Siamo nati sul 99% dei plebisciti risorgimentali dal 1859 al 1870. Perché le consultazioni popolari che ratificano conquiste territoriali già avvenute sono sempre una truffa. E anche in Francia ne sanno qualcosa
di Mauro Suttora
HuffPost, 28 settembre 2022
Vladimir Putin esulta per il 97% del suo referendum farsa nell’Ucraina occupata? Poteva far meglio: l'Italia nacque sul 99% dei plebisciti risorgimentali dal 1859 al 1870. Perché le consultazioni popolari che ratificano conquiste territoriali già avvenute sono sempre una truffa. E spesso non occorrono neanche minacce plateali, come i mitra spianati da Putin per stanare in casa gli ucraini riluttanti a votare.
Ne "Il Gattopardo" il sindaco di Donnafugata, interpretato nel film da Paolo Stoppa, annuncia il risultato del plebiscito sull'unione della Sicilia all'Italia nel 1860: "Iscritti 515, votanti 512. Sì 512, No zero". Eppure tal Ciccio Tumeo assicura: "Io avevo votato no. E quei porci in municipio s'inghiottono la mia opinione, la masticano e poi la cacano via trasformata come vogliono loro".
Con questi metodi noi italiani abbiamo preso, ma anche perso. Nell’800 si usava così. Nizza, regalata nel 1860 da Cavour a Napoleone III in cambio della Lombardia, nel referendum confermativo diede ai francesi 6.921 Sì, con solo undici No. Ma il vero voto i nizzardi lo espressero coi piedi negli anni seguenti, quando un quarto di loro si trasferì in Italia.
Pochi ricordano che nel 1871, aizzati dal loro concittadino Giuseppe Garibaldi dopo la sconfitta di Napoleone III a Sedan, scatenarono i Vespri nizzardi. La neonata Terza Repubblica francese aveva infatti indetto le prime libere elezioni dopo l'impero, stravinte in città col 90% dalle liste filoitaliane contro l'annessione.
Ma, alla faccia di libertà e democrazia, a Parigi prevalse ancora il nazionalismo: mobilitazione di diecimila soldati, occupazione di Nizza, chiusura del giornale pro-italiano "Il Diritto", incarcerazione dei patrioti italiani. La popolazione reagì, assalì la prefettura e ne ruppe le finestre a sassate gridando "Viva l’Italia, viva Garibaldi!”. Su un cartello fu issata la scritta "Inri: I nizzardi ritorneranno italiani". Ma dopo tre giorni di scontri e molti feriti e arresti, le cariche di cavalleria francesi ebbero la meglio.
Il 13 febbraio 1871 al deputato Garibaldi, che si era fatto eleggere nella nuova Assemblea nazionale francese convocata a Bordeaux, fu addirittura impedito di parlare. E lui si dimise da deputato con queste amare parole: “Ho sempre saputo distinguere la Francia dei preti dalla Francia repubblicana, che sono venuto a difendere a Digione con la devozione di un figlio”. Ma l’unico a difenderlo fu Victor Hugo.
Dopo i Vespri furono allontanati da Nizza gli ultimi irredentisti reduci dal Risorgimento italiano (era nizzardo anche Augusto Anfossi, comandante nelle Cinque giornate di Milano, ucciso sulle barricate). Si rafforzò la francesizzazione nell’ex provincia di Nizza sabauda, furono chiusi tutti i giornali in lingua italiana, si completò la cancellazione degli antichi toponimi locali. Ne fecero le spese perfino i cognomi: tanti Bianchi divennero Leblanc, e i Del Ponte Dupont.
Replay dopo la Seconda guerra mondiale con Briga e Tenda. I tedeschi fuggono dall’alta val Roja il 24 aprile 1945, le due cittadine sopra Ventimiglia vengono liberate dai partigiani italiani. Ma due giorni dopo arrivano a Tenda cento soldati algerini (francesi) che li disarmano, dando loro sei ore di tempo per andarsene.
Si tiene un plebiscito con schede prestampate: appare solo il sì all’annessione. L’unico modo di opporsi è votare scheda bianca, altrimenti si perde il diritto alla preziosa tessera annonaria, indispensabile per mangiare. I risultati sono favorevoli alla Francia: a Briga 976 sì e 39 schede nulle; a Tenda 893 favorevoli e 37 astenuti.
Un mese dopo giungono a Tenda gli americani e ripristinano l’amministrazione italiana, che però viene subito rovesciata dai francesi. La tensione è alle stelle. Ci vuole un accordo apposito a Caserta tra Francia e alleati per risolvere la situazione. Il 10 luglio 1945 il reggimento tiratori algerini deve lasciare l’alta Roja. Il Governo italiano a quel punto commette l’errore di invitare i cittadini contrari alla Francia a lasciare le proprie case. Anche Briga e Tenda, quindi, sperimentano il loro piccolo esodo, come in Istria: sono 42 le famiglie che se ne vanno da Briga (su un migliaio di abitanti), 90 da Tenda (su duemila). Nei mesi successivi altre cento famiglie abbandonano il territorio conteso.
Nell’aprile 1946 una commissione di otto membri (due per ogni Paese vincitore: Usa, Urss, Gran Bretagna e Francia) descrive una maggioranza pro-francese a Briga, mentre a Tenda prevalgono gli italiani, fra i quali gli immigrati che lavorano nelle centrali idroelettriche. Ma ormai il destino dell’alta Roja è segnato: gli alleati accettano le richieste francesi, in cambio di forniture elettriche all’Italia per quindici anni. La cessione di Briga e Tenda è appoggiata soprattutto dal ministro degli Esteri sovietico Molotov.
Un nuovo referendum il 12 ottobre 1947 dà la quasi unanimità alla cessione: 2603 sì, 137 nulli, 218 no. Un migliaio di italiani sfollati che tornano per votare vengono però bloccati alla galleria di Tenda. Si ripete, insomma, la farsa vista a Nizza quasi un secolo prima: plebisciti pilotati, intimidazioni, propaganda sfrenata. Certo, l’Italia paga l’attacco vigliacco di Benito Mussolini alla Francia del giugno 1940, con l’annessione di Mentone. Ma in fatto di referendum truffaldini Putin non ha inventato nulla.