva, superato il cancro con la chemio. Solo che, andando per i 70, si è stufata delle mattane del suo mentore.

Pannella negli ultimi 15 anni ha «adottato» un giovane radicale, Matteo Angioli, con cui ha convissuto in un rapporto socratico-platonico. Lo ha promosso all’interno del partito, fra mugugni vari. E ha rivelato che Bonino si è opposta alla pubblicazione di un loro epistolario.

Gelosia? Pannella è bisessuale: «Ho amato molto quattro uomini, ho avuto figli da due donne», ha confessato. Fra Marco ed Emma non c’è mai stato nulla di sentimentale. Quindi non è stato l’amore ad allontanarli, ma la politica.

Negli ultimi due anni Pannella si era fissato con «il diritto alla conoscenza e la transizione dei Paesi occidentali verso lo stato di diritto». Ha fatto organizzare al suo Matteo e all'ex ministro finiamo degli Esteri Giulio Terzi (predecessore della Bonino alla Farnesina) convegni sull’astruso tema, invitando a Bruxelles, a Roma e a Ginevra (la scorsa settimana) politici e ambasciatori stranieri.

«Emma non si era mai sottratta alle iniziative più strampalate di Marco», commenta Roberto Cicciomessere, già suo compagno e segretario radicale. Ma da un anno non collaborava più. Per lei ormai Pannella era zavorra. Da vent’anni vola nei sondaggi è stata due volte ministro, commissaria Ue (Pannella nel '94 la impose a Berlusconi che stava per mandare a Bruxelles Napolitano). Prima del tumore era perfino fra i favoriti per il Quirinale, al posto di Mattarella (apprezzata anche dai grillini).

Da piemontese leale e disciplinata, non ha mai polemizzato pubblicamente con Pannella. Versa ancora al partito radicale 2.500 euro al mese. «Ma se ne sta coi suoi amici del jet set», brontolava Marco: dalle sorelle Fendi a George Soros, che appoggiano la decennale battaglia della Bonino contro le mutilazioni genitali femminili.

A rimanere mutilati nell'ultimo anno sono stati i radicali: «Per noi Emma era la mamma e Marco il papà», geme l’ex deputato Marcello Crivellini. 

Ultimo strappo: le liste radicali alle comunali del 5 giugno. I boniniani Marco Cappato e Riccardo Magi si presentano a Milano e a Roma. I pannelliani Maurizio Turco e Sergio D'Elia non sono d'accordo. Ormai le due correnti litigano.

Emma non ha mai voluto vedere Marco durante gli ultimi mesi, nella mansarda in via Panetteria dove tutta Italia è andata in pellegrinaggio, da Renzi a Berlusconi. Ieri ha commentato commossa a Radio radicale la sua scomparsa: «Pannella ci ha insegnato molto, mancherà anche ai suoi avversari. È stato amato, ma non ha mai avuto riconoscimenti adeguati». 

Insomma, anche i monumenti divorziano. E figurarsi se non poteva farlo la strana coppia che ha regalato la legge sul divorzio all'Italia.
Mauro Suttora

Wednesday, August 12, 2015

Coppie in crisi: Pannella e Bonino

EMMA E MARCO, CHE BOTTE

«Non sei più radicale», accusa lui. «Ma se do al partito 2.500 euro al mese», risponde lei. Ecco i veri motivi della lite che divide i massimi libertari italiani

di Mauro Suttora

Oggi, 5 agosto 2015

Lui fa politica da 70 anni: prima tessera da quindicenne (liberale) nel 1945. Lei esordì 40 anni fa, con un aborto e un arresto. Lui si porta appresso 120 chili (se non digiuna) per 190 cm. di altezza. Lei ne pesa 50 per un metro e 60. Agli antipodi anche la parlantina: barocco e fluviale lui, concreta e concisa lei.

Apostoli della democrazia diretta, dal 1974 hanno raccolto 67 milioni di firme per 122 referendum. Ne hanno vinti 35: divorzio, aborto, soldi ai partiti, obiezione di coscienza alla naja, voto ai 18enni, caccia, chiusura manicomi e centrali nucleari…

Marco Pannella ed Emma Bonino: dall’alto del proprio due per cento hanno cambiato la storia d’Italia dal 1970 a oggi. Sono il contrario di Beppe Grillo, loro imitatore: senza voti (e ora neanche deputati) contano moltissimo, mentre i grillini hanno tanti voti ma contano pochissimo.

Formavano una coppia inossidabile. In tanti avevano cercato di separarli. Nel 1999, dopo il successo della lista Bonino alle europee (secondo partito in molte zone del nord), Silvio Berlusconi definì Emma «protesi di Pannella».

Ma lei è rimasta fedele all’uomo che la fece entrare in Parlamento a 28 anni, con gli zoccoli da femminista. Uniti ora perfino dai tumori: entrambi ai polmoni, più una metastasi al fegato per Marco.

Fegatoso è sembrato l’attacco di lui a lei su Radio radicale: «Non viene più alle riunioni di partito, non sappiamo che faccia». In realtà la Bonino è di nuovo attiva, superato il cancro con la chemio. Solo che, andando per i 70, si è stufata delle mattane del suo mentore.

Rapporto platonico con un giovane

Pannella negli ultimi 15 anni ha «adottato» un giovane radicale, Matteo Angioli, con cui ha convissuto in un rapporto socratico-platonico. Lo promuove all’interno del partito, fra mugugni vari. E ha rivelato che Bonino si è opposta alla pubblicazione di un loro epistolario.

Gelosia? Pannella è bisessuale: «Ho amato molto quattro uomini, ho avuto figli da due donne», ha confessato. Fra Marco ed Emma non c’è mai stato nulla di sentimentale. Quindi non è l’amore ad allontanarli, ma la politica.

Ora Pannella si è fissato con «la transizione dei Paesi occidentali e arabi verso lo stato di diritto». Fa organizzare al suo Matteo convegni sull’astruso tema, invitando a Bruxelles e a Roma (la scorsa settimana) politici stranieri.

«Emma non si era mai sottratta alle iniziative più strampalate di Marco», commenta Roberto Cicciomessere, già suo compagno e segretario radicale. Adesso invece non collabora più. Per lei ormai Pannella è zavorra. Da vent’anni vola nei sondaggi, è stata due volte ministro, commissaria Ue. Prima del tumore era fra i favoriti per il Quirinale (apprezzata anche dai grillino).

Da piemontese leale e disciplinata, non polemizza e versa ancora al partito radicale 2.500 euro al mese. «Ma se ne sta coi suoi amici del jet set», brontola Pannella: dalle Fendi a Soros, che appoggiano la battaglia della Bonino contro le mutilazioni genitali femminili.

A rimanere mutilati questa volta sono i radicali: «Per noi Emma era la mamma e Marco il papà», geme l’ex deputato Marcello Crivellini. Anche i monumenti divorziano.
Mauro Suttora

Friday, February 18, 2005

L'insopportabile Marco

L'inchiesta vecchio stile

Diario, 18 febbraio 2005 (storia di copertina)

La svalutazione del Marco

Vengono da una lunga storia, da gloriose lotte per i diritti civili, da digiuni eclatanti e campagne verbosissime, hanno contrattato con destra e sinistra. Una canzone popolare sembra fatta apposta per i radicali e dice così: «Mamma Ciccio mi tocca, toccami Ciccio che mamma non vede»

di Mauro Suttora

E' il partito più antico d’Italia, fra quelli in circolazione: compie cinquant’anni a dicembre. «Non abbiamo mai dovuto cambiar nome», proclama orgoglioso Marco Pannella. Coincidenza quasi incredibile: il Partito radicale è nato negli stessi giorni in cui una signora di Montgomery (Alabama), Rosa Parks, rifiutò di alzarsi dal suo sedile in un autobus segregato, iniziando così la lotta per i diritti civili dei negri d’America. Pannella come Martin Luther King? Il paragone è lusinghiero, probabilmente azzardato, ma non campato in aria. Lui, il Marco transnazionale che va per i 75, si ritiene perfettamente maturo per il Nobel, oltre che per il laticlavio perpetuo che Carlo Azeglio Ciampi continua a negare a lui e a Mike Bongiorno. I senatori a vita sono quattro, ci sarebbe ancora un posto, che se però finisse a Pannella provocherebbe un suicidio eccellente: quello di Eugenio Scalfari. E viceversa, perché l’invidia e la gelosia sono reciproche.

Entrambi i grandi vecchi del liberalismo di sinistra italiano erano presenti, quell’11 dicembre 1955, al cinema Cola di Rienzo dove nacque il Partito radicale di Ernesto Rossi e Mario Pannunzio. Si detestavano cordialmente già da anni, galletti troppo ambiziosi nel prestigioso ma angusto pollaio della corrente di sinistra del partito liberale. Da allora, Pannella ha sempre fatto politica praticando in realtà il giornalismo: invincibile il suo penchant per le provocazioni intellettuali, invece di limitarsi a raccogliere comodi consensi surfando fra rassicuranti luoghi comuni come un Fini o un Casini qualsiasi. Scalfari, al contrario, ha fatto giornalismo macinando in realtà politica. E oggi eccoli sempre lì, i due uomini che hanno contato di più per i diritti civili in Italia: l’uno con i suoi digiuni e comizi, l’altro con le copertine dell’Espresso e le prime pagine di Repubblica.

A letto con chiunque.

«Divorzio, aborto, obiezione di coscienza, Tribunale internazionale Onu...»: quando Marco ingrana in tv la litania delle sue conquiste assomiglia all’eterno nonno reduce italiano che ha via via tediato i nipoti con i ricordi dei Mille garibaldini, dei ragazzi del ’99, della Resistenza, del ’68. Questo però è un vecchiaccio felice che ancora il primo agosto scorso volantinava da solo in mezzo al milione di persone arrivate per Simon e Garfunkel davanti al Colosseo: «Firmate i referendum sulla libertà della scienza», urlava sorridente ai passanti. E dove lo si trova nel mondo intero un politico professionista ultrasettuagenario che se va per strada a mendicare una firma per i diritti civili (questa volta dei malati)?

Verso la fine del concerto Simon e Garfunkel hanno intonato una delle loro canzoni più belle e famose, The boxer: «E il pugile si porta addosso il ricordo di ogni guantone che lo ha sbattuto a terra e distrutto/ e lui che urlava con rabbia e vergogna “Io vivo, io vivo!”/ ma il combattente resiste sempre, lailalai...». Peccato che il bilingue Pannella (mamma svizzera francese) non conosca anche l’inglese, altrimenti avrebbe egocentricamente concluso che quella canzone era sicuramente dedicata a lui. Anche perché, serendipity, risale allo stesso anno della legge del divorzio, quel 1970 in cui assieme a Roberto Cicciomessere fece il primo sciopero della fame davanti al Parlamento.

I ragazzi radicali, che da trent’anni continuano testardi a raccogliere firme inutili, perché tanto i referendum vengono sterminati in embrione dalla Corte costituzionale o in culla dagli astenuti, si fidano ciecamente di Pannella. Anche Emma Bonino, che lo segue con una fedeltà commovente. «Sei solo una sua protesi», la insultò Silvio Berlusconi sei anni fa. Fosse vero, lei magari ne sarebbe contenta. Ora è con lui anche in questa stranissima richiesta dell’ospitalità, rivolta contemporaneamente a destra e a sinistra. C’è qualcosa di muliebre nel bisogno di venire corteggiati a 360 gradi, di essere scelti invece di scegliere, e qualcosa di francamente puttanesco nella disponibilità a finire a letto con qualsiasi ospitante. Ma quando una cosa la fanno i radicali, chissà perché assume quasi sempre un sapore diverso, magari grottesco, eppure in qualche modo affascinante. Come quella volta di Toni Negri, nel 1983. O di Cicciolina, quattro anni dopo. O della propria pipì bevuta da Pannella-Don Pisciotte in tv, con Maurizio Costanzo e Ciampi ridotti a implorarlo in diretta a Buona domenica.

Partito mio, quanto mi costi.

Poi, certo, ci sono le ragioni prosaiche e spregiudicate di un partito che, seppur minimo, ha anch’esso un apparato da stipendiare. C’è la convenzione miliardaria di Radio Radicale di Massimo Bordin col Parlamento da rinnovare nel 2006: chi sarà al governo allora? A buttarsi con Silvio Berlusconi oggi, si verrà puniti in caso di vittoria della sinistra, e viceversa. Il call center radicale continua instancabile a telefonare ai simpatizzanti e alla nuova mailing list dei firmatari per i referendum sulla procreazione assistita, ma l’autofinanziamento (comunque il più alto, in percentuale, fra tutti i partiti italiani) non basta a pareggiare i conti. «Duemila iscritti a Radicali italiani hanno versato nell’ultimo anno mezzo milione di euro», riassume la tesoriera Rita Bernardini.

Ma i Radicali italiani guidati da lei e dal segretario Daniele Capezzone sono soltanto una delle tante organizzazioni pannelliane. C’è l’associazione «Nessuno tocchi Caino» contro la pena di morte, guidata da Sergio D’Elia ed Elisabetta Zamparutti, che raccoglie un buon numero di contributi spontanei (in primis quelli di Vasco Rossi, che fa loro propaganda nei suoi concerti), e anche finanziamenti dall’Unione europea per i programmi organizzati. «Non c’è pace senza giustizia» avrebbe potuto chiudere i battenti dopo la vittoria sul Tribunale internazionale Onu, finalmente nato dopo che 60 Paesi hanno firmato il trattato di Roma (non gli Usa, fieri nemici), ma continua a fare lobbying internazionale per aumentare i Paesi firmatari e ora si è riconvertita nella campagna contro le mutilazioni genitali femminili. La Bonino non ha partecipato al bailamme delle trattative sull’ospitalità perché è andata a organizzare con l’ex eurodeputato Gianfranco Dell’Alba un convegno a Gibuti in cui pare che alcuni preti africani abbiano fatto marcia indietro sull’obbligatorietà del taglio della clitoride.

Nel 2004 è nata l’associazione Luca Coscioni, dal nome del malato di sclerosi laterale ridotto all’immobilità che si batte per la ricerca sulle cellule staminali. L’anno scorso, oltre alla raccolta di firme per i referendum, il suo segretario Marco Cappato è riuscito a bloccare una risoluzione Onu sponsorizzata da Vaticano e Usa contro la ricerca sugli embrioni.

Altre associazioni specializzate, infine, gravitano attorno ai radicali: quella anticlericale (animata da Maurizio Turco) e quella antiproibizionista, che portano avanti le battaglie dei decenni scorsi e che avranno vita dura in caso di accordo con Forza Italia. Proprio lunedì scorso Pannella e la Bernardini sono stati assolti per aver distribuito pubblicamente spinelli. Esattamente trent’anni dopo la prima volta.

C’è poi il Prt (Partito radicale transnazionale), rappresentato a New York dai fiorentini Marco Perduca e Matteo Mecacci. Dal loro ufficietto di fronte all’Onu fanno vedere i sorci verdi al Vietnam sulla questione dei Montagnard (la minoranza perseguitata degli altipiani), alla Russia sui ceceni, alla Cina su Tibet, Xinjiang e Falun Gong, e a tutte le dittature in genere. Si battono per la nascita della Omd (Organizzazione mondiale delle democrazie), che dovrebbe innervare l’Onu di spirito nuovo ed emarginare i Paesi autoritari. Una delegazione radicale è andata in Ucraina durante la rivoluzione arancione, mentre Pannella a Capodanno è volato in Cambogia dove i revenants filovietnamiti e polpottisti minacciano la vita democratica. In cambio, periodicamente Vietnam, Russia, Cina e Cuba cercano di far togliere al Prt lo status di ong (organizzazione non governativa) presso l’Onu. Ci hanno provato anche durante l’estate 2004, senza riuscirci.

Tutta questa attività ha subìto un duro colpo con la sconfitta alle europee lo scorso giugno, quando la lista Bonino è crollata dall’8 al 2 per cento. Gli eurodeputati si sono ridotti da sette a due, e di conseguenza anche tutto il corredo di portaborse e finanziamenti (per esempio, i convegni con traduzione simultanea). Inoltre, tutti gli eletti versavano metà stipendio al partito: in lire almeno 10 milioni al mese ciascuno, 70 in totale, quasi 1 miliardo all’anno. Perso pure questo. Poi un mese fa è arrivata la tegola della bocciatura della Consulta all’unico referendum sulla legge della procreazione assistita promosso solo dai radicali. Ed è evaporato un rimborso di 250 mila euro. Per questo Pannella la scorsa estate è dovuto ricorrere a un prestito da parte di George Soros (già convertito in fidi con banche italiane). Il miliardario americano nemico di George Bush junior è vicinissimo ai radicali: con la sua Open Society condivide la battaglia per la Omd, e finanzia la Lia (Lega internazionale antiproibizionista) guidata dal radicale Perduca.

Un neocon chiamato Capezzone.

Come si vede, quasi tutte le attuali campagne italiane e internazionali dei radicali pencolano verso sinistra. Risulta incomprensibile, quindi, l’infatuazione di Capezzone e di qualche altro pannelliano per il movimento neocon Usa. Sulla guerra in Iraq Pannella aveva escogitato una posizione mediana: la mozione «Iraq libero», che invitava Saddam all’esilio per bloccare l’attacco statunitense. Ma da allora sono passati due anni, e in nome della lotta per la democrazia (la più recente scusa di Bush per il proprio militarismo) alcuni radicali sembrano aver dimenticato il loro classico antimilitarismo.

Capezzone, soprattutto, il quale imperversa dappertutto. È lui ormai il nuovo componente della trinità radicale, assieme a Pannella e Bonino. Il sito internet radicale risulta quasi comico nel declamarne le gesta: Capezzone dichiara, Capezzone puntualizza, Capezzone di qua, Capezzone di là, Capezzone a Marchette, Capezzone imitato da Neri Marcorè a SuperCiro, comprate i due libri di Capezzone, per arrivare infine all’imbarazzante «Capezzone a Washington». Che purtroppo non è una missione alla Frank Capra, ma il resoconto audio di una conferenza che lo sventurato ha tenuto pochi mesi fa all’Aei (American Enterprise Institute), cioè il maggiore think tank (molto tank e poco think, per la verità) dei falchi di estrema destra Usa. «Sono gli unici ad avermi invitato», si giustifica lui, segretario di un partito che ha tuttora Gandhi nel simbolo. In effetti nel suo discorso, pronunciato in un ottimo inglese, Capezzone non fa sconti ai neocon: concorda sull’espansione della democrazia, ma dissente educatamente sul mezzo adottato (la guerra). Un’altra missione in partibus infidelium da parte dei non violenti radicali sembrano essere i numerosi commenti che Capezzone-prodigio e Mecacci hanno pubblicato sul Washington Times, cioè il quotidiano reazionario (è la voce del Pentagono) pubblicato dalla setta del reverendo Moon (sì, quello della moglie-lampo filippina del vescovo Milingo...)

Qui in Italia, stranamente, a sinistra uno dei più entusiasti nell’auspicare l’ospitalità verso i radicali è Fausto Bertinotti. Eppure proprio Rifondazione comunista è stata dagli anni Novanta la più implacabile nel denunciare il liberismo e il filoamericanismo pannelliani. Nel 1999, durante la raccolta delle firme per i 20 referendum, i rifondatori organizzarono in varie città comitati per il no contro i nove quesiti «economici» (abrogazione articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, pensioni d’anzianità, Inail, monopolio statale obbligatorio sull’assistenza sanitaria, ritenuta d’acconto e liberalizzazione di collocamento, lavoro a termine, a domicilio e part-time). I militanti comunisti volantinarono vicino ai tavoli radicali, invitando i passanti a non firmare. Poi ci pensò come sempre la Corte costituzionale a far fuori 13 referendum su 20. E alla fine, quando il 21 maggio 2000 si votò, l’astensione annullò tutti gli altri. Ma l’unico che non avrebbe comunque vinto, anche con il quorum del 50 per cento, sarebbe stato quello sull’articolo 18 (reintegro obbligatorio dei dipendenti licenziati ingiustamente). Su questi temi Bertinotti e Pannella sono sempre stati agli antipodi.

Quanto alla non violenza, il recente entusiasmo gandhiano di Rifondazione si dipana in polemica proprio contro i radicali, accusati di aver tradito l’antimilitarismo già con l’astensione del 1991 sulla prima guerra del Golfo, e poi con la sollecitazione degli interventi armati umanitari in Bosnia e Kosovo, nonché dei bombardamenti angloamericani in Iraq del 1998.

Eppure c’è una vicenda sepolta nel passato che forse può spiegare questa bizzarra attrazione fra opposti. Per ben due volte, negli anni Sessanta, i radicali si allearono con il Psiup. E in quel partito militava l’allora ventenne Bertinotti. Alle amministrative del novembre 1964 i radicali invitarono a votare psiuppino. E alle elezioni comunali del giugno 1966 a Roma il Psiup ricambiò, praticando l’ospitalità tanto invocata oggi. Ci fu una lista comune. Non ritenendosi sufficientemente appoggiati, prima del voto i radicali si ritirarono dalle liste. Ciononostante, Pannella arrivò terzo con 1.120 preferenze, anche se non riuscì a entrare in Consiglio comunale.

C’è da dire che nel 1965 i radicali erano riusciti a mandare in galera il sindaco dc di Roma Amerigo Petrucci sollevando lo scandalo Onmi (Opera nazionale maternità e infanzia) sulle truffe dc nel settore dell’assistenza. Quindi, contrariamente a oggi, c’erano battaglie concrete combattute assieme a livello locale. Ma il feeling con la sinistra durò pochissimo: nell’estate 1966 Pannella attaccò il Pci con un’intervista a Giano Accame sul settimanale di destra Nuova Repubblica. «Pannella demistificato», reagì subito sull’Unità Maurizio Ferrara (padre di Giuliano). Che dieci anni dopo raddoppiò con questo epigramma: «I radicali sono gente assai lasciva/Finocchi e vacche nude alla Godiva».

È passato veramente tanto tempo anche da quel 1976 quando Pannella si prese uno sganassone da un portinaio comunista a Botteghe Oscure, e dal 1979 quando fu fischiato al congresso Pci dove il suo loden blu venne scambiato per un «mantello di Dracula»: oggi l’omosessuale comunista Nichi Vendola sollecita l’ospitalità verso i radicali in Puglia. Gli altri due candidati del centrosinistra più filopannelliani sono Ottaviano Del Turco in Abruzzo e la ex radicale (corrente Massimo Teodori) Mercedes Bresso in Piemonte.

Con Berlusconi, politica & miliardi.

Ma insomma, chi sono veramente i radicali? Ovvero: chi è veramente Pannella? Lui l’ospitalità l’ha sempre praticata generosamente: nel 1976 voleva dare asilo a Lotta continua ostracizzata da Dp, nel 1979 ebbe il sogno grandioso di aprire a tutta la sinistra extraparlamentare (Marco Boato, Mimmo Pinto), portandola in dote al Psi per diventare vicesegretario di Bettino Craxi. La testata radicale Liberazione fu ospitata per qualche tempo dentro il quotidiano Lotta continua. Una dozzina d’anni fa Pannella la regalò a Bertinotti, così come regalò il simbolo antinucleare del Sole che ride ai Verdi. Fino agli anni Ottanta la linea ufficiale dei radicali era: «Rinnovamento, unità e alternativa di sinistra». All’inizio dei Novanta il libertarismo divenne anche economico, e quindi rivolta fiscale assieme alla Lega. Poi Umberto Bossi definì Pannella «Culosevich», e addio feeling. Nel 1994 cominciarono i giri di valzer con Berlusconi, terminati però sempre a pesci in faccia. Sostiene l’editorialista di Radio Radicale Iuri Maria Prado: «Oggi è difficile pensare che un elettore ‘’non’’ voti per questo o quello, perché è alleato della Bonino. È semmai facile immaginare che un tal nome possa solo portarne, di voti».

Nel 1999 la lista Bonino era diventata il secondo partito dopo Forza Italia in parecchie città del Nord, da Treviso a Monza. Una media del 12-13 per cento da Torino a Trieste, il quarto partito d’Italia. Se oggi i radicali si mettessero di nuovo con Berlusconi, oltre a portare il loro 2 per cento, acquisirebbero i voti di parecchi delusi della Casa delle libertà. È questo il ragionamento di Benedetto Della Vedova, eurodeputato radicale fino a otto mesi fa ed editorialista del Sole 24 Ore. Lui spinge da sempre per un accordo a destra, ha tenuto i rapporti con Berlusconi e alla fine ha convinto Pannella ad allearsi. Con chiunque, pur di uscire dall’isolamento che li ha cancellati dal Parlamento dal 1996.

Quell’anno, come lista Pannella-Sgarbi, i radicali siglarono anche un accordo finanziario con Berlusconi: se nella quota proporzionale non avessero raggiunto la soglia-ghigliottina del 4 per cento, Forza Italia avrebbe versato loro 10 miliardi: 1 come rimborso elettorale, più 9 miliardi in tranche annuali da 1,8 miliardi l’una. Ma Berlusconi dopo il voto non volle più onorare il contratto, considerandolo nullo perché il Polo aveva perso. La questione venne affidata a un arbitrato, nonostante i radicali avessero promosso un referendum proprio contro gli incarichi extragiudiziali ai magistrati. Nel dicembre 1996 un giudice, pagato 200 milioni per il disturbo, diede ragione a Pannella, e Forza Italia cominciò a pagare. In appello, però, un magistrato diverso ribaltò il verdetto: i radicali non solo non videro più una lira, ma dovettero restituire i miliardi incassati. Rimase loro il dubbio che il Cavaliere, anche in questo caso come in altri più famosi, si fosse mosso con argomenti estremamente «convincenti» nei confronti dell’arbitro d’appello.

«Quando si tratta con Berlusconi è solo un suk», ripete da allora Pannella, disgustato. Soprattutto dai cattolici di Pierferdinando Casini e Rocco Buttiglione, ai quali Berlusconi nel 1996 concesse 100 collegi contro i 43 della lista Pannella-Sgarbi. Lui, invece, aveva chiesto la parità con Ccd e Cdu come unica condizione. E quando non venne ottenuta ritirò i propri candidati. A quel punto Vittorio Sgarbi abbandonò Pannella per tornare da Berlusconi, anche se ormai era troppo tardi per togliere il suo nome dal simbolo. E i radicali per ripicca si candidarono anche nel maggioritario, senza alcuna chance ma con l’unico scopo di far perdere il Polo. Stesso comportamento da «muoia Sansone con tutti i filistei» anche alle politiche del 2001.

Oggi Pannella sembra aver abbandonato questo cupio dissolvi, ma il ricordo amaro delle trattative senza rete di sicurezza lo ha spinto a giocare uno schieramento contro l’altro: «Chiediamo ospitalità, ma se ci offrono le stalle dobbiamo avere un’alternativa», dice, e la preoccupazione suona ragionevole. Meno lo è il suo insistere con il linguaggio fiammeggiante: «Destra e sinistra rappresentano solo la cupola della mafiosità partitocratica, sono cosche contrapposte: allearsi coi corleonesi o con i palermitani per noi è lo stesso».

Cuore o portafogli: ecco il dilemma. Pessimismo cosmico, e un estremismo verbale pronto a scagliarsi indifferentemente, a seconda degli accordi, verso destra o verso sinistra. Eppure all’ospitalità passiva i radicali sono abituati. Abbiamo visto l’episodio col Psiup di Bertinotti, ma nel 1960 si registrò un risultato che ebbe conseguenze per i successivi trent’anni di politica italiana. Ben 51 consiglieri comunali radicali, infatti, furono eletti grazie all’ospitalità del Psi. Tranne a Torino dove l’alleanza fu con il Pri, in una lista dov’era candidato Norberto Bobbio. A Roma salirono in Campidoglio i radicali Antonio Cederna (lo scrittore) e Arnoldo Foà (l’attore). L’exploit fu a Milano: su 19 eletti nella lista Psi-Pr, ben quattro erano radicali: Scalfari, lo scrittore Elio Vittorini, il giornalista Sergio Turone e Alessandro Bodrero. Per Scalfari, in particolare, fu un trionfo: quinto fra i più votati con il quadruplo delle preferenze rispetto a un debuttante Craxi, relegato al quintultimo posto. La cronica antipatia di Craxi verso Scalfari risale a quella ospitalità. E la sua vendetta fu consumata nel 1972, quando Bettino non volle più ricandidare l’ospite Eugenio in parlamento dopo i quattro anni di Scalfari come deputato Psi. Quello fu l’unico quadriennio di politica a tempo pieno per il fondatore di Repubblica così come Pannella fece il giornalista per soli quattro anni a Parigi (per il Giorno) fino al 1963.

Alle europee 1989 il Marco transpartito, scomparsi Leonardo Sciascia ed Enzo Tortora, riuscì a far ospitare i radicali in ben quattro liste diverse: Verdi (Francesco Rutelli bocciato, Adelaide Aglietta eletta), Antiproibizionisti (Marco Taradash, eletto), Psdi (Giovanni Negri, bocciato) e Pri-Pli (se stesso, eletto): «Il più incredibile tentativo di quadratura del cerchio nella storia della politica italiana», commentò Gad Lerner sull’Espresso. «Strategia del cuculo», la definirono altri, ricordando l’uccello che depone le proprie uova nei nidi altrui.

E questa volta? Ammucchiata, orgia, digiuno? I radicali hanno il cuore a sinistra (libertarismo) e il portafogli a destra (liberismo). Ma con Pannella c’è una sola sicurezza: non ci si annoia mai. In politica, è già tantissimo. L’unico consiglio che ama seguire è quello datogli da Pier Paolo Pasolini (l’ennesimo comunista diventato radicale) nel 1975, tre giorni prima di morire: «Siate irriconoscibili, continuate a scandalizzare». Fatto, anche questa volta.

Mauro Suttora

Friday, September 22, 1989

Bnl e traffico d'armi

ALLE ARMI!

Europeo 22 settembre 1989

inchiesta: " il malaffare "

La BNL e il conflitto Teheran Bagdad

di Mauro Suttora

Non e' la prima volta che la Banca nazionale del lavoro fa da " sponda sporca " per traffici internazionali di armi verso Iran e Irak . Due anni fa la banca romana e' rimasta coinvolta nell' affare Tirrena Valsella . Anche allora , come oggi con l' Fbi statunitense , la verita' ci e' arrivata dall' estero : dalle dogane di Stoccolma , che avevano scoperto la violazione dell' embargo contro Iran e Irak da parte dell' industria svedese Bofors .

La Bofors , assieme a un consorzio europeo di produttori di munizioni (Snpe in Francia , Nobel in Gran Bretagna , Prb in Belgio , Muiden in Olanda) , fino al 1985 ha esportato illegalmente , attraverso triangolazioni con l' Italia , migliaia di tonnellate di mine e munizioni per alimentare la guerra del Golfo scoppiata nell' 80 . L' Italia era l' unico paese europeo le cui leggi permettevano di inviare armi e materiale bellico a paesi in guerra : l' embargo contro Iran e Irak fu dichiarato dal nostro governo solo nel 1984 .

Cosi' , per tutta la prima meta' degli anni ' 80 , l' Italia e' stata il miglior terminale europeo per i rifornimenti di armi ai paesi del Golfo : " Fino all' 85 almeno il vostro paese e' stato la ' ' sponda sporca ' ' di tutte le esportazioni belliche che avrebbero dovuto essere bloccate dagli embarghi nel resto d' Europa " , ha dichiarato all' " Europeo " il professor Aaron Karp della Columbia University di New York , uno dei massimi esperti mondiali del commercio d' armi .

Insomma , le industrie belliche europee facevano finta di esportare in Italia , ma la destinazione finale dei triangoli erano Iran e Irak . Il nostro governo era perfettamente a conoscenza di questo poco onorevole ruolo dell' Italia . L' unica sua preoccupazione era di bilanciare le forniture d' armi ai due contendenti per non favorire l' uno o l' altro . Per il resto , tutto era formalmente in regola , almeno fino all' embargo dell' 84 : le licenze d' esportazione venivano rilasciate senza troppi problemi dall' apposito comitato interministeriale (quello che adesso e' stato incriminato dal giudice veneziano Felice Casson , assieme ai vertici di Bnl e Banca commerciale , per le vendite all' Iran della francese Luchaire attraverso le societa' italiane Sea e Consar) .

Ai soldi non si comanda : in quegli anni , grazie alla sanguinosa guerra Iran Irak , le nostre industrie belliche riescono a superare la Gran Bretagna , e cosi' l' Italia si piazza al quarto posto al mondo fra gli esportatori di armi , avendo davanti solo Usa , Urss e Francia .
Oggi siamo ridiscesi al decimo posto in questa brutta classifica , ma manca sempre la legge di controllo sul commercio bellico promessa da dieci anni e mai approvata , un po' per la lentezza del Parlamento e un po' per le pressioni degli industriali delle armi (ma in Italia la maggior parte dell' industria bellica e' pubblica) .

C' e' anche un documento sequestrato dalle dogane svedesi : e' la garanzia che la Bnl diede per la vendita , da parte della Bofors e attraverso la societa' romana Tirrena , di una colossale partita di munizioni all' Iran : 5 . 300 tonnellate . Ma , come si e' detto , se si dimentica la provenienza di quel materiale (la Svezia e altri paesi che non potevano esportare armi in Iran e Irak) , le licenze di export della Tirrena erano , per la legge italiana , formalmente in regola . Anzi , ecco cosa precisa un manager della Bofors in un verbale sequestrato : " Il dottor Amadasi (proprietario della Tirrena , deceduto nell' 88 , ndr) ha parlato personalmente con il ministro degli Esteri questa settimana (la prima del maggio ' 84 , ndr) , e lui gli ha promesso che prolungheranno la licenza " .

Il ministro in questione era Giulio Andreotti , amico di Amadasi fin dagli anni ' 40 . L' ammontare dei " performance bonds " (garanzie per l' esecuzione del contratto) versati dalla Bnl per conto di Tirrena e Bofors all' Iran era di circa 1 , 2 miliardi di lire . La Tirrena per quell' intermediazione pago' 13 miliardi a Bofors e agli altri produttori europei . Ma si tratto' di un affare d' oro , perche' il prezzo di vendita all' Iran era di 75 miliardi : 315 milioni di corone svedesi .

Teheran pagava cosi' tanto perche' a causa degli embarghi in quel momento critico della guerra era molto difficile per l' Iran acquistare materiale bellico sui mercati internazionali . E quelle 5 . 300 tonnellate di munizioni per i suoi obici da 155 millimetri erano vitali : rappresentavano piu' di un anno del consumo nella carneficina in corso fra le paludi di Bassora .

Va da se' che all' interno degli enormi utili netti realizzati in quegli anni dalle nostre aziende belliche , grazie alla compiacenza di banche e governo , ci fosse ampio spazio per tangenti (o " compensi di intermediazione " , come vengono pudicamente chiamati) che poi tornavano in Italia .

Questo e' il caso , ad esempio , del tuttora irrisolto affare delle undici navi all' Irak , ordinate nell' 80 e ancora ferme a La Spezia . Una commissione d' inchiesta parlamentare , su indicazione del radicale Roberto Cicciomessere , e' riuscita a risalire al misterioso personaggio che nell' 82 intasco' 10 milioni di dollari di tangente sul conto numero P4 632 . 376 . 0 della Swiss Bank , sede di Zurigo : Rocco Basilico , ex presidente della Fincantieri , l' azienda pubblica che costrui' le navi .

La Bnl , naturalmente , non si limito' a garantire solo quel contratto da 75 miliardi della Tirrena nell' 84 . In quegli anni solo la Tirrena fece affari per altri 175 miliardi con Teheran , con almeno altri cinque contratti . Ed e' probabile che la Bnl o la Comit , altra banca pubblica abbia fornito la sua assistenza anche per l' export bellico verso il Golfo di Valsella , Otomelara , Snia , Agusta , Breda , Misar , Beretta , Selenia , Franchi e di altre industrie italiane .

Peraltro , anche il tanto strombazzato embargo fu poco piu' di una barzelletta : con la scusa che bisognava comunque rispettare i contratti gia' in corso , molte licenze di esportazione sono state prorogate fino all' 87 , cioe' quasi fino alla fine della guerra Iran Irak . E questo , per esempio , il caso della Oerlikon , l' industria bellica elvetica che in teoria non avrebbe potuto vendere nulla nei paesi in guerra , cosi' come stabilisce la legge della " pacifista " Svizzera . Ebbene , la Oerlikon non e' stata neanche costretta , come la Bofors , ad effettuare triangolazioni fuorilegge : ha esportato direttamente , fino all' ultimo , dal proprio stabilimento di via Scarsellini a Milano .

Mauro Suttora

Saturday, March 12, 1983

Il fattore K dei pacifisti italiani

di Mauro Suttora

A Rivista Anarchica, marzo 1983

link al sito di A Rivista Anarchica

Chi afferma che oggi in Italia esiste un movimento per la pace o è disinformato o è in malafede. Si vada in Olanda, in Germania, in Gran Bretagna, per vedere cos'è un vero movimento per la pace, con la gente che si «muove». 
In Italia c'è un «certo» movimento, qua e là; c'è un «falso» movimento (quello della marcia Milano-Comiso del dicembre 1982, che è stata in realtà una serie di manifestazioni del PCI per la penisola; quello dei comitati fantasma per la pace, pieni di burocratini di partito riverniciati a nuovo, capaci solo di farla scappare, la gente, con il loro noioso sinistrese). Ma, in definitiva, poco si muove.

Lo dico con dispiacere, perché io stesso cerco di far qualcosa per far crescere questo movimento rachitico, e vorrei che la partitocrazia imperante e le lusinghe istituzionali non continuassero a soffocarlo. Ma tant'è: i gruppi anarchici, la Lega per il disarmo unilaterale dello scrittore Carlo Cassola, il Movimento nonviolento, la Loc (Lega obiettori di coscienza), il Campo internazionale e le leghe autogestite di Comiso (cioè tutti gli antimilitaristi), anche se in crescita, coinvolgono ancora solo poche migliaia di persone in tutta Italia. Lo stesso le riviste Senzapatria e Azione Nonviolenta. Perché? 


Quello che caratterizza l'Italia rispetto agli altri paesi interessati ai missili Cruise (che sono stati la molla iniziale del movimento degli anni '80) è innanzitutto la mancanza di un grande organismo pacifista indipendente dai partiti. In Gran Bretagna c'è il CND (Campaign for Nuclear Disarmament), con 250.000 membri. In Olanda c'è l'IKV (Consiglio interecclesiale per la pace), con più di 400 gruppi locali attivi in ogni più piccolo paese. In Belgio ci sono il VAKA fiammingo e il CNAPD francofono. In Germania Ovest il gruppo-ombrello possono essere considerati i Verdi, che per loro fortuna non sono ancora un partito («E se non superate il 5% alle elezioni?» «Chi se ne frega, noi esistiamo indipendentemente dal parlamento! Se poi ci entriamo, tanto meglio: andremo a far casino anche lì dentro!»). Oltre ai Verdi, due altre organizzazioni aspirano ad un ruolo di coordinamento del variegato e vitalissimo movimento tedesco: l'ASF, presieduta da un vescovo, e l'AGDE. 


In Italia, niente di tutto questo. 
Intendiamoci, si sta parlando di pacifisti, non di antimilitaristi: cioè di gente che si oppone solo alle armi atomiche, e non anche all'esercito. Ma il problema è che il PCI non è contro le armi atomiche. Anzi, in realtà, non è neanche contro i Cruise: è «per la sospensione dei lavori a Comiso, come contributo dell'Italia per le trattative di Ginevra», come ribadisce la Direzione del PCI in un documento del 26 gennaio scorso, e come diceva l'appello della Milano-Comiso, tratto di peso da documenti PCI (altro che 'intellettuali', che avrebbero scritto l'appello).

Per cui, fanno benissimo i comunisti - assieme alla loro corrente esterna del PdUP - a tenere da ormai un anno e mezzo addormentato il movimento per la pace italiano: se lo appoggiassero, magari noi correremmo il rischio di essere egemonizzati, ma le posizioni inconsistenti del vertice PCI verrebbero spazzate via ... dal buon senso.

Sì, perché è il semplice buon senso ad indicare a tutti, ai vescovi cattolici americani, al Labour party inglese, ai partiti socialisti olandese e tedesco, perfino alla DC olandese, posizioni più avanzate di quelle del PCI: e cioè, disarmo unilaterale atomico e indifferenza diffidente verso le trattative USA-URSS di Ginevra, che al massimo sanzionerebbero una nuova Yalta alle spese dell'Europa. 


Ma, si dirà, a noi antimilitaristi cosa importa occuparci di queste cose che riguardano i «pacifisti atomici», che forse faranno anche guerra alla guerra, ma certo non alla pace sociale?
Importa moltissimo, perché in realtà la gente che partecipa alle dimostrazioni per la pace è molto più radicale di coloro che si arrogano il diritto di rappresentarla (come l'END). In Germania, in particolare, c'è da ormai 3 anni una situazione di vera e propria sovversione permanente, una rivoluzione culturale ma anche pratica che ha creato un circuito alternativo a cui fanno riferimento milioni di persone: occupanti di case, ma anche migliaia di iniziative culturali, sociali, economiche, in ogni quartiere di ogni città, che fanno da supporto al movimento antimilitarista così come a quello femminista, a quello ecologista e a quant'altri. E lo stesso in Olanda.

Si ride in faccia a chi non vuole uscire dalla Nato, perché sarebbe destabilizzante. 
Però, poiché l'unione fa la forza, e poiché noi ci opponiamo non ai puffi ma nientepopodimenoche al «complesso militare-industriale» (eserciti, armi, fabbriche di armi, Nato e Patto di Varsavia, stati, governi, culto della violenza), può anche servire partecipare alle iniziative di chi non ha il coraggio di chiedere tutto subito, ma almeno qualcosa: il famoso primo passo, per cominciare, nel nostro caso, a fare a meno delle armi atomiche. E infatti le donne del campo permanente di Greenham Common, in Inghilterra, si sono battute affinché tutto il CND appoggiasse le proprie azioni dirette, riuscendoci (cosa che, come ricorda Roussopoulos, non riuscì a Bertrand Russell negli anni '60).

In Olanda gli antimilitaristi anarchici di Onkruit e della «piattaforma radicale» litigano con i perbenino dell'IKV e ne denunciano le posizioni più stupide (come quella di rafforzare l'armamento convenzionale in cambio della rinuncia unilaterale al nucleare), ma si tratta di polemiche costruttive, fra gente che si muove nella stessa direzione.
In Spagna gli obiettori totali del MOC sono presenti dappertutto, e così in Germania gli anarchici nonviolenti di Graswurzelrevolution («la rivoluzione dalle radici dell'erba», decentrata ed antiautoritaria) e Gewaltfreie Aktion («Azione Nonviolenta»), che hanno organizzato le azioni dirette dello scorso 12 dicembre.
Negli USA la forte War Resisters League (che, assieme agli altri gruppi antimilitaristi che ho citato, aderisce alla WRI, War Resisters International, l'Internazionale dei resistenti alla guerra, che ha un ufficio con due persone a Londra) non disdegna di appoggiare la campagna veramente minimale del «Freeze» con le proprie azioni di disobbedienza civile (di cui i gesuiti fratelli Berrigan e l'ex consigliere di Nixon Daniel Ellsberg (Pentagon Papers) sono i fautori più intransigenti). 


In Italia, invece, molti antimilitaristi - specialmente gli anarchici e i radicali - si sono appollaiati su di un Aventino un po' sterile, snobbando i pacifisti dell'ultima ora e lasciando spazio così alle pseudo-iniziative di PCI & C.
Certo, è impossibile collaborare con chi è parte integrante del complesso militare-industriale, con chi pretende di fare il pacifista in piazza e di presiedere la commissione difesa in parlamento (on. Vito Angelini, comunista, amico di tutti i generali): basta leggere cosa scrivevano Claudio Venza («Rosso, rosa e grigioverde», 1978, ed. Interrogations) o Roberto Cicciomessere («Italia Armata», 1982, ed. Gamma) per scoprire chi bluffa.

Ma si tratta di affrontare intelligentemente questo «fattore K» (anche in Francia un forte PC impedisce di fatto la crescita dei pacifisti spontanei) con la presenza, e non con l'assenza, perdendo tempo in dibattiti accademici su violenza e nonviolenza. Perciò andiamo pure al congresso di Berlino in maggio - come ci invita a fare Rossoupoulos -, anche se sappiamo che il problema non è tanto quello, in negativo, di evitare la terza guerra mondiale, quanto quello, estremamente urgente, di intaccare concretamente i concetti di difesa armata, e quindi di sovranità nazionale, e quindi di stato.
Mauro Suttora