ALLE ULTIME ELEZIONI DEL 2013 I RADICALI HANNO PRESO LO 0,3%
di Mauro Suttora
Oggi, 25 maggio 2016
Ma chi era veramente Marco
Pannella? Come mai abbiamo santificato un uomo politico al quale nelle ultime
elezioni, tre anni fa, abbiamo dato appena lo 0,3% dei nostri voti?
Nel 2013 i radicali non sono
riusciti neppure a raccogliere le firme per presentarsi in metà delle regioni.
Perciò oggi, quando la sua compagna Emma Bonino dice che «alcuni omaggi sanno
di ipocrisia», si riferisce a tutti gli italiani, e non solo ai politici:
«Amateci di meno e votateci di più», ha invitato, da concreta piemontese.
Il problema è che i radicali
sono sempre stati un disastro, nelle urne. Il partito fondato 60
anni fa da Pannella ed Eugenio Scalfari (fra gli altri) alle prime politiche
nel 1958 racimolò appena l’1,4%. Ed era alleato con i repubblicani, che da soli
al voto precedente avevano preso l’1,1. Quindi, anche allora valevano lo 0,3%.
Alle comunali del ’60
riuscirono a eleggere l’attore Arnoldo Foà a Roma e Scalfari con lo scrittore
Elio Vittorini a Milano (a Torino candidavano Norberto Bobbio).
Un risultato
che sperano di replicare il prossimo 5 giugno, sull’onda del ricordo di Pannella:
Marco Cappato corre a Milano e il segretario di Radicali Italiani Riccardo Magi
a Roma, in una lista di appoggio al pd Roberto Giachetti (ex radicale).
Ma
dovranno superare il 3%. E questo è successo solo tre volte nella storia: nel
1979 con Leonardo Sciascia, nell’84 grazie a Enzo Tortora, e nel ’99 con la
lista Bonino che toccò l’8%.
Come mai Pannella non lo ha
mai votato quasi nessuno? La risposta, curiosamente, arriva dal cantante Enrico
Ruggeri. Che radicale non è, ma nel 2003 presentò a Sanremo la canzone Nessuno tocchi Caino contro la pena di
morte (una delle innumerevoli campagne radicali): «A Pannella non interessava
il consenso. Tutti i politici parlano con lo scopo di essere votati, lui no.
Lui voleva solo ottenere risultati per le sue iniziative».
Lo spiegava Pannella stesso:
«Io non “faccio” politica. Non “prendo posizioni”. Io lotto». Eppure non era un
antipolitico come Beppe Grillo. Al contrario: prese la sua prima tessera di
partito (liberale) a 15 anni, nel 1945. E per tutta la sua vita è stato un
politico a tempo pieno, tranne qualche anno come giornalista (per Il Giorno nel 1959-62 e per l’Espresso
nel 1973, quando seguì Mitterrand in Francia).
Ma ha sempre combattuto i
politici se degenerano in Casta. Trent’anni prima del fortunato libro di
Rizzo e Stella lottava contro la «partitocrazia» e il finanziamento pubblico ai
partiti (quasi vinto il primo referendum del ’78). Per questo è riuscito a
mantenere la fama di politico atipico e onesto.
Lo stesso è successo per un’altra
battaglia di Pannella: l’anticlericalismo. Come mai è diventato amico di papa
Francesco, lui legalizzatore di aborto e divorzio, superlaico, fautore
dell’eutanasia, che ancora pochi anni fa sventolava cartelli “No Vatican no
Taleban” contro il cardinale Ruini che lo aveva sconfitto nel referendum sulla
fecondazione assistita del 2005? «Perché il clericalismo è solo una
degenerazione del vero sentimento religioso. E noi radicali siamo sempre stati
credenti. In altro che nella “roba”».
Mauro Suttora