di Mauro Suttora
Oggi, 6 febbraio 2012
Benvenuti al festival delle promesse. «Al primo consiglio
dei ministri abolirò l’Imu prima casa e restituirò quella del 2012», giura
Silvio Berlusconi. «Il primo atto del nuovo Parlamento dev’essere la riforma
della legge elettorale», scrive il premier Mario Monti sulla propria Agenda. «Al
primo punto il lavoro, sul quale il peso del fisco deve alleggerirsi», proclama
Pier Luigi Bersani, candidato premier del Partito democratico.
Queste le priorità. Ma sulle questioni principali, quali
sono le differenze fra i partiti che chiedono il nostro voto domenica 24
febbraio? E dove invece si assomigliano, a sorpresa?
Imu
È incredibile l’importanza dell’Imposta municipale unica, ex
Ici, rispetto al suo magro gettito: quello sulla prima casa dà appena quattro
miliardi annui, lo 0,5% del bilancio statale. Ma gli italiani sono molto
sensibili a questa voce: nel 2006 Berlusconi capovolse i sondaggi e quasi vinse
le elezioni promettendone l’abolizione. Due anni dopo, arrivato al governo,
mantenne la promessa.
Un anno fa l’odiata tassa è stata reintrodotta (maggiorata)
dal governo Monti, come primo provvedimento. E adesso Berlusconi sta cercando
il bis del 2006 e 2008, imperniando la sua campagna proprio contro l’Imu.
Poco vale obiettargli che anche il suo Pdl votò a favore
dell’Imu nel dicembre 2011 (gli unici contrari furono Lega Nord e Idv di
Antonio Di Pietro). Ora il no la alla patrimoniale sulla prima casa è diventata
la bandiera di tutto il centrodestra. Con due curiosi alleati: il Movimento 5
stelle di Beppe Grillo, e Rivoluzione civile di Antonio Ingroia (che ha dentro
Rifondazione comunista, verdi e dipietristi).
Bersani risponde promettendo di alzare la franchigia dagli
attuali 200 a 500 euro (due miliardi e mezzo di gettito in meno, recuperabili
con un aumento sulle prime case di lusso). E perfino Monti è costretto a indietreggiare:
«Superata l’emergenza finanziaria, ora l’Imu si può correggere», ha azzardato
il premier.
Quindi, se non saprirà, l’Imu diventerà un’imposta fortemente
«progressiva»: i ricchi pagheranno un’aliquota più alta.
Soldi pubblici alla politica
Altra voce importantissima simbolicamente anche se bassa in
termini finanziari (meno di un miliardo annuo) è quella del finanziamento
pubblico ai partiti. Introdotto nel 1974, oggetto di vari referendum (il primo
dei radicali nel ’78, quello vinto nel ’93), oggi si chiama «rimborso
elettorale». «Da abolire subito», dicono Pdl e Lega Nord, anche qui spalleggiati
da Grillo. Monti è per una «drastica riduzione». Più cauto il Pd: «Riduzione».
Ingroia non ne parla, quindi si presume sia l’unico a volerlo mantenere, anche
se l’Idv che lo sostiene lo avversava; propone però il taglio della diaria per
i parlamentari e un «tetto rigido ai compensi dei consiglieri regionali».
E qui si entra negli altri «costi della politica», che
comprendono quelli per il funzionamento delle Camere (un miliardo e mezzo), i
soldi pubblici ai giornali di partito (150 milioni), i «contributi» ai gruppi
nazionali e regionali che hanno visto le più recenti ruberie. Il Pd dice che i
politici non devono guadagnare «più della media europea», ma una commissione ha
già fallito nel determinare quale sia questa media. Il Pdl vuole dimezzare
eletti e stipendi. I grillini già si autoriducono del 75% i propri stipendi:
2.500 euro mensili netti. Monti non si pronuncia: propone solo il divieto di
cumulo fra indennità parlamentare e le altre retribuzioni di eletti che non
lasciano il proprio lavoro.
Europa
Pd e Monti la mettono al primo posto: «È la sola possibilità
per salvare l’Italia, non c’è futuro fuori dall’Europa». Anche Pdl e Lega si
dicono europeisti: «Accelerare l’unione politica, economica bancaria e
fiscale». Però precisano: «Superare una politica europea di sola austerità». Insomma,
non vogliono quel che vuole Monti, difensore del «fiscal compact» che impone di
diminuire il debito pubblico di un ventesimo ogni anno, fino al 60% sul Pil
permesso dal trattato di Maastricht. Rigorista europeista , oltre a Monti, è soltanto
Oscar Giannino di Fare per fermare il declino.
Nel no all’austerità imposta da Bruxelles, però, il
centrodestra trova sintonie nel Pd («L’equilibrio di bilancio non può diventare
un obiettivo in sé»), e soprattutto in Grillo e Ingroia, contrari al «fiscal
compact». Nessuno, comunque, osa dire no all’euro: soltanto Grillo propone un
referendum sulla moneta unica.
Tutti insieme su asili e spazzatura
Fra le piccole e grandi proposte, alcune raggiungono
l’unanimità. Tutti vogliono aumentare gli asili nido, per esempio: misura
ritenuta essenziale per permettere alle donne di lavorare. Dove, non si sa
bene, visti gli attuali tassi di disoccupazione.
Curiosamente, anche la raccolta differenziata dei rifiuti è
presente in tutti i programmi: l’emergenza spazzatura delle città del Sud va
superata col riciclaggio. Poi però cominciano i distinguo: «Rifiuti zero,
niente discariche e inceneritori», spara Grillo. Per gli altri questo è un
terreno minato. L’unico a uscire dal vago è Monti: «Nei migliori esempi europei
lo smaltimento in discarica è stato azzerato». Ma non osa dire che qualche
inceneritore (pardon: termovalorizzatore) ci vorrà ancora, pr non continuare a
spedire a caro prezzo i nostri rifiuti a bruciare in Olanda o Germania.
No alle nozze gay
Non le vuole nessuno. Pd e Ingroia si limitano al «riconoscimento
giuridico delle coppie omosessuali». Il Pdl invece «difende la famiglia,
comunità naturale fondata sul matrimonio fra uomo e donna». Silenzio anche da
Monti e Giannino. Neanche il movimento di Grillo ne accenna nel suo programma,
anche se il comico si è detto a favore.
75 per cento al Nord
Pensate che tenere nel Nord il 75 per cento delle tasse
versate dal Nord sia una sparata della Lega Nord? Nossignori: è la proposta
ufficiale anche del Pdl. Anche qui, però, bando alla retorica. Si scopre
infatti che già oggi il 66% delle imposte resta al Nord. Non saranno quindi
pochissime decine di miliardi in pù ad arricchirlo, o in meno a impoverire il
Sud.
Ma voi che avete fatto?
Nessuno dei tre maggiori schieramenti risponde alla domanda:
perché non avete fatto quel che proponete quando siete stati al governo? Perché
il Pd dal 2006 al 2008, Pdl e Lega dal 2008 al 2011 e Monti nell’ultimo anno
hanno avuto la possibilità di agire concretamente. E non sempre i fatti hanno
corrisposto alle parole: infatti le tasse sono aumentate, l’evasione fiscale
non è diminuita, le provincie non sono state abolite, e la Casta politica
mangia e ruba allegramente, dalle ostriche alla Nutella.
Mauro Suttora