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Thursday, October 19, 2023

Autodenuncia, processo, assoluzione: la surreale vita di Marco Cappato



Ormai i pronunciamenti della magistratura non fanno più notizia: uno dopo l’altro, stabiliscono che l’eutanasia non è reato. Ma la legge non arriva. Così un’azione politica per sollevare l’assurdità della situazione l’ha resa ancora più assurda

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 19 ottobre 2023

Ormai non fa più notizia. Anche la procura di Firenze ha chiesto l’ennesima archiviazione per Marco Cappato. Il leader radicale si era autodenunciato per avere aiutato un 44enne di San Vincenzo (Livorno), malato di sclerosi multipla, ad andare in Svizzera dove è morto col suicidio assistito.

I pm di Milano recentemente non hanno ritenuto un reato l’aiuto di Cappato a Romano, 82enne ex giornalista e pubblicitario all’ultimo stadio di Parkinson, e a Elena Altamira, 69enne veneta malata terminale di cancro.

Il problema però è che l’eutanasia in Italia rimane illegale. La Corte costituzionale anni fa ha invitato il parlamento a emanare una legge che la regolamenti. Ma i partiti sia di destra che di sinistra non hanno il coraggio di affrontare l’argomento. Nonostante i sondaggi diano l’80 per cento degli italiani favorevoli alla “buona morte”, i cattolici presenti in Pd, Forza Italia, FdI e Lega bloccano ogni decisione.

Così si prosegue nel limbo dell’incertezza. E continua la commedia del povero Cappato che per sollecitare una legge pratica la disobbedienza civile, si autoincolpa per evidenziare l’assurdità della situazione. Niente da fare. Come era successo per divorzio e aborto, l’eutanasia viene praticata di nascosto ogni giorno nei nostri ospedali. Ma senza regole precise si rischiano abusi.

La scorciatoia è quella del “suicidio assistito”, che dopo il caso di dj Fabio è legale per chi è affetto da malattie irreversibili, soffre pene fisiche o psicologiche intollerabili ed è pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli. Il che però esclude proprio chi ne avrebbe più bisogno, e cioè le migliaia di anziani che per demenza senile o Alzheimer non possono più decidere.

Ma anche per chi ha i requisiti la burocrazia è lunga e insostenibile: un’apposita commissione regionale deve valutare ogni singola richiesta per accedere alla somministrazione del farmaco di fine vita. Se la commissione accerta la sussistenza di tutti i requisiti indicati dalla sentenza della Corte costituzionale verrà scelto il farmaco più appropriato. Ma non è finita, perché poi c’è anche un comitato etico che deve dare il suo parere. Insomma, mesi e anni di attesa.

Così chi ha i mezzi va in Svizzera. Ma chi lo aiuta può essere sempre incriminato per istigazione al suicidio.

Come ipocriti struzzi, i pochi contrari all’eutanasia fanno finta di non vedere quel che succede normalmente, seguendo l’unica regola del buonsenso, in ospedali e rsa. Parlano di “difesa della vita” e accusano Cappato di essere un “angelo della morte”.

Sta succedendo anche in questi giorni a Monza e in Brianza, dove domenica si vota per il seggio da senatore lasciato da Silvio Berlusconi. Cappato è candidato per il centrosinistra, Adriano Galliani per il centrodestra. Che accusa l’esponente radicale di non essere un vero liberale: ma la libertà di disporre del proprio corpo fino alla fine è un diritto civile fondamentale. Perfino il sindaco del Pd non sa se voterà Cappato o si asterrà. Eutanasia e droga legale fanno paura, nonostante la realtà smentisca gli scrupoli ideologici e religiosi.

Così i “difensori della vita” preferiscono che siano i magistrati, e non i politici, a stabilire regole provvisorie. E Galliani scappa da ogni dibattito, ma per farsi propaganda regala, secondo il metodo Achille Lauro, astucci della sua squadra di calcio del Monza ai bambini brianzoli.

Wednesday, November 20, 2013

Berlusconi e i suoi vice: Galliani, Alfano

VIA DAL MILAN IL PRIMO. VIA DAL GOVERNO IL SECONDO?

di Mauro Suttora

Oggi, 13 novembre 2013

Brutto mese, novembre, per Berlusconi. Due anni fa venne estromesso dal governo per far posto a Mario Monti. L’anno scorso i sondaggi davano il Popolo delle Libertà crollato al 15 per cento senza di lui. Dovette riprendere la guida del partito da Angelino «senza quid» Alfano per pareggiare in extremis le politiche di febbraio.

Adesso la data fatidica è il 27 novembre: il Senato vota la sua «decadenza» dopo la condanna per frode fiscale a quattro anni di carcere, e due di interdizione dai pubblici uffici.

«I magistrati non possono eliminare dalla politica il capo di uno dei maggiori partiti», dicono in coro i suoi. Subito dopo, però, si dividono. Alfano esclude di far cadere il governo guidato da Enrico Letta di cui è vice, dando le dimissioni e togliendo la fiducia: «Si andrebbe al voto e vincerebbe la sinistra». «Traditore,  vuoi rimanere attaccato alla poltrona anche dopo che la sinistra ha espulso Berlusconi dal Parlamento», gli ribattono i «lealisti» (Denis Verdini, Raffaele Fitto, Sanro Bondi).

«Farete la fine di Fini»

Alla fine decide Berlusconi in persona: «Come possono i nostri senatori e ministri collaborare con chi compie un omicidio politico?» E aggiunge minaccioso: «Non andrete da nessuna parte. Anche Fini e gli altri ebbero due settimane di spazio sui giornali. Ma poi è finita com’è finita».

Il Consiglio nazionale del Pdl è convocato per sabato 16 novembre. Sono 863 i membri che annunceranno la morte del partito, e la rinascita di Forza Italia. Ma per farlo devono arrivare ai due terzi dei voti.

In ogni caso, anche se dentro al suo partito prevarrà Berlusconi, non è detto che il governo Letta cada. Alla Camera, infatti, Pd e Scelta Civica hanno la maggioranza anche senza il Pdl. E al Senato bastano 20-30 senatori Pdl (o ex Cinque stelle) per conservarla. Dopodiché, Letta potrebbe andare avanti a governare anche fino al 2015, come spera il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

I governativi hanno i voti necessari

Si ritornerebbe, insomma, allo scenario del 2 ottobre. Quando i «governativi» del Pdl (oltre ad Alfano gli altri ministri  Gaetano Quagliariello, Maurizio Lupi, Beatrice Lorenzin, Nunzia De Girolamo,   più big come Fabrizio Cicchitto e Roberto Formigoni) avevano già racimolato i voti necessari a proseguire le «larghe intese». E Berlusconi, piuttosto che perdere, con un colpo di scena votò la fiducia.

L’altro fronte che angustia l’ex premier in questi giorni è quello sportivo. Il suo Milan è in crisi nera, e la figlia Barbara ha chiesto la testa del vicepresidente Adriano Galliani. Anche qui, Berlusconi non si commuove. Facile disfarsi dell’allenatore Massimiliano Allegri: appartiene all’unica categoria di lavoratori immediatamente licenziabili in Italia. Più problematico rompere i rapporti con Galliani, che per più di un quarto di secolo è stato l’alter ego del cavaliere nel calcio, e che prima aveva messo in piedi tutta la rete dei ripetitori delle tv Fininvest.

L’uscita del vicepresidente sarà morbida, posticipata a primavera e compensata lautamente. Questo non toglie che ricorda un po’ la testa di Giovanni Battista ottenuta da Salomè dopo aver danzato per il padre Erode.

La bella e arrembante Barbara-Salomè richiamerà al Milan Paolo Maldini come direttore tecnico ed eventualmente Clarende Seedorf. Ma il padre comincia anche a considerarla per un futuro politico, dopo il no della primogenita Marina. Qui però le cose per il povero Berlusconi si complicano. Perché un conto è far andare d’accordo i due galletti Alfano e Fitto, un altro Marina e Barbara.
Mauro Suttora

Wednesday, November 13, 2013

Barbara Berlusconi

di Mauro Suttora

Oggi, 6 novembre 2013

Negli sprint di ciclismo di solito vince il secondo, che sbuca da dietro all’improvviso infilando l’apripista. Lo stesso farà Barbara Berlusconi, ai danni della sorellastra Marina?
Missione impossibile, all’apparenza. Marina B. è sugli scudi di tutti i berlusconiani. Da tre mesi, dopo la condanna del padre, è diventata una dei suoi consiglieri più stretti in politica. Materia che le è totalmente indifferente, presa com’è dalla presidenza Mondadori. Lei e papà continuano a smentire una sua discesa in campo nei palazzi romani. Ma più negano, meno i forzisti ci credono: addirittura due su tre, dice qualche sondaggio, scommettono su di lei come erede politica.

E Barbara freme. Alla soglia dei trent’anni, la terzogenita di Silvio vuole farsi strada. Il solco è tracciato: per lei c’è il Milan, quarta gamba dell’impero di famiglia dopo Mediaset (andata al fratellastro Pier Silvio), Mondadori (Marina) e Forza Italia. Due anni fa, dopo la laurea breve in filosofia (Marina invece non è laureata), B.B. è stata nominata consigliere d’amministrazione della squadra di calcio.
«Immagino un mio futuro in Mondadori», aveva osato dichiarare, causando sconcerto nel padre e ira nella sorellastra che vedeva minacciato il feudo acquisito dal 2003. Provocazione? Invasione di campo? «Sarà manovrata dalla madre», sussurrarono i maligni. Veronica Lario, già in tempestosa rotta con l’ex marito e gran paladina della sorte dei propri tre figli.

Ma in questi anni Barbara ha imparato a giocare in proprio. E ormai le va stretto il seggiolino da consigliere d’amministrazione del Milan con cui era stata tacitata dopo quella sua prima alzata di testa.

Il giocattolo non le basta più. «Ci vuole un cambio di rotta nella società», ha annunciato dopo l’umiliante sconfitta in casa del Milan con la Fiorentina. Protesta con il padre, naturalmente precisa che non ce l’ha con Adriano Galliani. Ma vale di più il vicepresidente quasi 70enne che sta perdendo tutto o la figlia arrembante del presidente? Pagherà, come sempre, l’allenatore: Massimiliano Allegri. Pagherà anche per aver trattato male Alexander Pato, il baby-fidanzato di Barbara (cinque anni in meno) usato e buttato come tanti altri giovani simboli mancati dell’ex squadrone (Kaka, Stephan El Shaarawy).

La capricciosa Barbara, invaghita del «papero», ci aveva progettato casa assieme: si era fatta dare dal babbo 9,3 milioni per mezzo migliaio di metri quadri di attico e superattico in centro a Milano. Ora, dopo il mesto ritorno di Pato in Brasile a gennaio e la fine della storia a luglio, Barbara si è messa con un altro 24enne: lo studente di economia Lorenzo Guerrieri, barman a tempo perso nell’enoteca monzese Mulino dove si sono conosciuti. Addominali scolpitissimi, praticamente un sosia di Pato. Anche lui di Monza come Giorgio Valaguzza, dal quale senza sposarlo B.B. ha avuto i figli Alessandro (che ha appena compiuto sei anni) ed Edoardo. Gira e rigira, insomma, le berluschine nelle cose importanti sempre attorno alla loro Brianza ruotano.

Fra Barbara e Marina i rapporti sono agrodolci. Il gelo durato anni, dopo il mancato arrembaggio di B.B. alla Mondadori, pare si sia stemperato di recente. Ora tutti i figli, di primo e secondo letto, accorrono presso il padre 77enne nelle occasioni importanti: feste, compleanni e condanne penali.
Ma Barbara rimane il terrore degli addetti stampa Fininvest e la delizia dei giornalisti: le sue interviste, contrariamente a quelle di Marina, non sono concordate. Quindi ogni volta escono affermazioni clamorose e imprevedibili. Come quando disse che mai e poi mai avrebbe fatto vedere ai figli certi programmi delle tv Mediaset, e Maurizio Costanzo si offese. Nel 2007 ammise di aver fatto comprare dal padre per 20 mila euro certe imbarazzantissime foto scattatele da un paparazzo davanti a una discoteca di Milano. E dovette spiegare al pm Henry John Woodcock (detestato da Berlusconi) il ricatto subìto da Fabrizio Corona.

Nulla di più lontano dalla tranquilla vita privata di Marina. La quale al massimo convoca lei i paparazzi per farsi ritrarre a bordo piscina in foto «finte rubate». Dopo un fidanzamento durato dieci anni ma finito male, ha sposato il padre dei suoi due figli (Gabriele e Silvio), l’ex ballerino Maurizio Vanadia.

Come finirà il confronto/duello fra le due primedonne dell’impero di Arcore? Barbara, contrariamente a Marina, non ha mai detto che non le piace la politica. Dopotutto, suo padrino di battesimo nel 1984 fu Bettino Craxi, allora premier all’apice della gloria. «È bravissima, meglio lei di Marina», assicura il filosofo Massimo Cacciari. Che è di sinistra, ma era anche il rettore dell’università San Raffaele dove B.B. si è laureata.
Mauro Suttora