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Tuesday, January 22, 2013

giornalisti candidati

Giornalisti candidati alle politiche del 24 febbraio 2013

Oggi, 16 gennaio 2013

SANDRO RUOTOLO Da Santoro a Ingroia 
Napoletano, da un quarto di secolo è la  spalla di Michele Santoro. Cominciarono nel 1988 a Samarcanda, poi Rosso e Nero, Tempo reale e tutti i programmi fino all’attuale Servizio Pubblico, passando anche per i tre anni di Moby Dick (1996-99) nella tv del detestato Silvio Berlusconi.    

CHIARA GERONZI Dal Tg5 al Pdl
Romana, figlia di Cesare Geronzi (banchiere ed ex presidente di Generali assicurazioni), da 15 anni lavora al Tg5 dove conduce l’edizione delle 13. Coinvolta in Calciopoli, è stata prosciolta senza neppure il rinvio a giudizio.
MASSIMO MUCCHETTI Dal Corriere della Sera al Pd 
Bresciano, specializzato in economia, per quasi vent’anni ha lavorato all’Espresso, dov’è stato vicedirettore. Con la stessa carica è approdato al Corriere della Sera nove anni fa. È stato vittima di spionaggio informatico da parte di Telecom. Capolista Pd al Senato in tutta la regione Lombardia.

CORRADINO MINEO Da Rainews al Pd 
Nato a Partanna (Trapani), nipote dell’omonimo matematico, è da sette anni direttore di Rainews. Ex manifesto (come Ruotolo), nel ‘78 entra in Rai. Vice di Sandro Curzi al Tg3, per 11 anni corrispondente da Parigi e New York, è capolista Pd al Senato nella sua Sicilia. 

MARIO SECHI Dal quotidiano Il Tempo a Monti
Sardo, da tre anni direttore del quotidiano romano Il Tempo, in precedenza vicedirettore di Giornale, Libero e Panorama. Abbandona Berlusconi e approda al Centro
di Mario Monti.

Sunday, January 13, 2013

La finta 'imprenditrice' di Santoro


Francesca Salvador, 52 anni, di Vittorio Veneto (Treviso) è la bella signora che ha parlato da un’impalcatura a Berlusconi durante l’ultima puntata di Servizio Pubblico.
Santoro l’ha presentata come “imprenditrice”. In realtà non lo è. E’ solo la figlia benestante di un commerciante d’armi.


La Salvador è uno dei tanti assist che Santoro ha regalato a Berlusconi. La signora infatti ha ripetuto le solite lamentele dei “poveri” imprenditori vessati dalle banche che non prestano più soldi. Ha aggiunto un tocco di complottismo, dicendo che Monti lavora per Goldman Sachs e Trilateral. E Berlusconi l’ha applaudita.

La Salvador è molto attiva nell’associazione salusbellatrix 
che tiene conferenze a Vittorio Veneto sugli argomenti più disparati. Tutti però accomunati da una cialtroneria alla ‘Cazzenger’ (©Crozza). C’è sempre un mistero mondiale da scoprire o una truffa planetaria da svelare, dall’Aids alla pedofilia.

Non manca ovviamente l'antisemitismo, con una simpatica accusa di nazismo a Israele, e con la spiegazione della strage di ragazzini in Norvegia nel 2011: Oslo punita per essere stata la prima a riconoscere lo stato palestinese… La nostra Salvador si è esibita in un elogio della marijuana.

Insomma, la classica sottocultura web che attecchisce fra gli sprovveduti, e che di solito emerge in tv solo in programmi trash come quello di Gianluigi Paragone (di cui infatti la Salvador è stata ospite). Chi la spara più grossa vince. Questa volta ha vinto Berlusconi, grazie a Santoro e alla nuova economista-filosofa trevigiana…

Wednesday, October 19, 2011

La nuova 'padrona' di Santoro

PARLA CINZIA MONTEVERDI, PRESIDENTE DI ZEROSTUDIO'S, LA SOCIETA' CHE PRODUCE 'SERVIZIO PUBBLICO'

Parma, 9 ottobre 2011

dal nostro inviato Mauro Suttora

Come si sente a essere la nuova padrona di Michele Santoro? «Figurarsi. Non posso dare ordini a Santoro. Nessuno c’è mai riuscito». Però è lei la presidente e amministratrice delegata della Zerostudio’s, società che dal 3 novembre manderà in onda Servizio pubblico: la nuova trasmissione del conduttore che a giugno ha abbandonato la Rai, ma non ha trovato altre reti che lo ospitino.

«Il mio ruolo principale è di tramite fra Santoro e Il Fatto Quotidiano, giornale che ha investito 350 mila euro, il 17,5 per cento dell’impresa. Lavoreremo in sinergia, anche perché Il Fatto ha un sito web arrivato in pochi mesi a mezzo milione di lettori giornalieri: ormai siamo i terzi, dopo Repubblica e Corriere della Sera. E Servizio pubblico andrà in onda propro su web, oltre che su un circuito di tv locali e su Sky, nel canale 504 del Tg24 Eventi».

Incontriamo Cinzia Monteverdi, 38 anni, nella sua mansarda di Parma. È appena partita la campagna di sottoscrizione di Servizio pubblico, associazione guidata dalla «santorina» di Annozero Giulia Innocenzi che chiede dieci euro agli spettatori di Santoro per rimetterlo in onda. L’azionariato popolare, iniziativa unica al mondo nella storia della tv, coprirà il 24% nella società. Cinzia è entusiasta: «Arrivano dieci sottoscrizioni al minuto, ce la faremo».

Sarà circondato da donne, Santoro. Oltre a lui, che con la moglie Sanja Podgajski ha il 51%, le consigliere d’amministrazione sono la Monteverdi, la Innocenzi e Angelica Canevari, consigliere delegato della Videa di Sandro Parenzo, proprietario di Telelombardia. «Ma questa “valanga rosa” è un puro caso, non l’abbiamo fatto apposta», sorride la Monteverdi.
 
«Ho cominciato a lavorare con Santoro nel marzo 2010 in Rai per una notte», dice Cinzia, «la trasmissione andata in onda da Bologna sugli schermi delle piazze d’Italia, tv locali, Current di Sky e web, per protesta contro la censura pre-elettorale: 13 per cento di audience. Bis lo scorso giugno con Tutti in piedi per la Fiom. E ora andremo avanti con la “multipiattaforma”: tv in chiaro, satellite e web».

I due milioni di capitale iniziale, però, coprono le spese per sole otto puntate, che costano 250 mila euro l’una. Come mai così tanto? «Per fare tv ci vogliono tanti soldi. Solo per la scenografia, centinaia di migliaia di euro. Affitto la banda web in streaming per tre ore: 50 mila euro. E così via...»

Potreste fare una tv povera, alla Gabanelli. «Michele vuole offrire un programma di qualità pari a quelli che faceva in Rai. E lì c’erano grosse disponibilità. Naturalmente il mio compito, come per tutti gli editori e produttori, sarà anche quello di far quadrare i conti».

E qui entra in gioco la pubblicità. Perché non c’è sottoscrizione popolare che tenga: per andare in onda non artigianalmente, con grandi numeri, ci vogliono gli spot. «Abbiamo una concessionaria, la Publishare di Parenzo e Fiorenza Mursia. Le prospettive sono buone. Il sito web del Fatto, per esempio, chiuderà quest’anno con 800 mila euro di pubblicità contro i 250 mila euro previsti ».

La Monteverdi non lo dice, ma per le venti puntate del 2012 la speranza è che entri in campo la concessionaria di Sky. Il problema è che alle aziende non piace fare pubblicità su media troppo caratterizzati politicamente. E Santoro rischia la stessa penuria che colpisce Il Fatto: grande successo di vendite (80 mila copie, 40 mila abbonamenti), ottimi bilanci (otto milioni di utile annuo su 30 di fatturato), ma introiti pubblicitari non adeguati a questi exploit.

Cinzia però è ottimista. Ha la stessa energia che la spinse tre anni fa, titolare di un’agenzia di eventi, a contattare Marco Travaglio, vicedirettore del Fatto e colonna di Anno zero, dopo averne letto libri e articoli, e ad «appiccicarglisi come una cozza» per organizzare una sua serata a Carrara. «Poi, due anni fa, ho investito centomila euro, l’eredità dei miei nonni, per diventare socia fondatrice del Fatto. La scommessa è andata bene, e ora con Vincino e Vauro abbiamo resuscitato il famoso giornale satirico Il Male. E ora Santoro... Come ci ha insegnato Steve Jobs: “Siate folli, realizzate i vostri sogni”. Votavo a sinistra, poi Di Pietro, ma adesso nessuno mi convince: né Vendola, né Beppe Grillo, né Bersani. Sono andata a Roma a lavorare nell’amministrazione del Fatto perché ero stufa di lamentarmi, di essere scontenta, ma di non fare niente di concreto».

Sposata, fidanzata? «Già fatico a convivere con me stessa, figuriamoci con un uomo». Intanto, durante l’intervista continuano a telefonarle: prima Santoro, poi Travaglio, poi Antonio Padellaro, il direttore del Fatto. È domenica pomeriggio, e lei adora lavorare.

Wednesday, June 22, 2011

Chi è Lorenza Lei, direttrice Rai

Oggi, 15 giugno 2011

Passerà alla storia come colei che cacciò Michele Santoro dalla Rai? Dopo dieci anni di inutili tentativi altrui, Lorenza Lei ci ha messo pochissimo. Nominata direttrice generale Rai all’inizio di maggio, dopo un solo mese il turbolento tribuno di Annozero era già fuori. Con una liquidazione di 2,3 milioni, certo, e senza la clausola di non concorrenza per uno o due anni contro l’ex azienda, usuale per chi strappa buonuscite così pingui. Per questo il premier Silvio Berlusconi non è soddisfatto.

Ma anche la sinistra protesta per la fine di un programma che nell’ultima puntata ha attratto più di otto milioni di spettatori: uno su tre, e addirittura uno su due dopo il battibecco fra Santoro e il viceministro Roberto Castelli. Avendo scontentato tutti, può darsi che Lorenza Lei abbia fatto la cosa giusta.

Ma chi è questa signora dallo strano cognome, prima donna a guidare la Rai (Letizia Moratti e Lucia Annunziata furono presidenti, carica non operativa)? Coro unanime: «Gran lavoratrice». In questi suoi primi 40 giorni al comando non ha cambiato abitudini: prima ad arrivare al mattino, ultima ad andarsene alla sera. «Fa impazzire il settimo piano di viale Mazzini, lavora anche la domenica», dice il consigliere d’amministrazione Pdl Antonio Verro. Niente feste romane alla sera. Unica uscita pubblica: un convegno dei Fratelli delle scuole cristiane con la sua protetta Lorena Bianchetti e i suoi protettori Gianni Letta e cardinale Camillo Ruini. Nessuna dichiarazione o intervista. Unica volontà filtrata all’esterno: più servizio pubblico, meno reality.

Bolognese, 51 anni, figlia di comunisti, separata, un figlio 28enne chef che vive con lei e la nonna, e cucina cene per gli ospiti (di recente Anna Falchi). Lorenza Lei è la risposta vivente a tutti i genitori che allontanano i figli da studi ritenuti poco «produttivi» come antropologia o filosofia. Lei si è laureata al magistero in antropologia filosofica. E ora eccola alla guida della più grande industria culturale italiana (13 mila dipendenti, 16 canali), dopo una carriera fulminea: l’assunzione a tempo indeterminato in Rai, infatti, risale ad appena dodici anni fa. Prima, dal 1996 al ’99, era solo una manager precaria, introdotta in Rai International da Renzo Arbore che la apprezzava.
«L’ho conosciuta a Bologna prima che entrasse in Rai», dice a Oggi Piero Di Pasquale, ex vicedirettore di Rai International, «è sempre stata una donna risoluta e sicura, con obiettivi molto alti. Aveva una visione precisa di ciò che voleva e doveva fare».

Ce l’avrà anche adesso che le piovono addosso critiche da destra e sinistra, dopo i consensi unanimi raccolti al momento della nomina? Perché la Rai è un gigante malato da risanare (98 milioni di deficit nel 2010), ma le spine sono soprattutto politiche. E le quattro maggiori tutte targate Rai3: Giovanni Floris (Ballarò), Fabio Fazio (Che tempo che fa), Milena Gabanelli (Report), Serena Dandini (Parla con me). Queste trasmissioni proseguirano, anche se il centrodestra le cancellerebbe volentieri. Fazio si è lamentato con una lettera a Repubblica: «Mi trattano male, non rifarò Vieni via con me in Rai con Roberto Saviano».

Il programma della Dandini perde

«Non è vero che Berlusconi sia deluso da Lei», dice Verro. «Non gli piace la gestione della Rai, ma lei che c’entra, è lì da poco. In tre consigli d’amministrazione ha presentato tre diversi palinsesti. Sull’ultimo ho grandi perplessità. La storia per cui vogliamo approvare preventivamente ospiti e scalette di Floris, Fazio e Gabanelli non ha senso. Chiuderle? No, a meno che non ci siano seri problemi economici, come nel caso della Perego. Anche la Dandini ha conti malmessi, perde cifre enormi. Quanto a Santoro, se fosse rimasto gli avrei impedito di tenere Travaglio, che non è servizio pubblico».

Lorenza Lei deve effettuare molte nomine nei Tg (il Tg2 è vacante da mesi) e nelle reti. I direttori di queste ultime rischiano poteri dimezzati se riuscirà a unificare tutti i programmi di intrattenimento in una sola direzione. «Lei sa bene quel che può fare, ma anche quello che è meglio non fare», spiega Di Pasquale, «perché sa essere molto dura, però con i piedi per terra. In questi ultimi anni si è fatta apprezzare ma anche temere. Prende lei le decisioni, non è una yes-woman».

Dopo aver seguito i programmi per il Giubileo e Rai1, dal 2002 al 2006 Lei è stata capo dello staf di tre direttori generali: Agostino Saccà, il leghista Flavio Cattaneo e Alfredo Meocci. Ha assistito a trecento consigli d’amministrazione, conosce la Rai come le sue tasche. In più è cattolica, partecipa ai convegni del Vaticano e frequenta i cardinali più potenti d’Italia: Angelo Bagnasco e Tarcisio Bertone. Fu lei, prima di entrare in Rai, a organizzare la famosa mostra sulle icone russe nei Musei vaticani. Sul versante modaiolo, invece, nel ’91 curò l’evento «Valentino, 30 anni di magia».

Ci vorrà un po’ di magia anche per sopravvivere fra i trabocchetti e gli anfratti Rai. Dopo i lunghi regni dei dc Ettore Bernabei, Biagio Agnes e Gianni Pasquarelli, i direttori generali non sopravvivono più di due-tre anni. La Lei è diversa dagli ultimi due, il prodiano Claudio Cappon uomo del parastato Iri, e il berlusconiano Mauro Masi, gran manovratore del potere romano. Aziendalista, da cinque anni era «direttrice delle risorse tv». In pratica, ogni contratto e budget è passato dalla sua scrivania. Per far abbassare le richieste ad agenti e artisti pare abbia una tecnica infallibile: li fa aspettare ore senza aria condizionata d’estate e senza riscaldamento d’inverno. Per il produttore Bibi Ballandi «è una tosta, non ti regala nulla».

Si è subito scontrata con il potente agente Lucio Presta. Prima ha fatto trapelare che avrebbe cancellato i programmi di Paola Perego (fidanzata di Presta), di Lorella Cuccarini, e che avrebbe affidato il festival di Sanremo a Carlo Conti, sottraendolo a Presta. Ma di recente pare ci sia stato un riavvicinamento a Presta, che è anche agente di Roberto Benigni e altri importanti artisti. Per Lei, donna di numeri, pianificazioni, share e prodotti, in Rai non devono prosperare potentati.

Ma la Tv di stato, lo sanno tutti, non è una semplice azienda. È anche un ministero, un po’ come il vicino palazzo del Coni. E fra i più importanti di Roma. Quindi per guidare la Rai bisogna essere anche sperimentati politici, oltre che efficaci manager. Altro che Bocconi: chissà che a Lorenza Lei in questi giorni tormentati non venga buona soprattutto la laurea in antropologia filosofica...

Mauro Suttora
(hanno collaborato
Marianna Aprile e Tommaso Gandino)

Wednesday, June 09, 2010

I ricchi non piangono mai

LA MANOVRA NON TOCCA I MILIARDARI

di Mauro Suttora

Oggi, 2 giugno 2010

Coincidenza sfortunata: proprio nel giorno in cui suo padre ha imposto agli italiani sacrifici per 24 miliardi di euro, Pier Silvio Berlusconi ha varato il proprio nuovo maxiyacht da 18 milioni, lungo 37 metri. È vero, così il cantiere Ferretti di Ancona lavora e non licenzia i dipendenti. Ma Pier Silvio si era già fatto costruire tre anni fa dal cantiere anconetano un altro yacht da trenta metri: Suegno, costato dieci milioni. Aveva proprio bisogno di un secondo piroscafo?

La verità è che i ricchi non piangono mai. Non solo in Italia. I miliardari greci sbevazzano come sempre negli hotel a cinque stelle di Gstaad o Saint Moritz, mentre i loro compatrioti ad Atene sono in mutande. A New York gli speculatori responsabili della crisi mondiale continuano a incassare bonus da milioni di dollari. E nella nuova lista dei 5.700 evasori italiani con sette miliardi nascosti in Svizzera ci sono industrialotti lombardi, stilisti, attori, notai, avvocati e anche molte casalinghe, mogli prestanome dei suddetti.

Neanche un centesimo viene tolto dalla «manovra» di Berlusconi ai ricchi come lui. Obama ha aumentato le imposte sui redditi oltre i 200 mila dollari (160 mila euro). In Italia invece chi lavora viene tassato fino al 43 per cento, mentre le rendite da capitale rimangono al 12,5. Industriali, finanzieri e banchieri possono stare tranquilli.

Il governo Prodi aveva cercato di imporre un tetto di 270 mila euro annui per tutti i manager pubblici. Risultato: Pier Francesco Guarguagliani di Finmeccanica (oggi nei guai con la moglie per fondi neri) l’anno scorso ha intascato più di cinque milioni e mezzo. C’è il divieto di cumulo di cariche? Lucio Stanca è sia deputato, sia capo dell’Expo 2015 di Milano, per un totale di 650 mila euro. E come lui decine di politici con doppio incarico.

Non è questione di destra o sinistra. Il principale fustigatore dei potenti in Italia, Beppe Grillo, è lui stesso un ricco milionario che ama scorrazzare in motoscafo per la Costa Smeralda. E così l’ex eroe della sinistra tv, Michele Santoro, che ha scandalizzato i propri fans con la trattativa da una quindicina di milioni per il prepensionamento Rai alla verde età di 58 anni.

L’Italia ha il terzo debito pubblico del pianeta: 1.800 miliardi di euro. Ci superano solo Stati Uniti e Giappone, in cifre assolute. E in percentuale sul Pil, siamo i peggiori d’Europa: 115 per cento nel 2009, come la Grecia. Ciononostante, i nostri politici anche quest’anno riescono a spendere il 5 per cento in più di quel che incassano con le tasse. La manovra di questi giorni serve solo a rallentare l’allargamento del buco, non a tapparlo.

Eppure, tutti si sentono in diritto di protestare. Soprattutto i più ricchi. Sentite: «La nostra indipendenza va salvaguardata anche sotto il profilo economico», strillano i magistrati, «minacciati» come tutti i pubblici dipendenti dal blocco degli aumenti automatici triennali (per tutti, anche asini e pigri), oltre che da un prelievo del cinque per cento sui redditi oltre i 90 mila euro l’anno (ovvero la quasi totalità dei magistrati). Medici e primari da cinquemila euro netti al mese piangono: «Interventi tanto vergognosi quanto iniqui».

I dirigenti pubblici preparano i soliti ricorsi al Tar. «Guadagno 289 mila euro l’anno, ma alla Telecom erano due milioni e mezzo», dice Giuseppe Sala, direttore generale del comune di Milano. Ognuno guarda a chi prende di più. Bruno Vespa, dal «basso» del suo milione e 200 mila euro annui, invidia Santoro. E i tagli non toccano i prepensionati d’oro, come il dirigente della regione Sicilia Pier Carmelo Russo che cinque mesi fa ha agguantato 6.462 euro netti mensili a 47 anni, per poi vedersi nominare assessore all’Energia.

Le statistiche sono chiare: negli ultimi dieci anni i redditi dei dipendenti pubblici sono aumentati del 42%. Quasi il doppio dei privati, esposti alla concorrenza con l’estero. Eppure, all’ultimo momento la loro potente lobby ha fatto aumentare da 130 a 150 mila euro la soglia per il prelievo del 10%. E chissà di quali altri «ammorbidimenti» godranno i ricchi prima che i decreti tagliaspesa diventino realtà.

Mauro Suttora

Wednesday, April 08, 2009

parla Luigi De Magistris

"Mi volevano morto"

IL GRANDE ACCUSATORE LASCIA LA TOGA E SI BUTTA IN POLITICA. PER CORRERE ALLE EUROPEE

Oggi, 8 aprile 2009

«Ho toccato interessi troppo forti, il mio tempo era scaduto». Il magistrato che ha terremotato l' Italia si candida con Di Pietro. «Al Sud un politico su due è compromesso con la mafia».

dall'inviato a Catanzaro Mauro Suttora

De Magistris, anche lei è come Di Pietro, Michele Santoro, Lilli Gruber: si butta in politica.
«Sono stato io buttato via dalla magistratura. Avrei voluto continuare a fare inchieste, era il sogno della mia vita. Me lo hanno impedito».
Trasferendola nella sua Napoli, giudice del riesame.
«Il mestiere di giudice è diverso da quello di pm...».
Quasi un inno alla separazione delle carriere... Ma ora vedremo se prende più voti lei o Mastella.
«Non è questo il problema».
E qual è?
«Sarò fra i capilista di Italia dei Valori in tutta Italia, dietro a Di Pietro, per far nascere una nuova classe dirigente».
Vasto programma.
«Ma necessario. Oggi, dove la mafia spadroneggia, un politico su due è compromesso».
Addirittura?
«Se non por complicità e collusione, almeno per omissione. E non solo i politici. Ormai la criminalità organizzata arruola uomini delle istituzioni».
Anche magistrati?
«Sì. Una delle mie inchieste era Toghe lucane ».
Quindi la corporazione con lei si è vendicata?
«I magistrati italiani hanno grandi luci e grandi ombre».
Chi ammira fra i suoi ormai ex colleghi?
«Ingroia e Scarpinato a Palermo».
Con un capo come Borrelli sarebbe ancora al suo posto?
«Sarebbe stato un faro. I capi delle procure devono sostenere e consigliare i propri sostituti».
La accusano di esibizionismo.
«Stavano per ammazzarmi, professionalmente o fisicamente. Nessuno se ne sarebbe accorto. Il mio tempo era scaduto».
Quindi ha cominciato a parlare a convegni e giornali.
«Non avevo scelta. Sono apparso in Tv solo due volte, ma mi hanno salvato la pelle».
Ripeto: addirittura?
«Avevo toccato interessi troppo forti».
E perché non li ha combattuti in aula, invece di fare sociologia?
«Ripeto io: mi hanno tolto le inchieste. Anche Falcone dovette dare interviste per non rimanere isolato».
Lo sa che l'Europarlamento è una grande fabbrica di frustrati?
«Ma le sue direttive sono importanti. È un'ottima tribuna».
Vive sempre a Catanzaro?
«Mia moglie è di qui, e qui viviamo con i nostri due figli».
Quanti anni hanno? «Nove e quattro anni».
Bene: almeno loro non le creeranno problemi.
«Perché?».
Le raccomandazioni di Di Pietro junior...
«Suo padre è stato nettissimo nel redarguirlo».
Ora lei fa il pendolare.
«Tre ore di treno e sono a Napoli. Mi hanno tolto la scorta, in auto sarebbe rischioso».
Dorme bene la notte?
«Sì, ma poco: quattro ore».
L'unica cosa che la accomuna a Berlusconi.
«Ne approfitto per leggere».
Che cosa? «Ho appena finito l'ultimo Erri De Luca, e ho riletto L'Isola di Arturo di Elsa Morante».
Solo romanzi?
«No, anche Fratelli d'Italia di Pinotti, sui massoni».
La massoneria è una sua fissa.
«È uno dei poteri forti».
Musica?
«Genesis e Pink Floyd».
È vero che piace alle donne?
«Non sono un playboy, come ha scritto Novella 2000. Sono sposato e felice».
Hobby?
«Giardinaggio».
Che fiori coltiva?
«Rose, camelie, ortensie».
Allora è proprio berlusconiano.
«Il berlusconismo è un pericolo per l'Italia. La nostra è una democrazia solo apparente».
Il solito catastrofismo.
«Ho colpito anche a sinistra».
Infatti l' hanno fatta subito fuori, assieme alla Forleo.
«La questione morale è importante come ai tempi di Enrico Berlinguer».
Le piaceva Berlinguer?
«Così tanto che a 17 anni andai al suo funerale».
Il solito comunista, diranno ora a destra.
«Ho sempre votato a sinistra, ma mi hanno deluso».
Perché?
«Si arroccano in difesa castale delle mele marce, che ci sono anche a sinistra».
Dicono di lei e Woodcock: magistrati di provincia che cercano pubblicità incriminando nomi noti.
«Per dieci anni ho fatto inchieste e incontrato nomi importanti. Cos'avrei dovuto fare, nasconderli?».
Si è più indipendenti stando a Catanzaro e Potenza invece che a Roma e Milano?
«Il magistrato più solo sta, meglio è. Ottima sarebbe la rotazione, come per i carabinieri. Altrimenti si formano amicizie e incrostazioni».
Lei e Woodcock avete aperto tante inchieste, ma quante ne avete chiuse?
«Io a decine, con dibattimenti e condanne. Finché non ho toccato gli intoccabili».
La Calabria è martoriata, ma lei non faccia il martire.
«Mi sono reso conto dei piedi che pestavo. Poi ho sentito per caso il fratello di Borsellino».
E che cosa ha detto?
«Navigavo su Internet e leggo che lui, di fronte all'avocazione della mia inchiesta, dice di non avere provato un'emozione così forte da quando suo fratello venne assassinato».
Caspita.
«Falcone e Borsellino sono i miei idoli, per seguire il loro esempio sono diventato magistrato. Una missione». Oddio, i magistrati missionari...
«Meglio i burocrati?».
E ora la politica.
«Mi hanno costretto».
Ma anche come giudice a Napoli è riuscito a farsi notare, attaccando Rutelli nell'inchiesta Romeo.
«Quella sentenza è opera di un collegio a tre. Di cui io ero il giudice a latere più giovane».
Cos'è, fa marcia indietro?
«No, solo per precisare».

Mauro Suttora

Thursday, April 24, 2008

Il Baratto per Santoro

IL VELTRUSCONI DELL'84 CHE PORTO' SANTORO TRA LE BRACCIA DELLA RAI

Michele torna a cavalcare l'antiberlusconismo. In un libro la storia dello scambio Walter-Silvio che fece la sua fortuna

di Mauro Suttora

Libero, 24 aprile 2008

Questa sera Michele Santoro si occuperà di camorra. Non potrà quindi ripetere il clamoroso 4-1 della scorsa settimana, quando nel suo 'Anno Zero' invitò ben quattro ospiti per il centrosinistra (Di Pietro, l'architetto Fuksas, il professor Sartori e il fisso Travaglio) contro il povero Filippo Facci, unico simpatizzante del centrodestra e fra l’altro più bravo a scrivere che a interloquire in tv.

Ma certamente quanto ad antiberlusconismo Santoro si rifarà nelle prossime settimane. Peccato, perché invece il conduttore Rai dovrebbe essere immensamente grato a Silvio Berlusconi. E non solo ricordando il triennio passato alle sue dipendenze (1996-'99), godendo di assoluta libertà per il proprio programma 'Moby Dick' (Santoro, offeso perché il presidente Rai Enzo Siciliano fece finta di non conoscerlo pronunciando la memorabile domanda "Michele chi?", migrò a Mediaset da un giorno all'altro).

In realtà Santoro è una vera e propria "creatura" di Berlusconi. Infatti, se nell'86 Raitre non fosse stata data al Pci in cambio del via libera ai canali Fininvest, lui non sarebbe mai stato chiamato a fare 'Samarcanda'. Sarebbe rimasto un oscuro giornalista-funzionario del Pci.

Ce lo ricorda un bel libro appena pubblicato: 'Il Baratto' di Michele De Lucia (ed. Kaos). È il documentatissimo resoconto di come le intese più o meno larghe fra l'allora comunista Walter Veltroni e Berlusconi siano iniziate già 24 anni fa. Nell'autunno '84, infatti, mentre ufficialmente il Pci strepitava contro lo "strapotere del piduista", Achille Occhetto e Veltroni incontrarono segretamente Berlusconi. Da un anno l'appena 28enne Walter era stato nominato capo della sezione Comunicazioni di massa del Dipartimento propaganda e informazione, che per il Pci erano un tutt'uno. E Occhetto era il suo diretto superiore.
Nell'agosto '84 la Fininvest aveva comprato per 135 miliardi dalla Mondadori il terzo dei suoi canali, Retequattro, salvandola dal fallimento. E Veltroni aveva tuonato: "Stiamo assistendo a un pesante attacco che tende a consegnare l'intero settore dell'emittenza privata nelle mani di uomini implicati nella P2 come Berlusconi".

Indignazione pubblica, ma trattative private. De Lucia infatti ricorda che lo stesso Occhetto rivelerà, anni dopo, l'abboccamento segreto con Berlusconi: "L'incontro - un po' carbonaro - avviene in un'imprecisata 'sera settembrina' del 1984, in un salotto di piazza Navona non meglio specificato, né si sa chi sia l'organizzatore-padrone di casa". Lo staff di Berlusconi è al completo. "Bravi, svegli e manager", li definisce Occhetto.
Il Pci ha appena effettuato il suo primo (e ultimo) sorpasso sulla Dc alle europee: 33,3 per cento contro il 33. "Walter e io siamo gli esponenti del più forte gruppo politico d'opposizione", racconta Occhetto. "Non che non li conoscessimo. Walter ha avuto dei contatti con un esponente del gruppo Fininvest presente all'incontro, ma li ha interrotti perché diffidavamo".
La Fininvest propone: "Si potrebbe affidare alle reti pubbliche tutta l'informazione, mentre noi trasmetteremmo e produrremmo spettacolo. Ci interessa soprattutto la fiction". Occhetto guarda Veltroni e dice: "Ma questa, Walter, è la tua proposta o sbaglio?" "Sì, in realtà è proprio quella".

Nell’ottobre ’84 i pretori di Torino, Roma e Pescara ordinano il sequestro degli impianti Fininvest perché una norma del Codice postale vieta ai privati trasmissioni tv a livello nazionale. Il presidente del Consiglio Bettino Craxi vara un decreto legge per autorizzare provvisoriamente le trasmissioni.

“Il Pci”, scrive De Lucia, “vuole approfittare della situazione per ottenere la Terza rete Rai, con annesso Tg3. (…) Nel gennaio 1985 viene raggiunto un accordo fra il governo e l’opposizione comunista sul decreto Berlusconi. Il 31 gennaio il decreto viene approvato con 262 voti favorevoli e 240 contrari. Il Pci, assicuratosi che il provvedimento avesse la maggioranza, vota no esercitando un’opposizione definita ‘duttile e morbida’.
Falce, martello, coltello, forchetta e bavaglino, nella più pura tradizione consociativa. Il 4 febbraio anche il Senato approva in extremis (il decreto sta per scadere) con 137 voti contro 15. Dopo avere garantito il numero legale durante la discussione, al momento del voto i senatori comunisti lasciano l’aula: una plateale sceneggiata per salvare le apparenze”.

Nel dicembre ’85 il Tribunale di Roma assolve in appello la Fininvest perché le trasmissioni nazionali tv non costituiscono reato. “Il 12 settembre ’86 a Milano, al Festival nazionale dell’Unità”, scrive De Lucia, “si svolge un dibattito cui partecipano Veltroni, Berlusconi, il presidente Rai Sergio Zavoli e l’editore Mario Formenton della Mondadori.
È un minuetto Pci-Fininvest, una corrispondenza di amorosi sensi. Il compagno Veltroni avverte: ‘Non ha giovato al gruppo Fininvest l’eccessivo padrinato politico dato da uno e un solo partito [il Psi, ndr]’”
Insomma: mollate Craxi, e smetteremo di attaccarvi. Berlusconi ringrazia: “Mi fa caldo al cuore l’idea che il Partito comunista, da tempo ormai, si apra alla considerazione di queste realtà con tanto senso concreto, con tanto senso pragmatico…”

Il 5 marzo ’87, infine, il nuovo consiglio d’amministrazione Rai (in cui siedono fra gli altri per la Dc Marco Follini e il futuro presidente Sergio Zaccaria) paga la cambiale promessa a Veltroni: consegna la Terza rete e il Tg3 al Pci, nominando direttore di Raitre Angelo Guglielmi e alla guida del Tg3 il comunista di lungo corso Alessandro Curzi.
Pochi mesi dopo Guglielmi affida a Santoro un programma di approfondimento: ‘Samarcanda’. L’ex maoista di Salerno, poi funzionario del Pci (“Ma litigava con tutti”, ricorda il dirigente Isaia Sales), poi giornalista del quindicinale comunista ‘La Voce della Campania’ (che dirige per un anno fino alla chiusura nell’80), poi redattore all’Unità (“Ma non ha mai scritto una riga”, ha raccontato l’ex collega Antonio Polito), infine rifugiatosi in Rai, ha successo e va avanti fino al ’92.
Poi cambia nome al programma: Rosso e Nero, Tempo Reale. Dopo la parentesi Mediaset ecco Circus, Sciuscià, ora Anno Zero. Si chiama “debrandizzazione”: un vortice di nomi, così alla fine tutti dicono: “da Santoro”. Lo stipendio lievita: 660 mila euro e rotti l’anno scorso. Ma se non ci fosse stato quel baratto Berlusconi-Veltroni 22 anni fa… Ingrato Michele.

Mauro Suttora