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Thursday, September 04, 2025

Recensione Green di Archiviostorico.info

Mauro Suttora

Green

Da Celentano a Greta, storia avventurosa degli ecologisti

Neri Pozza, pagg.256, € 20

 https://www.archiviostorico.info/libri-e-riviste/10802-green 

Con "Green" Mauro Suttora compie un tentativo riuscito di articolare una narrazione storica complessiva del movimento ambientalista con particolare riferimento all'evoluzione italiana, pur in costante dialogo con il contesto internazionale. Giornalista di lungo corso con esperienza diretta sui principali fronti geopolitici e ambientali dell'ultimo quarantennio, Suttora adotta una prospettiva dichiaratamente "popolare", che tuttavia non pregiudica la qualità documentaria dell'opera, né la sua coerenza analitica. Il volume si propone come una sintesi storica accessibile ma metodologicamente sorvegliata, capace di restituire la complessità di un movimento eterogeneo, mobile e attraversato da profonde trasformazioni culturali e politiche.

  Il racconto si apre nel 1966, con il riferimento simbolico al brano "Il ragazzo della via Gluck", interpretato da Adriano Celentano al Festival di Sanremo: una scelta che, al di là del valore aneddotico, segna l'ingresso della sensibilità ecologica nella cultura di massa italiana. Pochi mesi più tardi, la fondazione della sezione italiana del WWF a opera di Fulco Pratesi costituirà un punto di svolta più formalizzato nella nascita di un ambientalismo organizzato. Già nel 1955, tuttavia, l'associazione Italia Nostra si era posta l'obiettivo di difendere il patrimonio culturale e paesaggistico nazionale, anticipando alcuni degli assunti metodologici del successivo movimento ecologista, con un'attenzione particolare alla pianificazione urbanistica e alla conservazione del territorio.

  Il percorso tracciato da Suttora si sviluppa secondo una scansione cronologica che copre oltre sei decenni di storia ambientale, mantenendo una costante attenzione al nesso fra crisi ecologica, mutamenti economici globali e rappresentanza politica. Centrale, in questo senso, è la riflessione sul Rapporto "The Limits to Growth" (1972), commissionato dal Club di Roma e realizzato da un'équipe del MIT sotto la direzione di Donella e Dennis Meadows. L'autore ne coglie la portata paradigmatica: non solo in termini di diffusione dell'idea di "limiti biofisici" alla crescita economica, ma anche per il suo ruolo nel riformulare l'intero impianto epistemologico delle politiche di sviluppo.

  Il volume prosegue con l'analisi delle diverse fasi di istituzionalizzazione dell'ambientalismo, a partire dalla formazione dei primi partiti verdi europei. In Italia, la nascita delle Liste Verdi nel 1987 rappresenta un episodio cruciale, benché il consenso elettorale non abbia mai superato la soglia del 6% a livello nazionale (elezioni europee del 1989). Suttora non elude le criticità strutturali che hanno ostacolato il radicamento dell'ecologismo politico nel panorama italiano: l'eccessiva frammentazione organizzativa, l'incapacità di elaborare una proposta coerente oltre la dimensione protestataria, la tendenza alla subalternità nei confronti di coalizioni maggiori.

  Il disastro di Černobyl' del 1986 viene correttamente individuato come catalizzatore di un'opposizione al nucleare che in Italia trovò una traduzione politica diretta nel referendum abrogativo del 1987, il cui esito sancì il progressivo disimpegno del Paese dall'energia atomica. L'autore ricostruisce con precisione il contesto internazionale, inserendo il caso italiano all'interno di una più ampia ondata antinucleare che ha attraversato l'Europa negli anni Ottanta. Similmente, la Conferenza di Rio del 1992 viene analizzata come momento di passaggio verso una nuova fase dell'ambientalismo, sempre più orientata al problema delle emissioni climalteranti e del riscaldamento globale, con il conseguente spostamento dell'attenzione dal localismo originario alla dimensione planetaria della crisi ecologica.

  Degna di nota è la parte dedicata ai riconoscimenti istituzionali ottenuti da figure simboliche del nuovo ambientalismo globale. La keniota Wangari Maathai, fondatrice del Green Belt Movement, prima donna africana a ricevere il Premio Nobel per la Pace (2004), incarna un'ecologia profondamente intrecciata con le istanze di giustizia sociale e di emancipazione femminile. Similmente, il Nobel assegnato ad Al Gore nel 2007, in seguito alla diffusione del documentario "An Inconvenient Truth" (2006), segnala l'emersione di una sensibilità ecologista nel cuore stesso delle élite transnazionali.

  Suttora dedica particolare attenzione anche alla svolta contemporanea rappresentata dall'attivismo giovanile, con l'irruzione sulla scena pubblica di Greta Thunberg nel 2018 e la nascita del movimento Fridays for Future. La trattazione è equilibrata e scevra da entusiasmi retorici: l'autore ne riconosce la capacità di catalizzare l'attenzione mediatica e riattivare la mobilitazione collettiva, ma non tace i limiti dell'azione simbolica, né le difficoltà strutturali nel tradurre la protesta in cambiamento legislativo stabile. L'analisi tocca anche i casi controversi di disobbedienza civile e vandalismo a fini dimostrativi, collocandoli all'interno di una riflessione più ampia sulle tensioni fra urgenza climatica e legittimità democratica delle forme di lotta.

  L'ultima parte del volume affronta con competenza il quadro normativo internazionale, dal Protocollo di Kyoto (1997) all'Accordo di Parigi (2015), per giungere al Green Deal europeo, che sancisce l'impegno dell'Unione verso una transizione climatica strutturale. Suttora evidenzia con lucidità le contraddizioni di tale processo, in particolare gli effetti redistributivi della transizione energetica, che rischiano di accentuare diseguaglianze sociali e squilibri economici. Particolare rilievo è dato al fenomeno del "negazionismo di Stato", esemplificato dal ritiro degli Stati Uniti dagli Accordi di Parigi sotto la presidenza di Donald Trump, poi revocato con l'insediamento di Joe Biden.

  L'autore attinge a una vasta gamma di materiali – documenti istituzionali, articoli giornalistici, interviste, dati statistici – selezionati con attenzione e contestualizzati criticamente. Lo stile, pur narrativo, mantiene un registro sobrio e scorrevole, adatto a una lettura colta ma non specialistica.

  Nel complesso, il volume si configura come un contributo significativo alla storiografia sull'ambientalismo, colmando una lacuna nella saggistica italiana recente.

La Redazione, 2 settembre 2025

Saturday, May 03, 1997

Futuro: parlano Negroponte e Vacca


AIUTO, È IN ARRIVO IL FUTURO

di Mauro Suttora

3 maggio 1997

Io Donna (Corriere della Sera)
 
«Volate in faccia al modo di pensare tradizionale. Rinnovatevi in continuazione. Coltivate un sano disprezzo per l’autorità». Ormai Nicholas Negroponte, fondatore e direttore del Medialab al Mit (Massachusetts Institute of Technology) di Boston, parla come un guru: non argomenta più, si limita a inviare messaggi. E la principale preoccupazione del massimo futurologo mondiale, oggi, sembra essere quella di propagandare l’anarchia: «La sfida più importante che abbiamo davanti è quella di non diventare noi stessi l’establishment», ci fa sapere, ermetico, nell’intervista (rigorosamente in e-mail) che gli facciamo.

L’autore di 'Essere digitali' (insuperata Bibbia del cyberpensiero) è polemico contro «i burocrati di ogni governo che vorrebbero controllare tutto e imbrigliare il futuro». Sullo sfondo, le roventi polemiche su Internet: come punire i siti pedofili e la pornografia on-line? Ma, più concretamente: come faranno gli Stati a riscuotere le tasse sugli scambi - di merci, di capitali - via computer?

Di questo (e di molto altro) si parlerà al Futurshow di Bologna dal 9 al 12 aprile. Quello che è diventato ormai un appuntamento obbligato per tutti i cybermaniaci italiani (l’anno scorso i visitatori sono stati 350mila) quest’anno festeggia i trent’anni dallo sbarco sulla Luna. Ma, ovviamente, lo sguardo al passato della fiera bolognese servirà soltanto come trampolino verso il futuro. E nei padiglioni verranno esposte tutte le più importanti novità tecnologiche che ci stanno cambiando la vita. Eccone alcune, accompagnate dalle riflessioni di Negroponte e del nostro Roberto Vacca.

1) LA CASA TECNOLOGICA
Ogni stanza avrà almeno uno schermo. O quello di un televisore, o quello di un computer. Fissi e portatili, grandi e piccoli, non importa: saranno le nostre finestre verso il mondo. Questi terminali video potranno collegarsi indifferentemente con tv, Internet, giochi, telefono, programmi di scrittura o di lettura. È questo il significato della parola «multimedia»: vedere la tv sullo schermo di un personal, oppure usare il televisore per collegarsi con Internet, sarà indifferente.

Squilla il telefono? Se ci troviamo in bagno, schiacciamo un bottone e sullo schermo apparirà la nonna che ci vuole parlare. Se non siamo proprio nudi in vasca, potremo attivare una delle tante telecamerine (anch’esse in ogni stanza) e farci vedere anche noi dalla nonna. Le telecamere servono anche per controllare cosa succede a casa quando siamo fuori, con una semplice videotelefonata sul cellulare, o cliccando sul computer dall’ufficio.

Azzardiamo un necrologio? Morirà prima il ventenne videoregistratore del cinquantenne televisore. Spariranno novità relativamente recenti come le videocassette e le catene di negozi che le noleggiano. Questo perché dagli schermi di casa ci collegheremo direttamente a cataloghi, cineteche e banche dati con centinaia di migliaia film, documentari, concerti e archivi tv, che al costo di pochi euro invieranno istantaneamente il programma prescelto. E poiché anche le canzoni si possono trasformare in bit, pure dischi e cassette diventeranno obsoleti.

2) OCCUPAZIONE, SCUOLA, LAVORO
Roberto Vacca, il nostro massimo «futurologo» (è in uscita il suo ultimo libro, 'Consigli a un giovane manager', ed. Einaudi), è però pessimista: «L’Italia sta perdendo la partita della cultura, che è alla base di tutta l’economia. Dovremmo creare valore aggiunto, cioè prodotti sofisticati, e invece che cosa esportiamo? I soliti vestiti, piastrelle, marmo, macchine per il legno. Nell’export di software siamo superati perfino dall’India, che ha venti politecnici contro i nostri due, e dall’Ungheria, che ha scuole migliori delle nostre.

«Le aziende di Modena e Piacenza, che vantavano successi nelle macchine per la meccanica, ora vengono spiazzate dai concorrenti malesi. La merce del futuro è l’intelligenza, ma i due terzi degli italiani hanno frequentato solo la scuola dell’obbligo. Gli Stati Uniti, a parità di popolazione, hanno dodici volte più università di noi. I giornali non veicolano più il sapere, sono pieni di stupidaggini, radio e tv ancora peggio. E il nostro primato mondiale in fatto di telefonini significa solo che la merce che gira di più è la chiacchiera».

Un quadro fosco. Quali le vie d’uscita? Scuole professionali di modello tedesco, con apprendistati pratici presso artigiani e aziende; meno materie umanistiche e più scienza nei licei, ma anche laboratori di chimica e fisica che funzionino sul serio (meno formule da imparare a memoria sui libri, e più esperimenti); informatica e inglese già dalle elementari, ribaltando però il metodo di insegnamento delle lingue straniere: molta conversazione, e poca letteratura.

3) TECNOLOGIA, DEMOCRAZIA, EUTANASIA
Nel 1976 Erich Fromm in 'Avere o essere' ipotizzava l’uso della telematica per allargare la democrazia: ad esempio, organizzando referendum via computer ogni anno sui dieci maggiori argomenti di dibattito pubblico. «Ma partecipare senza sapere rischia di essere il grande equivoco del prossimo secolo», avverte Vacca. Già oggi, infatti, grazie alla forza di sondaggi telematici effettuati sull’onda dell’emotività (come i programmi tv che domandano «Siete favorevoli agli immigrati?» subito dopo aver trasmesso documentari raccapriccianti in un senso o nell’altro), si ottengono risultati facilmente manipolabili da qualsiasi demagogo.

L’eutanasia diventerà uno degli argomenti più scottanti della politica, perché nei Paesi ricchi si vivrà fino a 90-100 anni, ma i lavoratori saranno sempre più riluttanti a finanziare l’assistenza agli anziani. Questo problema assumerà fatalmente toni razzisti in Paesi come l’Italia, dove il crollo demografico degli autoctoni bianchi verrà compensato soltanto dall’afflusso di immigrati.

Infine: sopravviveranno gli Stati? «Neanche per sogno», risponde sicuro Negroponte, «perché non sono né abbastanza grandi per essere globali, né abbastanza piccoli per essere locali. La vita evolutiva dello Stato-nazione così come lo conosciamo oggi risulterà perfino più corta di quella di uno pterodattilo. Si svilupperanno al suo posto governi locali, di comunità. E alla fine si arriverà a un pianeta unito».

4) GIOCHI
Come evolveranno i videogiochi? La battaglia è tutta fra i produttori giapponesi: stiamo assistendo proprio in questi mesi all’incredibile successo della Playstation Sony. Ma la vera scommessa, per l’industria, è quella di coinvolgere anche le femminucce, rimaste finora refrattarie davanti al joystick.

Dice Justine Cassell, docente al Medialab del Mit di Boston: «Alle bambine piace giocare parlando, raccontando storie, e quindi non sono attratte dai videogiochi. Ebbene, stiamo mettendo a punto programmi che assecondino la naturale preferenza delle femminucce per l’esplorazione delle relazioni sociali. Viceversa, spingiamo i maschietti a una maggiore elaborazione sfruttando la loro passione per le nuove tecnologie». Sfuma così il pericolo di sfornare generazioni di alienati cresciuti davanti allo schermo della tv o di un computer?

«Di fronte a reazioni come quella di una bambina che, dopo ore di videogioco, ha detto a un suo amichetto “Non mi piace essere tua amica, voglio solo fare la regina!”, è naturale che i genitori si preoccupino», spiega la Cassell. «Ma ora si sta formando una strana alleanza fra creative femministe e industriali - i quali vogliono vendere anche alle bambine - per “femminilizzare” i videogiochi, attenuandone le caratteristiche distruttrici e misantrope».

5) CITTÀ SENZA ORARI
«Vivremo vite completamente asincroniche, non ci dovremo più alzare tutti assieme per andare al lavoro al mattino, e poi di corsa a fare la spesa alla sera», promette Negroponte, «la sveglia e gli ingorghi stradali saranno solo un ricordo della stupidità del passato. Ci sarà un rinascimento della vita in campagna. E nel giro di qualche decennio non avremo più bisogno neanche delle grandi città».

Ma poiché cibo, vestiti e mobili non sono trasformabili in bit e trasportabili via cavo, rifioriranno i piccoli negozi artigianali specializzati. «Sopravviverà soltanto il minuscolo e il molto grande, ma per le aziende l’unico valore dell’essere enormi sarà la possibità di perdere miliardi di dollari prima di guadagna ».

«Qualsiasi negozio che non rimanga aperto 24 ore su 24 fallirà», profetizza Negroponte. Commercianti suicidatevi, allora? Tranquilli. Anzi, il negozio come luogo fisico potete anche chiuderlo. O tenerlo aperto soltanto nelle ore che preferite. L’importante, è aprire un sito Internet con un catalogo attraente e un efficientissimo servizio di consegne a domicilio.

Per il resto, la bottega servirà soltanto come luogo d’incontro, di socializzazione. Lo shopping per sentirsi meno soli. Verso il 2030 chiuderanno molti super e ipermercati: non sarà più conveniente tenere aperte strutture così mastodontiche, dopo che il commercio elettronico avrà conquistato i due terzi del mercato.
Mauro Suttora