PARLA CINZIA MONTEVERDI, PRESIDENTE DI ZEROSTUDIO'S, LA SOCIETA' CHE PRODUCE 'SERVIZIO PUBBLICO'
Parma, 9 ottobre 2011
dal nostro inviato Mauro Suttora
Come si sente a essere la nuova padrona di Michele Santoro? «Figurarsi. Non posso dare ordini a Santoro. Nessuno c’è mai riuscito». Però è lei la presidente e amministratrice delegata della Zerostudio’s, società che dal 3 novembre manderà in onda Servizio pubblico: la nuova trasmissione del conduttore che a giugno ha abbandonato la Rai, ma non ha trovato altre reti che lo ospitino.
«Il mio ruolo principale è di tramite fra Santoro e Il Fatto Quotidiano, giornale che ha investito 350 mila euro, il 17,5 per cento dell’impresa. Lavoreremo in sinergia, anche perché Il Fatto ha un sito web arrivato in pochi mesi a mezzo milione di lettori giornalieri: ormai siamo i terzi, dopo Repubblica e Corriere della Sera. E Servizio pubblico andrà in onda propro su web, oltre che su un circuito di tv locali e su Sky, nel canale 504 del Tg24 Eventi».
Incontriamo Cinzia Monteverdi, 38 anni, nella sua mansarda di Parma. È appena partita la campagna di sottoscrizione di Servizio pubblico, associazione guidata dalla «santorina» di Annozero Giulia Innocenzi che chiede dieci euro agli spettatori di Santoro per rimetterlo in onda. L’azionariato popolare, iniziativa unica al mondo nella storia della tv, coprirà il 24% nella società. Cinzia è entusiasta: «Arrivano dieci sottoscrizioni al minuto, ce la faremo».
Sarà circondato da donne, Santoro. Oltre a lui, che con la moglie Sanja Podgajski ha il 51%, le consigliere d’amministrazione sono la Monteverdi, la Innocenzi e Angelica Canevari, consigliere delegato della Videa di Sandro Parenzo, proprietario di Telelombardia. «Ma questa “valanga rosa” è un puro caso, non l’abbiamo fatto apposta», sorride la Monteverdi.
«Ho cominciato a lavorare con Santoro nel marzo 2010 in Rai per una notte», dice Cinzia, «la trasmissione andata in onda da Bologna sugli schermi delle piazze d’Italia, tv locali, Current di Sky e web, per protesta contro la censura pre-elettorale: 13 per cento di audience. Bis lo scorso giugno con Tutti in piedi per la Fiom. E ora andremo avanti con la “multipiattaforma”: tv in chiaro, satellite e web».
I due milioni di capitale iniziale, però, coprono le spese per sole otto puntate, che costano 250 mila euro l’una. Come mai così tanto? «Per fare tv ci vogliono tanti soldi. Solo per la scenografia, centinaia di migliaia di euro. Affitto la banda web in streaming per tre ore: 50 mila euro. E così via...»
Potreste fare una tv povera, alla Gabanelli. «Michele vuole offrire un programma di qualità pari a quelli che faceva in Rai. E lì c’erano grosse disponibilità. Naturalmente il mio compito, come per tutti gli editori e produttori, sarà anche quello di far quadrare i conti».
E qui entra in gioco la pubblicità. Perché non c’è sottoscrizione popolare che tenga: per andare in onda non artigianalmente, con grandi numeri, ci vogliono gli spot. «Abbiamo una concessionaria, la Publishare di Parenzo e Fiorenza Mursia. Le prospettive sono buone. Il sito web del Fatto, per esempio, chiuderà quest’anno con 800 mila euro di pubblicità contro i 250 mila euro previsti ».
La Monteverdi non lo dice, ma per le venti puntate del 2012 la speranza è che entri in campo la concessionaria di Sky. Il problema è che alle aziende non piace fare pubblicità su media troppo caratterizzati politicamente. E Santoro rischia la stessa penuria che colpisce Il Fatto: grande successo di vendite (80 mila copie, 40 mila abbonamenti), ottimi bilanci (otto milioni di utile annuo su 30 di fatturato), ma introiti pubblicitari non adeguati a questi exploit.
Cinzia però è ottimista. Ha la stessa energia che la spinse tre anni fa, titolare di un’agenzia di eventi, a contattare Marco Travaglio, vicedirettore del Fatto e colonna di Anno zero, dopo averne letto libri e articoli, e ad «appiccicarglisi come una cozza» per organizzare una sua serata a Carrara. «Poi, due anni fa, ho investito centomila euro, l’eredità dei miei nonni, per diventare socia fondatrice del Fatto. La scommessa è andata bene, e ora con Vincino e Vauro abbiamo resuscitato il famoso giornale satirico Il Male. E ora Santoro... Come ci ha insegnato Steve Jobs: “Siate folli, realizzate i vostri sogni”. Votavo a sinistra, poi Di Pietro, ma adesso nessuno mi convince: né Vendola, né Beppe Grillo, né Bersani. Sono andata a Roma a lavorare nell’amministrazione del Fatto perché ero stufa di lamentarmi, di essere scontenta, ma di non fare niente di concreto».
Sposata, fidanzata? «Già fatico a convivere con me stessa, figuriamoci con un uomo». Intanto, durante l’intervista continuano a telefonarle: prima Santoro, poi Travaglio, poi Antonio Padellaro, il direttore del Fatto. È domenica pomeriggio, e lei adora lavorare.
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