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Wednesday, February 20, 2013

Per chi votano i vip?

LO ABBIAMO CHIESTO A 30 PERSONAGGI DELLA CULTURA, SPORT E SPETTACOLO

di Mauro Suttora e Alice Corti

Oggi, 8 febbraio 2013

Il più appassionato è Carlo Rossella, presidente Medusa Film, già direttore di Tg1, Tg5, Stampa e Panorama: «Voterò per il mio amico Silvio Berlusconi. Al di là della politica, per amicizia, perché gli voglio bene. Scriverei ‘W Berlusconi’ sulla scheda anche se non fosse candidato».
Monica Bellucci invece è innamorata di Mario Monti: «Ha fatto un ottimo lavoro. Viaggio per il mondo ma sono italiana, voterò certamente».

Per chi voteranno i personaggi di tv, cultura, musica, sport e spettacolo? Ecco alcune risposte, con poche certezze e molti dubbi. Alessandro Cecchi Paone, conduttore tv: «Socialisti di Nencini, nella coalizione di centrosinistra per Bersani premier. In mancanza dei radicali, sono gli unici che mettono ai primi posti del programma la laicità e i diritti civili per le coppie gay e di fatto».

Sabrina Colle, attrice, va invece sul geografico: «Voterò per qualunque cosa possa far male al Pdl. E, visto che Paola Concia è come me di Avezzano e alla fine il Pd, dopo tante difficoltà, la candida in Abruzzo, sceglierò lei».
Sicuro anche Edoardo Boncinelli, genetista: «Voterò Monti. Mi è piaciuto per come ha voluto rinnovare l’Italia». Stessa preferenza per Lory Del Santo, showgirl: «Monti, perché ci vuole qualcosa che sfugga alla distinzione destra/sinistra».

Patrizio Rispo, protagonista di Un posto al sole (Rai3), sta invece per Beppe Grillo: «Provo molta rabbia per quel che sta accadendo nel nostro Paese. Il senso della politica è finito, morto. È diventato un gioco in mano ai peggiori. Per questo ho deciso di votare Movimento 5 Stelle: perché composto da comuni cittadini. Persone come noi, che si scontrano con i problemi reali. È l’unica scelta possibile prima di scendere in piazza con i forconi».

Non hanno dubbi e voteranno Pd i giornalisti Corrado Augias e Luca Telese: «Alle primarie ho scelto Bersani rispetto a Matteo Renzi», precisa quest’ultimo, «e ora confermerò questa mia decisione».
Pd senza tentennamenti anche per Bianca Pitzorno, scrittrice («Voterò in Sardegna. Prima votavo Pci, l’ho seguito in tutte le sue evoluzioni negli anni») e Alba Parietti, opinionista: «Sono sempre stata di sinistra, e lo sarò sempre».

Tradizioni opposte per Antonio Rossi, olimpionico di canoa: «Sono candidato per Roberto Maroni in Lombardia alle regionali. Vengo da una famiglia di centro, ho sempre avuto idee moderate. Nel 2009 sono stato assessore allo Sport nella provincia di Lecco, una bella esperienza».
Quanto a Marco Travaglio, giornalista, sta attento al voto utile: «Alla Camera Ingroia, al Senato Grillo perché Ingroia non raggiunge il quorum».
   
INDECISI
Pino Daniele, cantante: ««Non so per chi voterò. In cabina elettorale chiuderò gli occhi e farò una croce. I confini tra partiti non ci sono più. Sta diventando tutto un casino. Dare una mia canzone per un inno di un partito? Dipende. Alla Lega no... anzi, a Maroni gliela darei, ma in napoletano. Non dimentichiamo che è l’unico bluesman che abbiamo in Parlamento».

La conduttrice tv Eleonora Daniele è alla ricerca di «novità e rinnovamento. Chiunque vinca, si dia da fare per i giovani. Fondamentale è anche l’agricoltura, troppo trascurata: è ora che i politici si ricordino della campagna e delle persone che ci lavorano».
Il suo collega Davide Mengacci ha «un’idea di massima, conservatrice, ma gli ultimi avvenimenti mi fanno tentennare. Lo scenario politico è viscido, scivoloso, mi confonde un po’ le idee. Sono di destra come estrazione, però ora sono andato a ingrossare il partito degli indecisi».

Esitanti pure la showgirl Loredana Lecciso («Nessuno schieramento mi convince totalmente») e Sabina Guzzanti, comica: «Non so chi votare, se votare, e se chiedo in giro stanno tutti più o meno come me».

DILEMMI INTELLETTUALI
Filippo Facci, giornalista: «Sono indeciso tra tre opzioni: Fratelli d’Italia di La Russa, Crosetto e Meloni, Radicali di Pannella o Fare per fermare il declino di Oscar Giannino». Dubbiosa anche l’attrice Lella Costa: «Sicuramente centrosinistra, ma devo ancora decidere il partito».

Andrea De Carlo, scrittore: «Non so cosa voterò. Chiunque ‘salga’ al governo dovrà continuare il lavoro iniziato da Monti. La politica ha fatto danni spaventosi, con responsabilità condivise dalle varie parti. So però per chi non voterò: Berlusconi. Ha portato al disastro l’immagine dell’Italia all’estero, anche se non da solo».
Michele Mirabella, conduttore tv: «Ho le idee molto chiare, sono un progressista, voto a sinistra. Ma devo constatare che i programmi di tutti gli schieramenti non sono ben definiti».

Andrea Giordana, attore: «La mia sarà una scelta progressista. Vorrei votare la cosa più giusta per i giovani, per tanta gente che è senza lavoro. Il capitalismo ha registrato una sonora sconfitta: la conseguenza è che la classe media è diventata povera».

Ascanio Celestini, attore e scrittore: «Andrò a votare per lo stesso motivo per cui differenzio l’immondizia, pur sapendo che poi verrà ammucchiata tutta insieme in una discarica illegale. Lo faccio per me, sperando che prima o poi avrà un senso partecipare a questa cerimonia svuotata di significato. Peccato che il mio voto se lo prenderanno loro, ma non votarli sarebbe lo stesso. Le idrovore del partitismo succhiano tutto. Per fortuna molti hanno capito che fare politica significa occuparsi direttamente della propria condizione. E questo accade felicemente lontano dai partiti. Succede senza delega dalla Val Susa allo stretto di Messina, dove libertà è partecipazione».

NON LO VOGLIONO DIRE
Riccardo Iacona, giornalista: «Sulla politica ho idee molto chiare, ma chi fa il mio mestiere non dovrebbe esprimerle. Non aggiungerei nulla al dibattito politico. A dire il vero quest’anno sono ancora indeciso su chi orienterò il mio voto. In ogni caso, sarà segreto».

Pino Insegno, conduttore tv: «Di politica e di voto non voglio parlare. Non l’ho mai fatto e non voglio espormi in questo momento di confusione generale. Ho le mie idee, ma le tengo per me». Ritroso anche l’attore Massimo Ciavarro, attore: «Nel dibattito elettorale deve prevalere la privacy. Con me in cabina elettorale non entra nessuno».

Maddalena Corvaglia, showgirl: «So per chi votare, ma su questo argomento non mi sono mai esposta». Rocco Papaleo, attore: «Non mi va di parlare». Idem per il suo collega Giorgio Tirabassi, attore. E Giancarlo Magalli, presentatore: «So bene chi non votare, più che su chi votare. Ma non mi esprimo».

REFRATTARIO STORICO
Enrico Mentana, direttore Tg7: «Nelle ultime elezioni non ho mai votato. Non credo che lo farò nemmeno questa volta, anche se non ho ancora deciso. Devo fare ancora i confronti in tv con i leader, non posso dare l’idea di tifare per qualcuno».
Alice Corti e Mauro Suttora

Thursday, April 24, 2008

Il Baratto per Santoro

IL VELTRUSCONI DELL'84 CHE PORTO' SANTORO TRA LE BRACCIA DELLA RAI

Michele torna a cavalcare l'antiberlusconismo. In un libro la storia dello scambio Walter-Silvio che fece la sua fortuna

di Mauro Suttora

Libero, 24 aprile 2008

Questa sera Michele Santoro si occuperà di camorra. Non potrà quindi ripetere il clamoroso 4-1 della scorsa settimana, quando nel suo 'Anno Zero' invitò ben quattro ospiti per il centrosinistra (Di Pietro, l'architetto Fuksas, il professor Sartori e il fisso Travaglio) contro il povero Filippo Facci, unico simpatizzante del centrodestra e fra l’altro più bravo a scrivere che a interloquire in tv.

Ma certamente quanto ad antiberlusconismo Santoro si rifarà nelle prossime settimane. Peccato, perché invece il conduttore Rai dovrebbe essere immensamente grato a Silvio Berlusconi. E non solo ricordando il triennio passato alle sue dipendenze (1996-'99), godendo di assoluta libertà per il proprio programma 'Moby Dick' (Santoro, offeso perché il presidente Rai Enzo Siciliano fece finta di non conoscerlo pronunciando la memorabile domanda "Michele chi?", migrò a Mediaset da un giorno all'altro).

In realtà Santoro è una vera e propria "creatura" di Berlusconi. Infatti, se nell'86 Raitre non fosse stata data al Pci in cambio del via libera ai canali Fininvest, lui non sarebbe mai stato chiamato a fare 'Samarcanda'. Sarebbe rimasto un oscuro giornalista-funzionario del Pci.

Ce lo ricorda un bel libro appena pubblicato: 'Il Baratto' di Michele De Lucia (ed. Kaos). È il documentatissimo resoconto di come le intese più o meno larghe fra l'allora comunista Walter Veltroni e Berlusconi siano iniziate già 24 anni fa. Nell'autunno '84, infatti, mentre ufficialmente il Pci strepitava contro lo "strapotere del piduista", Achille Occhetto e Veltroni incontrarono segretamente Berlusconi. Da un anno l'appena 28enne Walter era stato nominato capo della sezione Comunicazioni di massa del Dipartimento propaganda e informazione, che per il Pci erano un tutt'uno. E Occhetto era il suo diretto superiore.
Nell'agosto '84 la Fininvest aveva comprato per 135 miliardi dalla Mondadori il terzo dei suoi canali, Retequattro, salvandola dal fallimento. E Veltroni aveva tuonato: "Stiamo assistendo a un pesante attacco che tende a consegnare l'intero settore dell'emittenza privata nelle mani di uomini implicati nella P2 come Berlusconi".

Indignazione pubblica, ma trattative private. De Lucia infatti ricorda che lo stesso Occhetto rivelerà, anni dopo, l'abboccamento segreto con Berlusconi: "L'incontro - un po' carbonaro - avviene in un'imprecisata 'sera settembrina' del 1984, in un salotto di piazza Navona non meglio specificato, né si sa chi sia l'organizzatore-padrone di casa". Lo staff di Berlusconi è al completo. "Bravi, svegli e manager", li definisce Occhetto.
Il Pci ha appena effettuato il suo primo (e ultimo) sorpasso sulla Dc alle europee: 33,3 per cento contro il 33. "Walter e io siamo gli esponenti del più forte gruppo politico d'opposizione", racconta Occhetto. "Non che non li conoscessimo. Walter ha avuto dei contatti con un esponente del gruppo Fininvest presente all'incontro, ma li ha interrotti perché diffidavamo".
La Fininvest propone: "Si potrebbe affidare alle reti pubbliche tutta l'informazione, mentre noi trasmetteremmo e produrremmo spettacolo. Ci interessa soprattutto la fiction". Occhetto guarda Veltroni e dice: "Ma questa, Walter, è la tua proposta o sbaglio?" "Sì, in realtà è proprio quella".

Nell’ottobre ’84 i pretori di Torino, Roma e Pescara ordinano il sequestro degli impianti Fininvest perché una norma del Codice postale vieta ai privati trasmissioni tv a livello nazionale. Il presidente del Consiglio Bettino Craxi vara un decreto legge per autorizzare provvisoriamente le trasmissioni.

“Il Pci”, scrive De Lucia, “vuole approfittare della situazione per ottenere la Terza rete Rai, con annesso Tg3. (…) Nel gennaio 1985 viene raggiunto un accordo fra il governo e l’opposizione comunista sul decreto Berlusconi. Il 31 gennaio il decreto viene approvato con 262 voti favorevoli e 240 contrari. Il Pci, assicuratosi che il provvedimento avesse la maggioranza, vota no esercitando un’opposizione definita ‘duttile e morbida’.
Falce, martello, coltello, forchetta e bavaglino, nella più pura tradizione consociativa. Il 4 febbraio anche il Senato approva in extremis (il decreto sta per scadere) con 137 voti contro 15. Dopo avere garantito il numero legale durante la discussione, al momento del voto i senatori comunisti lasciano l’aula: una plateale sceneggiata per salvare le apparenze”.

Nel dicembre ’85 il Tribunale di Roma assolve in appello la Fininvest perché le trasmissioni nazionali tv non costituiscono reato. “Il 12 settembre ’86 a Milano, al Festival nazionale dell’Unità”, scrive De Lucia, “si svolge un dibattito cui partecipano Veltroni, Berlusconi, il presidente Rai Sergio Zavoli e l’editore Mario Formenton della Mondadori.
È un minuetto Pci-Fininvest, una corrispondenza di amorosi sensi. Il compagno Veltroni avverte: ‘Non ha giovato al gruppo Fininvest l’eccessivo padrinato politico dato da uno e un solo partito [il Psi, ndr]’”
Insomma: mollate Craxi, e smetteremo di attaccarvi. Berlusconi ringrazia: “Mi fa caldo al cuore l’idea che il Partito comunista, da tempo ormai, si apra alla considerazione di queste realtà con tanto senso concreto, con tanto senso pragmatico…”

Il 5 marzo ’87, infine, il nuovo consiglio d’amministrazione Rai (in cui siedono fra gli altri per la Dc Marco Follini e il futuro presidente Sergio Zaccaria) paga la cambiale promessa a Veltroni: consegna la Terza rete e il Tg3 al Pci, nominando direttore di Raitre Angelo Guglielmi e alla guida del Tg3 il comunista di lungo corso Alessandro Curzi.
Pochi mesi dopo Guglielmi affida a Santoro un programma di approfondimento: ‘Samarcanda’. L’ex maoista di Salerno, poi funzionario del Pci (“Ma litigava con tutti”, ricorda il dirigente Isaia Sales), poi giornalista del quindicinale comunista ‘La Voce della Campania’ (che dirige per un anno fino alla chiusura nell’80), poi redattore all’Unità (“Ma non ha mai scritto una riga”, ha raccontato l’ex collega Antonio Polito), infine rifugiatosi in Rai, ha successo e va avanti fino al ’92.
Poi cambia nome al programma: Rosso e Nero, Tempo Reale. Dopo la parentesi Mediaset ecco Circus, Sciuscià, ora Anno Zero. Si chiama “debrandizzazione”: un vortice di nomi, così alla fine tutti dicono: “da Santoro”. Lo stipendio lievita: 660 mila euro e rotti l’anno scorso. Ma se non ci fosse stato quel baratto Berlusconi-Veltroni 22 anni fa… Ingrato Michele.

Mauro Suttora