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Wednesday, July 11, 2012

parla Oscar Giannino

LA RICETTA LIBERISTA DEL CERVELLO DELL'ISTITUTO BRUNO LEONI

di Mauro Suttora

Oggi, 20 giugno 2012

«Lo stato non è padre e neanche padrone: è padrino!» «Vendere subito il patrimonio immobiliare statale per alleggerire debito e tasse!»

Se si googla «Oscar», subito dopo il premio del cinema e Wilde esce lui, con mezzo milione di citazioni: Oscar Fulvio Giannino da Torino. Ogni giorno alle nove del mattino e della sera (in replica) conduce un programma di successo su Radio 24, scagliandosi contro politici, stato e imposte. Lo fa stando in piedi, vestito da dandy come il suo omonimo Wilde.

Ora ha ottenuto un successo: il premier Mario Monti promette massicce dismissioni del patrimonio pubblico. Che lui invocava da mesi: «Avrebbe dovuto farlo il primo giorno di governo, invece di aspettare mezzo anno caricandoci di altre tasse».

Questa sua piccola vittoria personale ha spinto Giuseppe Cruciani, altro conduttore di Radio 24 (La zanzara), a lanciare lo slogan «Oscar for president». Scherzoso ma non troppo. Giannino infatti, che è anche editorialista di Panorama e dei quotidiani di Caltagirone (Messaggero, Mattino, Gazzettino), da vent'anni fa il giornalista: capo dell'economia al Foglio di Giuliano Ferrara e a Libero di Vittorio Feltri. Ma prima era in politica: «Mi sono iscritto al Pri a tredici anni, affascinato da Ugo La Malfa. Poi, con Spadolini, ero segretario dei giovani repubblicani. Quando i giovani facevano politica sul serio: eravamo 15 mila. Infine, portavoce del partito».

Gli altri portavoce si chiamavano Mastella, Martelli, Veltroni, e Giannino li rintuzzava ogni giorno. Con l'eloquio torrenziale ma preciso che oggi esibisce nella radio degli industriali. Dove qualcuno storce il naso: troppo aggressivo contro il governo, troppo estremista, liberista, quasi leghista.

«È una beffa della storia», dice incurante lui, «che dopo vent'anni proprio ora la Lega Nord, messa in ginocchio dal Trota, veda trionfare le proprie tesi sul Financial Times, che prevede un Euro diviso in due: quello attorno alla Germania, cui si aggrega la Padania, e quello mediterraneo per il resto d'Italia».

Giannino è uno dei cervelli più brillanti dell'Istituto Bruno Leoni, think tank libertario ma non berlusconiano. E ogni mattina demolisce quelli che definisce «miti»: «Il primo è che la colpa della crisi sarebbe di Angela Merkel. Ma i tedeschi ci hanno avvisato per anni che non avrebbero mai assunto debiti di altri Paesi. L'hanno scritto perfino nella Costituzione. Loro nel 2002-2006 hanno tagliato di sei punti spesa pubblica e tasse, alzando reddito e produttività. Sacrifici che hanno rafforzato l'export. Da noi nulla, invece. E pensare che il nostro Nordest ha una forza industriale perfino superiore alla loro».

Gli altri miti?
«Stampiamo moneta, dateci una Bce come la Fed statunitense. È una fesseria colossale, finché i mercati restano separati e senza unità politica, o almeno una politica economica comune. A meno che non si voglia un’Europa come l’Impero Romano d’Oriente, con moneta in perenne svalutazione. O come l’Italietta dopo gli anni Sessanta. Mito numero tre: è un complotto della grande finanza mondiale che specula, restituiamo alla politica il potere di battere moneta. È una teoria complottista degna di Giacobbo».

La parola magica è «crescita».
«Sì, ma sostenuta come? Estremisti keynesiani come Krugman propongono un deficit pubblico anche a doppia cifra pur di finanziarla. Ma la ricetta non è applicabile all'Italia, con debito al 120%. Il nostro Stato succhia per sé già troppe risorse. Rispetto a vent’anni fa il nostro prodotto procapite è cresciuto del 9%. Eppure il reddito procapite è sceso del 4%. Dove sono finiti, quei 13 punti che mancano nelle tasche degli italiani? Se li è pappati il signor stato, per pagare una spesa pubblica in perenne crescita, oggi oltre il 60% del Pil legale, cioè di chi le tasse le paga».

Ma l'euro è stato un affare?
«Ecco un altro luogo comune! Certo, da quando c'è l'euro ci siamo impoveriti. Ma la colpa, come ho appena spiegato, è della spesa statale. L’euro ci ha regalato 7 punti di Pil annui di minori interessi sul debito, prima che esplodesse lo spread dall’estate scorsa. Ma questi soldi hanno aumentato la spesa pubblica, invece di creare più investimenti con meno tasse. L’euro non è un bene assoluto: se i mercati restano separati e non funzionano come vasi comunicanti per costi e produttività, l’euro non può e anzi non deve reggere. Ma noi siamo il secondo Paese esportatore manifatturiero del continente, e operare a moneta unificata nel più grande mercato di consumo mondiale - l’Europa è ancora questo, non per molto - è stato un grande vantaggio per moltissime imprese».

Che fare, allora?
«L’Italia deve abbattere il suo mostruoso debito pubblico dismettendo patrimonio pubblico, e non picchiando nelle tasche dei cittadini. Tutto il mattone statale, cioè per cominciare almeno 400 miliardi, 27 punti di pil, va girato a un fondo immobiliare gestito tramite gara da privati, che lo cederanno nei tempi più adeguati al miglior realizzo. Questo fondo potrebbe emettere obbligazioni per una volta e mezzo almeno la stima del patrimonio».

È questa la ricetta per Monti?
«Sono molto deluso dal governo, che pure nel mio piccolo ho contribuito a legittimare di fronte a centinaia di migliaia di ascoltatori ogni giorno, prima della sua nascita e ai suoi primi atti. Non ha toccato la montagna stregata della pubblica amministrazione. Che pena questi “tecnici” che presentano come gran cosa tagliare 4 miliardi su 700 di spesa pubblica, cioè lo 0,57%, quando decine di migliaia di imprese italiane affrontano crisi in cui si taglia anche il 25-30% di costi da un anno all’altro».

Cosa devono fare, invece?
«Abbattere il debito con le cessioni pubbliche, ma nel frattempo tagliare anche la spesa per un equilibrio di entrate a un livello ben più basso di quello immaginato da Monti con la manovra triennale. Risparmiare in tre anni di impegno pancia a terra 6-7 punti di pil di spesa improduttiva, da tradurre a parità di saldi in abbattimenti fiscali per lavoro e impresa. In ballo c’è la sopravvivenza economica dell’impresa e del lavoro italiani. Con uno Stato molto più magro, e perciò costretto a diventare più efficiente».
Mauro Suttora

Wednesday, June 06, 2012

parla Sabina Ciuffini

W IL QUALUNQUISMO: GRILLO È COME MIO NONNO GUGLIELMO GIANNINI

di Mauro Suttora

Oggi, 30 maggio 2012

Gran successo per Sabina Ciuffini, già valletta di Rischiatutto, in una puntata di Porta a Porta su Grillo. Si è battuta come una leonessa contro Giuliano Ferrara che criticava le idee del comico. E ora è diventata un’eroina del Movimento 5 Stelle, con la sua performance assai cliccata su internet.

Signora Ciuffini, si candiderà nelle liste di Grillo? 
«Guardi, ho 62 anni e mi sono già presa tutte le soddisfazioni dalla vita. Anzi, direi che il mio Narciso è stato esageratamente compiaciuto. Come dice il proverbio: “Chi bene ha vissuto, bene si è nascosto”. Non sono una coraggiosa, altrimenti in passato avrei sollevato scandali, e non l’ho fatto. Sono solo una qualunque zia che vuole essere “servita” meglio dai politici che ci amministrano».

Ferrara sostiene che la politica spacciata come “servizio” è un’ipocrisia democristiana. Che la politica in realtà è sempre lotta per il potere, o conflitto fra diverse idee di organizzazione della società.
«Ho riflettuto su quel che ha detto Ferrara a Porta a Porta. Lui fa il “realista”. Ma anch’io faccio un ragionamento empirico. Mi baso sull’esperienza degli ultimi 30-40 anni. E, come tutti, vedo il disastro provocato dalla maggior parte dei nostri politici per malafede, incapacità e tradimento di ogni regola di amministrazione. Per Ferrara sono “sciocchezze”. Io invece voglio che tutto cambi».

Quindi, Grillo?
«Lui si espone da anni, dicendo cose semplici: a casa i bastardi, rispetto per chi lavora bene, largo a uomini e donne di buona volontà».

Come lei.
«Ci sono dieci milioni di sessantenni in Italia. Possiamo metterci insieme, senza fare quella trafila del veleno che è la carriera politica. Che ci annoia: non occorre perdere tempo in eterni dibattiti, quel che c'è da fare è davanti agli occhi di tutti. A me piacerebbe guardare anche oltre Grillo, ai giovani, alle donne».

Che sono meglio degli uomini?
«Mai stata femminista. Però credevo nell’indipendenza economica, e a vent’anni mi sono guadagnata il primo stipendio a Rischiatutto. Ringrazio Mike Bongiorno, ma anche il dirigente Rai Bruno Voglino che mi scelse come valletta dicendo: “Prendiamo questa, che sorride”. Non gli passava per la testa di andare a letto con le show-girl».

Invece adesso...
«Per il sito che ho aperto dall’8 marzo, www.unaqualunque.it, abbiamo bisogno di tutte le donne. Anche delle stronze, delle cattive, delle zoccole...»

Sta scherzando.
«Ho chiamato “unaqualunque” il sito in omaggio a mio nonno Guglielmo Giannini, che nel 1945 fondò il partito dell’Uomo qualunque. Non voglio resuscitare la parola “qualunquismo”. Voglio solo farla riposare in pace, senza considerarla più un insulto».

Grillo è qualunquista?
«Perché dice che tutti i politici sono uguali? È un'affermazione dimostrata dal libro La Casta, ormai cinque anni fa. Il qualunquismo non è antipolitica, Grillo e mio nonno non sono populisti né capipopolo. Alla fine del fascismo mio nonno scrisse: “Non siamo più sudditi ma sovrani, quindi esigiamo un ‘servizio’ onesto e decente dai politici che eleggiamo. I parlamentari sono alle nostre dipendenze, da noi prendono uno stipendio e quindi a noi devono rendere conto del loro operato».

Come ricorda suo nonno?
«Come in queste foto che pubblicaste nel 1959: affettuoso con i nipotini. Pochi mesi dopo morì, a 69 anni, amareggiato per gli attacchi che ebbe a causa della sua avventura politica. Eppure a casa nostra passavano De Gasperi, Togliatti, Andreotti, che allora era giovane e anche carino. Ricordo la sera della prima di una delle sue 120 commedie, Lo schiavo impazzito, al teatro Sistina, che poi divenne un film tv. Era un uomo brillante, napoletano con madre irlandese, autodidatta, sapeva dieci lingue».

Nel 1945-’46 raccolse molti voti fascisti, che poi confluirono in Dc e Msi.
«Lui non ebbe mai la tessera del partito fascista. Si diede alla politica dopo aver perso un figlio in guerra. Come idee, lo vedo più di sinistra che di destra». 
Mauro Suttora

Wednesday, June 15, 2011

2011: fuga da Berlusconi?

DOPO LA SCONFITTA A MILANO E NAPOLI, I LEGHISTI E PERFINO QUALCUNO NEL PDL LO CONSIDERA UNA ZAVORRA

di Mauro Suttora

Oggi, 8 giugno 2011

Bollito. Debole. Esibizionista. Re Mida al contrario. E poi leggero, imprudente, logoro, nervoso, ossessionato dai giudici, bislacco, poco lucido... Perfino «ingessato come Breznev». Così è stato definito Silvio Berlusconi dopo il voto del 30 maggio. Ormai il centrodestra, perse Milano, Napoli, Trieste e Cagliari, non governa più alcuna grande città d’Italia tranne Roma e Palermo. Un disastro.

La novità è che questi giudizi contro il premier non sono stati pronunciati da avversari, ma da esponenti del suo partito o alleati. Il candidato sindaco napoletano Gianni Lettieri addirittura non voleva che Berlusconi partecipasse al concerto di chiusura della campagna elettorale con il cantante Gigi D’Alessio. Invece il capo è arrivato, per la prima volta dopo 18 anni è stato contestato, e alla fine il dipietrista Luigi De Magistris ha trionfato con il 65 per cento. Cosicché Berlusconi, forse temendo altri fischi, è andato in auto alla parata militare del 2 giugno a Roma, senza concedersi il bagno di folla (plaudente) degli anni scorsi.

Cos’è successo? 2011, fuga da Silvio? Neanche nella sua piazza Duomo a Milano il premier si è fatto vedere al comizio finale per il ballottaggio di Letizia Moratti. E pensare che fino a pochi mesi fa la sua presenza era contesa ovunque ci fosse un’elezione: bastava una sua apparizione per far vincere perfetti sconosciuti del Pdl, dalla Sardegna agli Abruzzi. «Era come re Mida, trasformava in oro tutto ciò che toccava. Ora invece...», sibilano i leghisti. Adesso qualcuno considera Berlusconi quasi una zavorra. «Il suo modo di comunicare non funziona più», lo boccia Paolo Glisenti, consulente della Moratti. Insulto sanguinoso, per colui che perfino i nemici ammettono sia stato il mago indiscusso della comunicazione negli ultimi trent’anni in Italia, prima con le tv e poi in politica.

Cominciano le defezioni. Elio Catania, capo dell’Atm milanese famoso per gli otto milioni di liquidazione ricevuti dal centrodestra dopo due soli anni non brillanti alle Fs, si è subito proposto con un’e-mail al nuovo sindaco di Milano Giuliano Pisapia. La vistosa sottosegretaria Daniela Melchiorre ha lasciato l’incarico appena ricevuto. L’ex presidente di Confindustria Antonio D’Amato ha votato De Magistris. E anche il presidente della Bpm (Banca popolare di Milano), l’ex prodiano Massimo Ponzellini, sembra pronto a un altro salto della quaglia. Piccoli episodi, ma indicativi di un cambio di vento. «Viviamo alla giornata», confessa la parlamentare Pdl Deborah Bergamini.

L’unica deputata berlusconiana che finora ha avuto il coraggio di dissociarsi pubblicamente è la bionda bolzanina Micaela Biancofiore: «In queste condizioni il Pdl non va da nessuna parte», ha sbottato, minacciando addirittura di fondare un nuovo partito. Poi però ha precisato che se Silvio la chiamasse personalmente, potrebbe recedere. Così come hanno fatto nei mesi scorsi le ministre Mara Carfagna e Stefania Prestigiacomo, riconquistate dopo pochi giorni di capricci dal fascino (politico) del capo.

Ecco, il carisma: «Berlusconi ha perso altre volte, ma nel ’96 e nel 2006, dopo le sconfitte con Prodi, il suo carisma era fuori discussione», spiega Giuliano Ferrara, berlusconiano di ferro. Ora invece «Berlusconi è indebolito, sta prendendo tratti di immobilismo impressionanti. È risucchiato da una logica conservatrice che lo isola e lo induce a un monologo ripetitivo».

Più brutale Vittorio Feltri, altro campione del centrodestra: «Berlusconi è talmente preso dalle sue cose che non ha più testa per pensare ai cittadini. Per questo il vento ha cominciato a cambiare. L’uomo è robusto, ma ha le sue debolezze. Mi riferisco alle donne, ma non solo: c’è anche la mania di esibirle. Il Cavaliere ha esagerato. Prima Noemi, poi la D’Addario, infine il fragoroso epilogo del bunga bunga, Olgettina, Minetti e Ruby. Anche i tifosi di Berlusconi hanno arricciato il naso. Se si fa la somma delle sue leggerezze, si comprende perché molti elettori si sono stancati».

E i processi, la guerra con i magistrati? «Per anni hanno procurato voti perché c’era la convinzione che il premier fosse vittima di un intrigo. Ma negli ultimi tempi hanno dato l’impressione di assorbire tutte le sue energie fisiche e mentali».

Le conclusioni di Feltri sono drastiche: «Nel Pdl la parola d’ordine è “Si salvi chi può”. Ciascuno cerca di arraffare e di assicurarsi un bottino per sopravvivere. Spero di sbagliarmi, ma se si va avanti così fra poco chi ha issato Silvio sul piedistallo più alto si impegnerà a farlo precipitare con gran fragore».

Addirittura? E chi sarà il Pietro che rinnegherà prima che il gallo canti? Il ministro della Cultura Giancarlo Galan, già governatore del Veneto, non ha dubbi: «Il vecchio nucleo centrale di Forza Italia è nettamente distinto da altre esperienze. Per esempio quella di Formigoni. Anche la fusione con An è stata uno sbaglio. Oggi nel Pdl cercano di dettar legge La Russa e Alemanno che, con tutto il rispetto, hanno un’altra storia e valori diversi dai nostri, liberali e moderati. Forse loro sono lì che piangono perché in Italia c’è il divorzio, invece noi siamo felici».

E, in polemica con avversari del testamento biologico come il ministro Maurizio Sacconi, la sottosegretaria Eugenia Roccella o il vicepresidente dei senatori Pdl Gaetano Quagliariello, il laico Galan aggiunge: «Volevamo meno regole, e ora pretendiamo di regolamentare perfino gli ultimi minuti di vita di un malato. Ma almeno da queste elezioni è uscito qualcosa di positivo: la saldatura fra i fondatori di Forza Italia e nuove personalità come Alfano, Frattini, la Prestigiacomo».

Angelino Alfano, nuovo segretario unico del Pdl: riuscirà a governare il Pdl, tenerlo unito, e far durare la legislatura fino alla scadenza naturale del 2013? La Lega Nord non tradirà? Chi sarà il nuovo candidato premier? Anche il Pdl organizzerà primarie per stabilirlo, e con quali regole? Ma soprattutto: Berlusconi accetterà il pur fedele Alfano come delfino, oppure anche lui farà la triste fine degli altri eredi designati (Pierferdinando Casini, Gianfranco Fini, Giulio Tremonti)?

Fra tre mesi Silvio compie 75 anni. È l’età in cui perfino i cardinali vengono mandati in pensione. Ma c’è da scommettere che, dopo 17 anni in cui ogni settimana gli avversari lo hanno dato per finito, Berlusconi si senta ancora assai in forma. «Teniamocelo, a costo di rimetterlo a nuovo», dice Feltri. «Anche se il motore batte un po’ in testa, meglio lui revisionato che qualche rottame comunista riverniciato di buonismo». Insomma la lotta continua, nonostante tutto. I berlusconiani possono criticarlo, anche con durezza. Possono litigare e dividersi fra loro. Ma, come dice Ferrara, «Berlusconi è ancora senza alternative per il suo movimento popolare».

Mauro Suttora

Wednesday, September 01, 2010

parla Benedetto Della Vedova

"VOGLIAMO SOLO UN PARTITO DI CENTRODESTRA MODERNO"

Oggi, 25 agosto 2010

di Mauro Suttora

Della Vedova, che ci fa con tutti quei «terroni»?
L’imperturbabile Benedetto valtellinese, «colombissima» finiana, non si scompone: «I settentrionali non ci mancano: Valditara, la Moroni, la Germontani, Menia...»
Ma la stragrande maggioranza di voi 44 parlamentari di Libertà e futuro è meridionale. Infatti si parla di nuova «Lega Sud».
«Fini fa bene a chiedere garanzie sul federalismo. Ora sono in Grecia in vacanza: a causa di Atene perfino la Germania ha tremato. Allo stesso modo, la Lombardia non può ignorare Calabria e Sicilia. Lo dice uno come me, che più di nord non si può...»
È di Sondrio anche il suo ex amico Tremonti.
«Lo conobbi nel 2000, quando trattai con lui per conto di Pannella. Poi purtroppo invece della Bonino scelse Bossi. E oggi non posso condividere le sue analisi contro il mercatismo».
Così come Berlusconi condivide pochissimo di Fini.
«L’unica cosa che vogliamo è un centrodestra moderno, europeo. Come quelli di Cameron, Merkel, Sarkozy. Diventati premier dopo confronti intestini non da poco».
Proprio quel che Silvio detesta: le lotte interne ai partiti.
«Ma tutti i partiti del mondo democratico sono “contendibili”: c’è competizione di idee, e ci si conta nei congressi, o alle primarie».
Partiti del secolo scorso, dicono nel Pdl.
«Non mi pare. Obama e la Clinton si sono scannati alle primarie, e ora governano assieme. Blair e Brown si detestavano. Non parliamo dei due capi francesi del centrodestra, Sarkozy e Villepin, finiti in tribunale».
Appunto.
«Al congresso di fondazione del Pdl Fini disse: “So di essere in minoranza su alcuni temi: bioetica, immigrazione. Non pretendo nulla, solo dibattito”. Il confronto è l’essenza del liberalismo. Qualcuno nel Pdl vuole il centralismo democratico, ma è quello ad essere vecchissimo. Possibile che in una città europea come Milano siamo ridotti a dover scegliere fra La Russa, Cl e Calderoli?»
Verdini dice che il Pdl serve per diffondere le idee di Berlusconi fra la gente.
«Raccapricciante. Vedo in giro troppi analfabeti della politica».
Immigrati: c’era una volta la legge Bossi-Fini.
«Chi prende il filobus 90/91 a Milano prova disagio. La sinistra dice: non dovete avere paura. La Lega dice: dovete averla. Noi diciamo: i problemi non vanno né negati né creati, ma governati».
Quando ha parlato l’ultima volta con Berlusconi?
«Cinque mesi fa. Mi dispiace che ora come editore avalli il tentativo di distruzione di un avversario politico interno».
Non sopportava lo stillicidio di critiche di Fini.
«“Stillicidio” non è una categoria politica, ma sociologica. In realtà non abbiamo mai votato contro il governo. Questi sono i fatti. E non vogliamo farlo nel futuro. Tutto il resto è solo racconto fantasioso di Feltri».
Ma a destra Fini non è più tanto amato.
«Se invece di Feltri leggessero Ferrara, giornalista altrettanto vicino a Berlusconi e intelligente, gli elettori di centrodestra penserebbero diversamente».
Due mesi fa immaginava che sarebbe successo tutto questo casino?
«No. Pensavo che in Berlusconi avrebbe prevalso l’intuito politico, che avrebbe accettato nel suo interesse di un Pdl più aperto e inclusivo».
Finirete in un partito di centro con Casini, Rutelli e Montezemolo?
«No. Vogliamo rimanere nel centrodestra. Ma se vogliono distruggerci, ricorreremo alla legittima difesa».

Wednesday, October 21, 2009

Berlusconi dopo il no al lodo Alfano

È davvero iniziato l' autunno del premier?

LA POLITICA E LA CRISI

Oggi, 21 ottobre 2009

Dopo la bocciatura del lodo Alfano, la politica si surriscalda. Il presidente del Consiglio accusa i critici con toni sempre più accesi. Perché si sente forte, o per non dare segni di debolezza?

di Mauro Suttora

Lo «sputtanamento»: parola non elegante, quella usata da Silvio Berlusconi in un comizio a Benevento. Finora era nota soprattutto come titolo di una canzone del 1978 di Cochi e Renato. Adesso, invece, secondo il presidente del Consiglio, è ciò che i suoi avversari provocano quando lo criticano: «Pensano di attaccare me, ma in realtà rovinano l' immagine dell' Italia intera».

Berlusconi è fuori di sé per la bocciatura del cosiddetto lodo Alfano da parte della Corte costituzionale. Questo significa che tornerà a essere processabile. E i magistrati si apprestano a ricominciare i quattro procedimenti nei quali era coinvolto prima della sospensione garantita, appunto, dal lodo. Ma il timore dei berlusconiani è che qualsiasi pubblico ministero, adesso, ne approfitterà per inviare ulteriori avvisi di garanzia a palazzo Grazioli. Una specie di tiro al bersaglio.

DIFFICILE ESSERE NEUTRALI

Insomma, la temperatura politica è alta. Giornali e opinione pubblica sono sempre più divisi: pro o contro Berlusconi? Si riduce lo spazio per i neutrali, come denuncia il direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli: «Nostro compito è raccontare i fatti, senza metterli al servizio delle opinioni ». Invece i giornali delle sponde opposte (Repubblica a sinistra, il Giornale a destra) organizzano raccolte di firme contro gli editori dell' avversario di carta (da una parte il finanziere Carlo De Benedetti, che ha appena ottenuto un risarcimento da 750 milioni di euro da Berlusconi; dall'altra la famiglia del premier).

Per orientarci, abbiamo posto nove domande ad alcuni fra i migliori commentatori del nostro Paese. Alcuni neutrali, altri schieratissimi (Giuliano Ferrara, Marco Travaglio). Come sempre, i lettori di Oggi si faranno una propria opinione da soli. Ben sapendo, però, che i veri problemi del l'Italia (crisi economica, disoccupazione, servizi pubblici, tasse) sono purtroppo ben altri.

Thursday, December 07, 2006

Corriere della Sera: Severgnini su No Sex in the City



GRANDE MELA
La Manhattan degli «affari galanti» raccontata da Mauro Suttora

Non troppo sesso, per favore. Siamo a New York

7 dicembre 2006

di Beppe Severgnini

recensione sul Corsera

Mauro Suttora voleva scrivere un saggio, e per fortuna non c'è riuscito. Ha prodotto invece un romanzo breve e un lungo affresco: e questi gli sono venuti piuttosto bene (No sex in the city - Amori e avventure di un italiano a New York, Cairo Editore, pp. 206, 14 euro).

No sex in the city - dove di sesso ce n' è abbastanza - è uno dei rari ritratti efficaci della città più complicata e nevrotica d' America: New York. Molti italiani hanno provato a dipingerlo, con risultati che vanno dall' infantile al disastroso. Perché quasi tutti, della Grande Mela, hanno una fifa blu (interamente giustificata). Quando la superano - di solito, dopo pochi giorni - cadono in una specie di euforia, che gli impedisce di andar oltre, e capire dove sono finiti.

Le avventure galanti sono, in realtà, una scusa per mettere il naso nelle faccende sociali, mondane e professionali di Manhattan. Talvolta si ha l' impressione che Suttora salisse in casa delle ragazze per studiare l'arredamento, e riferircelo.

Alcuni rapporti sono esilaranti: la ragazza che non vuole baciare, quella che si scatena solo in taxi, quella che lo pianta per email. C'è anche un focoso incontro notturno sul tappeto del Rizzoli Bookstore nella 57esima strada, un luogo dove alcuni di noi si sono limitati a presentare, ogni tanto, un libro.

Ripeto: il sesso, negato nel titolo, esiste. Ma è una scusa, e per l' autore non è una priorità. Più che dalle gambe e dai seni, Mr Suttora è ipnotizzato dalla pancia di Manhattan - in senso metaforico, naturalmente. Corrispondente per il settimanale «Oggi» - i newyorkesi capiscono sempre «orgy», orgia, e restano perplessi - l'autore ha scritto anche per «Newsweek» e «New York Observer», dov'è nata la rubrica che ha dato il titolo al libro.

Per uscire dalla cuccia calda della corrispondenza ci vuole coraggio, Suttora l' ha avuto, ed è stato premiato. Nei media di New York sanno chi è, e non sarei stupito se un editore americano mettesse gli occhi sul volume. Alcune intuizioni sono folgoranti. Il quarantenne Mauro - che è più abbagliato dalla mondanità di quanto voglia farci credere - riesce tuttavia a restare un italiano con gli occhi aperti.
Racconta che troppe donne newyorkesi «parlano con la voce di Topolino» (un fenomeno che la scienza non ha ancora spiegato); che i ristoranti francesi sono in crisi, e quelli italiani no; che la tariffa fissa telefonica (flat rate) è una jattura, perché i taxisti di Manhattan sono sempre al cellulare, e confabulano come zombie in lingue misteriose, disinteressandosi di chi hanno a bordo.

I personaggi del libro vengono attivati a turno con pochi tocchi, e un dialogo che fa invidia a tanti affermati narratori nostrani. Tra le ragazze americane (Marsha, Liza, Maria, Danielle, Paula, Susan, Adrienne, Nicole: dimentico qualcuna?) compare anche qualche collega italiano (Giuliano Ferrara, Guia Soncini, Christian Rocca, Simona Vigna, lo ieratico Cianfanelli).

No sex, per loro: ma contribuiscono a movimentare il racconto, che procede con leggerezza per duecento pagine fino a un finale sorprendente. «Adoro i flip-flop, le ciabatte infradito: sono sexyssime», scrive l'autore appena sopra la parola «fine». Questa, Suttora, devi proprio spiegarmela.

Beppe Severgnini

Thursday, May 03, 2001

Per chi votano i gay?

SORPRESA: PRIMO BERLUSCONI. PARLA ROBERTO SCHENA

di Mauro Suttora
Il Foglio, 3 maggio 2001

I gay italiani votano a destra o a sinistra? Il dibattito è esploso sulle tre riviste mensili degli omosessuali: Babilonia, Pride e Guide Magazine. E ha rivelato spaccature impensabili, almeno stando al panorama delle candidature per le politiche del 13 maggio. Dove, infatti, la sinistra fa il pieno dell’“offerta”, con almeno cinque esponenti dell’ufficialità omosessuale italiana pronti a entrare in Parlamento: il fondatore di Arcigay Franco Grillini con i Ds, Gianpaolo Silvestri con i verdi, e ben tre candidati con Rifondazione. Nella Casa delle libertà, invece, il deserto.

Giovanni Dall’Orto, direttore della rivista Pride, ha accusato Babilonia di pencolare verso destra soltanto per avere osato ospitare un intervento di Giuliano Ferrara. E Natalia Aspesi gli ha subito fatto eco su Repubblica.

Babilonia è il giornale storico del movimento gay italiano. Infatti, dopo gli antesignani radicali del Fuori di Angelo Pezzana (del quale proprio in queste settimane si festeggia il trentennale della nascita), dagli anni Ottanta le lotte di liberazione sono state prese in mano dall’Arcigay (galassia Pci). Fino al giugno 1999 Babilonia, con le sue 15mila copie, era l’unico giornale omosessuale.

Quell’anno Roberto Schena fonda Pride. L’anno scorso lascia Pride a Dall’Orto e trasforma Guide Magazine, fino ad allora una semplice guida ai locali, nel terzo mensile gay italiano. Tutti sulle 15 mila copie, anche se Pride e Guide Magazine vengono distribuiti gratis nelle centinaia di locali gay, perché vivono tranquillamente di sola pubblicità.

L’effervescenza editoriale del mondo gay (stimato in Italia in due-tre milioni di individui) è testimoniata anche dalla nascita di vari siti Internet. Il più seguìto, www.gay.it, è stato acquistato per due miliardi da Seat-Pagine Gialle.

Schena, principale artefice di questa moltiplicazione di riviste (e di dibattito), non è affatto di sinistra. Anzi: è il capo delle redazioni cultura, spettacoli e sport della Padania, il quotidiano della Lega Nord. Ha in mano un buon terzo del giornale. E nel tempo libero confeziona Guide Magazine.

«L’attuale confronto è nato dagli articoli di Ferrara sul Foglio e su Panorama», spiega Schena, «in cui la destra viene invitata a liberarsi dalla vecchia paccottiglia omofoba. Ma sono stati soprattutto i dati di un sondaggio elettorale del sito gay.it ad avere mandato in tilt la sinistra».

Roba da non credere: Silvio Berlusconi risulta primo col 25 per cento, davanti a Francesco Rutelli col 24. Terza Emma Bonino: 14 per cento. Segue all’11 Fausto Bertinotti, mentre Valter Veltroni incassa un misero sei, superato perfino da Gianfranco Fini col sette. Umberto Bossi e Antonio Di Pietro prendono il tre per cento, e gli altri candidati raccolgono il restante sette per cento.

Sommando questi consensi, la Casa della Libertà conquisterebbe il non disprezzabile 35 per cento, mentre l’Ulivo senza Rifondazione si fermerebbe al 30.

Sul numero di aprile di Guide Magazine Schena, in perfetta par condicio, ha ospitato un articolo pro-sinistra di Sergio Lo Giudice, presidente di Argigay, e uno in cui il teologo milanese Giovanni Felice Mapelli nega che i Ds possano farsi paladini dei gay: «La loro cultura è tutt’altro che liberale, sono frenati da un eccesso di opportunismo: in Europa vengono scavalcati dai loro colleghi socialisti. In cinque anni di governo del centrosinistra sono naufragati tutti i progetti di legge che riguardavano le coppie di fatto, la discriminazione per orientamento sessuale, la procreazione assistita omologa ed eterologa, l’adozione da parte delle coppie sposate e quella dei single».

Ma Schena come si trova in un partito, la Lega, che negli ultimi due anni ha dato una forte sterzata verso i valori tradizionali cattolici, con Bossi che non perde occasione per ribadire con toni anche offensivi la sua totale contrarietà alla minima apertura nei confronti dei gay?

«Mi trovo benissimo: sono omosessuale dichiarato da sempre, ma non ho mai dovuto nascondere alcunché. Lavoro alla Padania dalla sua fondazione e nessuno mi ha discriminato, anzi. Insomma, sono l’esempio vivente che la politica della Lega non è rivolta contro i gay in quanto tali. Bossi sta facendo scelte tattiche sulle unioni civili che personalmente non condivido. Ma anche Ppi e Democratici, nell’Ulivo, hanno le sue stesse posizioni. Mi dispiace per i consensi gay che il centrodestra potrebbe facilmente avere, ma che sciupa perché non sa coltivare i rapporti. La giunta Albertini ha ottime relazioni con Dolce & Gabbana, Armani e tutto il mondo della moda: basterebbe imitare il modello Milano».
Mauro Suttora